Unitarietà del danno non patrimoniale. Anzi no. Anzi forse.

11 Dicembre 2018

L' Autore esamina a livello sistematico, le ragioni di una tendenza delle recenti pronunzie dei Giudici di legittimità e di taluna dottrina medico-legale a rivendicare l'autonomia ontologica della sofferenza morale dalla lesione del diritto alla salute, a scapito della concezione unitaria del danno non patrimoniale affermata a partire dalle celebri sentenze di “San Martino” e fatta propria dalle c.d. tabelle milanesi. In particolare, la possibile ragione di nuova tendenza viene letta alla luce delle c.d. idee atomiste dei diritti della personalità.
Lo stato dell'arte: la natura unitaria del danno non patrimoniale.

Come è noto, l'art. 2059 c.c. in tema di danno non patrimoniale è stato oggetto, sin dall'emanazione del Codice civile, di un notevole dibattito dottrinario e giurisprudenziale:

  1. dalla lettura letterale-restrittiva del danno non patrimoniale come danno morale soggettivo, il transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima, risarcibile nei soli casi previsti dalla legge,
  2. alla distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza con avallo della risarcibilità del danno biologicoex art. 2043 c.c. (Corte Cost., 14 luglio 1986, n. 184);
  3. alla configurazione del c.d. danno esistenziale;
  4. all'affermazione del sistema bipolare danno patrimoniale-non patrimoniale con riconduzione del danno biologico nell'art. 2059 c.c. e con risarcibilità del danno non patrimoniale non solo nei casi previsti dalla legge, ma in quelli di lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti (Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2003, n. 19057);
  5. sino alle celebri decisioni c.d. di S. Martino (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975), che hanno sancito l'unitarietà dalla categoria del danno non patrimoniale (il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale, Cass. civ., 26972/2008 cit.).

Da quest'ultimo importante arresto, il sistema del risarcimento (rectius, riparabilità) del danno non patrimoniale si è incentrato sulla natura unitaria di tale danno, evitando la duplicazione delle voci di pregiudizio.

In tale contesto si inserisce uno strumento di liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero le c.d. tabelle milanesi, che sono state ritenute criteri di liquidazione, ampiamente diffusi sul territorio nazionale e dotate di valenza di parametro di conformità della valutazione equitativa di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., salva la sussistenza, in concreto, di circostanze idonee a giustificare il ricorso ad un criterio diverso (Cass. civ., sez. III, 31 ottobre 2017, n. 25817; Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408).

Le attuali Tabelle, a seguito delle citate sentenze di San Martino, partono dal presupposto che, in presenza di una lesione biologica, i pregiudizi da questa derivanti (quelli non patrimoniali consistenti nel non poter fare e quelli di sofferenza morale determinata dal non poter fare) sono aspetti di un medesimo pregiudizio, essendo la sofferenza morale una componente del più complesso pregiudizio non patrimoniale.

In tal modo si poteva procedere ad una liquidazione omnicomprensiva del c.d. danno biologico “standard”, della c.d. personalizzazione in presenza di particolari condizioni soggettive, e il c.d. danno morale.

La questione: la recente tendenza alla liquidazione separata del danno da sofferenza interiore e del danno dinamico-relazionale

A fronte del sistema appena delineato, vi è da segnalare la tendenza a procedere o a propugnare una liquidazione atomistica del danno relazionale-esistenziale e del danno da sofferenza interiore-morale.

Come messo in evidenza (SPERA D., Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina legale minano le sentenze di San Martino, in Ridare.it, 4 settembre 2018), recenti sentenze della Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2018, n. 901; Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2018, n. 7513) sembrano capovolgere, in parte, l'impostazione descritta al paragrafo precedente.

Pur richiamando l'unitarietà del danno non patrimoniale, dette sentenze consentono la distinzione del danno relazionale-esistenziale e del danno da sofferenza interiore-morale, per ammetterne una liquidazione atomista.

Secondo Cass. civ., n. 901/2018 è legittima l'individuazione della doppia dimensione fenomenologica della sofferenza, quella di tipo relazionale (proiezione esterna dell'essere) e quella di natura interiore-morale (interiorizzazione intimista della sofferenza). Consegue che è stata cassata la sentenza impugnata (che aveva confermato il danno biologico pari all'8%, aveva applicato le tabelle milanesi riconoscendo la massima percentuale di personalizzazione e aveva quindi negato ulteriori somme a titolo di danno morale), per aver erroneamente ritenuto che il danno morale è incluso nel calcolo tabellare e che il suo riconoscimento avrebbe comportato una duplicazione risarcitoria.

L'altra decisione, Cass. civ., n. 7513/2018, riassume dieci principii, che riportiamo e dei quali evidenziamo i contenuti che interessano:

1) l'ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale.

2) Il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomeno logicamente) unitaria.

3) "Categoria unitaria" vuol dire che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori (artt. 1223, 1226, 2056, 2059 c.c.).

4) Nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell'illecito; e dall'altro evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici.

5) In sede istruttoria, il giudice deve procedere ad un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell'effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio.

6) In presenza d'un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale).

7) In presenza d'un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

8) In presenza d'un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perchè non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione).

9) Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass., così come modificati della l. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17, nella parte in cui, sotto l'unitaria definizione di "danno non patrimoniale", distinguono il danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello "morale").

10) Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell'uno come nell'altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria.

Risulta chiaro che tali sentenze riprendono i principii consolidati dal 2009, ma affermano anche qualcosa di nuovo, potenzialmente destabilizzante, introducendo la possibilità di riconoscere ulteriori voci di danno (sia pure non automaticamente, ma rigorosamente allegati e provati).

In particolare, emerge il “danno dinamico-relazionale” espressione già utilizzata dal Legislatore antecedentemente alle sentenze del 2008 (agli artt. 138 e 139 cod. ass., nonché nel D.M. 3 luglio 2003 n. 11790 con specifica tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica della persona comprese tra 1 e 9 punti di invalidità).

Secondo il Codice delle Assicurazioni, per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito (artt. 138 e 139 cod. ass.).

In sostanza, secondo quanto emerge dalle sentenze richiamate, le compromissioni provocate dalla lesione alla salute possono suddividersi in due ipotesi:

  1. le ripercussioni “comuni” a tutte le persone che patiscono quel tipo di invalidità e per le quali non si giustifica alcun aumento del risarcimento base;
  2. le compromissioni peculiari del caso concreto, che possono essere risarcite in sede di personalizzazione, previa prova dell'effettivo pregiudizio.
Una possibile ragione del dissidio: il mai sopito dibattito sulla natura dei diritti della persona

Appare chiaro che le recenti pronunzie fanno riemergere aspetti del danno alla persona suscettibili di autonoma valutazione, sia pure in sede di personalizzazione del danno.

Riaffiora anche la categoria dommatica del danno esistenziale (cfr. esplicitamente, Cass. civ., n. 901/2018).

È stato osservato (ZIVIZ, infra) che «sul piano fenomenologico ricorre una contrapposizione, da un lato, tra danno morale, riguardante la dimensione interiore del pregiudizio, e, dall'altro lato, danno biologico o esistenziale: entrambi riguardanti la sfera esterna della persona. A differenziare queste ultime due voci sarà esclusivamente il tipo di interesse leso: che in caso di danno biologico è quello alla salute, mentre il danno esistenziale discende dalla violazione di altri interessi costituzionalmente protetti».

La questione, al di là di indulgere in un ritorno al passato, discutendo di “danno esistenziale”, è di capire la ragione di tale distinzione.

A prescindere che i testi normativi sono anteriori all'arresto delle sentenze di san Martino del 2008, quando il tema del danno non patrimoniale offriva una pluralità di ricostruzioni e tesi, letteralmente non è possibile inferire l'autonomia concettuale del danno dinamico-relazionale rispetto al danno non patrimoniale.

Infatti, in base agli artt. 138 e 139 cod. ass., vi è un'unica lesione (temporanea o permanente) e riguarda l'integrità psico-fisica della persona (suscettibile di accertamento medico-legale), che si riflette negativamente sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato. Questo è chiamato dalla legge danno biologico (“agli effetti della tabella, per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”, artt. 138 e 139 cod. ass.).

Risulta, poi, difficile individuare, in concreto, gli altri interessi costituzionalmente protetti, soprattutto in relazione alla specifica lesione di cui si tratta, ovvero la lesione all'integrità psico-fisica.

La questione sembra riportare in auge l'antico dibattito sull'individuazione dei diritti delle personalità.

Come noto, secondo una prima tesi, questi sono solo quelli espressamente previsti e disciplinati dalla legge (c.d. tesi pluralista o atomista).

Per una seconda tesi, oggi prevalente, invece, i diritti della personalità non sono enumerabili, in quanto vi è un solo diritto generale della personalità, operante come una sorta di clausola generale, i cui contenuti vengono di volta in volta specificati a seconda dello status della persona (c.d. tesi monista).

La giurisprudenza ha accolto questa seconda concezione, considerando la tutela della personalità nella complessità ed unitarietà di tutte le sue componenti (Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n. 10690; Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2001, n. 6507; Cass. civ., sez. I, 22 giugno 1985, n. 3769; Cass. civ., 27 maggio 1975 n. 2129, in Giur. it., 1976, I, 790).

Portando il ragionamento sul campo che ci interessa, la tutela della persona (rectius, dell'integrità psico-fisica della persona) si presta ad essere considerata in modo atomistico oppure in modo unitario.

Per sua natura l'integrità psico-fisica appare unica ed indivisibile, come pure il danno non patrimoniale che ha natura unitaria e la liquidazione è omnicomprensiva. Anche le sentenze in questione non si discostano da questi principî affermanti dalle Sezioni Unite del 2008.

La sua frantumazione in singoli voci o aspetti particolari rischia di rendere “statico” un diritto della persona che ha possibilità infinite di manifestazioni concrete, in tal modo svilendo l'esigenza primaria di tutela costituzionale della persona umana in tutte le sue manifestazioni.

Anche in un'ottica preventiva (il dovere di astensione da comportamenti lesivi), una concezione “aperta” richiederebbe agli altri soggetti non solo un'astensione, ma anche comportamenti prudenti o lo svolgimento di specifiche attività (si pensi proprio alla tutela della salute e, specificamente, nel luogo di lavoro, ove si potrebbe discutere di sollecitare comportamenti attivi volti ad eliminare ogni impedimento ad un compiuto sviluppo della persona umana).

Sicuramente il concetto di “persona” e dei suoi attributi è un concetto “storico”, il cui significato dipende dalla cultura e dalla civiltà giuridica che lo esprime. L'immagine dell'uomo (Menschenbild) può variare: dall'individualismo proprietario liberale classico, all'uomo legato a vincoli di natura generale nelle epoche dittatoriali, sino alla dimensione complessa della persona nel costituzionalismo del secondo dopoguerra, per non parlare dell'uomo calato nell'era bio-tecnologica con cui ci si confronta oggi.

Ad ogni modo, in una visione complessiva della persona umana, come desumibile dalla nostra Costituzione, per l'interprete è possibile identificare nuovi interessi che prendono forma e sostanza nella realtà e se ne rivendica una valutazione diversa rispetto ad altri interessi già riscontrati da quale soggetto.

L'apprezzamento dell'uomo a tutto tondo, in presenza di una lesione alla sua integrità psico-fisica, rende comprensibile le esigenze o le paure di non vedere limitato il riconoscimento della riparazione del danno non patrimoniale da una griglia o tabella di liquidazione.

Tuttavia, anche una valutazione complessiva non deve far temere una tutela minore: l'unitarietà del danno non patrimoniale postula l'esistenza di un unitario e generale diritto, per quanto ci interessa, all'integrità psico-fisica, di cui le singole espressioni rappresentano esemplificazioni, ma non le uniche. Detto diversamente, proprio una valutazione unitaria, attraverso un'adeguata personalizzazione, ha il vantaggio di non irrigidire in schemi vincolati i criteri di liquidazione del danno.

La natura del danno (non patrimoniale) impone cautela, per non cadere in una meccanica ripetizione di quei caratteri (oggetto, bene, lesione, danno, risarcimento) su cui si basa il sistema del risarcimento del danno patrimoniale.

La persona umana, nella sua essenza, ha senza dubbio una sua dinamica interna, che proietta all'esterno un certo valore in atto. Il diritto all'integrità psico-fisica si manifesta in forme sensibili e variabili, tutte espressioni di modi di essere della persona. Il valore (unico), al quale si riportano tutte queste manifestazioni, si può anche considerare “esistenziale”, perché è così che si svolge la vita. Ma questa forma “naturale o storica o anche dinamica” della persona va tenuta distinta dalla forma giuridica del valore di persona: la prima si identifica nei fenomeni di manifestazione del valore e costituisce un posterius rispetto al valore giuridico, che si identifica nel precetto normativo che attua quel valore.

In questo senso è chiaro il significato letterale anche delle fonti normative: per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito (artt. 138 e 139 cod. ass.).

Il punto è proprio questo: Cass. civ., n. 901/2018 ritiene l'opposto, ossia valorizza la reale fenomenologia del danno, preoccupata, altrimenti, di sostituire una (meta) realtà giuridica ad una realtà fenomenologia. Il punto è che siamo di fronte ad una “frantumazione assiologica” dell'integrità psico-fisica in varie specificazioni.

Tuttavia, riconoscere la natura unitaria del danno non patrimoniale e la natura omnicomprensiva della riparazione (principî questi ribaditi dalla medesima Suprema Corte) non significa negare la realtà della persona e della sua manifestazione. Al contrario, si vuole proprio attribuirne un giusto riconoscimento.

Riprova si ha guardando alla questione della liquidazione del danno non patrimoniale, ove occorre, come detto, evitare di applicare meccanicamente le categorie giuridiche e mentali tipiche del danno patrimoniale.

Pur essendo ovvio, è bene ricordare che, proprio in forza della rilevanza giuridica della persona, qualsiasi criterio volto a determinare quantitativamente questo fenomeno di danno sarà sempre incerto, perché tale lesione non è quantificabile economicamente, data la non omogeneità di valori.

Per questo si preferisce parlare di riparazione, piuttosto che di risarcimento del danno non patrimoniale.

Non a caso, la disposizione di diritto positivo di riferimento è l'art. 2056 c.c., che richiama l'art. 1226 c.c. sulla valutazione equitativa del danno: l'ordinamento riconosce al Giudice l'uso dei principî dell'equità nella definizione del danno in senso quantitativo.

Per tutte, la liquidazione del danno non patrimoniale (…), non avendo la funzione di reintegrazione patrimoniale mediante la corresponsione di un equivalente pecuniario del bene perduto, non può essere effettuata che con valutazione equitativa, rimessa al prudente apprezzamento del giudice. Essa però deve ispirarsi alla considerazione di tutte le concrete circostanze individuali, in modo da adeguare l'indennità al caso particolare e da renderlo il più possibile rispondente a criteri di equità e deve, comunque, rispettare l'esigenza di una ragionevole correlazione tra gravità effettiva del danno ed ammontare dell'indennizzo, cosicché questo non si riduca a mera espressione simbolica (Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 1988, n. 23).

Le tabelle milanesi esprimono, come noto, proprio questo giudizio di equità.

Nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli art. 1226 e 2056 c.c. - salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono (Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408; Cass. civ., sez. III, 31 ottobre 2017, n. 25817).

Conclusioni

Da quanto esposto, ci pare che il messaggio finale emergente dalle pronunzie in questione, come pure le istanze della dottrina medico-legale delle quali sono portatrici, si fondino su un diverso modo di concepire quel dato fondamentale che è la tutela della persona umana e, in particolare, della sua integrità psico-fisica.

La ricaduta pratica di tale concezione “atomista” in un sistema “monista” può essere destabilizzante, se non intesa con cautela ed attenzione.

Innanzitutto, propugnare un'autonomia ontologica della sofferenza morale rispetto al danno alla salute non può riportare alla luce vecchi dibattiti sul danno esistenziale, ormai non più utili dopo l'arresto e il superamento del 2008.

In secondo luogo, la sofferenza soggettiva interiore, per sua natura, non si presta ad essere oggetto di valutazione medico-legale, che dovrebbe avere funzione descrittiva e di ausilio al Giudice in sede di quantificazione del danno non patrimoniale, unitamente ad altre allegazioni e prove offerte dal danneggiato.

In terzo luogo, opinare diversamente significa introdurre un margine di valutazione discrezionale, da parte del medico legale, che aprirebbe la strada ad un ritorno al passato con valutazioni variabili da giudice a giudice, da luogo a luogo.

Indubbiamente un'attenta personalizzazione ed un uso accorto e motivato delle Tabelle è sempre doveroso, proprio per valorizzare la teoricamente infinta fenomenologia del danno non patrimoniale da lesione all'integrità psico-fisica.

Il risultato, cui tendono le concezioni esposte, è il medesimo. Occorre non stravolgere gli utili strumenti, che vengono, peraltro, continuamente aggiornati e non sono “statici”.

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