Dopo la Corte Edu G.I.E.M. c. Italia, la S.C. ragiona su reato prescritto e proporzionalità della confisca urbanistica
22 Maggio 2019
Abstract
Gli Autori dedicano questo scritto al Prof. Amedeo Franco prematuramente scomparso. Già Presidente della Sezione Terza della Suprema Corte, fine studioso e sapiente conoscitore della materia, anche oggetto del presente lavoro, è stato giurista dalle ineguagliate capacità, docente stimato, costantemente impegnato nella ricerca, lascia innumerevoli contributi a tutta la comunità scientifica.
La Terza Sezione della Suprema Corte, affronta, nuovamente, il tema relativo alla confisca urbanistica ex art. 44, comma 2, d.P.R. 380/2001, nell'ipotesi di proscioglimento dell'imputato per intervenuta prescrizione. In particolare, la sentenza n. 8350, depositata il 26 febbraio 2019, svolge una panoramica sulla confisca urbanistica prendendo in considerazione, per la prima volta, la sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo resa nel caso G.I.E.M. c. Italia, non senza soffermarsi sui principi enucleati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 49 del 2015, emessa nella medesima vicenda della lottizzazione abusiva del “Villaggio del Parco” di Sabaudia, ora nuovamente vagliata dal Giudice di legittimità. La confisca urbanistica
di Francesco Vergine
Come noto, l'art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380, del 6 giugno 2001, testualmente, stabilisce che: «la sentenza definitiva che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite». La Corte della nomofilachia era assestata sul punto che la confisca dei terreni potesse essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato, purché fosse accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio idoneo ad assicurare il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, nonché atto a verificare l'esistenza di profili quantomeno di colpa dei soggetti incisi dalla misura, sotto l'aspetto dell'imprudenza della negligenza e del difetto di vigilanza (cfr. Cass., sez. III, 4 febbraio 2013, n. 17066; Sez. III, 13 luglio 2009, n. 39078). La misura veniva sistematicamente applicata, pur se essa presentava profili di problematicità derivanti, in maggior misura, dalla circostanza che la giurisprudenza le conferisse il carattere di sanzione amministrativa accessoria reale (in argomento Vinciguerra, Appunti su lottizzazione abusiva e confisca, Giur. It.,2005, p. 1912; Esposito, La confisca nei reati urbanistici e ambientali, in Montagna (a cura di), Sequestro e Confisca, Torino, 2017, p. 515 ss.). Proprio in virtù di tale natura, la sentenza doveva “accertare” la lottizzazione abusiva, senza che ciò avvenisse per il tramite di una pronuncia di condanna, ed al contempo la misura ablativa doveva ritenersi efficace ed operante anche in danno di soggetti terzi estranei al reato, i quali, se in buona fede, avevano la possibilità di far valere i loro diritti in sede civile (Cass., Sez. III, 7 luglio 2004, n. 38728, Lazzara; secondo Cass., Sez. III, 7 novembre 2006, n. 6396, la confisca spiegava i suoi effetti non soltanto in caso di estinzione del reato per prescrizione, ma anche in presenza di un esito assolutorio del giudizio con formula diversa dall'insussistenza del fatto. Tale orientamento è stato, però, oggetto di successiva verifica alla luce della sentenza “Sud Fondi” della Corte EDU, la quale, nel prendere in esame il noto caso della lottizzazione “Punta Perotti” di Bari, conclusosi con la confisca disposta nonostante l'assoluzione degli imputati per difetto dell'elemento soggettivo, ha dapprima riconosciuto la ricevibilità del ricorso, considerando la natura di “pena” della confisca, e successivamente ha accertato la violazione degli art. 7 della Convenzione e art. 1 del Protocollo n. 1, dichiarando arbitraria la confisca applicata). In seguito, la nota sentenza Varvara della Corte EDU, nell'attribuire con fermezza la qualifica di sanzione penale alla confisca – ed il corollario che ne deriva della possibilità di irrogare tale misura soltanto nei confronti del soggetto di cui sia stata provata la colpevolezza, riconosciuta da una sentenza di merito – si è spinta fino ad escludere del tutto la confisca urbanistica nel caso in cui il processo si fosse concluso con un proscioglimento per intervenuta prescrizione, scardinando, quindi, l'impostazione nel tempo elaborata da quella giurisprudenza domestica che tentava di conciliare in modo differente i diritti di difesa e di proprietà dell'imputato, con la tutela degli interessi della collettività (cfr. Civello, Al vaglio della Consulta l'incompatibilità tra la confisca urbanistica e prescrizione del reato, alla luce della sentenza Varvara c. Italia, Arch. pen., 2014, p. 11). La principale censura sollevata innanzi ai Giudici di Strasburgo era fondata sul presupposto che, non essendo stati condannati i ricorrenti, la confisca disposta nei loro confronti avrebbe violato l'art. 7 della Convenzione. La Varvara ha, dunque, stabilito che l'irrogazione della confisca, in riferimento al reato di lottizzazione abusiva di cui all'art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/01, nel caso in cui manchi l'accertamento della responsabilità dell'imputato, prosciolto per intervenuta declaratoria di prescrizione, è illegittima perché contrastante con il principio di legalità ex art. 7 Cedu, nonché con l'art. 1, Prot. n. 1, della Convenzione, che tutela il diritto di proprietà individuale. Oltre che in contrasto con i principi essenziali del giusto processo, risultava arbitraria, e priva di base legale, la inflizione del provvedimento ablatorio in assenza di una decisione di condanna. Così, anche le Sezioni Unite della Suprema Corte, nella sentenza Lucci del 21 luglio 2015, condividevano la natura penale della confisca prevista dall'art. 44, comma 2, d.P.R. 380/2001, senza, chiaramente, esimersi dai necessari e dovuti riferimenti al panorama europeo (Si rimanda a Sez. Un., 21 luglio 2015, Lucci, n. 31617, § 10 «Ciò che risulta “convenzionalmente imposto” alla luce delle richiamate pronunce della Corte EDU, e “costituzionalmente compatibile” in ragione delle linee-guida tracciate dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza n. 39 del 2015, è che la responsabilità sia stata accertata con una sentenza di condanna, anche se il processo è stato definito con una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione»). Del resto, proprio sul tema dell'applicabilità della confisca anche nel caso in cui manchi l'accertamento di merito della colpevolezza del soggetto nei cui confronti opera la misura (oltre che dei terzi acquirenti del bene successivamente confiscato) e, più in particolare, sulla preclusione alla valutazione della colpevolezza che importa l'intervenuta prescrizione del reato, la Corte europea dei diritti dell'uomo, nel caso Varvara, aveva assunto una decisione di notevole rilievo, all'esito di un lungo percorso avviatosi a partire dal 2007 con le note sentenze 30 agosto 2007 Sud Fondi c. Italia (in Cass. pen., 2008, p. 3504 ss., con nota di Balsamo, La speciale confisca contro la lottizzazione abusive davanti alla Corte Europea), ed ancora prima, sin dagli anni '70, con la sentenza 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi, nel senso che la dichiarazione di prescrizione escludesse la confisca (in Publications de la Cour Européenne des Droits de l'Homme,1977, Serie A, p. 36). La sentenza Varvara, che ha condannato l'Italia, rappresenta, dunque, un'evoluzione rispetto alla giurisprudenza antecedente, la quale consentiva l'applicazione della confisca anche a prescindere dall'emissione di una condanna(così Galluzzo, Lottizzazione abusiva: la declaratoria della prescrizione preclude l'irrogazione della confisca, Dir. pen. proc., speciale CEDU, 2014, p. 57 ss.). La confisca senza condanna
di Francesco Vergine
La rivoluzione esegetica attivata dalla Varvara toccava, in effetti, proprio la vicenda vagliata dalla Terza Sezione della Corte regolatrice, la quale si trova a dover rianalizzare il caso della lottizzazione abusiva del Villaggio del Parco di Sabaudia, dopo che, nell'ambito del medesimo procedimento, era stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, come interpretato dalla appena citata sentenza della Corte EDU (La Corte di Cassazione si pronunciava con declaratoria di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, – nel senso che la confisca urbanistica non può applicarsi nel caso di declaratoria di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi, per violazione degli artt. 2, 9, 32, 41, 42, 117, comma 1, Cost. – sollevata con l'ordinanza 20636/2014 nell'ambito del procedimento di cui alla sentenza in commento). Dal canto suo, la Consulta, con sentenza n. 49 del 2015, dichiarava inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di Cassazione e dal Tribunale ordinario di Teramo in composizione monocratica, nell'alveo di una lettura che negava ogni conflitto sostanziale con la pronuncia sovranazionale, assumendo un atteggiamento che delegittimava la portata della pronuncia europea e rivendicando autonomia domestica. V'è da rilevare, infatti, come le posizioni argomentative assunte dalla Corte di Strasburgo e quelle della Corte costituzionale, concernenti il provvedimento ablatorio disposto per il reato di lottizzazione abusiva in una sentenza di non doversi procedere per prescrizione del reato, si mostrano, in diversi punti, in distonia. Si giunge, dunque, a una richiesta corale di intervento della Grande Camera, invocata anche dalla dottrina, che ribadiva come la tendenza a consentire automaticamente il provvedimento ablativo comportasse un insanabile contrasto con le posizioni giuridiche fondamentali della persona, salvaguardate sia dalla Convenzione europea che dalla nostra Carta costituzionale (cfr. Chelo, La confisca urbanistica senza condanna: per la Cassazione si può, ma I dubbi restano tanti, in IlPenalista, 25 marzo 2019; Pierro, Confisca per lottizzazione abusiva sentenza di non doversi procedere per prescrizione del reato in attesa della pronuncia della Grande Camera, in Dir. pen. proc., 2016, p. 397 ss). Nella motivazione della sentenza n. 49, il Giudice delle leggi opera una difesa intransigente di un diritto giurisprudenziale interno, escludendo che la Corte EDU possa determinare il significato della legge nazionale, dovendo invece valutare «se essa, come definita ed applicata dalle autorità nazionali abbia, nel caso sottoposto a giudizio, generato violazioni delle superiori previsioni della CEDU» (Secondo Corte Cost., 14 gennaio 2015, n. 49 «Il giudice nazionale non può spogliarsi della funzione che gli è stata assegnata dall'art. 101, secondo comma, Cost., con il quale si «esprime l'esigenza che il giudice non riceva se non dalla legge l'indicazione delle regole da applicare nel giudizio, e che nessun'altra autorità possa quindi dare al giudice ordini o suggerimenti circa il modo di giudicare in concreto».) Ebbene, la richiamata diatriba (sul tema cfr. Viganò, La consulta e la tela di Penelope, Osservazioni a primissima lettura su C. Cost., sent. 26 marzo 2015, n. 49, Pres. Criscuolo, Rel. Lattanzi, in materia di confisca di terreni abusivamente lottizzati e proscioglimento per prescrizione, in Dir. pen. cont., 30 marzo 2015, 3) sulla compatibilità della irrogazione della confisca urbanistica per lottizzazione abusiva nel quadro di una sentenza di non doversi procedere per prescrizione del reato, alimentata dalla sentenza Varvara, nonché dalla sentenza n. 49 del 2015 della Consulta, viene ad essere declinata nelle argomentazioni della pronuncia in commento. L'estesa motivazione della terza sezione, dunque, dona risalto al postulato – sposato dalla Consulta nel provvedimento 49/2015 – secondo il quale le decisioni della Corte EDU, ancorché tendano ad assumere valore generale e di principio, restano pur sempre legate alla concretezza della situazione da cui sono originate, giacché deporrebbe in tal senso anche quanto affermato dalle Sezioni Unite Dasgupta, laddove si richiama la natura eminentemente casistica delle decisioni dei giudici di Strasburgo. L'orientamento della Corte di Cassazione prima della pronuncia della Grande Camera
di Gabriella Micheli
Nelle more tra la sentenza Varvara e la pronuncia della Grande Chambre nel caso G.I.E.M. ed altri c. Italia, è stata sottoposta al vaglio dei Giudici di piazza Cavour la questione concernente la confisca conseguente a lottizzazione abusiva al di fuori dei casi di condanna. Ebbene, le considerazioni svolte dalla Corte della nomofilachia prendevano le mosse dal contenuto letterale della disposizione sulla confisca obbligatoria, prevista dall'art. 44, lett. c) d.P.R. 380/01, quale conseguenza della lottizzazione abusiva, giacché quest'ultima, non riferendosi espressamente ad una sentenza di condanna, consentiva la misura ablativa nei casi in cui l'esistenza della lottizzazione fosse stata semplicemente accertata (Tale formulazione della norma è stata originariamente interpretata nel senso che la confisca possa applicarsi in tutti i casi in cui tale accertamento sia avvenuto, indipendentemente dalla condanna dei responsabili della lottizzazione ritenendosi tale conseguenza come espressamente voluta dal legislatore sulla base del confronto con quanto diversamente previsto dall'art. 31 del d.P.R. 380/2001, il quale fa esplicito riferimento alla sentenza di condanna nel prendere in considerazione l'ordine di demolizione impartito dal giudice. Cfr. Cass., sez. III, 25 maggio 2017, n. 32363, Mantione). L'orientamento di legittimità, dunque, evidenziava come la Corte costituzionale, con la sentenza 49/2015, pur dichiarando l'inammissibilità della questione, avesse preso in considerazione gli abbrivi della Corte EDU, confermando che il proscioglimento per prescrizione ben potesse accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità, ai soli fini della confisca del bene lottizzato. Del resto, l'imprimatur del Giudice delle leggi aveva setacciato la posizione dei terzi acquirenti dei beni lottizzati, ribadendo che la confisca urbanistica, costituendo sanzione penale ai sensi dell'art. 7 della CEDU, potesse operare solo nei confronti del soggetto la cui responsabilità sia stata accertata in ragione di un legame intellettuale, di coscienza e volontà, con i fatti. Sicché, sia che la misura colpisca l'imputato, sia che raggiunga il terzo acquirente di mala fede estraneo al reato, si rende necessario che il giudice penale accerti la responsabilità delle persone che la subiscono, attenendosi ad adeguati standard probatori e rifuggendo da clausole di stile che non siano capaci di dar conto dell'effettivo apprezzamento compiuto. Da tali premesse, la Consulta chiariva che il terzo acquirente di buona fede – il quale ha a buon titolo confidato nella conformità del bene alla normativa urbanistica – non può in nessun caso subire la confisca. Su questa scia interpretativa, la Corte di cassazione precisava che il giudice dell'esecuzione fosse l'unico a poter giudicare della pretesa avanzata in executivis dal terzo in relazione al bene confiscato, nell'ipotesi in cui quest'ultimo non abbia potuto far valere le proprie istanze davanti al giudice della cognizione (cfr. Cass., Sez. Un., 25 settembre 2014, n. 11170), rimanendo assicurato il contraddittorio, il diritto di difesa, nonché la pubblicità dell'udienza (nello specifico, cfr., Corte Cost. 109/2015, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 666, comma 3, 667, comma 4, e 676 c.p.p. nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l'ordinanza in materia di applicazione della confisca si svolga davanti al giudice dell'esecuzione, nelle forme dell'udienza pubblica. La Corte evidenzia come il provvedimento ablativo possa «colpire un soggetto rimasto estraneo al giudizio di cognizione e che non ha avuto, quindi, neppure la possibilità di fruire della garanzia della pubblicità delle udienze nell'ambito di detto giudizio»; si segnala anche Cass., Sez. III, 24 ottobre 2013, n. 51387, ove si afferma il principio secondo il quale «in tema di lottizzazione abusiva, rientra nella sfera di cognizione del giudice dell'esecuzione l'accertamento della sussistenza di profili di colpa a carico del terzo acquirente, nei confronti del quale può essere disposta la confisca del bene qualora abbia omesso di assumere le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento edilizio con gli strumenti urbanistici». Si veda, Vergine, Poteri cognitivi del giudice dell'esecuzione e applicazione della confisca in sede esecutiva, in Gaito-Spangher (diretto da), La giustizia penale differenziata, tomo III, Montagna (a cura di), Gli accertamenti complementari, Torino, 2011, p. 1051 ss.). Del resto, per “soggetto terzo” viene intesa la persona estranea al reato, ovvero quella che non solo non abbia partecipato alla commissione del reato, ma che da esso non abbia ricavato vantaggi e utilità. Da tanto ne deriva la piena operatività della confisca nei confronti del terzo, in relazione al quale è esclusa la buona fede (Cass., Sez. III, 9 luglio 2009, n. 36844; Sez. III, 18 ottobre 2012, n. 45833; Sez. III, 26 giugno 2008, n. 37472). Ebbene, anche la posizione del terzo è stata analizzata per la soluzione della questione posta nella sentenza in commento, ponendo mente proprio ad altro precedente della medesima sezione, ove la controversia era stata affrontata richiamando anche i contenuti della pronuncia “Sud Fondi” della Corte EDU e della sentenza 239/2009 della Corte costituzionale, concludendo che, prima della pronuncia G.I.E.M. della Grande Chambre, la Suprema Corte riteneva legittimo il principio secondo cui l'applicazione della confisca urbanistica al di fuori dei casi di condanna, nei confronti del terzo sul cui patrimonio la misura viene ad incidere, rimasto estraneo al procedimento penale, presuppone che da parte del giudice dell'esecuzione siano riscontrabili quantomeno profili di colpa, nell'ambito del relativo procedimento. All'uopo, il richiamato precedente argomentava che «la condotta del terzo non in buona fede è intimamente connessa a quella del venditore, sicché le loro azioni, solo apparentemente distinte, si collegano tra loro determinando la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio, osservando, altresì, che la decisione della Corte EDU non ha affermato in alcun modo che la confisca presuppone una pronuncia di condanna nei confronti del soggetto al quale la cosa appartiene, ribadendo conseguentemente il principio secondo il quale per disporre la confisca prevista dall'art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 (e precedentemente dall'art. 19 della legge n. 47/1985), il soggetto proprietario della res non deve essere necessariamente condannato, in quanto detta sanzione ben può essere disposta allorquando sia stata comunque accertata la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi (soggettivo ed oggettivo) anche se per una causa diversa, quale è, ad esempio, l'intervenuto decorso della prescrizione, non si pervenga alla condanna del suo autore ed alla inflizione della pena» (Cass., Sez. III, 22 aprile 2010). La motivazione della Sezione Terza, richiamando, anche, quanto esplicato in relazione alla sentenza del caso Lega Nord dalla Suprema Corte, spiega che il sistema di garanzie processuali, concesse al terzo nel sistema normativo attualmente vigente, sia da ritenersi conforme ai principi costituzionali e convenzionali, anche nei casi in cui non sia prevista la sua partecipazione al giudizio di cognizione, non imponendosi affatto l'applicazione analogica o evolutiva di altri modelli processuali, e non traendosi contrarie indicazioni dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo(cfr., Cass., Sez. II, 12 ottobre 2018, n. 53384. La decisione ha preso in considerazione anche i principi affermati dalla Grande camera nella sentenza G.I.E.M. s.r.l. ed altri contro Italia, dando tuttavia conto della peculiarità del caso trattato dalla Corte EDU, riguardante un'ipotesi di lottizzazione abusiva).
La motivazione della Sezione Terza della Suprema Corte alla luce della sentenza G.I.E.M. c. Italia
di Gabriella Micheli
La Grande Camera, con la sentenza del 28 giugno 2018, nella causa G.I.E.M. s.r.l. ed altri c/Italia ha statuito che «condicio sine qua non per l'irrogazione della sanzione della confisca è una condanna, anche se non necessariamente passata in formale giudicato» ed ancora che «è compatibile con l'articolo 7 della Cedu la confisca urbanistica disposta a seguito del proscioglimento per intervenuta prescrizione allorquando sia comunque accertata la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi» (Corte EDU, Gr. Cam., 28 giugno 2018, GIEM ed altri c. Italia, in Arch. pen. online, 2018, p. 2 con nota di Dello Russo-Addante, Questioni di confisca e prescrizione: la necessità di una condanna (anche non passata in giudicato). Tuttavia, con riferimento al principio per il quale un soggetto non può essere punito per un atto relativo alla responsabilità di altri, la confisca disposta nei confronti di soggetti o enti che non siano “parti” nel procedimento che la infligge è incompatibile con l'articolo 7 della Cedu (cfr. De longis, Lottizzazione abusiva. La Corte Edu sulla natura della confisca del T.U. edilizia, in IlPenalista, 8 ottobre 2018). La motivazione resa dalla Terza Sezione propone una interpretazione in via sistematica degli abbrivi del Giudice di legittimità domestico e del Giudice europeo, utilizzando come direttrice i principi espressi dalla Grande Chambre nella causa G.I.E.M. s.r.l. c. Italia. Pur qualificando, dunque, la confisca come «pena» in ragione degli scopi prevalentemente repressivi nel senso indicato dall'art. 7 della Convenzione, non viene esclusa la possibilità, per le autorità nazionali, di imporre «pene» mediante procedure diverse dai procedimenti penali nel senso del diritto nazionale. All'uopo, la sentenza in commento richiama precipui precedenti di legittimità (Cass., Sez. III, 10 maggio 2017, n. 53692, Martino; Sez. III, 25 giugno 2018, n. 43630), ripercorrendo le ragioni che hanno portato all'affermazione e confermando, quindi, l'assunto secondo il quale «il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato a condizione che il giudice abbia accertato la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva nelle sue componenti oggettive e soggettive, assicurando alla difesa il più ampio diritto alla prova e al contraddittorio». Sicché, sulla base di tutte le argomentazioni richiamate, la Terza Sezione perviene ad una prima conclusione, chiarendo «che, almeno per quanto riguarda le persone fisiche, la sentenza della Grande Camera deve essere letta come una espressa conferma della correttezza delle conclusioni cui era pervenuta la sentenza Varvara ed il successivo intervento della Corte Costituzionale, riconoscendo al giudice la possibilità di ordinare la confisca del bene lottizzato anche quando pronuncia sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato, purché motivi adeguatamente sull'attribuibilità del fatto all'imputato sotto i profili oggettivo e soggettivo». (Segue). Prescrizione e confisca dei suoli abusivamente lottizzati: possibile in primo grado?
di Gabriella Micheli
Chiarito, dunque, che è in astratto pienamente conforme ai principi nazionali e convenzionali, la compatibilità tra confisca urbanistica e pronuncia di prescrizione, in quest'ultima ipotesi la sentenza in commento ha, altresì, specificato che la misura ablativa può essere ordinata anche dal giudice di primo grado «non potendosi ravvisare nella disposizione dell'art. 578-bis c.p.p., che conferisce detto potere al giudice dell'impugnazione, una preclusione al suo esercizio da parte del giudice di prima istanza».
Difatti, l'art. 578-bis c.p.p., introdotto con il d. lgs. 1 marzo 2018, n. 21, dispone che quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell'art. 240-bis c.p. e da altre disposizioni di legge – riferimento, quest'ultimo, che rende applicabile la disposizione processuale anche alla confisca ex art. 44, d.P.R. n. 380/2001 – il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato.
La disposizione presuppone, dunque, che la confisca sia stata ordinata nel giudizio di primo grado, evidentemente quando il reato non è ancora prescritto e regola solo la fase dell'impugnazione. Tuttavia, a parere della sentenza in commento, da ciò non può inferirsi il divieto, per il giudice di primo grado, di disporre la confisca nel caso in cui dichiari prescritto il reato nonostante l'avvenuto accertamento della lottizzazione illecita.
Nell'economia del ragionamento da ultimo sposato dalla Suprema Corte, non sono, infatti, esportabili, in tema di confisca urbanistica, i principi stabiliti dall'art. 538 c.p.p. Nello specifico, il divieto per il giudice di primo grado di pronunciarsi sulle statuizioni civili, che risiede nella menzionata norma di cui all'art. 538 c.p.p. – a mente della quale il giudice decide sulla domanda di restituzione e risarcimento solo quando pronuncia sentenza di condanna – importa che anche il giudice di appello il quale, nel pronunciare declaratoria del reato per prescrizione, accerti che la causa estintiva è maturata prima della sentenza di primo grado, debba revocare le statuizioni civili in essa contenute (cfr. Cass., Sez. IV, 22 marzo 2018, n. 27393).
Sicché, secondo l'interpretazione fornita dagli Ermellini, l'obbligo di immediata declaratoria di una causa estintiva del reato risulta recessivo rispetto alla necessaria prosecuzione del processo e la conseguente acquisizione delle prove, in funzione di quell'accertamento strumentale all'emanazione del provvedimento finale.
Del resto, la Corte regolatrice ha controbattuto che occorre tenere conto del fatto che l'accertamento possa riguardare atti dell'amministrazione la cui falsità, ove accertata, soggiace ai principi dell'art. 547, comma 5, c.p.p., che obbliga il giudice alla dichiarazione di falsità nel caso di sentenza di proscioglimento.
Non sfugge, tuttavia, il dubbio interpretativo provocato da tale ragionamento, giacché la declaratoria di falsità può avvenire anche incidentalmente, senza alcuna necessità di approfondimento sulla colpevolezza dell'autore del fatto; eventualità espressamente esclusa per la confisca urbanistica (cfr., Dello Russo, Prescrizione e confisca dei suoli abusivamente lottizzati: non è necessaria una sentenza di condanna, neppure in primo grado?, in Arch. pen. online, 2019, 1, p. 5).
Sempre mediante il medesimo schema ermeneutico, nel recente abbrivio, si sostiene che la peculiarità del provvedimento ablatorio urbanistico rispetto ad altre ipotesi di confisca, escluda la possibilità di mutuare le considerazioni espresse dalle Sezioni Unite Lucci, laddove si stabilisce che il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell'art 240, comma 1, n. 1, c.p., la confisca del prezzo e, ai sensi dell'art. 322ter c.p., la confisca diretta del prezzo o profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l'accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell'imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio (cfr., Cass., Sez. Un., 21 luglio 2015, Lucci, n. 31617). In conclusione, in ossequio al principio da ultimo espresso dalla Suprema Corte, nei procedimenti per lottizzazione abusiva il Giudice dibattimentale, anche a fronte di un reato prescritto, dovrà comunque celebrare il processo al fine di accertare se è stata integrata la fattispecie sotto il profilo oggettivo e soggettivo, il cui riscontro porta alla irrogazione della confisca. (Segue). La persona giuridica, estranea al processo, proprietaria del bene confiscato
di Gabriella Micheli
La sentenza affronta, poi, la questione relativa alla possibilità, o meno, di disporre la confisca nei confronti della persona giuridica, proprietaria del bene lottizzato, che sia rimasta estranea al processo. La Corte regolatrice ha, sul punto, rilevato come la Grande Chambre, dopo aver ricordato che, per quanto previsto dalla legge italiana, si attribuisce alle società a responsabilità limitata una autonoma personalità giuridica, distinta da quella degli amministratori e dei soci, evidenzia, poi, la necessità di stabilire se le persone fisiche, coinvolte nei procedimenti penali di cui si tratta, abbiano agito e siano state giudicate in quanto tali o come rappresentanti legali della società. Tuttavia, proprio partendo dalle considerazioni sviluppate dalla Corte EDU, l'Estensore della Sezione Terza ne fornisce una esegesi opposta, rifuggendo dall'idea che la sentenza G.I.E.M. abbia voluto radicalmente escludere, in ogni caso, la possibilità della confisca in danno delle persone giuridiche, affermando che le stesse debbano necessariamente partecipare al procedimento penale. In altri termini, la Suprema Corte ha radicalmente scartato che l'abbrivio della Grande Chambre sia volutamente improntato a un rigido e irrazionale approccio formalistico, diretto a valorizzare una mera distinzione tra persona fisica e persona giuridica; non ha, quindi, ritenuto essenziale, per l'applicazione della confisca, che l'ente abbia partecipato al processo «poiché una simile evenienza è attualmente estremamente problematica posto che il d.lgs. 231/2001, non contempla, tra i reati presupposto, la lottizzazione abusiva». Nondimeno, la Corte ha rimarcato, da una parte, che «la partecipazione della persona giuridica al processo penale di cognizione può essere assicurata, nel rispetto dei principi convenzionali, attraverso l'applicazione estensiva di norme interne (artt. 197 c.p. e 89 c.p.p.)», dall'altra, che «la persona giuridica, proprietaria del bene confiscato, che sia rimasta estranea al processo, può far valere le sue ragioni innanzi al giudice dell'esecuzione, cui è demandato il compito di accertare autonomamente la sussistenza del reato e la riferibilità alla persona giuridica della condizione di terzo estraneo di buona fede, condizione che non può essere riconosciuta all'ente che abbia costituito il mero schermo dell'azione compiuta dalla persona fisica riconosciuta responsabile del reato». (Segue). Sulla mancata violazione del principio di “proporzionalità” della confisca urbanistica, ai sensi dell'art. 1, Prot. 1, della Convenzione
di Gabriella Micheli
La sentenza G.I.E.M. ha evidenziato, in relazione alla confisca urbanistica, una violazione dell'art. 1, del Protocollo n. 1 Cedu, a norma del quale «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende», avente ad oggetto la tutela di un diritto economico, ove si riconosce che «il diritto di proprietà costituisce una condizione per l'indipendenza personale e familiare» (cfr. Maugeri, La tutela della proprietà privata nella C.e.d.u. e la giurisprudenza della Corte europea in tema di confisca, in Montagna (a cura di), Sequestro e Confisca, Torino, 2017, p. 4-5 ove si legge «il diritto di proprietà è riconosciuto nell'art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che deve essere interpretato, come si precisa nel rapporto esplicativo, in conformità alla norma in esame. Tale diritto è riconosciuto alle persone fisiche e giuridiche (…) La Corte europea distingue all'interno della disposizione in esame tre disposizioni distinte, anche se connesse: la prima enuncia il generale principio del riconoscimento del diritto di proprietà; la seconda disciplina la privazione della proprietà stabilendone le condizioni; la terza riconosce agli Stati il potere di regolamentare l'uso dei beni in conformità all'interesse generale». Si rimanda anche a Padelletti, Art. 1 Protocollo n. 1, in Commentario breve alla C.e.d.u., Padova, 2012, p. 813; Riccio, Beni giuridici e proprietà, in Gianniti (a cura di), La C.e.d.u. e il ruolo delle Corti, Bologna, 2015, pp. 1341, 1383 ss.). In particolare, la Grande Camera ha chiarito che «risulta violato l'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione Edu laddove venga disposta la confisca obbligatoria in caso di accertamento del reato di lottizzazione abusiva in quanto tale provvedimento della pubblica autorità interferisce con la proprietà privata in modo sproporzionato rispetto allo scopo perseguito». Il principio di proporzionalità è, del resto, un parametro fondamentale per valutare la legittimità degli atti comunitari, delle leggi e degli atti nazionali, in relazione agli obiettivi prefissati dall'Unione europea. La Grande Camera aveva, altresì, approfondito la rilevanza delle esigenze di tutela ambientale, e quindi il dovere di proporzione, da mantenere tra le garanzie di tutela dell'interesse generale e quelle della parte in causa. Ebbene, anche in relazione al profilo della proporzionalità, la Sezione Terza, pur ripercorrendo il canone ermeneutico esposto nella sentenza G.I.E.M., giunge ad opposte conclusioni. Ricostruendo, infatti, il concetto di lottizzazione abusiva, rimarca come la legge preveda la confisca indipendentemente dalla edificazione, intesa nel senso di intervento edilizio comportante la realizzazione di volumi o superfici. Da tanto, si fa derivare la conseguenza per cui è da ritenere conforme ai principi convenzionali la confisca di tutte le aree abusivamente lottizzate, indipendentemente dalla presenza o meno di volumi, mentre tale misura ablativa non potrebbe mai riguardare aree completamente estranee all'attività lottizzatoria abusiva (in particolare Cass., Sez. III, 26 febbraio 2019, n. 8350, in commento, specifica che essendo terreni lottizzati anche quelli ove non insistono opere consistenti, necessariamente, in edifici propriamente detti, ben potendo rientrare in tale concetto, ad esempio, gli interventi di urbanizzazione primaria (fognature, rete idrica, elettrica, strade di collegamento, ecc. ), così come è altrettanto evidente che l'intervento lottizzatorio, pur in presenza di edifici, non è sempre limitato all'area di sedime degli stessi, potendo comprendere anche altre aree che, essendo in qualche modo in essi asservite, direttamente o indirettamente, rientrano nel complesso di attività univocamente finalizzate al conferimento di un diverso assetto del territorio snaturando la programmazione dell'uso dello stesso delineato dallo strumento urbanistico generale. La lottizzazione abusiva riguarda, dunque, quei beni immobili (terreni e manufatti) direttamente interessati dall'attività lottizzatoria e ad essa funzionali). Sicchè, la Suprema Corte spiega che la misura ablativa non rispetterebbe sicuramente i criteri di proporzionalità se applicata a terreni che non sono direttamente interessati dall'attività lottizzatoria, che il giudice del merito può senz'altro individuare, limitando la misura alle sole aree abusivamente lottizzate, venendo assicurate agli interessati, anche in sede di esecuzione, le garanzie del contraddittorio, dal momento che la confisca – e la conseguente perdita della proprietà – resta una misura residuale, assunta dal giudice penale sempreché non sia già intervenuta l'autorità amministrativa. In conclusione, diversamente da quanto rilevato nella G.I.E.M., la Sezione Terza ha ribadito che è conforme al principio di proporzionalità di cui all'art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, «la confisca che risulti, dall'accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito, limitata agli immobili direttamente interessati dalla lottizzazione abusiva e ad essa funzionali». Sarà, all'uopo, il giudice di merito a dover allegare adeguata e specifica motivazione. Gli approdi della Sezione Terza. Davvero un traguardo?
di Francesco Vergine
La Suprema Corte ha ritenuto conforme ai principi convenzionali la confisca di tutte le aree abusive lottizzate (ovvero di tutti quei beni immobili – terreni e manufatti – direttamente interessati dall'attività lottizzatoria e a essa funzionali). Nel percorso motivazione, l'Estensore ha ricondotto l'aporia provocata dalla sentenza Varvara rispetto alla giurisprudenza interna (profilo evidenziato da Civello, Rimessa alla Grande Chambre la questione della confisca urbanistica in presenza di reato prescritto: verso il superamento della sentenza “Varvara”?, in Arch. pen., 2015, n. 2, p. 8; Manes, La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, in Dir. 'pen. cont., 13 aprile 2015, 3), richiamando l'approdo della Grande Camera. In altre parole, nell'ottica dei Giudici di Piazza Cavour, la condanna subita dall'Italia non sarebbe dovuta alle rilevate carenze oggettive della nostra legislazione, inconciliabili con la tutela assicurata dalla Cedu, e tali da implicare ulteriori e successive condanne dal Giudice Europeo. Al contrario, quella della Varvara, rappresenta una censura ancorata a un peculiare caso, non ripetibile, configurando, quindi, un unicum originato da una singola non corretta applicazione giudiziaria di un assetto normativo armonizzato con le norme europee. Lo stesso schema esegetico viene utilizzato in relazione alla pronuncia G.I.E.M. della Grande Chambre, in relazione alla ritenuta violazione del principio di proporzionalità della confisca urbanistica. Ebbene, la Sezione Terza si discosta da tale ultimo profilo, non senza fornire una giustificazione aderente allo stesso principio convenzionale di proporzionalità. Difatti, la sentenza in commento ha escluso ragioni di automatismo nell'applicazione della sanzione in quanto «la confisca ordinata dal giudice penale non è affatto un evento scontato, automatico ed inevitabile». Parimenti, ha ribadito che l'obbligatorietà della confisca del terreno abusivamente lottizzato, e delle opere sullo stesso abusivamente costruite, consegue all'accertamento giudiziale della sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, indipendentemente da una sentenza di condanna. Peraltro, nel caso in scrutinio, è intervenuta la revoca, da parte dei ricorrenti, della precedente rinuncia alla prescrizione, dopo che la stessa aveva prodotto i suoi effetti e raggiunto il suo scopo, che era quello di ottenere dal giudice di appello una pronuncia sui fatti oggetto di contestazione. A parere degli esegeti di legittimità, la revoca della rinuncia non può, pertanto, ritenersi produttiva di effetti, ove si assume che la scelta della rinuncia era correlata alla particolarità della situazione del momento, poi venuta meno a seguito della sentenza Varvara, e della sua interpretazione arricchita anche dalla sentenza 49/2015, e da ultimo dalla decisione G.I.E.M., che, a parere del Giudice estensore, evidentemente contrasta con quella interpretazione (sposata dai ricorrenti) che vorrebbe che la Varvara negasse legittimità alla confisca in assenza di una formale condanna. All'esito della verifica di compatibilità della confisca rispetto ai principi dichiarati nella sentenza della Grande Camera, la Corte regolatrice, nel caso in scrutinio, rileva, poi, un'intima connessione tra le persone fisiche, autrici della lottizzazione abusiva, e la società per conto della quale hanno agito; ente che non può, pertanto, definirsi estraneo al reato e che ha, all'evidenza, svolto il ruolo di mero strumento operativo attraverso il quale gli associati hanno posto in essere l'attività lottizzatoria. Appare, tuttavia, dubbia la compatibilità delle conclusioni della Terza Sezione rispetto alle indicazioni fornite dalla giurisprudenza convenzionale e dalla Grande Camera, soprattutto in relazione alla possibilità di disporre la confisca urbanistica ove ricorra il proscioglimento per prescrizione in primo grado, giacché non è automatico che sia accompagnato dal più ampio accertamento sulla responsabilità. La rilevata assenza di un divieto normativo, per il giudice di primo grado, di disporre la confisca nel caso in cui dichiari prescritto il reato, non può per ciò solo legittimare la confisca urbanistica in presenza di un illecito estinto, assecondando il rischio di un accertamento sulla responsabilità della lottizzazione abusiva parziale. Continuano a restare aperti due temi aggiuntivi, dal rilevantissimo impatto e che rappresentano ulteriori nodi nella complessa matassa. Il primo concerne il quesito del come conciliare la cogenza dell'obbligo di immediata declaratoria di cause di non punibilità con una prosecuzione dell'iter dibattimentale finalizzato solo alla confisca, posto che da un lato v'è la cristallina disposizione normativa dell'art. 129 c.p.p. e dall'altro un approccio giurisprudenziale solo apparentemente interpretativo, ma nella sostanza obiettivamente creativo. Il secondo attiene ai diritti da riconoscere all'ente che non partecipa al processo ma che subisce la misura. La circostanza che la lottizzazione – come correttamente affermato dalla sentenza in esame – non rientri tra i reati presupposti, non lascia spazio ad una inclusione di tale soggetto tra i protagonisti del processo. E, tuttavia, non pare accettabile un sistema che relega i diritti difensivi dell'ente alla sola fase esecutiva, con le peculiarità proprie di tale segmento. Sul punto, forse con una visione futuristica, si potrebbe pensare – sulla scia di quanti già da anni invocano un vero e proprio processo ai beni – ad una soluzione che prenda spunto dall'assetto partecipativo disegnato dal legislatore nel mondo della prevenzione patrimoniale. In quel contesto, come noto, ai terzi proprietari o comproprietari dei beni da porre a vincolo vengono assicurati gli stessi (certamente ridotti, ma pur sempre gli stessi) diritti difensivi riconosciuti al proposto. Forse i tempi sono maturi per riflettere sulla necessità di garantire al terzo, inciso dalla misura, uno spazio difensivo adeguato al diritto che gli si intende comprimere. |