Il reddito d’impresa di “società a ristretta compagine sociale”

Mirella Guicciardi
26 Aprile 2019

Non esiste una definizione giuridica di società a ristretta base sociale, né a base familiare. Di norma si fa riferimento alla "ristrettezza" della composizione societaria che determina la formazione di un'unica volontà, tipica di un gruppo ridotto di soci o legato da altri vincoli, quali quelli, per esempio, familiari. La legittimità o meno della presunta distribuzione, in capo ai soci, degli utili non contabilizzati da parte delle società a ristretta base societaria è, da anni, oggetto del dibattito giurisprudenziale e dottrinario.
La ristretta base

Non esiste una definizione giuridica di società a ristretta base sociale, né a base familiare.

Di norma si fa riferimento alla "ristrettezza" della composizione societaria che determina la formazione di un'unica volontà, tipica di un gruppo ridotto di soci o legato da altri vincoli, quali quelli, per esempio, familiari.

La legittimità o meno della presunta distribuzione, in capo ai soci, degli utili non contabilizzati da parte delle società a ristretta base societaria è, da anni, oggetto del dibattito giurisprudenziale e dottrinario.

L'automatica attribuzione pro quota del maggior reddito rideterminato in capo alla s.r.l., pur non trovando appunto alcun supporto legislativo, a differenza di quanto avviene nelle società di persone e nelle s.r.l., che optano per la trasparenza fiscale ex art. 116 TUIR, costituisce un principio riconosciuto dalla giurisprudenza che, in più occasioni, ha avuto modo di statuire la legittimità del concetto dell'utile extracontabile (Cass. n. 27778/2017; n. 5925/2015; n. 17984/2012; n. 12576/2012).

Automatismo e onere della prova

La giurisprudenza delle Commissioni di merito riconosce la facoltà del contribuente di fornire la prova che il maggior utile occultato non sia stato effettivamente distribuito, sia per ragioni legate all'estraneità del socio alla gestione amministrativa della società (CTR Puglia n. 40/11, CTR Toscana n. 396/2011) oppure per ragioni legate all'assenza di una concreta provvista finanziaria trasferibile alla sfera patrimoniale di quest'ultimo (cfr. Cass. n. 923/2016; n. 19013/16; n. 20806/13). Ed è proprio in relazione alla necessaria presenza di disponibilità finanziarie correlate al maggior reddito societario che la CTP Reggio Emilia, con sentenza n. 22/2018, si è pronunciata, precisando l'operatività della presunzione.

Le presunzioni

Si è in proposito anche di recente affermato che “nell'accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l'esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili” (Cass. Civ. n. 18627/2018 (ord.); n. 15824/2016; Cass. n. 25468/2015).

Soltanto nelle ipotesi di accertamento di ricavi in “nero" la presunzione semplice assume de plano i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dalle norme di legge (art. 2427 c.c.; art. 39, comma 1, lett. d). d.P.R. n. 600/1973), potendo gli elementi positivi di reddito occultati tramutarsi in reddito di capitale rilevante ex art. 47 TUIR. ln virtù di tale presunzione, l'Amministrazione finanziaria, in parallelo all'emissione dell'atto di rettifica dell'imponibile nei confronti della s.r.l., avvia un accertamento complementare nei confronti dei rispettivi soci, imputando a questi l'utile extrabilancio non dichiarato dalla società. Tale ricostruzione presuntiva, del quale l'accertamento sulla società costituisce antecedente logico, trae spunto dal vincolo di solidarietà e reciproco controllo che lega i soci delle piccole s.r.l. partecipate da un numero limitato di soggetti. Il ragionamento induttivo si fonda sul fatto che, in tali realtà aziendali, si può ritenere che i maggiori utili non dichiarati vengano distribuiti a ciascun socio in misura proporzionale alle quote di partecipazione da questi detenute. La Cassazione è ferma nel ritenere che è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (Cass. n. 5076/2011; n. 9519/09 e n. 64/2003; nonché Cass. n. 6780/2003; n. 7564/2003; n. 16885/2003; n. 18640/208; n.8954/13). A questa tendenza si è allineata la maggior parte della giurisprudenza di merito (CTR Emilia Romagna, n. 965/11/17). Il principio è stato completato precisandosi che la presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio può essere vinta con la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (Cass. n.1932/2016; n. 17461/2017; n. 26873/2016) attraverso un ragionamento deduttivo del giudice di merito incensurabile in Cassazione sotto il profilo della violazione di legge. (Cass. n. 18042/18).

Così pure, Cass. Civ., n. 32468/2018, “… In particolare, si rileva che per questa Corte è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (Cass. Civ., n. 5076/2011; Cass. Civ., n. 9519/2009; Cass.Civ., 7564/2003; Cass.Civ., 18 ottobre 2017, n. 24534), non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l'esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (Cass. Civ., 22 novembre 2017, n. 27778). Tuttavia, tale principio è stato completato precisandosi che la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio può essere vinta dal contribuente fornendo la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (Cass.Civ., n. 1932/2016; Cass.Civ., 17461/2017; Cass.Civ., 26873/2016; Cass.Civ., 9 luglio 2018, n. 18042; cass.Civ., 27 settembre 2018, n. 23247)”; e Cass. n. 28686/2018: La Commissione Tributaria, infatti, affermando che, affinchè i redditi extrabilancio possano essere legittimamente tassati in capo ai soci la presunzione deve poggiare su una reale molteplicità di elementi gravi, precisi e concordanti, così come richiesto dall'art. 2729 c.c., non ha fatto buon governo del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, (Sez. 6, n. 18042 del 9 luglio 2018), secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di provare che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati o reinvestiti dalla società, nonchè di dimostrare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria; (ex plurimis, Cass. n. 27778/2017, Cass. n. 5076/2011, n. 9519/2009 e n. 7564/2003; Cass. n. 6780/2003; Cass. n. 7564 de1 2003; Cass. n. 16885/2003; Cass. n. 18640/2008; Cass. n. 8954/2013).

Tale principio è stato completato precisandosi che la presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio può essere vinta dando la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (cfr. Cass. n. 1932/2016, Cass. n. 17461/2017, Cass. Civ., n. 26873/2016) attraverso un ragionamento deduttivo del giudice di merito incensurabile in cassazione sotto il profilo della violazione di legge.

Il ribaltamento sui soci

a prassi degli uffici finanziari, condivisa dalla Corte di Cassazione, è di ribaltare sui soci il maggior reddito accertato in capo alla società, pur in assenza di una minima prova in ordine alla effettiva distribuzione dell'utile stesso. L'accertamento in capo ai soci di società di capitali a ristretta base sociale può dipendere dalla rettifica eseguita nei confronti della società, ma soltanto quando quest'ultima è divenuta definitiva (Cass. Civ., n. 20870/2010).

Da parte della Cassazione rappresenta un'apertura la sentenza n. 25115/2014 (e anche sentenza n. 28806/2013) che condiziona, in tema di ristretta base azionaria, la presunzione di distribuzione ai soci degli utili conseguiti alla dimostrazione, da parte dell'Ufficio, della sussistenza di una ristretta base sociale. Condividendo l'impostazione dei giudici di merito, la Cassazione con la sentenza n. 923/2016, riconosce la validità della presunzione di distribuzione degli utili nelle società a ristretta base partecipativa. Nelle precedenti fasi dibattimentali, i Collegi giudicanti avevano valutato le fonti di prova provvedendo a raffrontare il difetto, a carico dell'Ufficio appellante, di elementi positivi di dimostrazione dell'avvenuta distribuzione (ulteriori, ovviamente, rispetto alla presunzione) con l'avvenuta integrazione di fonti di prova sufficientemente valide da parte della contribuente. Se vengono accertati utili non contabilizzati a carico di società di capitali a ristretta base azionaria, opera la presunzione di attribuzione degli stessi ai soci, con inversione dell'onere della prova a loro carico, fornendo dimostrazione di non averli percepiti, o che gli stessi sono stati accantonati o reinvestiti (Cass. Civ., n. 24534/17). Con sentenza n. 13084/2017, la Corte di Cassazione ha ritenuto un principio pacifico che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo a quelli di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale, perché possa operare la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili occorre, fra l'altro, che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l'accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi (Cass. Civ., n. 11680/2016; n. 9711/2015; n. 9341/2015; n. 20870/2010).

Utili extracontabili e giudicato

Con riferimento al giudicato, è stato affermato che la sentenza di accertamento dell'utile extracontabile sociale, emessa nel giudizio tra una società di capitali a ristretta base sociale e l'Amministrazione finanziaria, se divenuta irrevocabile perché passata in giudicato, fa stato, anche nei confronti del socio. Ciò, in virtù dell'efficacia riflessa del giudicato, estesa ai soggetti estranei al processo, ma titolari di diritti dipendenti o subordinati alla situazione giuridica in esso definita (Cass. Civ., n. 11680/2016).

Così pure, in caso di accertamento di una società di capitali a ristretta base societaria, con rettifica in aumento del reddito imponibile, può essere contestata al socio l'omessa indicazione di un reddito di capitale, in proporzione delle quote possedute. Secondo la prevalente giurisprudenza, il ridotto numero dei soci consente infatti di presumere che vi sia un reciproco controllo della gestione e che gli utili extracontabili (sia derivanti da ricavi considerati evasi dalla società e sia da costi ritenuti indeducibili) siano stati ripartiti tra i soci.

La contestazione d'indeducibilità dei costi

In caso di accertamento derivante dalla contestazione di indeducibilità di costi, la Cassazione (n. 17959/2012; n. 17960/2012) ha ritenuto che “i costi costituiscono un elemento importante ai fini della determinazione del reddito d'impresa, sicché, allorquando essi siano fittizi o indeducibili, scatta la presunzione che il medesimo è maggiore di quanto dichiarato, con la conseguenza che non si può riscontrare alcuna differenza tra la percezione di maggiori ricavi e l'indeducibilità o inesistenza di costi”.

In senso contrario a tale impostazione, la CTR Lazio ha ritenuto che la presunzione di distribuzione può essere legittima solo qualora sia fondata sull'esistenza di ricavi non contabilizzati e/o costi inesistenti, in quanto sono le uniche ipotesi in cui è “logicamente presumibile ritenere che i soci abbiano incassato somme in nero” (n. 574/2010).

La Cassazione non ha esitato a qualificare come apodittica l'affermazione per cui l'imputazione al socio dei maggiori utili societari nelle società a ristretta base sociale appare dettata dal buon senso e dall' id quod plerumque accidit (Cass. Civ., n. 14046/2009). Anche ai sensi dell'art. 38, c. 3, d.P.R. n. 600/1973 occorre la prova dell'effettiva percezione del maggior utile da parte dei soci, la quale necessita di altri elementi che confermino la valenza probatoria della ristretta base sociale usualmente ma isolatamente addotta per motivare l'accertamento dei soci. Pertanto, sorge l'onere degli Uffici di attivarsi per ricercare "fatti-indice" di erogazioni derivate e consequenziali della fonte principale: il bilancio societario, quale possibile provenienza di mezzi per l'instaurazione di ulteriori sintomatiche fonti, quali, ad esempio, conti bancari/postali o di altro genere dei soci con movimenti, nel periodo di imposta accertato o nei successivi, ricollegabili per entità agli utili extra-contabili accertati ai soci stessi; eventuali acquisti immobiliari, nelle stesse circostanze temporali; operazioni finanziarie (acquisto di titoli, di fondi comuni, di partecipazioni in altre società ecc.); polizze per rendite vitalizie o pensionistiche; tenore di vita (abitazioni; disponibilità di personale domestico; soggiorni all'estero; viaggi; crociere; automobili di lusso, ecc.).

In conclusione
Conclusivamente, esiste una "distanza" logica, che va colmata, tra esistenza di utili occulti ed effettiva distribuzione ai soci: la ristretta base sociale è insufficiente a far ritenere che gli utili societari occulti siano stati effettivamente ripartiti tra i soci, in mancanza di altri elementi che rendano l'ipotesi quantomeno "più probabile" rispetto ad altre possibili. In merito alla necessità che l'Amministrazione finanziaria individui - oltre alla ristretta compagine sociale - altri elementi a sostegno dell'avvenuta distribuzione degli utili occulti, la Cassazione non si è espressamente soffermata. Si è limitata ad affermare che "va condiviso il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo cui 'è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sia stati fatti oggetto di distribuzione". Così implicitamente ritenendo che la ristretta base sociale sia sufficiente, da sola, a fondare la presunzione di distribuzione degli utili occulti, salva la possibilità per il contribuente di provare la mancata percezione degli utili in nero della società. In realtà appare rilevante individuare le modalità concrete di perfezionamento della presunzione, precisando il "valore" della ristrettezza della base societaria nel ragionamento presuntivo sulla distribuzione occulta degli utili societari non dichiarati (Cass. Civ., n. 3254/2000, ove si è sancito che la ristretta base sociale costituisce un "indizio" su cui è anche possibile fondare il ragionamento presuntivo che giunge al fatto ignoto dell'effettiva distribuzione di utili, ma detto ragionamento può essere ritenuto corretto solo in quanto tenga conto di tutti gli elementi della fattispecie esaminata). La ristretta base della compagine sociale è, in altri termini, un dato di fatto che non consente di per sé stesso di trarre come univoca o, comunque, più probabile, rispetto ad altre possibili, la conclusione che gli utili societari non dichiarati siano stati effettivamente distribuiti ai soci.(Fonte: IlTributario.it)

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