Il principio del ne bis in idem applicato al rapporto fra giurisdizione ordinaria e giurisdizione militare di pace

Cristina Ingrao
18 Aprile 2019

La questione affrontata nella pronuncia in esame attiene ai presupposti applicativi del principio del ne bis in idem, con riguardo più specificamente ai rapporti...
Abstract

Il Tribunale monocratico di Agrigento, con la sentenza in commento, ha ritenuto sussistente la violazione del divieto di bis in idem. Ciò in quanto il caso di specie riguardava un soggetto - P.V.- già condannato, in via definitiva, dal Tribunale militare di Napoli nel 2014 per gli stessi fatti per cui risultava imputato anche nel procedimento interessato dalla pronuncia in esame. In altri termini, i suddetti procedimenti avevano ad oggetto i medesimi fatti.

Alla luce di ciò ha, quindi, emanato sentenza di non doversi procedere nei confronti dell'imputato, in ordine ai reati ascrittigli.

La vicenda

La vicenda in esame trae origine da un decreto che dispone il giudizio emesso dal Gup del Tribunale di Agrigento nel dicembre del 2017, con il quale l'imputato P.V. veniva tratto in giudizio innanzi allo stesso Tribunale di Agrigento, in composizione monocratica, per rispondere dei reati di cui agli artt. 81 cpv. e 640, comma 2, n. 1 c.p. perché, in esecuzione di un unico disegno criminoso, con artifici e raggiri, consistiti nella formazione di falsi certificati medici, induceva in errore la P.A. di appartenenza circa i motivi dell'assenza dal servizio, si procurava l'ingiusto profitto costituito dall'indebita percezione di indennità di malattia non dovuta, con correlativo danno della stessa (pari a ottantanove giornate lavorative); con l'aggravante di avere commesso il fatto in danno di un ente pubblico.

All'imputato veniva contestato, inoltre, il delitto di cui agli artt. 81 cpv, 476, 482, 61, n. 2, c.p. perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in qualità di Carabiniere in servizio presso la Stazione CC di Villaggio Mosè, produceva quattordici false certificazione mediche, apparentemente rilasciate dal dottore D.M., in servizio presso l'ASL di Napoli, per giustificare le assenze dal servizio. Il tutto aggravato dall'aver commesso i fatti al fine di compiere la truffa di cui sopra.

Infine, all'imputato veniva contestato il delitto di cui agli artt. 81 cpv. c.p. e 55-quinquies d.lgs. 156/2001 perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in qualità di lavoratore dipendente di una P.A., giustificava l'assenza dal servizio mediante le suddette certificazioni mediche false.

In udienza il giudice disponeva l'acquisizione della sentenza di condanna emessa nei confronti dello stesso P.V. dal Tribunale militare di Napoli nel novembre del 2014 (pronuncia divenuta irrevocabile nel febbraio del 2015), al fine di valutare la medesimezza dei fatti rispetto a quelli oggetto dell'imputazione del procedimento interessato dalla sentenza in commento.

Il difensore dell'imputato, pertanto, eccepiva il ne bis in idem chiedendo emettersi sentenza di non doversi procedere, ai sensi dell'art. 469 c.p.p.; richiesta a cui anche il P.M. si associava.

La questione

La questione affrontata nella pronuncia in esame attiene ai presupposti applicativi del principio del ne bis in idem, con riguardo più specificamente ai rapporti fra giurisdizione ordinaria e giurisdizione militare di pace. In relazione al caso di specie occorre chiedersi: quali sono i presupposti per la sussistenza del divieto di bis in idem? Tali presupposti operano in relazione ai rapporti fra giurisdizione ordinaria e giurisdizione militare di pace?

La decisione

Il Tribunale di Agrigento, in composizione monocratica, nel risolvere la questione sottoposta alla sua attenzione, si determina nel senso dell'accoglimento dell'eccezione formulata dalla difesa (alla quale anche la pubblica accusa si è associata) diretta a ottenere la pronunzia di non doversi procedere perché l'azione penale non doveva essere proseguita per ostacolo di precedente giudizio (ex artt. 469 e 649 c.p.p.), ricorrendone tutti i presupposti.

E invero, secondo il giudice del Tribunale di Agrigento, in forza della acquisita sentenza del Tribunale militare di Napoli del novembre 2014, divenuta irrevocabile nel febbraio 2015, e del raffronto tra i capi di imputazione di tale pronuncia e quelli contestati all'imputato nel processo interessato dalla sentenza in commento emerge come l'azione penale, nei confronti dello stesso P.V., per i medesimi fatti, era già stata esercitata, pervenendo a una condanna divenuta irrevocabile.

In particolare, nei confronti dell'imputato risultava già essere stata esercitata e, pertanto, consumata l'azione penale, oltre che per i reati di allontanamento illecito aggravato (artt. 147, comma 2, e 47, n. 2, c.p.m.p.) e diserzione aggravata (artt. 148, n. 2 e 47, n. 2, c.p.m.p.), non rilevanti nel processo interessato, anche per i reati di simulazione di infermità aggravata (artt. 159 e 47, n. 2, c.p.m.p.) e truffa militare aggravata (artt. 234, co. 2, e 47, n. 2, c.p.m.p.).

E ciò perché l'imputato produceva certificati medici alterati nella data di rilascio e nella prognosi, apparentemente firmati dal dottore D.M., attestanti la necessità di giorni di riposo medico, simulando l'esistenza di infermità o di malattia inabilitante la prestazione del servizio, in modo tale da indurre in errore i suoi superiori, al fine di sottrarsi alla prestazione del servizio. Inoltre, egli, mediante artifizi e raggiri, consistiti nel produrre la suddetta documentazione sanitaria contraffatta, induceva in errore i superiori in ordine alla sussistenza o all'effettiva entità della malattia diagnosticata nel certificato, in modo tale da procurarsi un ingiusto profitto corrispondente alle retribuzioni relative alle giornate in cui rimaneva arbitrariamente assente, con pari danno per l'Amministrazione Militare.

Fatti, questi ultimi, commessi ripetutamente in Villaggio Mosè (frazione del Comune di Agrigento) in date (comprese fra l'aprile del 2011 e l'aprile 2013) identiche a quelle contestate nel processo che interessa il Tribunale monocratico di Agrigento.

Tanto premesso in fatto, secondo il giudice monocratico, va ricordato in diritto che il divieto di doppio giudizio, tanto nella sua accezione sostanziale quanto in quella processuale, come diritto a non essere giudicati due volte per lo stesso fatto, sottende fondamentali principi che sono alla base dello Stato di diritto. Il riferimento è, fra gli altri, all'interesse alla certezza del diritto, alla garanzia dei diritti dell'individuo sottoposto a procedimento penale, che non deve trovarsi illimitatamente esposto per lo stesso fatto alla pretesa punitiva dello Stato, e alle esigenze di economia processuale.

Nella pronuncia in esame si sottolinea come anche la Corte costituzionale abbia da tempo individuato i valori che sovrintendono al canone del ne bis in idem, indicandolo come un principio di civiltà giuridica di generale applicazione, pena, in caso contrario, la precarietà nel godimento delle libertà connesse allo sviluppo della personalità individuale (così, ad esempio, nella recente sentenza n. 200 del 2016 e, prima ancora, nell'ordinanza n. 150 del 1995, che ne individuano il referente di costituzionalità negli artt. 24 e 111 Cost.).

Inoltre, in sentenza si chiarisce come tale principio abbia ricevuto consacrazione anche nelle fonti sovranazionali di tutela dei diritti fondamentali. Il riferimento è all'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea e all'art. 4 del Protocollo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, rubricati Diritto di non essere giudicato o punito due volte, alla cui stregua nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato (così, la sentenza della Corte di Giustizia europea, Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson del 26 febbraio 2013, e quella della Corte EDU, Grande Stevens c. Italia del 4 marzo 2014).

La stessa Corte di Cassazione, si legge nella pronuncia, ha più volte affermato che il principio del ne bis in idem è finalizzato, innanzitutto, a evitare che per lo stesso fatto di reato si svolgano più procedimenti contro la stessa persona e si emettano più provvedimenti, l'uno indipendente dall'altro, nonché a porre rimedio alle violazioni del principio stesso.

Ebbene, ai fini della preclusione connessa al descritto principio, l'identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi, e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (in tal senso, Cass. pen., Sez. unite, n. 34655 del 28 giugno 2005; ma anche le più recenti Cass. pen., Sez. II, n. 292 del 4 dicembre 2013; Cass. pen., Sez. IV, n. 12175 del 3 novembre 2016; Cass. pen., Sez. V, n. 50496 del 19 giugno 2018).

Ciò detto è pacifico l'orientamento interpretativo secondo cui la preclusione conseguente alla consumazione del potere di azione penale si consolida, restando immutati i termini oggettivi e soggettivi della regiudicanda, a chiusura del processo, determinando la dichiarazione di impromovibilità dell'azione penale quale epilogo obbligato del secondo processo.

Alla luce di queste coordinate ermeneutiche, va rilevato che il processo interessato dalla pronuncia del Tribunale di Agrigento ha a oggetto gli stessi fatti giudicati con la sentenza emessa dal Tribunale militare di Napoli nel novembre 2014, coincidendo condotta, evento, nesso di causalità, circostanze di tempo, di luogo e di persona, e tutelando gli artt. 47, n. 2, 159 e 234, comma 2, c.p.m.p., cui la citata sentenza del Tribunale militare di Napoli si era riferita, beni giuridici sostanzialmente sovrapponibili a quelli di cui alle imputazioni relative alla sentenza in esame, con gli evidenti elementi specializzanti propri della legislazione penale militare di pace.

Secondo il giudice monocratico di Agrigento, peraltro, si perverrebbe alla stessa conclusione anche laddove si volesse ritenere l'astratta configurabilità del concorso formale tra i reati contestati all'imputato nel presente processo e quelli oggetto della sentenza irrevocabile del Tribunale militare di Napoli, stante quel recente orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità che, richiamando la citata sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 2016, ha statuito che il divieto di bis in idem opera anche ove tra i fatti già irrevocabilmente giudicati e quelli ancora da giudicare ricorra una ipotesi di concorso formale di reati.

Il concetto di medesimezza del fatto

Il Tribunale di Agrigento, per giungere alla conclusione sulla sussistenza della violazione del divieto di bis in idem, delinea il concetto di medesimezza del fatto, chiarendo che, ai fini del divieto di cui sopra, quello che rileva è il fatto storico-naturalistico, inteso quale l'accadimento materiale che prescinde dall'inquadramento giuridico che di esso si è dato.

A sostegno di tale definizione viene richiamata innanzitutto la giurisprudenza della Corte Edu. Il riferimento è, in particolare, alla sentenza della Grande Camera, Zolotoukhine c. Russia del 10 febbraio 2009, secondo cui la medesimezza del fatto si apprezza alla luce delle circostanze fattuali concrete, indissolubilmente legate, nel tempo e nello spazio, alla realizzazione di una certa condotta avente un medesimo oggetto materiale, così superando la tesi, pure sporadicamente affermata, che la “infrazione” sia da ritenere la stessa solo se medesima è anche la fattispecie astratta contestata.

Inoltre, nella sentenza in esame, vengono richiamati i principi che regolano il nostro ordinamento e il loro rispetto, come quello di “civiltà giuridica”, già citato, di cui all'ordinanza della Corte cost. n. 150 del 1999, a cui, secondo Corte cost. n. 129 del 2008, offre forma normativa l'art. 649 c.p.p., per cui la scomposizione in differenti reati di un unico fatto non può dipendere né da una esplicita differente qualificazione giuridica del titolo di imputazione della responsabilità penale, né dal diverso rilievo dato alla consistenza e direzione dell'offesa e alle sue effettive conseguenze lesive.

Ne consegue che la diversità dell'evento che è possibile prendere in considerazione ai fini del superamento del divieto di bis in idem non può dipendere solo dal diverso apprezzamento in termini giuridici delle conseguenze del reato già versate nel precedente procedimento definito, pena l'elusione del principio che vieta di procedere una seconda volta per lo stesso fatto storico e, dunque, per la stessa condotta e per la stessa offesa, intese nella loro dimensione empirica, e la speculare adesione ad una interpretazione in contrasto con i principi convenzionali e costituzionali richiamati.

La giurisdizione militare in tempo di pace

Nella sentenza in esame si analizza, poi, il tema specifico della giurisdizione militare in tempo di pace, in quanto implicato dalla fattispecie in considerazione. Nella pronuncia, in particolare, si rileva che essa sussiste, per espressa previsione dell'art. 103, comma 3, Cost. soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate, ed è, pertanto, riferita alla cognizione dei reati militari, o, secondo la definizione dell'art. 37, comma 1, c.p.m.p., delle violazioni delle leggi penali militari, sanzionate con una pena militare.

Tale particolare giurisdizione è circoscritta entro limiti rigorosi, come ribadito anche dalla Corte costituzionale (così, ad esempio, nelle sentenze nn. 112 e 113 del 1986, n. 206 del 1987), in quanto deroga alla giurisdizione ordinaria da considerare, per il tempo di pace, come la “giurisdizione normale”, e la cui eccezionalità è sottolineata dall'uso dell'avverbio “soltanto” nell'art. 103 Cost.

Essa è esercitata dal Tribunale militare che giudica, nella fase dibattimentale, in composizione collegiale mista, quale giudice specializzato con l'intervento di un membro laico, ufficiale delle Forze armate di grado almeno pari a quello dell'imputato, il cui apporto qualificato è volto a integrare le conoscenze primariamente tecnico-giuridiche dei giudici professionali (così, Cass. pen., Sez. I, n. 16439 del 3 marzo 2005 o Cass. pen., Sez. I, n. 21863 del 5 maggio 2008), fermi restando i poteri di cognizione e di decisione, quale giudice militare monocratico, del giudice per le indagini preliminari e dell'udienza preliminare, secondo i principi del codice di procedura penale, in virtù del principio di complementarietà espresso nell'art. 261 c.p.m.p., secondo il quale salvo che la legge disponga diversamente, le disposizioni del codice di procedura penale si osservano anche per i procedimenti davanti ai Tribunali militari (Cass. pen., Sez. I, n. 2215 del 19 gennaio 1996).

A ciò si aggiunga che la sentenza che decide sulla giurisdizione è inoppugnabile, ai sensi dell'art. 568, comma 2, c.p.p., in relazione all'art. 591, comma 1, lett. b), c.p.p. e, per costante giurisprudenza della Corte Suprema, può dare luogo solo ad un conflitto di giurisdizione a norma dell'art. 28 c.p.p., denunciabile anche nel corso delle indagini preliminari ove due o più giudici diversi (tutti ordinati o ordinari e speciali) prendano cognizione o si rifiutino di conoscere lo stesso fatto attribuito al medesimo soggetto; conflitto proponibile anche per la soluzione dei rapporti tra il giudice ordinario e il giudice speciale militare (così Cass. pen., Sez. I, n. 6518 del 6 dicembre 1996; Cass. pen., Sez. I, n. 33891 del 26 giugno 2009).

Secondo il giudice monocratico di Agrigento, dunque, dalla duplice considerazione, da un lato, dei delineati rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale militare (agli artt. 28 e ss. c.p.p.) e, dall'altro, dell'effetto preclusivo della sentenza anche quanto al presupposto della giurisdizione, discende la non più contestabilità della giurisdizione del Tribunale militare penale di Napoli che ha emesso la citata sentenza del novembre 2014, divenuta irrevocabile nel febbraio del 2015, nei cui confronti le parti avrebbero potuto eventualmente solo denunciare il conflitto, nel caso di specie non proposto; ne consegue la sua efficacia preclusiva rispetto a un secondo giudizio avente ad oggetto gli stessi fatti nei confronti del medesimo soggetto, legittimamente rilevata dalla difesa (cfr. Cass. pen., Sez. I, n. 27635 del 13 dicembre 2011).

In conclusione

In conclusione il Tribunale monocratico di Agrigento, dopo aver richiamato la giurisprudenza nazionale, anche della Corte Costituzionale, e sovranazionale in tema di ne bis in idem, che nel tempo ne delineato la portata e i confini, e le caratteristiche della giurisdizione penale militare in tempo di pace, ha correttamente concluso nel senso dell'accoglimento della richiesta della difesa dell'imputato, e ha ritenuto sussistente la violazione del divieto di bis in idem, in relazione al caso di specie, essendo il P.V. già stato condannato per gli stessi fatti nell'ambito di un precedente giudizio, di competenza del Tribunale penale militare di Napoli, conclusosi con sentenza divenuta definitiva nel 2015. Con la conseguenza che, conformemente a quanto richiesto dalle parti, ha emanato, ex artt. 469 e 649 c.p.p., sentenza di non doversi procedere nei confronti dello stesso imputato, in ordine ai reati ascrittigli in rubrica.

Guida all'approfondimento

C. Ingrao, L'art. 649 c.p.p. e il ne bis in idem dopo la sentenza della Corte costituzionale 200/2016. Applicazioni pratiche.

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