Accesso a cassetta di sicurezza e responsabilità della banca
28 Novembre 2018
Sussiste responsabilità della banca rispetto ad un accesso alla cassetta di sicurezza effettuato apparentemente dal titolare nei giorni immediatamente precedenti al suo decesso, quando egli si sarebbe già trovato nella fase terminale della sua infermità, di gravità tale da impedirgli di recarsi presso la banca? Tanto più che la cassetta era stata rinvenuta vuota al momento dell'apertura da parte degli eredi, cui però la banca avrebbe rifiutato l'esibizione del registro ove erano annotati gli accessi ed apposte le firme.
Occorre innanzitutto premettere che al momento della conclusione del contratto la banca rilascia al cliente un tesserino di riconoscimento unitamente ad una chiave per l'apertura della cassetta assegnatagli. In occasione di ogni accesso, il titolare della cassetta deve apporre appone la propria sottoscrizione su di un modulo (“specimen”) che rimane conservato presso la banca, ove vengono annotati giorno ed ora dell'accesso, consentendo altresì all'addetto della banca di confrontare la firma apposta in sua presenza sul registro con quella conservata nell'archivio. Partendo proprio dalla circostanza che la cassetta sia stata rinvenuta vuota al momento dell'apertura da parte degli eredi, cui la banca rifiuterebbe però l'esibizione del registro ove sono annotati gli accessi ed apposte le firme, va osservato che, nell'ottica della prova circa la diligenza nell'adempimento, il rifiuto della banca alla esibizione del registro contenente la sottoscrizione apparentemente attribuita al titolare si palesa civilisticamente come illegittimo. Considerata provata la circostanza di un avvenuto accesso, infatti, la banca è certamente tenuta alla esibizione del relativo registro contenente la firma di chi lo ha effettuato, al titolare del rapporto o, in sua mancanza, ai suoi eredi che evidentemente subentrano nella medesima titolarità giuridica dei rapporti. Non può dunque che concludersi che proprio la mancata messa a disposizione del registro sottoscritto da parte della banca pone quest'ultima nella incomoda condizione di non essere in grado di provare il proprio diligente adempimento. Per inciso -e salvi eventuali differenti profili di correità in ipotetiche condotte penalmente rilevanti- va detto che la responsabilità per la mancata messa a disposizione del registro degli accessi è certamente ascrivibile all'istituto bancario, e non personalmente al suo funzionario (sia egli colui che opponga in attualità il diniego, sia colui che all'epoca dell'accesso contestato raccolse -o avrebbe dovuto raccogliere- la sottoscrizione dell'utente). Cionondimeno, non può agevolmente concludersi per una sicura affermazione di responsabilità dell'istituto bancario, quand'anche si comprovasse che in effetti l'accesso che si contesta non fosse stato effettuato dal titolare poi deceduto. Viene infatti qui in rilievo la funzione del “tesserino di riconoscimento” ed il possesso congiunto della chiave necessaria per l'apertura della cassetta. La più recente Dottrina è portata ad escludere la responsabilità della banca «quando la violazione della cassetta sia dipesa dall'aver consentito l'accesso ad un soggetto diverso dall'utente o dai suo delegati, purché sia offerta la prova di aver puntualmente verificato l'identità del soggetto, accertando che lo stesso era in possesso del tesserino d'identificazione e della chiave di apertura dei locali». Altri Autori rinvengono la responsabilità della banca laddove emerga positivamente la negligenza dell'addetto al servizio all'atto dell'identificazione della persona che, pur in possesso della tessera di riconoscimento e della chiave, non risulti legittimata; in ciò concretandosi un inesatto adempimento dell'obbligo di custodia. Naturalmente, la banca sarà chiamata a rispondere (ex artt. 1228 e 2049 c.c.) persino laddove si comprovi che l'abusivo accesso sia stato dolosamente consentito da un funzionario corrotto o anche solo compiacente. Purtuttavia, il quadro per l'affermazione della responsabilità in capo alla banca -nell'ipotesi prospettata- non appare così nitidamente delineato. Infatti, recente pronunzia dell'Arbitro Bancario Finanziario, nel respingere il ricorso di una titolare del servizio che lamentava l'avvenuto accesso (e svuotamento della cassetta di sicurezza) da parte della sorella, ha valorizzato l'obbligo contrattuale di diligente custodia del tesserino d'identificazione e della chiave, sottolineando come «l'incuria della ricorrente nel custodire gli strumenti per l'accesso alla cassetta di sicurezza, in spregio alle previsioni [….] del contratto» fosse stata determinante per «escludere una qualsivoglia responsabilità dell'intermediario», il cui personale dipendente si era invero attenuto «alle previsioni contrattuali, consentendo l'accesso al soggetto munito delle relative credenziali. Se dunque tessera e chiave non costituiscono certamente un “titolo di credito”, purtuttavia il relativo possesso manifestato all'operatore bancario legittimerebbe costui ad una valutazione meno rigorosa nel raffronto tra la firma apposta dal richiedente l'accesso e quella depositata nell'archivio, portando ad escludere la responsabilità della banca nell'ipotesi di in cui la sottoscrizione non appaia «ictu oculi palesemente contraffatta», giacché in tal caso «la condotta dell'intermediario non è passibile di censure anche sotto il profilo dell'adozione delle idonee cautele imposte dalla specifica diligenza professionale ragionevolmente esigibile dall'operatore bancario». Naturalmente, una volta che si fosse riusciti a superare -secondo gli anzidetti angusti criteri- lo scoglio dell'affermazione della responsabilità in concreto della banca (per esempio, a cagione della estrema notorietà del titolare poi defunto, tale per cui chiunque avrebbe potuto avvedersi della non identità del possessore del tesserino), occorrerebbe -al fine di vestire in concreto l'affermazione della responsabilità del banchiere- fornire la prova del contenuto della cassetta anteriormente all'accesso che si assume abusivo. A questo proposito però la giurisprudenza (ex multis, Cass. civ., 25 novembre 2008 n. 28067) ha stabilito che «ai fini della prova del danno è ammessa la possibilità di ricorrere a presunzioni basate, oltre che sulla circostanziata denunzia del fatto e sulla prova della proprietà degli oggetti depositati, anche sulla compatibilità delle rivendicazioni con le condizioni economiche del danneggiato, con la frequenza e data del suo accesso alla cassetta, ed anche con il ricorso alla prova testimoniale di persone legate al danneggiato da vincoli familiari, aspetti questi idonei ad ammettere il giuramento suppletorio». In conclusione, la risposta al quesito fa propendere per la sostenibilità di una responsabilità in capo alla banca solamente laddove essa persista nell'ingiustificato rifiuto di consegnare copia del registro degli accessi; nel caso contrario invece, alla luce dei principi che attribuiscono rilevanza preminente al possesso del titolo di legittimazione all'accesso (tesserino di identificazione), pare che l'addebito di responsabilità alla banca sia ben più difficoltoso.
|