Una (provvidenziale) nuova proroga in materia di intercettazioni
08 Gennaio 2019
L'ennesima proroga. La legge 30 dicembre 2018, n. 145, c.d. legge di bilancio, ha prorogato al 1° agosto 2019 l'entrata in vigore della tanto tormentata e contestata riforma, o meglio sarebbe dire “controriforma”, in materia di intercettazioni, introdotta dal d.lgs. 216/2017 (per un primo esame “a caldo” del provvedimento sia consentito rinviare alla mia monografia Le nuove norme su intercettazioni e tabulati, Pacini giuridica, 2018). La disposizione transitoria del d.lgs. 216/2017, all'art. 9, nel suo testo originario, prevedeva che «1. Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 4, 5 e 7 si applicano alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto», cioè prevedeva già originariamente un differimento dell'entrata in vigore, oltre la ordinaria vacatio legis e fino al 25 luglio 2018, delle nuove disposizioni introdotte in materia di intercettazioni. Si stabiliva, invece, che acquistasse efficacia decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore dello stesso decretolegislativo 216/2017, la disposizione di cui all'art. 2, comma 1, lettera b), che consentirebbe la pubblicazione dell'ordinanza cautelare di cui all'art. 292 c.p.p. (tra l'altro senza che la nuova disposizione specifichi che tale pubblicazione deve ritenersi legittima soltanto dopo l'avvenuta esecuzione della misura cautelare, onde evitare ovvie conseguenze pregiudizievoli per le indagini). Del d.lgs. 216/2017, sono perciò entrati in vigore, dopo la ordinaria vacatio legis, e cioèil 26 gennaio 2018, soltantol'art. 1 (che ha introdotto l'art. 617-septies c.p., cioè il reato di diffusione di riprese e registrazioni fraudolente), e l'art. 6 (che consente che, nei procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'art. 4 c.p.p., si applichi la disciplina speciale di cui all'art. 13d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv., con mod., dalla l. 12 luglio 1991, n. 203). Ma il Legislatore subentrato all'improvvido “riformatore”, avvedutosi delle incongruenze della nuova disciplina, con il d.l.91/2018, conv. dalla l. n. 108/2018, c.d. “decreto milleproroghe”, aveva già previsto un primo slittamento al 31 marzo 2019 delle disposizioni di cui agli artt. 2, 3 4, 5 e 7 deld.lgs. n. 216/2017. Ora un ulteriore, provvidenziale, differimento è stabilito dalla legge di bilancio, che sposta in avanti di altri 4 mesi l'entrata in vigore della riforma stabilendo che le nuove disposizioni si applicano alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il 31 luglio 2019. Il provvedimento incide però anche sul secondo comma della disposizione transitoria, prevedendo così che la pubblicazione dell'ordinanza cautelare sarà consentita a decorrere dal 1 agosto 2019. Insomma, il “nuovo” legislatore, succeduto al precedente, non vuole l'entrata in vigore della “riforma Orlando” in materia di intercettazioni ed ha le sue buone ragioni.
Le criticità delle nuove disposizioni. Infatti le disposizioni approvate in materia di intercettazioni lasciano un po' tutti insoddisfatti. I pubblici ministeri criticano l'attribuzione alla polizia giudiziaria della prima valutazione sulla rilevanza delle comunicazioni e conversazioni intercettate. I penalisti denunciano la compromissione del diritto di difesa per l'impossibilità in pochi giorni di esaminare il materiale raccolto in mesi e mesi di intercettazioni. I giornalisti vedono nel nuovo provvedimento, che oblitera nell' “archivio riservato” notizie di pubblico interesse, un “bavaglio alla stampa”. In effetti, il legislatore, che aveva dichiarato di voler rendere più equilibrata la salvaguardia di interessi parimenti meritevoli di tutela a livello costituzionale, volendo tutelare la privacy, ha invece rafforzato le esigenze connesse all'indagine e si è dimenticato di attuare, da una parte, la presunzione di innocenza dell'imputato, il quale dalle cronache giudiziarie è sempre descritto come il colpevole, dall'altra i diritti processuali della persona offesa dal reato, esclusa dalla procedura di selezione delle intercettazioni. Inoltre, il legislatore, anziché tutelare i diritti delle parti nel processo, ha voluto privilegiare la privacy dei terzi, ma legittima l'impiego del virus trojan, che rappresenta la fine della riservatezza, perché intercetta chiunque abbia la sventura di avvicinarsi, per qualsiasi motivo, al dispositivo intercettato. La cosiddetta “riforma delle intercettazioni”, che era stata annunciata come la panacea di tutti i mali che finora colpivano questo mezzo di ricerca della prova, si è rivelata, invece, un complicato sistema di “trascrizioni sommarie” e “annotazioni” da parte della polizia giudiziaria (alla quale è attribuito il delicato compito di valutare la rilevanza, che in prima battuta è assai difficile), ma con successiva verifica ed eventuale decreto di “trascrizione coatta” del P.M., ed un ulteriore macchinoso procedimento per l'acquisizione al fascicolo delle indagini, soltanto al fine di evitare che vi entri ciò che è irrilevante per le indagini; mentre l'accertamento del contenuto delle registrazioni mediante la trascrizione peritale diventa un'eventualità e comunque sempre in dibattimento. Di conseguenza ci si deve affidare alla “sommaria trascrizione” della polizia giudiziaria non solo durante le indagini preliminari, ma pure in udienza preliminare e nei riti speciali, i quali saranno ovviamente disincentivati. Ma l'aspetto peggiore riguarda le conseguenze pregiudizievoli per la libertà personale dell'imputato detenuto per taluno dei reati di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p., che, a norma dell'art. 304, comma 2, c.p.p., si vedrebbe sospesi i termini di durata massima della custodia cautelare durante il tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza, dal momento che la giurisprudenza già oggi considera “particolarmente complesso” il dibattimento in cui si svolge la perizia trascrittiva delle intercettazioni. In fondo, si intravede una forte sfiducia nei confronti della tenuta della segretezza nelle segreterie degli uffici del P.M., dalle quali si teme evidentemente una “fuga di notizie”, dal momento che il materiale intercettato non confluisce più, come prima automaticamente, nel fascicolo delle indagini, ma deve essere immediatamente avviato al più sicuro “archivio riservato”. Ma sarebbe bastato lasciare inalterato il sistema, blindando le segreterie delle Procure della Repubblica, per evitare indebite propalazioni.
Conclusioni. L'auspicio è che, re melius perpensa, le nuove norme non entrino mai in vigore e siano esplicitamente abrogate, trattandosi di disposizioni che non ho esitato a definire la peggior legge dopo le leggi razziale del ‘38. La disciplina vigente è abbastanza equilibrata e meriterebbe soltanto di essere interpretata dalla giurisprudenza in maniera più garantista di quanto faccia oggi la Corte di cassazione. Piuttosto il legislatore dovrebbe cogliere l'occasione per disciplinare strumenti investigativi che la prassi ha introdotto da anni e che attendono una regolamentazione, come, ad esempio, le riprese visive nel domicilio di comportamenti non comunicativi o l'intercettazione delle comunicazioni mediante nuove tecnologie, quali VoIP, Skype, WhatsApp oppure l'impiego del G.P.S. o il sempre più frequente utilizzo di velivoli a pilotaggio remoto (droni) per finalità investigative, capaci di procedere sia ad intercettazioni di comunicazioni sia a riprese visive, mentre altri strumenti, come l'acquisizione dei tabulati telefonici e telematici necessitano di un urgente aggiornamento della relativa normativa a favore della difesa. |