Antefatto e postfatto non punibile

29 Gennaio 2019

È bene premettere la differenza che esiste tra concorso di reati previsto dall'art. 81 c.p. e concorso apparente di norme previsto dall'art. 15 c.p.Quando un soggetto, ponendo in essere un'unica condotta (concorso formale) o più condotte (concorso materiale), commette una pluralità di reati dello stesso tipo o di tipo diverso, si avrà concorso formale di reati.Quando, invece, un soggetto commette un unico reato e pone in essere una sola azione ma la condotta tenuta apparentemente è riconducibile a più fattispecie incriminatrici, si avrà concorso apparente di norme e si dovrà, quindi, verificare, quale sarà la norma che troverà concretamente applicazione.
Inquadramento

Da anni in dottrina e in giurisprudenza si dibatte se esistano altri criteri, oltre al principio di specialità previsto dall'art. 15 c.p., per risolvere il problema dell'apparenza o meno di un concorso di norme.

Secondo la teoria monistica, la risposta è negativa.

Secondo la teoria pluralistica, sussistono, invece, altri criteri tra i quali il principio di consunzione o assorbimento nel quale viene ricondotta la figura dell'antefatto e post fatto non punibili.

Tale figura si identifica quando il soggetto agente, nonostante abbia posto in essere più azioni in tempi diversi e ognuna di esse sia riconducibile a una diversa norma incriminatrice, sarà punito per un solo fatto, in quanto solo una delle norme incriminatrici troverà applicazione, con la conseguenza che il fatto antecedente o conseguente rimarrà impunito alla luce della sussistenza del concorso apparente di norme.

Concorso di reati e concorso apparente di norme

È bene premettere la differenza che esiste tra concorso di reati previsto dall'art. 81 c.p. e concorso apparente di norme previsto dall'art. 15 c.p.

Quando un soggetto, ponendo in essere un'unica condotta (concorso formale) o più condotte (concorso materiale), commette una pluralità di reati dello stesso tipo o di tipo diverso, si avrà concorso formale di reati.

Quando, invece, un soggetto commette un unico reato e pone in essere una sola azione ma la condotta tenuta apparentemente è riconducibile a più fattispecie incriminatrici, si avrà concorso apparente di norme e si dovrà, quindi, verificare, quale sarà la norma che troverà concretamente applicazione.

Il concorso apparente di norme ricorre, quindi, quando, attraverso un confronto degli elementi strutturali, una medesima condotta integra apparentemente più fattispecie astratte di reato ma una soltanto deve essere effettivamente applicata ed è regolamentato dall'art. 15 c.p.

Da tale norma si trae il principio generale che, quando si escluda il concorso apparente, è possibile derogare alla regola del concorso di reati solo quando la legge contenga l'espressione delle c.d. clausole di riserva, le quali, inserite nella singola disposizione, testualmente impongono l'applicazione di una sola norma incriminatrice prevalente che si individua seguendo una logica diversa da quella di specialità.

Clausola di riserva

La clausola di riserva salvo che il fatto costituisca più grave reato non sempre è connessa con il problema del concorso apparente di norme e, in particolare, col principio di specialità o con quello di consunzione, tendendo nella maggior parte dei casi ad escludere il concorso formale di reati.

In presenza di tale clausola, la maggiore o minore gravità dei reati concorrenti presuppone che entrambi siano posti a tutela dello stesso bene giuridico e va accertata avendo riguardo alla pena in concreto irrogabile, tenuto conto delle circostanze ritenute e dell'eventuale bilanciamento tra esse (Cass. pen., Sez. II, 15 maggio 2015, n. 25363).

Il concetto di fatto di cui alla suddetta clausola (che può non coincidere con quello di stessa materia di cui all'art. 15 c.p. e di cui si parlerà in seguito), concerne l'avvenimento concretamente verificatosi, il quale prescinde dall'omogeneità delle fattispecie astratte ed ha riguardo al profilo concreto delle ipotesi criminose disciplinate da più norme sia in concorso apparente sia in concorso effettivo o reale (Cass. pen., Sez. V, 16 gennaio 1986, n. 2817).

Principio di specialità

L'art. 15 c.p. che dispone che «quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito», sancisce il principio di specialità secondo il quale, quando a un'azione risultano applicabili più norme, quella speciale prevale su quella generale.

Per norma speciale deve intendersi quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, che hanno appunto funzione specializzante; è necessario, cioè, che le due disposizioni appaiano come due cerchi concentrici, di diametro diverso, per cui quello più ampio contenga in sé quello minore e abbia, inoltre, un settore residuo, destinato ad accogliere i requisiti aggiuntivi della specialità. Sulla applicazione del principio di specialità e sulla sua idoneità a risolvere tutte le problematiche concernenti il concorso di norme, si sono manifestate le più variegate posizioni, anche nell'ambito delle stesse Sezioni unite, alcune interpretando la stessa materia come identità del bene alla cui tutela le norme in concorso sono finalizzate (Cass. pen., Sez. unite, 21 aprile 1995, n. 9568), altre, invece, escludendo che il concorso apparente di norme sia configurabile sulla base del bene giuridico protetto dalle disposizioni apparentemente confliggenti (Cass. pen., Sez. unite, 28 novembre 1981, n. 420). La giurisprudenza prevalente e più recente prende posizione a favore di un raffronto meramente strutturale delle fattispecie considerate, prescindendo dall'analisi del fatto storico e abbandonando la soluzione di combinare criteri tra loro diversi (Cass. pen., Sez. unite, 13 dicembre 2000, n. 35; Cass. pen., Sez. unite, 18 dicembre 2002, n. 8545; da ultimo: Cass. pen., Sez. unite, 28 ottobre 2010, n. 1235; Cass. pen., Sez. unite, 23 febbraio 2017, n. 20664), e afferma che il criterio di specialità «presuppone una relazione logico-strutturale tra norme. Ne deriva che la locuzione "stessa materia" va intesa come fattispecie astratta – ossia come settore, aspetto dell'attività umana che la legge interviene a disciplinare – e non quale episodio in concreto verificatosi sussumibile in più norme, indipendentemente da un astratto rapporto di genere a specie tra queste»; il richiamo alla natura del bene giuridico protetto non è considerato "decisivo" e, inoltre, «può dare adito a dubbi nel caso di reati plurioffensivi; a ciò si deve aggiungere che le parole "stessa materia" sembrano utilizzate in luogo di "stessa fattispecie" o "stesso "fatto", per comprendere nel dettato dell'art. 15 c.p. anche il concorso di norme non incriminatrici che altrimenti resterebbe escluso» (Cass. pen., Sez. unite, 9 maggio 2011, n. 23427). Una volta riconosciuto un rapporto di parziale identità tra le fattispecie, il riferimento anche all'interesse tutelato dalle norme incriminatrici non ha immediata rilevanza ai fini dell'applicazione del principio di specialità, perché si può avere identità di interesse tutelato tra fattispecie del tutto diverse, offensive entrambe del patrimonio, e diversità di interesse tutelato tra fattispecie in evidente rapporto di specialità (Cass. pen., Sez. unite, 19 aprile 2007, n. 16568; Cass. pen., Sez. unite, 20 dicembre 2005, n. 47164).

Anche la Corte costituzionale ha affermato che l'applicazione del principio di specialità ex art. 15 c.p. implica la «convergenza su di uno stesso fatto di più disposizioni, delle quali una sola è effettivamente applicabile, a causa delle relazioni intercorrenti tra le disposizioni stesse», dovendosi confrontare «le astratte, tipiche fattispecie che, almeno a prima vista, sembrano convergere su di un fatto naturalisticamente unico» (Corte cost., n. 97/1987).

Il criterio di specialità, quindi, è da intendersi in senso logico-formale, ritenendo, cioè, che il presupposto della convergenza di norme, necessario perché risulti applicabile la regola sull'individuazione della disposizione prevalente posta dall'art. 15 c.p., possa ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le stesse, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le fattispecie astratte rispettivamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie stesse.

Tesi contrastanti a confronto

Come già accennato nell'inquadramento, da anni in dottrina e in giurisprudenza si dibatte se esistano o meno altri criteri, oltre al principio di specialità previsto dall'art. 15 c.p., per risolvere il problema dell'apparenza o meno di un concorso di norme.

Secondo la dottrina di impostazione monista, la risposta è negativa in quanto, l'unico criterio applicabile è solo quello del principio di specialità. In particolare, l'applicazione di altri criteri ermeneutici è stata ripetutamente negata dalla giurisprudenza delle Sezioni unite per la mancanza di riferimenti normativi che consentano un collegamento di tale ricostruzione alla voluntas legis. A essa si aggiunge e si uniforma una recente pronuncia secondo la quale nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri valutativi diversi da quello di specialità previsto dall'art.15 c.p., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l'implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore. Gli altri criteri sono privi di sicure basi ricostruttive, poiché individuano elementi incerti quale dato di discrimine, come l'identità del bene giuridico tutelato dalle norme in comparazione e la sua astratta graduazione in termini di maggiore o minore intensità, di non univoca individuazione, e per questo suscettibili di opposte valutazioni da parte degli interpreti(Cass. pen., Sez. unite, 23 febbraio 2017, n. 20664). La giurisprudenza delle Sezioni unite risulta, quindi, saldamente fondata sul criterio di specialità, individuato quale unico principio legalmente previsto in tema di concorso apparente, con ampliamento della sua applicazione alle ipotesi di illeciti amministrativi secondo la previsione dell'art. 9 della l. 689/1981, che ha imposto la comparazione delle fattispecie astratte, prescindendo dalla qualificazione, penale o amministrativa, degli illeciti posti a raffronto.

L'impostazione pluralista, invece, individua nell'inciso contenuto nell'art. 15 c.p. salvo che sia altrimenti stabilito un'apertura a integrare il principio di specialità con altri diversi criteri quali ad esempio il principio di sussidiarietà, il principio di consunzione e la figura dell'antefatto o post-fatto non punibili.

Principio di consunzione o assorbimento

Tra gli altri criteri più consolidati e previsti oltre al principio di specialità, vi è il principio di consunzione o dell'assorbimento o del bis in idem sostanziale.

Esso si realizza quando il fatto previsto da una norma, è contenuto nel fatto previsto da un'altra norma e a esso è strettamente funzionale. In questo caso trova applicazione la norma che prevede il reato più grave che, di conseguenza, assorbe la norma che prevede quello meno grave.

La consunzione, quindi, si ha quando per identità, se non del preciso bene giuridico tutelato, degli scopi prevalenti perseguiti dalle norme concorrenti, lo scopo della norma che prevede un reato minore sia chiaramente assorbito da quello relativo ad un reato più grave, il quale esaurisca il significato antigiuridico del fatto, sicché appaia con evidenza inammissibile la duplicità di tutela e di sanzione in relazione al principio di proporzione tra fatto illecito e pena che ispira il nostro ordinamento (Cass. pen., Sez. V, 9 marzo 1981, n. 4093).

Secondo la tesi pluralista, tale criterio troverebbe riconoscimento legislativo nello stesso art. 15 c.p. che, se, da un lato, sancisce il principio di specialità, dall'altro lato, ne ammette delle deroghe a favore della norma che prevede il reato più grave; pertanto tale principio, dovrebbe ritenersi avere validità anche quando tale deroga non sia espressamente stabilita dal Legislatore. Le norme legate dal rapporto di consunzione perseguono scopi per loro natura omogenei, senza che, tale rapporto di omogeneità si risolva nell'identità del bene giuridico, che costituisce soltanto il nucleo dello scopo della norma, così che lo scopo della norma che prevede un reato minore sia chiaramente assorbito da quello relativo a un reato più grave, il quale esaurisca l'intero disvalore del fatto ed assorba l'interesse tutelato dall'altro, in modo che appaia con evidenza inammissibile la duplicità di tutela e di sanzione in relazione al principio di proporzione tra fatto illecito e pena, che ispira il nostro ordinamento.

Secondo tale tesi, il criterio di specialità non è suscettibile di assorbire tutte le situazioni di concorso apparente, pertanto, è necessario fare ricorso al criterio non espressamente codificato, ma conforme all'interpretazione sistematica, della consunzione o dell'assorbimento. Diversamente verrebbe ad essere addebitato più volte un accadimento unitariamente valutato dal punto di vista normativo, in contrasto con il principio del ne bis in idem sostanziale posto a fondamento degli artt. 15, 68 e 84 c.p.

Come già sopra argomentato, contro tale tesi la Suprema Corte (Cass. pen., Sez. unite, n. 47164/2005) ha osservato che i criteri di assorbimento e di consunzione sono privi di fondamento normativo, perché l'inciso finale dell'art. 15 c.p. si riferisce alle clausole di riserva previste dalle singole norme incriminatrici, che, in deroga al principio di specialità, prevedono, a volte, l'applicazione della norma generale, anziché di quella speciale, considerata sussidiaria; inoltre i giudizi di valore che i criteri di assorbimento e di consunzione richiederebbero sono tendenzialmente in contrasto con il principio di legalità, in particolare con il principio di determinatezza e tassatività, perché fanno dipendere da incontrollabili valutazioni intuitive del giudice l'applicazione di una norma penale (Cass. pen., Sez. unite, 28 ottobre 2010, n. 1235; Cass. pen., Sez. unite, 23 febbraio 2017, n. 20664).

Antefatto e postfatto non punibili

Al principio di consunzione viene tradizionalmente ricondotta la figura dell'antefatto e post fatto non punibile.

Per antefatto non punibile si devono intendere quelle ipotesi in cui un reato meno grave è necessario per commettere un reato più grave. In questo caso viene punito solo il reato successivo.

Ad esempio, il rapporto tra l'art. 697 c.p. (Detenzione abusiva di armi) e l'art. 628 c.p. (Rapina) nel caso in cui un soggetto compia una rapina con delle armi che possiede abusivamente oppure il rapporto tra l'art. 707 c.p. (Possesso ingiustificato di chiavi alterate e grimaldelli) e l'art. 624 c.p. (Furto).

Per aversi post fatto non punibile, invece, si devono considerare, una volta che è stato commesso il reato, gli eventuali e successivi reati che ne costituiscono la normale conclusione. In questo caso viene punito solo il reato precedente. Ad esempio, colui che, dopo aver realizzato monete false integrando il reato previsto dall'art. 453 c.p. (Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate) le utilizzi per effettuare degli acquisiti integrando il reato ex art. 455 c.p. (Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate).

I caratteri essenziali di tale figura si individuano nella pluralità di fatti, i quali devono essere indirizzati in diverse fasi a offendere lo stesso bene e devono essere commessi dallo stesso soggetto.

Una parte della dottrina ritiene che l'antefatto e il post fatto non sono punibili in quanto ci si trova davanti a un concorso apparente di norme e sono semplici applicazioni del principio di consunzione con conseguente assorbimento del reato meno grave in quello più grave.

Altra parte della dottrina, invece, ritiene che ci si trovi davanti a una pluralità di reati e debba, quindi, valere l'ipotesi di concorso di reati. Pertanto, il reato meno grave non verrà assorbito da quello più grave ma al più, i diversi reati potranno essere legati dal vincolo della continuazione.

Come ampiamente argomentato sopra, è vero che la Suprema Corte a Sezioni unite esclude il principio di consunzione in quanto lo ritiene criterio valutativo non previsto dalla legge ma, nonostante ciò la giurisprudenza continua a utilizzare il riferimento alle figure dell'antefatto e post fatto non punibili al fine di escludere il concorso di reati, com'è agevole rilevare dalla casistica sotto riportata.

Casistica

Antefatto non punibile

Circolazione stradale

Il reato di omissione di assistenza, di cui all'art. 189, comma 7, cod. strada presuppone, quale antefatto non punibile, un incidente stradale da cui sorge l'obbligo di assistenza anche nel caso di assenza di ferite in senso tecnico, essendo sufficiente lo stato di difficoltà indicativo del pericolo che dal ritardato soccorso può derivare per la vita o l'integrità fisica della persona.

(Cass. pen., Sez. IV, n. 21049/2018)

In tema di circolazione stradale, il reato di cui all'art. 189, commi 6 e 7, cod. strada è configurabile nei confronti dell'utente della strada coinvolto nel sinistro, pur se non responsabile dello stesso, in quanto l'"incidente", che è comunque ricollegabile al suo comportamento, assume il valore di antefatto non punibile idoneo ad identificare il titolare di una posizione di garanzia al fine di proteggere gli altri utenti coinvolti dal pericolo derivante da un ritardato soccorso.

(Cass. pen., Sez. IV, n. 52539/2017)

Adescamento di minori

Il delitto di adescamento di minori è punibile, in virtù della clausola di riserva "se il fatto non costituisce più grave reato", solo se non siano ancora configurabili gli estremi del tentativo o della consumazione del reato fine, in quanto, nell'ipotesi che quest'ultimo resti allo stadio della fattispecie tentata, la contestazione anche del delitto di cui all'art. 609-undeciesc.p. significherebbe di fatto perseguire la stessa condotta due volte, mentre, qualora il reato fine sia consumato, la condotta di adescamento precedentemente tenuta dall'agente si risolverebbe in un antefatto non punibile. (Fattispecie in cui è stata ritenuta la configurabilità del reato di tentativo di atti sessuali con minorenne ed esclusa quella del delitto di adescamento in relazione alla condotta di imputato che, con spasmodico invio di sms" e organizzazione di incontri spirituali o di istruzione musicale, aveva cercato di circuire ragazzi minorenni). (Cass. pen., Sez. III, n. 16329/2015)

Pornografia minorile

In tema di pornografia minorile, mentre è configurabile il concorso formale tra il delitto di detenzione di materiale pedopornografico e quello di divulgazione di notizie finalizzate allo sfruttamento di minori, diversamente il concorso è escluso tra il delitto di cessione di materiale pedopornografico e quello di detenzione dello stesso materiale, in quanto la condotta di detenzione rappresenta un antefatto non punibile rispetto a quella di cessione, rimanendo assorbita in quest'ultima.

(Cass. pen., Sez. III, n. 36364/2008)

Commercio di prodotti con segni falsi

Tra il delitto di commercio di prodotti con segni falsi e quello di ricettazione intercorre rapporto di specialità, dal momento che la fattispecie criminosa di cui all'art 474 c.p., avendo natura plurioffensiva, è posta a tutela, oltre che della fede pubblica, anche del patrimonio. La norma incriminatrice, infatti, mira anche ad assicurare la protezione del monopolio sull'opera e sul marchio. Pertanto, le condotte di ricezione ed acquisto di prodotti con marchi e segni contraffatti costituiscono antefatto non punibile, in quanto presupposto necessario della detenzione per la vendita, condotta questa ultima che il legislatore ha ritenuto sufficiente incriminare, per assicurare la tutela penalistica dei consumatori e, ad un tempo, dei titolari dei diritti patrimoniali.

(Cass. pen., Sez. V, n. 5525/1999)

Sulla questione, però, sono intervenute in modo specifico le Sezioni Unite:

Il delitto di ricettazione (art. 648 c.p.) e quello di commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.) possono concorrere, atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore.

(Cass. pen., Sez. unite, n. 23427/2001)

Violazione della pubblica custodia

Sussiste il reato di violazione della pubblica custodia di cose (art.351 c.p.) e non quello di peculato (art.314c.p.) qualora vi sia contestualità cronologica tra appropriazione (solo temporanea) e sottrazione o deterioramento o distruzione di alcuni atti o documenti della pubblica amministrazione - nella disponibilità, per ragioni d'ufficio, del pubblico ufficiale- e qualora l'azione posta in essere da costui sia stata ispirata dal solo scopo di violare la pubblica custodia dei detti atti o documenti, per conoscerne il contenuto che doveva, invece, rimanere segreto. In tal caso, infatti, l'appropriazione temporanea deve essere considerata come un antefatto non punibile, destinato ad essere assorbito nella più complessa condotta unitaria, finalisticamente individuata dallo scopo unico, che animava ab initio la volontà e la coscienza dell'agente inquadrabile nella fattispecie di cui all'art. 351 c.p. Ne consegue che, nella specie, la sottrazione, in quanto strumentale alla violazione della custodia ufficiale degli atti, rientra espressamente nella previsione dell'art. 351 c.p.

(Cass. pen., Sez. VI, n. 10733/1999)

Integra il delitto di violazione della pubblica custodia di cose, e non quello di peculato, la condotta del funzionario della Motorizzazione civile che, avendo la custodia di una carta di circolazione ritirata dalla P.G. per omesso aggiornamento del trasferimento di proprietà di un'autovettura, la consegni al nuovo proprietario del veicolo affinché provveda alla regolarizzazione delle annotazioni sul documento presso altro servizio del medesimo ufficio.

(Cass. pen., Sez. VI, n. 2278/2012)

Appropriazione indebita e soppressione, distruzione e occultamento di atti

In linea di principio è configurabile il concorso formale tra il delitto di appropriazione indebita di un documento e il delitto di falsità per soppressione od occultamento, essendo diversi i beni giuridici protetti: il patrimonio e la pubblica fede. Tuttavia, qualora vi sia contestualità cronologica tra sottrazione e distruzione od occultamento e l'azione sia stata compiuta all'unico scopo di eliminare l'efficacia probatoria del documento, il concorso non è ipotizzabile e la sottrazione o l'occultamento devono essere considerati come un antefatto non punibile (Cass. pen., Sez. V, n. 2709/1974)

Pur essendo ipotizzabile il concorso formale tra il reato di appropriazione indebita di un documento e il reato di soppressione od occultamento del medesimo, essendo diversi i beni giuridici protetti, il concorso medesimo non è ravvisabile per detti reati quando entrambi gli eventi dagli stessi prodotti si esauriscono in un'unica condotta criminosa diretta al fine di eliminare l'efficacia probatoria del documento. In tal caso il delitto di appropriazione indebita rimane assorbito in quello di falso per soppressione (Cass. pen., Sez. V, n. 11766/1985)

Furto di documenti

In tema di furto di documenti, non sussiste il concorso tra il reato di furto e quello di falso per soppressione qualora vi sia contestualità cronologica tra sottrazione e distruzione e l'azione sia stata compiuta all'unico scopo di eliminare la prova del diritto, in quanto, in tal caso, la sottrazione deve essere considerata come un antefatto non punibile, destinato ad essere assorbito nella condotta unitaria finalisticamente individuata dallo scopo unico che anima ab initio la volontà e coscienza dell'agente, e che caratterizza la fattispecie criminosa di cui all'art. 490 c.p. (Cass. Sez. V, n. 13836 del 11/12/2013)

Post fatto non punibile

Calunnia

In tema di calunnia, la presentazione di plurimi atti di incolpazione, nei confronti della medesima persona e per lo stesso reato, integra la commissione di più reati di calunnia quando il contenuto dell'atto successivo contenga un ampliamento dell'originaria accusa, mentre integra un post factum non punibile ove consista nella mera conferma e precisazione dell'iniziale accusa. (Fattispecie in cui veniva sporta una prima falsa denuncia da parte del soggetto ritenuto quale autore mediato del reato, le cui dichiarazione erano successivamente confermate dall'effettivo calunniatore).

(Cass. pen., Sez. VI, n. 3368/2018)

Peculato

La distinzione tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell'art. 61, n. 9, c.p., va individuata con riferimento alle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo il peculato quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la truffa aggravata quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene. Pertanto, nelle ipotesi di peculato le condotte di falsificazione documentale o gli artifici costituiscono un post factum non punibile in quanto compiuti per conseguire un risultato ulteriore finalizzato all'occultamento o al perfezionamento della materiale appropriazione della res.

(Cass. pen., Sez. VI, n. 10569/2017)

Inquinamento ambientale

Ai fini della configurabilità del reato di inquinamento ambientale, di cui all'art. 452-bisc.p., non è richiesta una tendenziale irreversibilità del danno; ne consegue che le condotte poste in essere successivamente all'iniziale deterioramento o compromissione del bene non costituiscono un post factum non punibile, ma integrano invece singoli atti di un'unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione, sino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili, o comportano una delle conseguenze tipiche previste dal successivo reato di disastro ambientale di cui all'art. 452-quater c.p. (Cass. pen., Sez. III, n. 15865/2017)

Prodotti fiscalmente esenti o ammessi ad aliquota agevolata

Il reato previsto dall'art. 40, comma primo, lett. c) del d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504, come modificato dall'art. 1, comma 1, del d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, è integrato dalla destinazione di prodotti fiscalmente esenti od ammessi ad aliquote agevolate ad usi diversi da quelli per cui era stata concessa l'esenzione o l'agevolazione, mentre la successiva condotta di utilizzazione del prodotto non assume, tendenzialmente, rilievo penale, configurando un post factum non punibile; quando, tuttavia, non esiste alcuna cesura, sul piano logico e temporale, fra il mutamento di destinazione ed il successivo utilizzo del bene, il reato viene integrato proprio attraverso l'utilizzazione del prodotto agevolato, con conseguente assoggettabilità a sequestro preventivo del bene strumentale attraverso il quale lo stesso prodotto viene fruito (Cass. pen., Sez. III, n. 24603/2017)

Edificazione abusiva

La permanenza del reato di edificazione abusiva cessa a seguito dell'interruzione dei lavori conseguente all'ordine di sospensione emanato dall'autorità comunale; ne consegue, da un lato, che la ripresa dei lavori dopo l'ottemperanza a tale ordine non costituisce un post factum non punibile ma integra una autonoma, ulteriore e grave violazione della norma penale, che legittima l'uso del potere coercitivo reale e il successivo esercizio dell'azione penale, dall'altro, che la valutazione circa la cessazione della permanenza conseguente all'osservanza dell'ordine di sospensione costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sottratto, in presenza di motivazione, al sindacato di legittimità. (In applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso del PM avverso il diniego di sequestro preventivo, motivato dal giudice con l'assenza di attualità e concretezza del pericolo cautelare per effetto dell'ottemperanza all'ordine di sospensione e del conseguente esaurimento della condotta criminosa) (Cass. pen., Sez. III, n. 14501/2016)

Riciclaggio

La consumazione del delitto di riciclaggio, che è un reato a forma libera attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, può coincidere con il momento in cui i beni acquistati con capitali di provenienza illecita sono rivenduti dal reo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che, in relazione alla cessione di immobili acquistati con denaro di provenienza illecita, la successiva acquisizione di denaro "ripulito" non può qualificarsi come un mero post-factum non punibile) (Cass. pen., Sez. III, n. 3414/2014)

Integra di per sé un autonomo atto di riciclaggio - essendo il delitto in parola, a forma libera e attuabile anche con modalità frammentarie e progressive - qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, e dunque anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato e acceso presso un diverso istituto di credito. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso che i trasferimenti e gli investimenti posti in essere dall'imputata dopo un primo deposito bancario di fondi di provenienza illecita potessero essere inquadrati come post factum non punibile) (Cass. pen., Sez. VI, n. 13085/2013)

Integra il solo delitto di impiego di beni di provenienza illecita, nel quale rimangono assorbiti quelli di ricettazione e di riciclaggio, colui che realizza, in un contesto unitario caratterizzato sin dall'origine dal fine di reimpiego dei beni in attività economiche o finanziarie, le condotte tipiche di tutte e tre le fattispecie menzionate. (La Corte ha altresì precisato che, per converso, qualora, dopo la loro ricezione o la loro sostituzione, i beni di provenienza illecita siano oggetto, sulla base di una autonoma e successiva determinazione volitiva, di reimpiego, tale condotta deve ritenersi un mero post factum non punibile dei reati di ricettazione o di riciclaggio in forza della clausola di sussidiarietà contenuta nell'art. 648 ter c.p.). (Cass. pen., Sez. II, n. 4800/2009)

Materiale pornografico

Non è configurabile il concorso tra il reato di detenzione di materiale pornografico ed il reato di pornografia minorile, dovendo applicarsi, in virtù della clausola di riserva di cui all'art. 600quater c.p., la più grave fattispecie di cui all'art. 600ter c.p., rispetto alla quale la detenzione costituisce, quindi, un post factum non punibile.

(Cass. pen., Sez. III, n. 2011/2014)

Usura

Il delitto di usura si atteggia a reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata perché i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento consumativo sostanziale, e non sono qualificabili come post factum non punibile dell'illecita pattuizione. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto configurarsi un nuovo fatto di usura nei confronti dell'imputato che, già rinviato a giudizio per il reato di usura, aveva tentato di incassare le cambiali rimaste in suo possesso) (Cass. pen., Sez. II, n. 37693/2014)

In tema di delitto di usura, la riscossione degli interessi dopo l'illecita pattuizione integra il momento di consumazione e non costituisce un "post factum" penalmente irrilevante. (La Corte ha precisato che il delitto di usura si atteggia a delitto a consumazione prolungata, che perdura nel tempo sino a quando non cessano le dazioni degli interessi) (Cass. pen., Sez. II, n. 34910/2008)

Circonvenzione di incapace

Nella circonvenzione di incapace, reato a condotta plurima, qualora i momenti dell'induzione e dell'apprensione non coincidono, il reato si consuma all'atto dell'apprensione, che produce il materiale conseguimento del profitto ingiusto nel quale si sostanzia il pericolo insito nell'induzione. (La S.C. ha precisato che la condotta di induzione perde di rilievo autonomo ove il reato si protragga sino alla commissione di successivi atti appropriativi, ripetuti nel tempo, i quali non costituiscono mero "post factum" non punibile, ma integrano la complessiva fattispecie delineata dalla norma incriminatrice) (Cass. pen., Sez. II, n. 45786/2012)

Lottizzazione

L'alienazione delle costruzioni realizzate sui singoli lotti, già oggetto di frazionamento abusivo, non costituisce un "post factum" non punibile, ma protrae la commissione del reato di lottizzazione mista, nella sua forma negoziale, per tutti coloro che partecipano all'atto. (Fattispecie in tema di sequestro preventivo, in cui la Corte ha ulteriormente precisato che la permanenza continua per ogni concorrente nel reato di lottizzazione abusiva sino a che perdura la condotta volontaria di ciascuno di essi e la possibilità di far cessare la condotta antigiuridica dei concorrenti) (Cass. Sez. III, n. 20006/2011)

Trasferimento fraudolento di valori

In tema di delitto di trasferimento fraudolento di valori (art. 12-quinquiesd.l. 306/1992, convertito nella L. n. 356 del 1992), realizza un autonomo reato, e non un post-factum non punibile, la creazione, da una originaria società fittizia, di nuove società al fine di coprire e mascherare la reale proprietà dei beni.

(Cass. pen., Sez. VI, n. 10024/2008)

Diritti di autore

In tema di tutela del diritto d'autore, il soggetto che ha operato la duplicazione o riproduzione dell'opera tutelata risponde solo di tale attività delittuosa e non anche della successiva commercializzazione o diffusione della stessa, atteso che tale ulteriore attività va considerata come un "post factum" non punibile, costituendo normalmente la concreta realizzazione del fine perseguito dall'agente al momento della riproduzione o duplicazione (Cass. pen., Sez. III, n. 557/2005)

Contraffazione

Il reato di cui all'art. 468 c.p. si consuma nel momento e nel luogo in cui lo strumento contraffatto viene creato ad opera del suo autore, o di chi per lui, senza che occorra, ai fini della perfezione del reato stesso, che di tale strumento venga fatto uso. L'uso (eventuale) o anche continuato dello strumento, da parte dell'autore della contraffazione, costituisce, pertanto, un "post factum" non punibile, con la conseguenza che contraffazione ed uso sono previste come condotte alternative e non possono concorrere. (Cass. pen., Sez. V, n. 6037/1998)

Omessa annotazione dei corrispettivi nelle scritture contabili

Il reato di omessa annotazione di corrispettivi, nelle scritture contabili è un reato a consumazione anticipata, in quanto il legislatore ha fissato il suo perfezionarsi con la mancata iscrizione, considerando la successiva condotta come un post factum non punibile. Ne deriva che da quel momento decorre il termine di prescrizione (Cass. pen., Sez. III, n. 7475/1996)

Concussione

Il delitto di concussione si consuma non già con la dazione del denaro, ma nel momento in cui viene effettuata la promessa, essendo in tal caso la dazione un post-factum irrilevante (Cass. pen., Sez. VI, n. 5664/1992)

Il reato di concussione può consumarsi nel momento della dazione ma anche in quello della promessa che il pubblico ufficiale indebitamente estorce al privato, di talché il suo operato successivamente al conseguimento della promessa costituisce un post-factum penalmente irrilevante. (Fattispecie in cui si è ritenuta l'ipotesi consumata e non il tentativo, avendo il pubblico ufficiale ottenuto la promessa ma non la successiva consegna dell'indebito. Nell'occasione la Corte ha anche affermato il principio - desunto dalla teoria civilistica del negozio giuridico - che la promessa fatta con l'intenzione di non pagare, come e valida agli effetti civilistici cosi e idonea, se indebitamente estorta, all'integrazione del reato di concussione) (Cass. pen., Sez. VI, n. 7133/1979)

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