La riforma Orlando nel diritto vivente. Le applicazioni caso per caso in sede di legittimità

Andrea Pellegrino
14 Gennaio 2019

Ai sensi dell'art. 448, comma 2-bis, c.p.p. introdotto con la legge 23 giugno 2017, n. 103, è inammissibile il ricorso per cassazione, avverso la sentenza di patteggiamento, con il quale si deduca l'omessa valutazione da parte del giudice delle condizioni per pronunziare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. in tal caso, la Corte di cassazione provvede a dichiarare l'inammissibilità con ordinanza de plano ex art. 610, comma 5-bis,c.p.p...
Il ricorso per cassazione contro le sentenze ex artt. 444 ss. c.p.p.

Ai sensi dell'art. 448, comma 2-bis, c.p.p. introdotto con la legge 23 giugno 2017, n. 103, è inammissibile il ricorso per cassazione, avverso la sentenza di patteggiamento, con il quale si deduca l'omessa valutazione da parte del giudice delle condizioni per pronunziare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.; in tal caso, la Corte di cassazione provvede a dichiarare l'inammissibilità con ordinanza de plano ex art. 610, comma 5-bis,c.p.p. (Cass. pen., Sez. II, 11 gennaio 2018, n. 4727).

In forza del nuovo art. 448, comma 2-bis, c.p.p., con il ricorso contro la sentenza di patteggiamento non possono essere fatti valere con il ricorso per cassazione i vizi riguardanti la citazione per la precedente udienza preliminare (Cass. pen., Sez. II,26 settembre 2018, n. 46775, non mass.).

In tema di patteggiamento, l'erronea qualificazione giuridica del fatto ritenuto in sentenza può costituire motivo di ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 448, comma 2-bis, c.p.p., come modificato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, solo quando detta qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione o sia frutto di un errore manifesto (Cass. pen., Sez. VI, 8 gennaio 2018, n. 2721; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. I, 20 marzo 2018, n. 15553).

In tema di reati commessi in violazione delle norme sulla circolazione stradale, nel caso in cui il giudice, accogliendo la domanda di patteggiamento, abbia omesso di disporre la sospensione della patente di guida prevista dall'art. 222 cod. strada, il pubblico ministero può proporre ricorso per cassazione secondo la disciplina generale dettata dall'art. 606, comma 2, c.p.p. e non ai sensi dell'art. 448, comma 2-bis, c.p.p., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in considerazione del carattere autonomo della sanzione amministrativa, non riconducibile alle categorie della pena e delle misure di sicurezza indicate nella richiamata norma (Cass. pen., Sez. IV, 23 maggio 2018, n. 29179).

In tema di patteggiamento, la doglianza relativa alla mancata motivazione circa la confisca del denaro può essere oggetto di ricorso per cassazione, anche se la sentenza sia stata emessa dopo l'introduzione dell'art. 448, comma 2-bis, c.p.p. a opera dell'art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, riguardando un aspetto della decisione estraneo all'accordo sull'applicazione della pena (Cass. pen., Sez. III, 23 maggio 2018, n. 30064).

La sentenza di applicazione della pena che abbia omesso di disporre l'espulsione dal territorio dello Stato dello straniero per uno dei reati indicati nell'art. 86 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 non può essere impugnata dal pubblico ministero con ricorso per cassazione, ostandovi la previsione dell'art. 448, comma 2-bis c.p.p., introdotta dall'art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, che individua ipotesi tassative per la proponibilità di detta impugnazione, tra le quali l'effettiva adozione di una misura di sicurezza (Cass. pen., Sez. III, 7 marzo 2018, n. 45559).

Il ricorso per cassazione contro le sentenze ex art. 599-bis c.p.p.

In tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis c.p.p. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del procuratore generale sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. (Cass. pen., Sez. II, 1 giugno 2018, n. 30990), alle questioni rilevabili d'ufficio (Cass. pen., Sez. V, 4 giugno 2018, n. 29243), all'insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove (Cass. pen., Sez. V,19 marzo 2018, n. 15505), all'insussistenza di circostanze aggravanti (Cass. pen., Sez. III, 8 marzo 2018, n. 30190), in quanto, a causa dell'effetto devolutivo proprio dell'impugnazione, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia.

In tema di concordato con rinunzia agli altri motivi di appello, ai sensi dell'art. 599-bis, c.p.p., la richiesta avanzata direttamente nel corso del dibattimento, se rigettata, non può essere riproposta dalle parti, dovendo il giudice disporre la prosecuzione del giudizio ai sensi dell'art. 602, comma 1-bis, c.p.p. (Cass. pen., Sez. IV, 4 luglio 2018, n. 46426).

In tema di concordato in appello, è manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 610, comma 5-bis, c.p.p. nella parte che prevede la procedura "de plano" per la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi proposti avverso le sentenze pronunciate a norma dell'art. 599-bis, c.p.p., poiché è ragionevole la scelta del legislatore di semplificare le forme definitorie dell'impugnazione proposta avverso una decisione che accoglie la concorde prospettazione delle parti e perché avverso la decisione di inammissibilità è comunque esperibile il ricorso straordinario previsto dall'art. 625-bis, c.p.p. (Cass. pen., Sez. II, 21 giugno 2018, n. 40139).

Il consenso prestato dal procuratore generale al concordato con rinuncia ai motivi di impugnazione in epoca antecedente all'entrata in vigore dell'art. 599-bis c.p.p., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, è privo di effetti poiché, in assenza di una norma transitoria, deve trovare applicazione il criterio generale indicato nel principio tempus regit actum, con la conseguenza che è legittimo il successivo dissenso manifestato dal medesimo procuratore generale dopo l'entrata in vigore della norma (Cass. pen., Sez. IV, 29 marzo 2018, n. 20112).

La procedura de plano per la declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 610, comma 5-bis, c.p.p.

In tema di concordato in appello, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 610, comma 5-bis, c.p.p. nella parte che prevede la procedura de plano per la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi proposti avverso le sentenze pronunciate a norma dell'art. 599-bis c.p.p., poiché è ragionevole la scelta del legislatore di semplificare le forme definitorie dell'impugnazione proposta avverso una decisione che accoglie la concorde prospettazione delle parti e perché avverso la decisione di inammissibilità è comunque esperibile il ricorso straordinario previsto dall'art. 625-bis c.p.p.

In tema di ricorso per cassazione avverso sentenza di applicazione concordata della pena, l'inammissibilità dell'impugnazione proposta per motivi non consentiti dall'art.448, comma 2-bis, c.p.p., va pronunciata senza formalità di rito e con trattazione camerale non partecipata, sia in considerazione della collocazione del comma 5-bis dell'art. 610 nell'ambito delle disposizioni dedicate agli atti preliminari al procedimento innanzi alla Corte, sia in ragione della ratio di tale previsione, da ravvisarsi nelle finalità deflattive, meglio assicurate, nel silenzio della legge, da un provvedimento che assicuri un più rapido passaggio in giudicato del provvedimento impugnato (Cass. pen., Sez. V, 4 giugno 2018, n. 28604).

L'inammissibilità dell'impugnazione per tardività del ricorso può essere dichiarata con procedura de plano ai sensi dell'art. 610, comma 5-bis, c.p.p. (Cass. pen., Sez. V, 14 marzo 2018, n. 30117).

L'impugnazione della sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p.

La sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425 c.p.p., emessa dopo l'entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103, modificativa dell'art. 428 c.p.p., è impugnabile soltanto mediante appello, e avverso la stessa non è ammissibile il ricorso immediato in cassazione ai sensi dell'art. 569 c.p.p. (Cass. pen., Sez. IV, 21 giugno 2018, n. 34872, nella fattispecie, in applicazione di tale principio, la Corte ha convertito in appello il ricorso per cassazione proposto dal procuratore generale; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. IV, 6 giugno 2018, n. 29520; Cass. pen., Sez. IV, 9 maggio 2018, n. 27538; Cass. pen., Sez. IV, 9 maggio 2018, n. 27526).

La sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425 c.p.p., emessa prima dell'entrata in vigore della legge 103/2017, modificativa dell'art. 428 c.p.p., è impugnabile mediante ricorso per cassazione secondo il regime previgente, in quanto le nuove disposizioni, in assenza di disciplina transitoria, trovano applicazione solo per i provvedimenti emessi successivamente all'entrata in vigore del nuovo testo normativo, dovendosi far riferimento, in tale ipotesi, alla data di emissione del provvedimento impugnato per stabilire la disciplina applicabile (Cass. pen., Sez. V, 17 gennaio 2018, n. 10142; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. V, 13 settembre 2017, n. 46430).

È inammissibile per difetto di legittimazione il ricorso per cassazione proposto dalla persona offesa costituita parte civile, avverso la sentenza di non luogo a procedere emessa dal giudice per l'udienza preliminare, atteso che, ai sensi dell'art. 428, comma 2, c.p.p. novellato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, alla persona offesa è consentito proporre esclusivamente appello nei soli casi di nullità previsti dall'art. 419, comma 7, c.p.p. (Cass. pen., Sez. VI, 8 gennaio 2018, n. 2723 ove, in applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della parte civile senza procedere alla conversione in appello, ai sensi dell'art. 568, comma 5, c.p.p., in quanto fondato su censure non consentite attinenti al merito della decisione; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. IV, 9 febbraio 2018, n. 14674).

Annullamento senza rinvio e rideterminazione della pena da parte della Cassazione

La Corte di cassazione, qualora non siano necessari nuovi accertamenti di fatto, può procedere direttamente alla rideterminazione della pena, ai sensi della nuova formulazione dell'art. 620, lett. l), c.p.p., come sostituito dall'art. 1, comma 67, l. 103/2017, sulla base degli elementi di fatto che emergono dal giudizio di merito (Cass. pen., Sez. VI, 18 gennaio 2018, n. 12391, in fattispecie in cui la Corte ha proceduto a rideterminare la pena in ordine al reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, applicando i nuovi limiti edittali previsti dalla legge 16 maggio 2014, n. 79; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. II, 17 gennaio 2018, n. 4594, in fattispecie in cui la Corte ha proceduto a diminuire la pena in relazione all'intervenuta estinzione per prescrizione di uno dei reati contestati tra i quali era stata ritenuta ricorrente la continuazione).

Nel caso in cui il giudice di appello, giudicando in sede di rinvio, ometta di considerare, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, le circostanze attenuanti generiche, già riconosciute all'imputato e non incise dalla sentenza di annullamento, la sentenza impugnata deve essere annullata parzialmente senza rinvio, con riduzione della pena nella misura massima consentita dall'art. 62-bis c.p., ai sensi dell'art. 620, comma 1, lett. l), c.p.p., come modificato dalla legge 23 giugno 2017 n. 103, trattandosi di calcolo puramente matematico che rende superfluo il rinvio al giudice di merito (Cass. pen., Sez. VI, 27 ottobre 2017, n. 52186; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. II, 13 ottobre 2017, n. 48997, in fattispecie in cui la Corte ha proceduto a diminuire la pena per le circostanze attenuanti generiche nella massima estensione, essendo venuta meno nel giudizio di appello, per effetto della riqualificazione dell'originaria imputazione di furto aggravato nel reato di ricettazione, la condizione di equivalenza tra circostanze aggravanti ed attenuanti generiche).

La rimessione obbligatoria alle Sezioni unite

La disposizione prevista dall'art. 618, comma 1-bis, c.p.p., inserita dall'art.1, comma 66, legge 23 giugno 2017, n.103, introduce, al fine di rafforzare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, un'ipotesi di rimessione obbligatoria alle sezioni unite, che trova applicazione anche con riferimento alle decisioni intervenute precedentemente all'entrata in vigore della nuova disposizione (Cass. pen., Sez. unite, 19 aprile 2018, n. 36072).

Il provvedimento di archiviazione ed i mezzi di gravame

Il ricorso ex art. 409, comma 6, c.p.p., disposizione abrogata dall'art. 1, comma 32, lett. c) della legge 23 giugno 2017, n. 103, proposto in epoca successiva all'entrata in vigore della nuova disciplina impugnatoria dettata dall'art. 410-bis c.p.p., introdotta dall'art. 1, comma 33, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (in vigore dal 3 agosto 2017), deve ritenersi del tutto legittimo in presenza di provvedimento impugnato risalente ad epoca anteriore al 3 agosto 2017, e precisamente al marzo 2014 (Cass. pen., Sez. V, 21 novembre 2018, n. 57489, non mass.; in motivazione si precisa che, ai fini dell'individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con idonee disposizioni transitorie, il passaggio dall'una all'altra, l'applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell'impugnazione, come da insegnamento di Cass. pen., Sez. unite, 29 marzo 2007, n. 27614; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. VI, 21 marzo 2018, n. 40146; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. IV, 23 ottobre 2018, n. 49395).

È inammissibile il ricorso per cassazione proposto nei confronti dell'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 410-bis c.p.p., senza aver dato avviso alle parti dell'udienza fissata per la decisione sul reclamo della persona offesa avverso il provvedimento di archiviazione, potendo, in tal caso, il reclamante presentare al tribunale richiesta di revoca della decisione assunta (Cass. pen., Sez. VI, 26 aprile 2018, n. 20845; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. VI, 23 marzo 2018, n. 17535, in cui la Corte ha escluso che l'espressa previsione di non impugnabilità di siffatta ordinanza si ponga in contrasto con l'art. 24 Cost. e con gli artt. 6 e 13 Conv. Edu).

È ricorribile per cassazione l'ordine di iscrizione nel casellario giudiziale del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto, in quanto non previsto dalla legge (Cass. pen., Sez. I, 25 giugno 2018, n. 31600).

Il ricorso per cassazione proposto personalmente dall'imputato

Il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento, compresi quelli in materia cautelare, non può essere proposto dalla parte personalmente ma, a seguito della modifica apportata agli artt. 571 e 613 c.p.p. dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione (Cass. pen., Sez. unite, 21 dicembre 2017, n. 8914, in cui la Corte ha precisato che va tenuta distinta la legittimazione a proporre il ricorso dalle modalità di proposizione, attenendo la prima alla titolarità sostanziale del diritto all'impugnazione e la seconda al suo concreto esercizio, per il quale si richiede la necessaria rappresentanza tecnica del difensore; nello stesso senso, Cass. pen.,Sez. V, 7 novembre 2017, n. 53203, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione proposto personalmente dall'imputato o dall'indagato dopo l'entrata in vigore della legge 23 giugno 2017 n. 103, a prescindere dalla data di emissione del provvedimento impugnato, incidendo la novella normativa relativa all'art. 613, comma 1, c.p.p., non già sul diritto ad impugnare, bensì soltanto sulla disciplina delle modalità del suo esercizio; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. V, 19 marzo 2018, n. 23631).

È manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 613 c.p.p., come modificato dall'art. 1, comma 55, legge 103/2017, per asserita violazione degli artt. 24,111, comma 7, Cost. e 6 Cedu, nella parte in cui non consente più la proposizione del ricorso in cassazione all'imputato personalmente, in quanto rientra nella discrezionalità del legislatore richiedere la rappresentanza tecnica per l'esercizio delle impugnazioni in cassazione, senza che ciò determini alcuna limitazione delle facoltà difensive (Cass. pen., Sez. unite, n. 8914/2018, cit., in cui la Corte ha precisato che l'elevato livello di qualificazione professionale richiesto dall'esercizio del diritto di difesa in cassazione rende ragionevole l'esclusione della difesa personale, tanto più in un sistema che ammette il patrocinio a spese dello Stato).

È manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 613 c.p.p., come modificato dall'art.1, comma 55, legge n. 103 del 2017, per asserita violazione degli artt. 11, comma 7, Cost. e 13 Cedu, nella parte in cui non consente più la proposizione del ricorso in cassazione all'imputato personalmente, in quanto rientra nella discrezionalità del legislatore richiedere la rappresentanza tecnica per l'esercizio delle impugnazioni in cassazione in relazione alla specificità del giudizio di legittimità, senza che ciò determini alcuna limitazione delle facoltà difensive (Cass. pen., Sez. VI, 13 settembre 2017, n. 42062, in cui la Corte ha precisato che l'esclusione della presentazione personale del ricorso in cassazione incide sul diritto alla autodifesa che, tuttavia, riceve tutela solo nel giudizio di merito e non anche in quello di legittimità che non contempla la partecipazione personale dell'imputato ed il diritto ad essere sentito).

In tema di ricorso per cassazione, è ammissibile una memoria contenente motivi nuovi rassegnata, anche dopo l'entrata in vigore legge 23 giugno 2017, n. 103, personalmente dall'imputato, qualora il medesimo abbia presentato ricorso personale avverso la sentenza in conformità al previgente art. 613 c.p.p. (Cass. pen., Sez. I, 10 gennaio 2018, n. 41111).

È inammissibile il ricorso per cassazione presentato personalmente dall'interessato avverso la sentenza che dispone la consegna a seguito di mandato di arresto europeo, in quanto il regime delle impugnazioni previsto dall'art. 22 della legge 22 aprile 2005, n. 69 va integrato mediante il rinvio alla disciplina generale del giudizio di legittimità, come risultante a seguito delle modifiche apportate agli artt. 571 e 613 c.p.p. dall'art. 1, commi 54 e 55, legge 23 giugno 2017, n. 103 (Cass. pen., Sez. VI, n. 42062/2017, cit., in cui la Corte ha precisato che il principio della rappresentanza tecnica nel giudizio di legittimità opera con riferimento a tutte le ipotesi, codicistiche ed extra-codicistiche, di ricorso per cassazione proponibile dall'imputato o da altri soggetti processuali).

Il ricorso straordinario per errore di fatto, previsto dall'art. 625-bis c.p.p., non può essere proposto dal condannato personalmente, ma, a seguito della modifica apportata agli artt. 571 e 613 c.p.p. dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione (Cass. pen., Sez. VI, 17 maggio 2018, n. 22549, Papale; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. VI, 9 aprile 2018, n. 18010; Cass. pen., Sez. IV, 4 aprile 2018, n. 31662; in senso contrario, Cass. pen., Sez. IV, 9 febbraio 2018, n. 24120, secondo cui il ricorso straordinario per errore di fatto proposto dal condannato personalmente è ammissibile anche a seguito delle modifiche apportate agli artt. 571 e 613 c.p.p. dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, precisando che, anche a seguito delle predette modifiche, resta inammissibile il medesimo ricorso proposto dal difensore non munito di procura speciale, trattandosi di impugnazione di carattere straordinario riservata esclusivamente al condannato).

Il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento, compresi quelli emessi nel processo penale minorile, non può essere proposto dalla parte personalmente, ma, a seguito della modifica apportata agli artt. 571 e 613 c.p.p. dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione (Sez. 5, n. 36161 del 16/03/2018, Rv. 273765 – 01, in cui la Corte ha precisato che l'art. 613 c.p.p. ha applicazione generale quanto alle forme e modalità di presentazione del ricorso, nè l'art. 34 d.P.R. n. 448 del 1988 - che prevede per gli esercenti la potestà genitoriale il diritto di impugnare i provvedimenti relativi al minore - costituisce una deroga a tale principio generale).

Il ricorso per cassazione del pubblico ministero

Al ricorso per cassazione proposto dal pubblico ministero avverso l'ordinanza del tribunale del riesame in materia di misure cautelari non si applicano le limitazioni previste per l'impugnazione del pubblico ministero dall'art. 608, comma 1-bis, c.p.p. introdotte dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, che si riferiscono alla sola ricorribilità delle sentenze di merito (Cass. pen., Sez. V, 15 dicembre 2017, n. 3037).

Ai fini dell'applicabilità dell'art. 608, comma 1-bis, c.p.p. – inserito dall'art. 1, comma 69 della legge 103/2017 ed in base al quale il pubblico ministero, nel caso di c.d. doppia conforme assolutoria, può proporre ricorso per cassazione solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) dell'art. 606, comma 1, c.p.p. – deve farsi riferimento, in assenza di una disciplina transitoria, alla data di presentazione del ricorso, che costituisce il momento in cui matura l'aspettativa del ricorrente alla valutazione di ammissibilità dell'impugnazione, sicché la nuova disciplina è inapplicabile ai ricorsi presentati prima della sua entrata in vigore (Cass. pen., Sez. V, 2 ottobre 2017, n. 4398).

L'estinzione del reato per la riparazione del danno

La richiesta di applicazione della causa di estinzione del reato per la riparazione del danno, prevista dall'art. 162-ter c.p., introdotto dall'art. 1 della legge 23 giugno 2017, n. 103, è applicabile anche ai processi in corso alla data di entrata in vigore della predetta legge (3 agosto 2017) e nei quali il pagamento delle somme sia stato effettuato prima di detta vigenza, ma può essere valutata nel giudizio di legittimità sempre che non siano necessari nuovi accertamenti in fatto (Cass. pen., Sez. V, 3 aprile 2018, n. 21922 in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto l'applicabilità in astratto dell'istituto di favore – escluso in concreto – al delitto di atti persecutori, solo successivamente eliminato dal novero dei reati ai quali è applicabile la predetta causa di estinzione con disciplina legislativa irretroattiva perchè sfavorevole).

La causa estintiva del reato per condotte riparatorie di cui all'art. 162-ter c.p., presuppone condotte restitutorie o risarcitorie spontanee e non coartate, nonché destinate definitivamente ad incrementare la sfera economica e giuridica della persona offesa (Sez. V, n. 21922/2018, cit. in cui la Corte ha ritenuto che non ricorresse la predetta causa estintiva in quanto l'imputato aveva versato somme a titolo di risarcimento perché costretto dall'efficacia esecutiva della sentenza di secondo grado, senza però aver fatto acquiescenza ai capi civili della sentenza, e, pertanto, solo in via provvisoria e con diritto alla ripetizione in caso di esito favorevole dell'impugnazione svolta in sede di legittimità).

La richiesta di applicazione della causa di estinzione del reato per la riparazione del danno, prevista dall'art. 162-ter c.p., introdotto dall'art. 1 della legge 23 giugno 2017, n. 103, può essere formulata anche nel giudizio di legittimità, ferma l'esclusione, in tal caso, della possibilità di chiedere la fissazione di un termine per provvedere alla condotta riparatoria (Cass. pen., Sez. V, 22 novembre 2017, n. 8182, in cui la Corte ha chiarito che, in sede di legittimità, l'applicazione di detta causa estintiva può essere richiesta sulla base di documentazione comprovante l'esistenza di condotte riparatorie già perfezionatesi; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. VI, 4 maggio 2018, n. 26285 secondo cui l'applicabilità ai processi pendenti in sede di legittimità alla data del 3 agosto 2017 è condizionata dal fatto che le condotte riparatorie siano già state eseguite nel giudizio di merito; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. V, 5 marzo 2018, n. 31994).

La rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello

V'è contrasto giurisprudenziale con riferimento all'ipotesi in cui il giudice di appello, per riformare in peius una sentenza assolutoria, possa basarsi sulla mera rivalutazione delle perizie e delle consulenze in atti (Cass. pen., Sez. III, 18 ottobre 2017, n. 57863 e Cass. pen., Sez. V, 14 settembre 2016, n. 1691, sul presupposto che la prova dichiarativa che promana dall'esame del perito e del consulente non può assumere carattere decisivo assimilabile a quella del testimone) ovvero debba procedere al riascolto degli autori dei rispettivi elaborati (di perizia e di consulenza) già sentiti nel dibattimento di primo grado, altrimenti determinandosi una violazione del giusto processo ai sensi dell'art. 6 Cedu, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (Cass. pen., Sez. IV, 28 febbraio 2018, n. 14654 e Cass. pen., Sez. IV, 21 febbraio 2018, n. 14649: la prima, con fattispecie in tema di rivalutazione degli esiti decisivi della prova scientifica acquisita in un procedimento per lesioni colpose sul luogo di lavoro; la seconda, con fattispecie in tema di colpa stradale nella quale la Corte d'appello si era discostata dagli esiti decisivi dell'elaborato e dell'esame peritale svolto in primo grado).

Con ordinanza n. 41737 del 23 maggio 2018, la seconda sezione penale della Corte di cassazione, rilevato il contrasto, ha rimesso alle Sezioni unite la decisione sulla seguente questione: «Se la dichiarazione resa dal perito o dal consulente tecnico costituisca o meno prova dichiarativa assimilabile a quella del testimone, rispetto alla quale, se decisiva, il giudice di appello avrebbe la necessità di procedere alla rinnovazione dibattimentale, nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento di essa».

L'esecuzione di pene detentive brevi e la sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria

In tema di esecuzione di pene detentive brevi, ai fini della sospensione dell'ordine di esecuzione correlata a un'istanza di affidamento in prova ai servizi sociali ai sensi dell'art. 47, comma 3-bis, ord. pen., il limite edittale cui il pubblico ministero deve fare riferimento per l'emissione dell'ordine di carcerazione ex art. 656, commi 5 e 10, c.p.p. è quello di tre anni, essendo rimessa al tribunale di sorveglianza ogni valutazione circa l'istanza di affidamento in prova nel caso di pena espianda, anche residua, non superiore ad anni quattro (Cass. pen., Sez. I, 21 settembre 2017, n. 46562; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. I, 27 ottobre 2017, n. 10733, precisandosi in motivazione che, a seguito della sentenza della Cortecost. n. 41 del 2018, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 5, c.p.p. nella parte in cui prevede che il pubblico ministero sospende l'esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggior pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni, incombe sul giudice dell'esecuzione il dovere di rivalutare i casi ancora pendenti o comunque relativi a situazioni non ancora esaurite; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. I, 23 febbraio 2018, n. 11916, precisandosi in motivazione che l'art. 1, commi 82 e 85, della legge 23 giugno 2017, n. 103, nel delegare il Governo a emanare un d.lgs. di revisione della disciplina concernente le procedure di accesso alle misure alternative, ha ritenuto necessario fissare uno specifico criterio volto a elevare a quattro anni il limite di pena per la sospensione obbligatoria dell'ordine di carcerazione, in tal modo corroborando l'interpretazione dell'art. 656, comma 5, c.p.p. accolta).

In tema di esecuzione di pene detentive brevi, la sospensione dell'ordine di esecuzione correlata ad un'istanza di affidamento in prova ai servizi sociali ai sensi dell'art. 47, comma 3-bis, ord. pen. è consentita esclusivamente se la pena residua da espiare non supera gli anni tre o i diversi limiti previsti per le ipotesi di cui all'art. 47-ter, comma 1, ord. pen. ed agli artt. 90 e 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Cass. pen., Sez. I, 30 novembre 2017 n. 1784).

In tema di esecuzione di pene detentive brevi, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale (v. Corte cost. n. 41 del 2018) dell'art. 656, comma 5, c.p.p., il giudice dell'esecuzione ha il dovere di esaminare la domanda del detenuto di sospensione temporanea dell'ordine di esecuzione relativo a pena superiore a tre anni ma inferiore a quattro e, in presenza degli altri presupposti di legge, di provvedere al ripristino della facoltà del medesimo di proporre, da libero, istanza di misura alternativa, con tempestiva sospensione dell'esecuzione, a condizione che analoga istanza di misura alternativa, proposta dopo l'inizio dell'esecuzione della pena cui l'istanza stessa si riferisce, non sia già stata oggetto di decisione da parte del tribunale di sorveglianza (Cass. pen., Sez. I, 2 febbraio 2018, n. 34427).

In materia di sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria, la diversità di disciplina per il calcolo della conversione tra l'art. 135 c.p., che prevede un criterio fisso di ragguaglio, rispetto all'art. 459, comma 1-bis, c.p.p., introdotto dall'art.1, comma 53, legge 23 giugno 2017, n.103, che, in tema di decreto penale di condanna, consente al giudice di determinare la sanzione sostitutiva partendo da un valore minimo giornaliero di 75 euro, tenendo conto della condizione economica dell'imputato e del suo nucleo familiare, non viola il principio di cui all'art. 3 Cost. perché è conseguente ad una scelta discrezionale del legislatore censurabile, in sede di sindacato di legittimità costituzionale, solo ove trasmodi nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio (Cass. pen., Sez. IV, 19 ottobre 2018, n. 49602).

In materia di sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria, la disciplina introdotta dall'art. 1, comma 53, legge 23 giugno 2017, n. 103, che consente al giudice di determinare la sanzione sostitutiva della pena detentiva non più nei termini fissi stabiliti dall'art. 135 c.p. ma in misura variabile (tenendo conto della condizione economica dell'imputato e del suo nucleo familiare), trova applicazione solo nel caso di procedimento per decreto penale (Cass. pen., Sez. V, 21 dicembre 2017, n. 9400)

Varie

In tema di giudizio abbreviato, l'art. 442, comma 2, c.p.p., come novellato dalla legge 103/2017 – nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo come previsto dalla previgente disciplina – si applica anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p., in quanto, pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole seppure collegato alla scelta del rito (Cass. pen., Sez. IV, 15 dicembre 2017, n. 832).

Nell'ipotesi di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse a discuterlo per una causa non imputabile al ricorrente (nel caso di specie il provvedimento impugnato era stato nel frattempo revocato), quest'ultimo, anche successivamente alla modifica dell'art. 616 c.p.p. operata dall'art. 1, comma 64, della legge 23 giugno 2017, n. 103, può essere condannato solo al pagamento delle spese processuali e non anche al versamento in favore della cassa per le ammende (Cass. pen., Sez. V, 4 luglio 2018, n. 39521).

Il requisito della specificità dei motivi di appello, richiesto dall'art. 581 c.p.p. come sostituito dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, è soddisfatto se l'atto individua il punto che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con specifico riferimento alla motivazione della sentenza impugnata e precisando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l'oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame (Cass. pen., Sez. V, 25 maggio 2018, n. 34504).

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