Codice Civile art. 1665 - Verifica e pagamento dell'opera.

Francesco Agnino

Verifica e pagamento dell'opera.

[I]. Il committente, prima di ricevere la consegna, ha diritto di verificare l'opera compiuta [1666 1].

[II]. La verifica deve esser fatta dal committente appena l'appaltatore lo mette in condizione di poterla eseguire.

[III]. Se, nonostante l'invito fattogli dall'appaltatore, il committente tralascia di procedere alla verifica senza giusti motivi, ovvero non ne comunica il risultato entro un breve termine, l'opera si considera accettata.

[IV]. Se il committente riceve senza riserve la consegna dell'opera, questa si considera accettata ancorché non si sia proceduto alla verifica [1666 2].

[V]. Salvo diversa pattuizione o uso contrario, l'appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo quando l'opera è accettata dal committente [181 trans.].

Inquadramento

La verifica è prevista per consentire al committente di analizzare se l'opera corrisponde a quanto pattuito ovvero se presenta dei vizi. Essa è un atto necessario del committente e questi deve compierlo, altresì, senza ritardo, ciò in quanto è seguita dalla accettazione che segna il momento dal quale l'appaltatore ha diritto a ricevere il corrispettivo.

Opere pubbliche e verbale di ultimazione dei lavori

In tema di appalto di opere pubbliche, il verbale di ultimazione dei lavori e la consegna delle chiavi trasferiscono al committente sia il possesso dell'opera sia il conseguente onere di custodia, senza che sia anche necessario il collaudo (o il rilascio del relativo certificato), che costituisce l'atto formale indispensabile ai soli fini dell'accettazione dell'opera da parte della P.A. (Cass. n. 8874/2014: nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da responsabilità l'appaltatore con riferimento agli atti vandalici subiti dall'opera pubblica in epoca successiva alla redazione del verbale di ultimazione dei lavori, con liquidazione del saldo e consegna delle chiavi, nonché all'esecuzione del collaudo, ma prima che fosse emesso il certificato).

All'appalto di opera pubblica rimane estraneo un momento della «consegna» dell'opera (così come conosciuto, in generale, dagli artt. 1665 e 1667), inteso come atto sostanzialmente unitario e tendenzialmente istantaneo, il quale, seguendo l'ultimazione dei lavori, implica, per il committente che voglia evitare di essere ritenuto «accettante», il coevo insorgere dell'onere di una precisa formulazione di riserve. A tale riguardo, infatti, l'appalto di opera pubblica conosce, sul piano della «consegna» dell'opera, tutta una serie di atti i quali, partendo dal verbale di ultimazione dei lavori, sono destinati a confluire nel collaudo, solo a partire dall'esito del quale prendono corpo e significato sia la tematica dell'accettazione dell'opera, sia quella di un'eventuale decadenza del committente dalla possibilità di far valere difformità e vizi, sia, infine, quella della prescrizione dell'azione volta a far valere la garanzia per tali vizi. Né, alla consegna dell'opera pubblica prima del collaudo è applicabile la presunzione di cui all'art. 1665, comma 4, giacché la consegna di un'opera siffatta non può che intendersi attuata con riserva di verifica essendo il solo collaudo l'atto formale indispensabile ai fini dell'accettazione dell'opera stessa da parte della p.a.

Il contratto di appalto di opera pubblica si considera ultimato solo a seguito del collaudo, che rappresenta l'unico atto attraverso il quale la p.a. può verificare se l'obbligazione dell'appaltatore sia stata regolarmente eseguita, e che è indispensabile ai fini dell'accettazione dell'opera da parte della stazione appaltante, mentre resta estraneo, e non rileva, il momento della consegna, come disciplinato, in generale, dagli artt. 1665 e 1667 c.c. (Cass. n. 2037/2016, così statuendo, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva valorizzato, quale prova del completamento di un tale contratto, la mancanza di specifiche eccezioni della p.a. circa la sua regolare esecuzione — che evocava una sorta di accettazione tacita — e l'emissione della fattura, benché il collaudo non fosse stato effettuato).

In dottrina si è sostenuto che il collaudo differisce, differisce dalla verifica perché non è un accertamento in senso tecnico, ma un atto giuridico non negoziale (Capozzi, 145). precisamente, una dichiarazione di scienza (Rubino-Iudica, in Comm. S. B., 2007, 134, con la quale il committente comunica all'appaltatore il risultato, positivo o negativo della verifica già effettuata).

Con il che appare chiaro come la ultimazione dei lavori consacrata nel verbale e la correlata traditio clavium conferiscono all'appaltante il possesso dell'opera, ferme restando le riserve dell'appaltatore e le facoltà di contestazione dell'appaltante che solo il collaudo vedrà sciolte, ma certamente con detto verbale l'onere di custodia, di norma, si trasferisce sulla committente (Cass. n. 8874/2014; Cass. n. 15013/2011).

L'art. 5 l. n. 741/1981, ora abrogato dal d.P.R. n. 554/1999, che è norma di carattere generale applicabile a tutte le procedure di esecuzione di opere pubbliche, prevede i termini entro i quali deve essere compiuto il collaudo, delinea con certezza il periodo superato il quale, perdurando l'inerzia dell'ente committente, quest'ultimo deve ritenersi inadempiente (Cass. n. 17314/2011).

Da ciò consegue che i maggiori oneri derivanti all'appaltatore dal ritardato collaudo colpevole della P.A., relativi alla protrazione delle spese di vigilanza e custodia dell'opera, ai quali sono da aggiungere nel caso di specie, quelli relative alla conservazione delle polizze fideiussorie, intrinsecamente connesse alla mancata consegna di essa, sono senz'altro dovuti, secondo la giurisprudenza costante di legittimità, quando siano state richieste all'atto del collaudo (Cass. n. 11188/2001). La riserva secondo la definizione normativa (art. 165 d.P.R. n. 554/1999, e successivamente secondo l'art. 191 d.P.R. n. 207/2010) è soggetta ad un obbligo di tempestività che, tuttavia, non può che essere successivo all'insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell'appaltatore. La formulazione della riserva, in caso di ritardo colpevole del collaudo, assolve alla funzione di richiesta tempestiva dei maggiori oneri sostenuti per la mancata consegna dell'opera. Deve osservarsi, peraltro, che la funzione tipica dell'iscrizione della o delle riserve nel contratto d'appalto pubblico, consiste proprio nella contestazione di una contabilizzazione che sfocia nella domanda di un maggior importo dovuto a prestazioni eseguite e a costi non riconosciuti. Ne consegue che la qualificazione astratta di tale domanda come riserva, come richiesta di compenso, d'indennità o di risarcimento non può incidere sul riconoscimento del diritto che si fonda esclusivamente sul duplice fatto costitutivo del ritardo colpevole della P.A. nel collaudo e della realizzazione di oneri ulteriori causalmente connessi al predetto ritardo (Cass. n. 11945/2018; Cass. n. 11889/2014).

L'art. 5 l. n. 741/1981 dispone che «la collaudazione dei lavori pubblici deve essere conclusa entro sei mesi dalla data di ultimazione dei lavori. Nel caso di lavori complessi o qualora lo richieda la particolare natura dei lavori, il capitolato speciale può prolungare tale termine per un periodo comunque non superiore ad un anno dall'ultimazione dei lavori».

Detta norma pone a carico dell'amministrazione l'obbligo di eseguire il collaudo entro un preciso termine, che, nel caso di specie, sembrerebbe essere di un anno dall'ultimazione dei lavori (in virtù dell'art. 24 del capitolato speciale d'appalto).

Se tale termine viene rispettato, il compenso per la manutenzione dell'opera «fino al collaudo» rientra senz'altro tra le prestazioni contemplate nel contratto; se tale termine non viene rispettato, fonte di tale compenso — per il periodo successivo alla scadenza del termine per il compimento del collaudo — non può più ritenersi il contratto, ma il ritardo della p.a. nella effettuazione del collaudo, in violazione di un obbligo legale e, qualora il termine per il collaudo sia previsto nel capitolato speciale, anche pattizio.

In tal senso ha avuto già occasione di esprimersi la Corte di cassazione che ha affermato il principio, secondo cui il diritto dell'appaltatore di opera pubblica di essere compensato per attività di vigilanza e custodia dell'opera medesima, che si sia resa necessaria in relazione al ritardo dell'amministrazione nel dare inizio al collaudo, nonostante la scadenza del termine all'uopo fissato, configura un credito per prestazioni non contemplate dal contratto, che va riconosciuto alla stregua dell'imputabilità di quel ritardo alla committente e sempreché l'appaltatore ne abbia fatto richiesta nell'atto di collaudo, salvo il riconoscimento formale ed esplicito della debitrice (Cass. n. 113/1985).

La realizzazione di ulteriori opere rispetto a quelle oggetto del capitolato annesso al contratto di appalto comporta il venir meno del termine di consegna e della penale per il ritardo pattuiti nel contratto, oltre che l'insussistenza di una valida causa di inadempimento contrattuale a carico dell'appaltatore. Pertanto, perché la penale conservi efficacia, occorre che le parti, di comune accordo, fissino un nuovo termine In mancanza il committente che chieda il risarcimento del danno da ritardata consegna dell'opera deve provare le concrete ricadute pregiudizievoli subite (App. Perugia, 20 agosto 2021, n. 483).

Accettazione tacita

In tema di appalto, l'art. 1665, pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell'opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell'accettazione da parte del committente e, in particolare, al comma 4 prevede come presupposto dell'accettazione (da qualificare come tacita) la consegna dell'opera al committente (alla quale è parificabile l'immissione nel possesso) e come fatto concludente la «ricezione senza riserve» da parte di quest'ultimo anche se «non si sia proceduto alla verifica». Bisogna, però, distinguere tra atto di «consegna» e atto di «accettazione» dell'opera: la consegna costituisce un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre l'accettazione esige, al contrario, che il committente esprima (anche per facta concludentia) il gradimento dell'opera stessa, con conseguente manifestazione negoziale la quale comporta effetti ben determinati, quali l'esonero dell'appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell'opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo (Cass. n. 15711/2013).

Peraltro, la presa in consegna dell'opera da parte del committente non equivale, ipso facto, ad accettazione della medesima senza riserve, e quindi ad una accettazione tacita pur in difetto di verifica, ex art. 1665, comma 4, occorrendo in concreto stabilire se nel comportamento delle parti siano o meno ravvisabili elementi contrastanti con la presunta volontà di accettare l'opera senza riserve (Cass. n. 12829/2004).

Si è affermato che in tema di appalto, l'accettazione dell'opera che, ai sensi dell'art. 1665, si verifica quando il committente tralasci di procedere alla verifica senza giusti motivi o non ne comunichi il risultato entro breve termine (comma 3), oppure riceva la consegna dell'opera senza riserve (comma 4), si distingue sia dalla verifica che dal collaudo perché la prima si risolve nelle attività materiali di accertamento della qualità dell'opera e il secondo consiste nel successivo giudizio sull'opera stessa; l'accettazione, invece, è un atto negoziale che esige che il committente esprima, anche per facta concludentia il gradimento dell'opera stessa e che comporta l'esonero dell'appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità (Cass. n. 4051/2016, nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza della corte di merito che aveva ritenuto vi fosse accettazione per le sole circostanze della mancata doglianza circa l'effettuazione dei lavori, del pagamento di acconti sul prezzo, e del rinvio del collaudo).

Occorre distinguere tra atto di «consegna» e atto di «accettazione» dell'opera: la consegna costituisce un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre l'accettazione esige, al contrario, che il committente esprima (anche per facta concludentia) il gradimento dell'opera stessa, con conseguente manifestazione negoziale che comporta effetti ben determinati, quali l'esonero dell'appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell'opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo (Cass. n. 19019/2017; Cass. n. 15711/2013; Cass. n. 11349/2004; Cass. n. 7260/2003). L'art. 1665 c.c., poi, pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell'opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell'accettazione da parte del committente e, in particolare, al comma 4, prevede come presupposto dell'accettazione (da qualificare come tacita) la consegna dell'opera al committente (alla quale è parificabile l'immissione nel possesso) e come fatto concludente la ricezione senza riserve da parte di quest'ultimo, anche se non si sia proceduto alla verifica. La concreta esistenza di tali circostanze costituisce, poi, una quaestio facti rimessa all'apprezzamento del giudice del merito (Cass. n. 4353/2000; Cass. n. 3742/1994).

In tema di appalto, qualora il committente, rilevata l'esistenza di vizi dell'opera, non ne pretenda l'eliminazione diretta da parte dell'esecutore del lavoro, chiedendo, invece, il risarcimento del danno per l'inesatto adempimento, il credito dell'appaltatore per il corrispettivo pattuito non viene messo in discussione (Cass. n. 1386/1979; Cass. n. 4606/1981; Cass. n. 644/1999; Cass. n. 5496/2002).

Compenso del progettista

La Corte di cassazione ha più volte affermato che, l'architetto, l'ingegnere o il geometra, nell'espletamento dell'attività professionale consistente nell'obbligazione di redigere un progetto di costruzione o di ristrutturazione di un immobile, è debitore di un risultato, essendo il professionista tenuto alla prestazione di un progetto concretamente utilizzabile, anche dal punto di vista tecnico e giuridico.

Da ciò consegue che l'irrealizzabilità dell'opera, per erroneità o inadeguatezza del progetto affidatogli, dà luogo ad un inadempimento dell'incarico ed abilita il committente a rifiutare di corrispondere il compenso, avvalendosi dell'eccezione di inadempimento (Cass. n. 1214/2017).

Laddove invece, l'opera sia affetta da vizi e difformità che non ne comportano la radicale inutilizzabilità, ed il committente non ne pretenda l'eliminazione diretta da parte dell'esecutore dell'opera, chiedendo invece il risarcimento del danno per l'inesatto adempimento, come detti vizi non escludono il diritto dell'appaltatore al corrispettivo (Cass. n. 6009/2012), così non escludono neppure il diritto al compenso in capo al progettista ed al direttore dei lavori per l'opera professionale prestata.

L'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., postula infatti la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, in relazione alla oggettiva gravità degli stessi, avuto riguardo all'intero equilibrio del contratto, da valutarsi secondo buona fede (Cass. n. 2855/2005) onde se l'opera sia stata comunque eseguita, seppure con difetti che non ne escludono l'utilità, il committente ha il diritto al risarcimento del danno, ma non può rifiutare il pagamento del compenso.

Nel contratto d'opera intellettuale, qualora il committente non abbia chiesto la risoluzione per inadempimento, ma solo il risarcimento dei danni, il professionista mantiene dunque il diritto al corrispettivo della prestazione eseguita, in quanto la domanda risarcitoria non presuppone lo scioglimento del contratto e le ragioni del committente trovano in essa adeguata tutela (Cass. n. 6886/2014).

Pertanto, in tema di appalto, qualora l'opera sia affetta da vizi e difformità che non ne comportano la radicale inutilizzabilità, ed il committente non ne pretenda l'eliminazione diretta da parte dell'esecutore, limitandosi, invece, a chiedere il risarcimento del danno per l'inesatto adempimento, i detti vizi non escludono il diritto al compenso in capo al progettista ed al direttore dei lavori per l'opera professionale prestata, in quanto la domanda risarcitoria non presuppone lo scioglimento del contratto e le ragioni del committente trovano in essa adeguata tutela (Cass. n. 29218/2017).

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