Assicurazione obbligatoria per veicoli a motore e natanti

Giuseppe Sileci
05 Settembre 2019

Per poter circolare su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate, i veicoli a motore senza guide di rotaie, compresi i filoveicoli ed i rimorchi, devono essere assicurati per la responsabilità civile verso terzi prevista dall'art. 2054 c.c. e dall'art. 91 comma 2 del Codice della Strada.
Inquadramento

*** BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE ***

Per potere circolare su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate, i veicoli a motore senza guide di rotaie, compresi i filoveicoli ed i rimorchi, devono essere assicurati per la responsabilità civile verso terzi prevista dall'art. 2054 c.c. e dall'art. 91 comma 2 del Codice della Strada.

La regola è stabilita dal comma 1 dell'art. 122 Cod. Ass., ma analogo obbligo è previsto dall'art. 123 Cod. Ass. per i natanti: le unità da diporto, con esclusione delle unità non dotate di motore, possono essere poste in navigazione in acque ad uso pubblico o su aree a queste equiparate solo se assicurate per la responsabilità civile verso terzi prevista dall'art. 2054 c.c.

Inoltre, l'obbligo per i veicoli a motore senza guida di rotaie, compresi i filoveicoli ed i rimorchi, di circolare muniti di copertura assicurativa a norma delle vigenti disposizioni di legge sulla responsabilità civile verso terzi è previsto dall'art. 193 Cod. Strada.

Tanto l'art. 122 quanto l'art. 123 Cod. Ass. affidano ad un regolamento del Ministero dello sviluppo economico la individuazione della tipologia di veicoli e natanti esclusi dall'obbligo di assicurazione ed anche delle aree e delle acque equiparate a quello di uso pubblico.

L'art. 2054 c.c. – come è noto – disciplina la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli prevedendo che il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o cose se non prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno.

La norma estende la responsabilità al proprietario del veicolo o, in sua vece, all'usufruttuario o all'acquirente con patto di riservato dominio, che risponde in solido con il conducente se non riesce a provare che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà.

Il conducente e gli altri soggetti individuati dalla norma in esame sono anche responsabili dei danni derivanti dai vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo.

Infine, il secondo comma dell'art. 91 d. lgs. 30 aprile 1992 n. 285 stabilisce che, nel caso di locazione con facoltà di acquisto (leasing), il locatario è responsabile in solido con il conducente dei danni prodotti a persone o cose dalla circolazione del veicolo oggetto del contratto di locazione.

Dunque, l'assicurazione obbligatoria deve coprire la responsabilità di quei soggetti che a titolo diverso siano in una relazione qualificata con un veicolo, quando questo circola sua strada pubblica o su area ad essa equiparata.

Per ragioni di completezza, occorre aggiungere che l'art. 122 Cod. Ass. ha recepito – sia pure con una serie di modifiche – gli artt. 1 e 1-bis della l. 24 dicembre 1969 n. 990 mentre l'art. 123 Cod. Ass. ha accorpato (anche in questo caso con modifiche) l'art. 2 l. n. 990/1969 e l'art. 3 d.P.R 24 novembre 1970 n. 973 (Regolamento di esecuzione della l. 24 dicembre 1969, n. 990, sull'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti).

La applicazione delle norme sopra richiamate e di quelle che disciplinano l'assicurazione RCA ha dato luogo a tutta una serie di problemi interpretativi dei quali cercheremo di dare conto in questa sede.

I veicoli

L'obbligo di assicurazione riguarda tutti i veicoli a motore senza guida di rotaie, compresi i filoveicoli ed i rimorchi.

L'art. 46 Cod. Strada definisce veicoli “tutte le macchine di qualsiasi specie, che circolano sulle strade guidate dall'uomo”

Sono escluse da questa definizione: a) le macchine per uso di bambini, le cui caratteristiche non superano i limiti stabiliti dal regolamento; b) le macchine per uso di invalidi, rientranti tra gli ausili medici secondo le vigenti disposizioni comunitarie, anche se asservite da motore.

La classificazione dei veicoli effettuata dal Codice della Strada è molto più ampia di quella cui fa riferimento l'art. 122 Cod. Ass. perché l'art. 47 Cod. Strada vi include anche i veicoli a braccia (ossia spinti o trainati dall'uomo a piedi ovvero azionati dalla forza muscolare dello stesso conducente), i veicoli a trazione animale, i velocipedi (ossia i veicoli con due ruote o più ruote funzionanti a propulsione esclusivamente muscolare, per mezzo di pedali o di analoghi dispositivi, azionati dalle persone che si trovano sul veicolo e le biciclette a pedalata assistita) e le slitte (inclusi tutti i veicoli muniti di pattini a trazione animale).

Sono filoveicoli, invece, tutti i veicoli a motore elettrico non vincolati da rotaie e collegati a una linea aerea di contatto per l'alimentazione.

I rimorchi, infine, sono veicoli destinati ad essere trainati dagli autoveicoli e dai filoveicoli, con esclusione degli autosnodati, e si distinguono in: a) rimorchi per trasporto di persone, limitatamente ai rimorchi con almeno due assi ed ai semirimorchi; b) rimorchi per trasporto di cose; c) rimorchi per trasporti specifici; d) rimorchi ad uso speciale; e) caravan: rimorchi ad un asse o a due assi posti a distanza non superiore ad un metro, aventi speciale carrozzeria ed attrezzati per essere adibiti ad alloggio esclusivamente a veicolo fermo; f) rimorchi per trasporto di attrezzature turistiche e sportive: rimorchi ad un asse o a due assi posti a distanza non superiore ad un metro, muniti di specifica attrezzatura atta al trasporto di attrezzature turistiche e sportive, quali imbarcazioni, alianti od altre.

Nella definizione di rimorchi sono inclusi i semirimorchi (veicoli costruiti in modo tale che una parte di essi si sovrapponga all'unità motrice e che una parte notevole della loro massa o del loro carico sia sopportata da detta motrice) ed i carrelli appendice a non più di due ruote destinati al trasporto di bagagli, attrezzi e simili, e trainabili da autoveicoli.

L'art. 47 Cod. Strada menziona tra i veicoli anche le macchine agricole, le macchine operatrici ed i veicoli con caratteristiche atipiche.

Il concetto di veicolo ai fini dell'assicurazione obbligatoria è ulteriormente specificato dal Decreto ministeriale 1 aprile 2008 n. 86, emanato ai sensi del primo comma dell'art. 122 Cod. Ass.

L'art. 2 del D.M. n. 86/2008, infatti, definisce veicolo qualsiasi autoveicolo destinato a circolare sul suolo e che può essere azionato da una forza meccanica, senza essere vincolato ad una strada ferrata, nonché i rimorchi, anche se non agganciati ad una motrice: questa disposizione, tuttavia, è inutilmente ripetitiva dell'art. 1 lett. rrr) Cod. Ass.

Dunque, ciò che distingue un qualsivoglia veicolo da quello la cui circolazione su strada pubblica è subordinata alla copertura assicurativa della responsabilità civile è la forza che ne determina il moto: se questa è meccanica, il veicolo non può circolare sprovvisto dell'assicurazione obbligatoria.

Fanno eccezione i rimorchi, nel senso che, pur trattandosi di veicoli privi di autonoma propulsione perché destinati esclusivamente al traino, debbono essere ugualmente assicurati.

Ha avuto modo di chiarire la giurisprudenza già sotto il vigore della l. 990/1969, che il proprietario del rimorchio è obbligato ad assicurarlo contro il “rischio statico”, ossia “per i sinistri da esso prodotti in sosta o durante le manovre a mano” (Cass. civ., sez. III, 18 dicembre 1996 n. 11318) giacché quando è agganciato ad una motrice ad esso si estende l'assicurazione obbligatoria del veicolo che lo traina.

E' stato però precisato che pur «operando, in caso di danno prodotto da motrice trainante un rimorchio od un carrello, la sola assicurazione obbligatoria del rischio dinamico del "complesso unitario circolante", e non anche la (distinta) assicurazione obbligatoria del rischio statico del veicolo inerte, deve ritenersi consentita alle parti la stipula di altra ed apposita convenzione assicurativa relativa al rischio dinamico del rimorchio e del carrello separatamente considerati rispetto alla motrice, versandosi, peraltro, in tal caso, nella (diversa) ipotesi di assicurazione volontaria, destinata ad operare cumulativamente con quella obbligatoria qualora il rischio dinamico abbia a trovare concreta attuazione» (Cass. civ., sez. III, 1 ottobre 1997 n. 9574; Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2006 n. 1012).

Conseguentemente, poiché il proprietario di un rimorchio ha la facoltà, ma non l'obbligo, di stipulare un'assicurazione a copertura della propria responsabilità civile per i danni derivanti dalla circolazione del rimorchio (c.d. rischio dinamico), mentre ha l'obbligo di stipulare l'assicurazione della responsabilità civile per i soli danni che il rimorchio può causare quando è fermo o manovrato a mano (cosiddetto rischio statico), «all'assicurazione del primo tipo, non avendo natura obbligatoria, è inapplicabile la disciplina di cui alla l. 24 dicembre 1969 n. 990 (oggi abrogata e sostituita dagli art. 122 e ss. c. assicur.), e la vittima di un sinistro stradale causato da un rimorchio circolante non ha azione diretta nei confronti dell'assicuratore di quest'ultimo, ma solo nei confronti dell'assicuratore della motrice, che è tenuto "ex lege" per i danni causati dall'intero complesso circolante» (Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2012 n. 13200).

Qualora il veicolo trainante circoli sprovvisto di copertura assicurativa e rimanga coinvolto in un sinistro stradale, dei danni arrecati a terzi ne deve rispondere anche il proprietario della vettura trainata che, «consentendone la circolazione mediante il traino, si espone alla presunzione di responsabilità prevista dall'art. 2054, comma 3, c.c., ed è solidalmente responsabile con il proprietario e conducente del veicolo propulsore, senza possibilità di distinguere tra i diversi elementi che compongono il mezzo circolante» (Cass. civ., sez. III, 17 novembre 2017 n. 27371).

Ed in tal caso – sembra di capire dalla sintetica motivazione della recente decisione della Cassazione – il proprietario del rimorchio non potrà neppure sperare di essere tenuto indenne dalla impresa che assicurava il rischio statico del detto rimorchio.

Segue. La bicicletta elettrica

Se, come visto, occorre che il veicolo sia azionato da un motore perché il proprietario sia obbligato ad assicurarne la responsabilità civile derivante dalla sua circolazione, non è chiaro se il propulsore debba essere un classico motore a scoppio ovvero se detto obbligo sussista quando il motore è elettrico.

La questione si è posta per le biciclette elettriche.

Al riguardo è necessaria una preliminare precisazione.

Il Codice della Strada contempla tra i velocipedi anche le biciclette a pedalata assistita: ai sensi dell'art. 50 Cod. Strada sono tali le biciclette “dotate di un motore ausiliario elettrico avente potenza nominale massima di 0,25 KW la cui alimentazione è progressivamente ridotta ed infine interrotta quando il veicolo raggiunge i 25 km/h o prima se il ciclista smette di pedalare”.

Da questi “veicoli”, che possono circolare privi di targa e senza copertura assicurativa, devono essere distinte le c.d. biciclette elettriche, per le quali al momento mancherebbe nell'ordinamento una specifica normativa.

La questione non è marginale sia perché la commercializzazione e l'uso di mezzi elettrici è da tempo incoraggiata anche per evidenti ragioni di risparmio energetico ed ambientale sia perché questo sembra essere il futuro della circolazione su terra dei veicoli.

Ed infatti, negli ultimi anni hanno avuto una discreta diffusione veicoli a due ruote azionati da motori elettrici di varia potenza talvolta – ma non necessariamente – muniti di pedali.

Prescindendo dalla possibilità, alla luce della vigente normativa, che questi mezzi possano circolare – non essendo questa la sede per approfondire l'argomento – e dunque ammettendo che la loro circolazione sia consentita, occorre chiarire se per questi valga l'obbligo di essere assicurati per la responsabilità civile verso terzi prevista dall'art. 2054 c.c..

La risposta dovrebbe essere affermativa per le ragioni che seguono.

Tanto l'art. 193 Cod. Strada quanto l'art. 122 Cod. Ass., nell'individuare i veicoli per i quali sussiste l'obbligo di circolare debitamente assicurati, fanno genericamente riferimento a quei mezzi muniti di “motore”.

L'art. 2 del D.M. 1 aprile 2008 n. 86 (Regolamento recante disposizioni in materia di obbligo di assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) definisce “veicolo” qualsiasi autoveicolo destinato a circolare sul suolo e che può essere azionato da una forza meccanica.

Infine, il D.M. 31 gennaio 2003 in materia di recepimento della direttiva 2002/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 marzo 2002 relativa all'omologazione dei veicoli a motore a due o tre ruote, nel prevedere la generalizzata applicazione a tutti i veicoli a due o tre ruote, esclude dall'ambito di applicazione i veicoli aventi una velocità massima non superiore a 6 Km/h, quelli destinati ad essere condotti da pedoni e ad essere usati da minorati fisici e – per quello che qui interessa – le biciclette a pedalata assistita.

Debbono essere omologati, invece, i ciclomotori, i motocicli, i tricicli ed i quadricicli.

Ai sensi dell'art. 1 del suddetto decreto ministeriale, sono ciclomotori i veicoli a due ruote la cui cilindrata è inferiore o uguale a 50 cm3 se a combustione interna, oppure la cui potenza nominale continua massima è inferiore o uguale a 4 Kw per i motori elettrici.

Analogamente, sono considerati ciclomotori i veicoli a tre ruote che siano azionati – tra l'altro – da un motore elettrico la cui potenza nominale continua massima è inferiore o uguale a 4 Kw.

Dunque, se sono ciclomotori tutti i veicoli a due o tre ruote dotati di un motore elettrico la cui potenza nominale continua massima è inferiore o uguale a 4 Kw, è ragionevole sostenere che le biciclette elettriche diverse dalla bicicletta a pedalata assistita siano degli scooter equiparati ai ciclomotori e dunque che debbono essere assicurati per la responsabilità civile se circolano su strada.

I natanti

L'obbligo di navigare provvisti di adeguata assicurazione obbligatoria della responsabilità civile sussiste – come visto – per le unità da diporto, con esclusione delle unità non dotate di motore, nonché per i natanti di stazza lorda non superiori a venticinque tonnellate che siano muniti di motore inamovibile di potenza superiore ai tre cavalli fiscali ed adibiti ad uso privato, diverso dal diporto, o al servizio pubblico di trasporto di persone (art. 123 Cod. Ass.).

A mente del terzo comma della norma in esame, l'obbligo assicurativo è esteso ai motori amovibili, di qualsiasi potenza, indipendentemente dall'unità alla quale vengono applicati: in tal caso, intatti, è assicurato il natante sul quale di volta in volta è collocato il motore.

Per ciò che concerne la individuazione delle unità da diporto soccorre l'art. 3 del d.lgs. 18 luglio 2005 n. 171 (Codice della nautica da diporto).

Intanto è unità da diporto quel natante adibito alla navigazione in acque marittime ed interne a scopi sportivi o ricreativi e senza fine di lucro, nonché adibito alla navigazione a scopi commerciali.

E' unità da diporto a fini commerciali quella che: a) è oggetto di contratti di locazione e di noleggio; b) è utilizzata per l'insegnamento professionale della navigazione da diporto; c) è utilizzata da centri di immersione e di addestramento subacqueo come unità di appoggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo; c-bis) è utilizzata per assistenza all'ormeggio delle unità di cui all'articolo 3 nell'ambito delle strutture dedicate alla nautica da diporto (art. 2 d.lgs. n. 171/2005).

Tuttavia, ai sensi dell'art. 1 comma 2 del d.lgs. n. 171/2005 deve ritenersi navigazione a scopi commerciali anche quella effettuata mediante le navi di cui all' art. 3 l. 8 luglio 2003, n. 172: e cioè le navi con scafo di lunghezza superiore a 24 metri adibite in navigazione internazionale esclusivamente al noleggio per finalità turistiche.

Tra le unità da diporto l'art. 3 del d.lgs n. 171/2005 menziona anche la moto d'acqua, ossia ogni unità da diporto con lunghezza dello scafo inferiore a quattro metri, che utilizza un motore di propulsione con una pompa a getto d'acqua come fonte primaria di propulsione e destinata a essere azionata da una o più persone sedute, in piedi o inginocchiate sullo scafo, anziché al suo interno.

Peraltro, per le unità da diporto l'obbligo di navigare coperte dall'assicurazione della responsabilità civile è espressamente previsto dall'art. 41 del d.lgs. n. 171/2005 il cui ultimo comma estende l'obbligo di assicurazione alla copertura dei danni subiti dal conducente e dai trasportati quando il natante è utilizzato a fini commerciali.

La circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate

Ai sensi dell'art. 122 cod. ass., debbono essere assicurati per l'assicurazione della responsabilità civile verso terzi i veicoli a motore senza guida di rotaie (inclusi i filoveicoli ed i rimorchi) che circolano su «strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate».

La norma rimanda ad un regolamento ministeriale la individuazione di aree equiparate a quelle di uso pubblico.

Regolamento che è stato adottato con decreto del Ministero dello Sviluppo economico dell'1 aprile 2008, n. 86, il cui art. 3 stabilisce che «sono equiparate alle strade di uso pubblico tutte le aree, di proprietà pubblica o privata, aperte alla circolazione del pubblico».

Il legislatore, quindi, ha sostanzialmente recepito l'orientamento che si era affermato nella giurisprudenza, la quale, chiamata a delimitare l'ambito di applicazione delle norme che disciplinavano l'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile auto, aveva affermato che sono «equiparate alle strade d'uso pubblico tutte le aree di proprietà pubblica e privata aperte alla circolazione del pubblico » (Cass. civ., Sez. I, 22 aprile 1982 n. 2477), chiarendo che è del tutto indifferente la natura dell'area e che è invece rilevante l'uso pubblico, per tale dovendo intendersi «l'apertura dell'area e della strada ad un numero indeterminato di persone e cioè la possibilità giuridicamente lecita di accesso da parte del pubblico, ossia di tutti i soggetti diversi dai titolari dei diritti sull'area stessa» (Cass. civ., Sez. I, 7 maggio 1992 n. 5414; Cass. civ., Sez. I, 12 febbraio 1996 n. 1062).

Quindi, la Cassazione ha ulteriormente chiarito il principio precisando che non viene meno l'indeterminatezza qualora l'accesso all'area sia consentito solo a soggetti che appartengano ad una o più categorie specifiche ovvero qualora l'accesso avvenga per particolari finalità ed in particolari condizioni (Cass. civ., Sez. III, 27 ottobre 2005 n. 20911, la quale ha ritenuto area equiparata quella di un cantiere alla quale hanno accesso tutti coloro che vi lavorano e coloro che hanno rapporti commerciali con l'impresa.

E sull'equiparazione di un'area di cantiere ad una superficie destinata ad uso pubblico anche Trib. Como, 26 gennaio 2010; Trib. Bari 22 agosto 2012 che ha anche ritenuto che non basta ad escludere l'uso pubblico la presenza di strutture destinate a regolare l'accesso dei veicoli, quali cancelli o sbarre all'ingresso).

In particolare, la giurisprudenza ha escluso l'uso pubblico dell'area se il sinistro si è verificato nella rampa di accesso ad un garage (Cass. civ., sez. III, 3 aprile 2013 n. 8090) ovvero nel cortile interno ad un fabbricato adibito al servizio esclusivo dei condomini dello stesso (Cass. civ., Sez. III, 6 giugno 2006 n. 13254) ovvero in un'area privata contigua e allo stesso livello di una strada pubblica, anche se non protetta da recinzioni, ripari o cartelli idonei ad impedire l'accesso a terzi (Cass. civ., Sez. I, 27 gennaio 2005 n. 1694) ovvero nell'area privata, sita all'interno di uno stabilimento industriale, non aperta al pubblico, ma interessata al traffico di autotreni per il carico e lo scarico delle merci (Trib. Roma 19 settembre 1984 che nella fattispecie ha ritenuto applicabile la presunzione di colpa di cui all'art. 2054 c.c., ma non la l. 24 dicembre 1969, n. 990), ma lo ha ravvisato se il sinistro è avvenuto «all'interno di un'area condominiale il cui cancello restava aperto» (Giud. pace Palermo 7 maggio 2013) ovvero nell'area di parcheggio destinata agli utenti di un ipermercato, anche se delimitata da strutture (sbarra d'ingresso) destinate a regolare l'accesso dei veicoli (Cass. civ., Sez. III, 23 luglio 2009 n. 17279) ovvero nel lido del mare, quando è aperto alla circolazione di veicoli, persone e animali (Trib. Lecce 6 novembre 2002).

Questi principi sono stati ribaditi ancora recentemente per escludere l'applicazione della disciplina in materia di assicurazione obbligatoria della rc auto ad un sinistro avvenuto su una pista da sci e nel quale erano rimasti coinvolti un'autovettura ed uno sciatore.

Ha stabilito la Suprema Corte che «la circolazione presuppone quindi una strada o un'area – pubblica o destinata ad uso pubblico – ad essa equiparata; e ciò significa che, se un veicolo senza rotaie viene guidato in una zona priva di tale caratteristica, la circolazione in senso giuridico non sussiste, onde non sono applicabili ... né l'art. 2054 c.c. né la normativa attinente all'assicurazione obbligatoria per la conseguente responsabilità» (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2016 n. 21254).

In particolare, hanno ritenuto i giudici di legittimità che «non sono sufficienti né il movimento di un veicolo senza rotaie né la sua presenza in un luogo anche pubblico o a uso pubblico per ricondurre l'eventuale incidente che ne possa derivare nella specifica fattispecie della circolazione stradale e della correlata assicurazione obbligatoria», e ciò perché «la circolazione, quindi, non può essere intesa, su un piano erroneamente soggettivo, come frutto dell'intenzione e della scelta del soggetto che guida il veicolo, bensì oggettivamente, come uso attribuito ad un'area pubblica o ad un'area privata ma destinata appunto a tale uso pubblico» (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2016 n. 21254).

Per ciò che concerne il concetto di circolazione, e quindi per individuare i rischi coperti dall'assicurazione obbligatoria prevista dall'art. 122 Cod. Ass., questa non può ridursi al mero movimento del veicolo.

Nell'ampio concetto di circolazione stradale, infatti, «è compresa anche la posizione di arresto del veicolo, sia in relazione all'ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia in relazione alle operazioni eseguite in funzione della partenza o connesse alla fermata, sia ancora con riguardo a tutte le operazioni cui il veicolo è destinato a compiere e per il quale esso può circolare nelle strade» (Cass. civ., Sez. Un., 29 aprile 2015 n. 8620, la quale ha considerato danno da circolazione stradale quello provocato da un braccio meccanico di sollevamento di una autogru installata su un veicolo).

Tuttavia, la definizione di circolazione stradale con riferimento al luogo ed allo stato del veicolo, pur essendo ampia ed aderente al dato normativo nazionale, potrebbe non essere conforme alla legislazione europea.

L'art. 3, paragrafo 1 della direttiva 72/166/Cee del Consiglio del 24 aprile 1972 stabilisce che «ogni Stato membro adotta tutte le misure necessarie, fatta salva l'applicazione dell'art. 4, affinché la responsabilità civile relativa alla circolazione dei veicoli che stazionano abitualmente nel suo territorio sia coperta da un'assicurazione».

La Corte di giustizia europea ha recentemente affermato che né questa disposizione né le direttive successive in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli rinviano al diritto degli Stati membri ai fini della definizione di circolazione; conseguentemente, la norma deve essere oggetto di una interpretazione autonoma ed uniforme che tenga conto non solo dei suoi termini, ma anche del suo contesto e della finalità perseguita dalla normativa di cui è parte (C. Giust. Ue, sez. III, 4 settembre 2014 che ha deciso la causa C-162/13).

Ebbene, ha stabilito la Corte europea che, tenuto conto «dell'obiettivo di tutela perseguito dalle direttive ..., non si può ritenere che il legislatore dell'Unione abbia voluto escludere dalla tutela accordata da dette direttive le persone lese da un incidente causato da un veicolo in occasione del suo uso, purché uso conforme alla funzione abituale del veicolo medesimo».

Dunque, «l'art. 3, paragrafo 1, della prima direttiva (direttiva72/166/Cee del Consiglio del 24 aprile 1972) deve essere interpretato nel senso che rientra nella sua nozione di circolazione dei veicoli qualunque uso di un veicolo che sia conforme alla funzione abituale dello stesso».

La questione era stata rimessa all'esame della Corte da un giudice sloveno al quale un cittadino di quel paese si era rivolto per ottenere il risarcimento dei danni subiti cadendo da una scala contro la quale aveva urtato un trattore mentre effettuava, all'interno del cortile di una casa colonica, una retromarcia per immettere il rimorchio nel fienile.

Sembrerebbe, pertanto, eccessivamente restrittiva, e dunque penalizzante per le vittime di un sinistro causato dalla circolazione di un veicolo, la legislazione nazionale che subordina l'applicazione dell'art. 2054 c.c. e quelle sull'assicurazione obbligatoria alla circostanza che l'uso (nell'ampia accezione preferita dalla giurisprudenza di legittimità) avvenga pur sempre nell'ambito della circolazione stradale, ossia in uno spazio, strada pubblica o ad essa equiparata, che sia destinato a tale scopo.

Viceversa, sarebbe decisivo, nell'ottica della normativa europea, il coinvolgimento nel sinistro di un veicolo per il quale esista l'obbligo di assicurazione (e cioè, ai sensi dell'art. 1, punto 1 della direttiva 72/166/Cee, qualsiasi autoveicolo destinato a circolare sul suolo e che può essere azionato da una forza meccanica, senza essere vincolato ad una strada ferrata, nonché i rimorchi, anche non agganciati), indipendentemente dalla tipologia del luogo in cui avvenga la circolazione.

È ragionevole attendersi, quindi, che la giurisprudenza possa rivedere l'orientamento prevalente, ultimamente confermato dalle pronunce sopra richiamate, tanto più che «il contrasto tra norme interne e norme della Ue dà luogo non ad invalidità o illegittimità delle prime, ma alla semplice loro non applicazione in favore di quelle comunitarie nei limiti e secondo l'ampiezza determinata dalle sentenze della Corte di giustizia» (Cass. civ., sez. VI, 8 febbraio2016 n. 2468).

I soggetti assicurati

L'assicurazione obbligatoria dei veicoli garantisce la responsabilità civile dei soggetti indicati dall'art. 2054 c.c., quindi il conducente ed il proprietario o, in sua vece, l'usufruttuario o l'acquirente con patto di riservato dominio; ai sensi dell'art. 91 Cod. Strada, espressamente richiamato dall'art. 122 Cod. Ass, l'assicurazione obbligatoria garantisce anche la responsabilità civile del locatario che abbia la disponibilità del veicolo in virtù di un contratto di leasing.

Poiché l'ultimo comma dell'art. 2054 c.c. stabilisce la responsabilità dei suddetti soggetti anche nel caso di danni derivanti da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione, l'assicurazione obbligatoria deve coprire anche questi rischi.

Al riguardo non si registrano incertezze nella giurisprudenza; invero, poiché, ai sensi dell'art. 2054, comma 4, c.c., il proprietario è responsabile dei danni derivati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo, anche questa responsabilità, allorché attenga ad eventi dannosi verificatisi durante la circolazione sulle strade, è coperta dall'assicurazione obbligatoria, di cui all'art. 1 l. 24 dicembre 1969 n. 990, con la conseguenza che per essa risponde anche l'assicuratore” (Cass. civ., Sez. III, 29 settembre 2011 n. 19883).

Peraltro, anche nel caso di veicolo in sosta nel quale si sia sviluppato un incendio per ragioni accidentali le cui fiamme abbiano arrecato danni a terzi, sussiste l'obbligo dell'Assicuratore del veicolo di tenere indenne il proprietario del veicolo assicurato, avendo chiarito la Cassazione che “agli effetti dell'art. 2054 c.c. e dell'art. 1 legge sull'assicurazione obbligatoria n. 990 del 1969 (ed ora art. 122 d.lg. n. 209 del 2005) anche la sosta di un veicolo a motore su area pubblica o ad essa equiparata costituisce "circolazione", con la conseguenza che dei danni derivati a terzi dall'incendio del veicolo in sosta, sulle pubbliche vie o aree equiparate, anche se determinato da vizio di costruzione o difetto di manutenzione, risponde anche l'assicuratore, salvo che sia sopravvenuta una causa autonoma (ivi compreso il caso fortuito) che abbia determinato l'evento dannoso” (Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2010 n. 3108).

Obbligo dell'Assicuratore che viene meno (sempre in caso di incendio) quando si accerti che questo è di origine dolosa (Cass. civ., 20 luglio 2010 n. 16895).

E' questione controversa se l'assicurazione obbligatoria copra anche i danni provocati dalla illecita condotta del trasportato.

In linea di principio, se per circolazione devono intendersi anche «le operazioni propedeutiche alla partenza o connesse alla fermata» e, più in generale «tutte le operazioni che il veicolo è destinato a compiere e per il quale può circolare sulle strade» (Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2015 n. 24622), è difficile affermare – ai fini della responsabilità ex art. 2054 c.c. e della operatività dell'assicurazione obbligatoria – che l'incauta apertura della sportello da parte del trasportato esuli dall'ambito della circolazione e che dunque di questi danni non ne debba rispondere l'Assicuratore del veicolo.

Ed in effetti la Cassazione, proprio prendendo le mosse dall'ampio concetto di circolazione stradale, ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del conducente, momentaneamente allontanatosi dal veicolo fermo, per i danni prodotti dall'inopinata apertura dello sportello da parte di un terzo trasportato e seduto accanto al posto guida (Cass. civ., Sez. III, 24 luglio 1987 n. 6445), anche se il conducente potrebbe comunque liberarsi dalla responsabilità se dimostra che «l'evento si sia verificato per causa imputabile ad un terzo, la quale abbia operato, nel processo di determinazione del sinistro, con efficienza esclusiva» (Cass. civ., Sez. III, 9 ottobre 1980 n. 5409 che ha cassato la sentenza impugnata per non avere il giudice del merito accertato, dandone adeguata motivazione, se il comportamento del passeggero – che, aprendo lo sportello della vettura, ferma al semaforo, aveva urtato un ciclomotorista affiancatosi a tale auto sulla destra – rappresentasse o no causa determinante dell'evento).

E la responsabilità del conducente ai sensi dell'art. 2054 c.c. dovrebbe sussistere sia nel caso di apertura di una portiera (Trib. Perugia 15 luglio 1995, ma in senso contrario Trib. Roma 7 giugno 1982) che in quello di chiusura (Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2005 n. 18618; Cass. civ., sez. III, , 27 aprile 2005 n. 8785; Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2004 n. 12284; trib. Nocera Inferiore 13 maggio 1990), anche se in senso contrario Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2004 n. 22374; Trib. Nola 24 ottobre 2006).

Tuttavia, se l'evento è dipeso da fatto imputabile anche al trasportato quest'ultimo non può avvalersi degli effetti dell'assicurazione obbligatoria che garantisce il veicolo.

Ha infatti affermato la Cassazione che «l'assicurazione contro la responsabilità civile da circolazione di veicoli, costituendo applicazione dell'istituto dell'assicurazione della responsabilità civile di cui all'art. 1917 c.c. per danni arrecati a terzi, è diretta a garantire il patrimonio dei soggetti assicurati - tali essendo quelli di cui all'art. 2054 c.c. - non l'autoveicolo; ne deriva, pertanto, che il terzo trasportato a qualunque titolo - i cui danni alla persona, eventualmente subiti, sono coperti dall'assicurazione obbligatoria a norma dell'art. 1, comma 2, l. 24 dicembre 1969 n. 990 - beneficia della disciplina dell'assicurazione medesima quale danneggiato, non quale danneggiante, sicché nei di lui confronti è ammissibile l'azione di rivalsa da parte dell'assicuratore della responsabilità civile che abbia risarcito il danno provocato dal predetto trasportato ad altro soggetto. (Nella specie il terzo trasportato aveva improvvisamente ed incautamente aperto lo sportello destro dell'auto, sulla quale viaggiava, provocando in tal modo lesioni al conducente di un motociclo che sopraggiungeva in fase di sorpasso dell'auto, arrestata sul lato sinistro della carreggiata)» (Cass. civ., sez. III, 6 giugno 2002 n. 8216).

In conclusione, quindi, i soggetti a favore dei quali è prestata l'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione stradale – nella nozione ampia per la quale ha optato la giurisprudenza – sono unicamente i soggetti indicati dall'art. 2054 c.c. ed anche – per effetto dell'art. 91 Cod. Strada – il locatario nel caso di leasing.

Il certificato di assicurazione

La esistenza della copertura assicurativa è documentata dal certificato di assicurazione, che l'impresa ha l'obbligo di rilasciare all'assicurato al momento della stipula del contratto (art. 127 Cod. ass.).

Nel certificato di assicurazione deve essere indicato il periodo coperto dalla polizza ed il rilascio del suddetto certificato obbliga l'impresa nei confronti dei terzi danneggiati, ai quali l'assicuratore, per i sinistri avvenuti in detto periodo, non può opporre alcuna eccezione, fatte salve due ipotesi di sospensione della copertura assicurativa, e cioè: il mancato pagamento della rata di premio successiva alla prima scadenza (art. 1901 comma 2 c.c.) ed il furto dell'autoveicolo, qualora il sinistro si sia verificato il giorno successivo alla denuncia all'autorità di pubblica sicurezza (art. 122 comma 3 Cod. ass.).

Per circolare sulla strada, però, il veicolo doveva anche esporre il “contrassegno”, che altro non era che un talloncino nel quale erano indicate l'impresa che assicurava il veicolo, la targa di quest'ultimo ed il periodo assicurato.

L'art. 31 del d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, conv. con modifiche in l. 24 febbraio 2012 n. 27, allo scopo di contrastare il fenomeno della contraffazione dei contrassegni assicurativi, però ha previsto la loro “dematerializzazione” mediante la sostituzione con sistemi telematici o elettronici.

La fase attuativa della dematerializzazione era demandata ad un regolamento che il Ministero dello Sviluppo Economico avrebbe dovuto emanare con apposito decreto.

Poiché il Ministero competente ha adottato il regolamento in questione (D.M. 09 agosto 2013 n. 110, pubblicato nella G.U. 03.10.2013 n. 232) e poiché la normativa regolamentare ha stabilito che questo processo di dematerializzazione avrebbe dovuto completarsi entro due anni dalla sua entrata in vigore, oggi le imprese di assicurazione non rilasciano più il contrassegno.

L'art. 3 comma 1 del regolamento ha istituito una nuova banca dati presso la Direzione generale per la Motorizzazione delle infrastrutture e dei trasporti, la quale, ai sensi dell'art. 1 comma 1 lett. c), è alimentata dalle informazioni contenute nell'Archivio nazionale dei veicoli e nell'Anagrafe nazionale degli abilitati alla guida, nonché dalle informazioni e dai dati forniti dalle imprese di assicurazione, direttamente o attraverso sistemi informativi centralizzati istituiti presso le associazioni di rappresentanza, relativi alla data di decorrenza, di sospensione e di scadenza delle coperture assicurative r.c. auto dei veicoli a motore.

L'aggiornamento della banca dati deve avvenire in tempo reale all'atto del rilascio del certificato di assicurazione e vi provvedono le imprese di assicurazione direttamente o, ferma restando la loro responsabilità e garantendo comunque la veridicità, tempestività e validità delle informazioni, per il tramite dei loro intermediari (art. 3 comma 2).

Il comma 3 della norma in esame stabilisce inoltre che «le informazioni relative alla copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi sono rese disponibili mediante l'accesso telematico gratuito alla banca dati da parte di chiunque ne abbia interesse».

La dematerializzazione del contrassegno, però, non ha inciso sulla emissione del certificato di assicurazione, che deve essere sempre rilasciato dall'impresa di assicurazione. Ed è appena il caso di aggiungere che ai sensi dell'art. 181 comma 1 Cod. Strada il certificato di assicurazione è tra i documenti che il conducente deve possedere quando si mette alla guida di un autoveicolo.

La targa prova

Il certificato di assicurazione – che le imprese devono rilasciare ai sensi del primo comma dell'art. 127 Cod. Ass. – deve indicare: a) la denominazione e sede dell'assicuratore; b) il nome o la denominazione ed il domicilio o la sede del contraente; c) il tipo del veicolo; d) i dati della targa o, se non prescritta, i dati di identificazione del telaio e del motore; e) il periodo di assicurazione; f) il numero del contratto di assicurazione.

Il contenuto del certificato di assicurazione è previsto dall'art. 9 del dP.R. 24 Novembre 1970 n. 973, il cui secondo comma stabilisce che il certificato relativo ai veicoli che circolino a scopo di prova tecnica o di dimostrazione per la vendita, a norma dell'art. 63 del d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393, deve contenere, in sostituzione dei dati indicati nella lettera d) del precedente comma, i dati della targa di prova.

Nella vigenza della L. n. 990/1969 la giurisprudenza aveva affermato che “in base al combinato disposto dell'art. 1 l. 24 dicembre 1969 n. 990 (il quale stabilisce, con una norma di carattere generale e senza eccezioni, l'obbligo dell'assicurazione per la responsabilità civile per i veicoli a motore senza guida di rotaie in circolazione su strade di uso pubblico (o su aree a queste equiparate) e dell'art. 9 del regolamento di esecuzione alla legge stessa approvato con d.P.R. 24 novembre 1970 n. 973 (il quale stabilisce che i veicoli che circolano a scopo di prova tecnica o di dimostrazione per la vendita debbono contenere, in sostituzione dei dati indicati nella lettera d, i dati della targa prova), anche i veicoli circolanti in prova sono soggetti all'obbligo assicurativo, che è adempiuto mediante la stipulazione di una polizza sulla targa prova, la quale assicura qualsiasi veicolo in circolazione con quella targa (trasferibile, ai sensi dell'art. 66, comma 5, cod. strada, da veicolo a veicolo)” (Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2005 n. 8009; in senso conforme cfr. Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 1992 n. 2332).

L'art. 1 L. n. 990/1969 è stato abrogato dal d. lgs. n. 209/2005 ma il suo contenuto è stato recepito dall'art. 122 Cod. Ass.; l'art. 9 del d.P.R. n. 973/1970 è tuttora in vigore.

La circolazione dei veicoli con targa prova, invece, è adesso regolata dal d.P.R. 24 novembre 2001 n. 474 (Regolamento di semplificazione del procedimento di autorizzazione alla circolazione di prova dei veicoli); l'art. 2 prevede espressamente che il veicolo – ove ne sussistano i presupposti – può circolare su strada a condizione che esponga posteriormente la targa di prova.

Il Regolamento nulla stabilisce circa l'obbligo di copertura assicurativa del veicolo che circoli con targa di prova, ma non pare potersi dubitare della necessità che anche questo sia debitamente assicurato per la responsabilità civile in considerazione del fatto che è rimasto sostanzialmente immutato il dato normativo alla luce del quale la Cassazione aveva affermato che anche i veicoli circolanti in prova debbono essere assicurati per la responsabilità civile.

E l'assicuratore sarà obbligato a risarcire i danni subiti dai terzi anche qualora «l'incidente da cui sia derivato il danno si sia verificato ad opera di veicolo circolante con targa di prova ma per uno scopo diverso da quello della prova tecnica (o della dimostrazione per la vendita) poiché tale irregolarità rileva soltanto nei rapporti tra assicuratore ed assicurato, non incidendo sulla esistenza del rapporto assicurativo, né costituendo una eccezione opponibile al terzo danneggiato che agisca direttamente nei confronti dell'assicuratore, salva la rivalsa di questo verso l'assicurato a norma dell'art. 18, comma 2, della legge n. 990 del 1969» (Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2005 n. 8009; in senso conforme cfr. Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 1992 n. 2332).

Poiché tra gli obblighi cui deve attenersi chi mette in circolazione un veicolo con targa di prova vi è quello di esporre la detta targa, la giurisprudenza ha ritenuto che la inosservanza di questa prescrizione non fa venire meno l'obbligo da parte dell'assicuratore di risarcire il danno se era stata stipulata apposita assicurazione a copertura della responsabilità derivante dalla circolazione del veicolo munito della targa non esposta (Cass. civ., sez. III, 16 novembre 1990 n. 11098; Cass. civ., sez. I, 2 luglio 1990, n. 6771; ma in senso contrario Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 1987 n. 7646, secondo la quale «la cosiddetta assicurazione della targa di prova costituisce l'oggetto di un contratto a contenuto materialmente, temporalmente e funzionalmente delimitato con riferimento ad un veicolo che circoli contrassegnato dalla targa assicurata, al tempo in cui il contrassegno valga ad individuarlo come coperto da assicurazione ed all'uso corrispondente alla causa concreta e determinata dal contratto medesimo. Pertanto detta assicurazione non opera riguardo ad un'autovettura, la quale circoli priva di targa e di certificato assicurativo».

Infine, è stato anche affermato che «nell'ipotesi in cui un autoveicolo munito di targa in prova, risulti, al momento dell'incidente stradale, coperto sia dall'assicurazione della r.c.a. stipulata dagli aventi diritto, sia dall'assicurazione della targa in prova conclusa con un diverso assicuratore dal terzo, cui il veicolo è stato affidato a scopo di prova tecnica, le due assicurazioni, ancorché coesistenti, sono del tutto distinte sia sotto il profilo soggettivo che per l'oggetto, concernendo, la prima, quel determinato veicolo e, la seconda, la targa in prova in quanto applicata a quella e ad altra autovettura. Non ricorrono pertanto, né l'assicurazione presso diversi assicuratori né la coassicurazione di cui agli art. 1910 e 1911 c.c. Ne consegue, che nell'ipotesi considerata, l'assicurazione della targa in prova, avente carattere speciale, prevale sull'altra e la sostituisce e che, quindi, dei danni cagionati dal sinistro risponde soltanto l'assicuratore che ha stipulato la relativa polizza» (Trib. Roma 4 Aprile 1989).

Orientamenti a confronto

Veicolo con targa prova che circola senza esporla: sussiste l'obbligo dell'assicuratore della targa nei confronti dei terzi danneggiati

La sanzione prevista dall'art. 32 della l. 24 dicembre 1969 n. 990, a carico di chi pone in circolazione un veicolo sfornito della garanzia assicurativa, non è applicabile nel caso di veicolo la cui circolazione avvenga al di fuori delle modalità previste nel contratto assicurativo (nella specie, con riguardo a contratto di assicurazione provvisoria per la circolazione in prova, a norma dell'art. 17 del d.P.R. 24 novembre 1970 n. 973, la targa di prova, a bordo dell'autovettura, non era stata esposta), atteso che rimane pur sempre operante la copertura assicurativa nei confronti dei terzi danneggiati, ai sensi dell'art. 18 della legge n. 990 del 1969 (Cass. civ., sez. III, 16 novembre 1990 n. 11098).

Veicolo con targa prova che circola senza esporla: non sussiste l'obbligo dell'assicuratore della targa nei confronti dei terzi danneggiati

La sanzione di cui all'art. 58, comma 8 c. strad. è comminata a carico di chi circoli con un veicolo per il quale non sia stata rilasciata la targa di circolazione e non è estensibile alla diversa ipotesi in cui su un veicolo abilitato a circolare in prova non sia stata apposta la prescritta targa di prova che costituisce una infrazione autonomamente disciplinata dai successivi art. 63 e 66 del detto codice. La cosiddetta assicurazione della targa di prova costituisce l'oggetto di un contratto a contenuto materialmente, temporalmente e funzionalmente delimitato con riferimento ad un veicolo che circoli contrassegnato dalla targa assicurata, al tempo in cui il contrassegno valga ad individuarlo come coperto da assicurazione ed all'uso corrispondente alla causa concreta e determinata dal contratto medesimo. Pertanto detta assicurazione non opera riguardo ad un'autovettura, la quale circoli priva di targa e di certificato assicurativo (Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 1987 n. 7646).

Il massimale

Prevede l'art. 128 Cod. Ass. che, per l'adempimento dell'obbligo di assicurazione per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, il contratto è stipulato per somme non inferiori a determinati importi.

Questi oggi sono: a) € 6.070.000,00 per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime, nel caso di danni alle persone; b) € 1.220.000 per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime, nel caso di danno a cose; c) € 15.000.000 per i danni alle persone, indipendentemente dal numero delle vittime, ed € 1.000.000 per i danni alle cose, indipendentemente dal numero dei danneggiati, nel caso di circolazione dei veicoli a motore adibiti al trasporto di persone classificati nelle categorie M2 (veicoli destinati al trasporto di persone, aventi più di otto posti a sedere oltre al sedile del conducente e massa massima non superiore a 5 tonnellate) e M3 (veicoli destinati al trasporto di persone, aventi più di otto posti a sedere oltre al sedile del conducente e massa massima superiore a 5 tonnellate) ai sensi dell'art. 47 Cod. Strada.

Questi valori sono indicizzati automaticamente ogni cinque anni con provvedimento del Ministro dello Sviluppo Economico e sono stati aggiornati con D.M. 9 giugno 2017 a decorrere dall'11 giugno 2017.

Già ai sensi dell'art. 9 L. n. 990/1969 il contratto doveva prevedere massimali di garanzia non inferiori a determinati importi; quella norma, però, non fissava direttamente l'importo dei massimali di polizza, ma rinviava ad una tabella allegata alla legge e stabiliva che la loro eventuale variazione sarebbe dovuta avvenire con decreto del Presidente della Repubblica da emanarsi su proposta del Ministro per l'industria, il commercio e l'artigianato.

Sotto la vigenza della L. n. 990/1969 si era registrato un certo contrasto, ritenendo parte della giurisprudenza che gravasse sull'assicuratore l'onere di provare il limite del massimale e sostenendo un altro orientamento che questi massimali – essendo stabiliti con atto avente forza di legge – potessero essere conosciuti dal giudice anche d'ufficio (Cass. civ., sez. III, 1 ottobre2009 n. 21057; Cass. civ., sez. III, 11 giugno 1998 n. 5797).

In particolare, il primo indirizzo faceva leva sulla natura “amministrativa” del decreto del Presidente della Repubblica emanato ai sensi del suddetto art. 9. (Cass. civ., sez. III, 5 luglio 1999 n. 6933), che precludeva al Giudice di sostituirsi alla parte che, avendo eccepito il limite del massimale, non ne avesse documentato l'esatto ammontare.

Ed in tal senso anche Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2013 n. 11552, la quale ha affermato che «nel caso di rapporto assicurativo con impresa assicuratrice "in bonis" la sussistenza e l'entità del massimale, sia pure nel rispetto dei minimi di legge, dipendono dalla libera volontà negoziale delle parti, sicché è l'assicuratore stesso che ha l'onere di provare, mediante esibizione delle polizze, quale fosse il limite del massimale pattuito tra le parti del contratto di assicurazione all'epoca del sinistro» (in senso conforme Cass. civ., sez. III, 31 luglio 2006 n. 17459) e che questo principio non trova applicazione nella fattispecie disciplinata dagli art. 19 e 21 l. 24 dicembre 1969 n. 990 (e cioè quando interviene il Fondo di Garanzia), nella quale «il diritto del danneggiato al risarcimento nasce, per volontà di legge, limitato, e la misura del massimale si presume quindi nota al giudice» (in senso conforme Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2007 n. 9243; Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2006 n. 4016; però in senso difforme, nel caso in cui debbano applicarsi i massimali minimi di legge previsti dall'art. 21 l. n. 990/1969, cfr. Cass. civ., sez. III, 29 settembre 1999 n. 10765).

Onere di allegazione che graverebbe sull'assicuratore della responsabilità civile auto anche perché il limite del massimale, stabilendo la misura della obbligazione indennitaria, costituirebbe «un fatto impeditivo dell'accoglimento della domanda nell'importo richiesto dal danneggiato» che potrà essere dimostrato attraverso la produzione del documento contrattuale» (Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 2007 n. 26537).

L'art. 128 Cod. Ass., nel testo introdotto dall'art. 1 comma 4 d. lgs. 6 novembre 2007 n. 198 che ha attuato la direttiva 2005/14/CE (V Direttiva sulla assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli), adesso indica direttamente i massimali minimi inderogabili.

Quindi si potrebbe anche pensare che la questione sia stata definitivamente risolta dal legislatore perché i massimali minimi sono indicati da una norma di legge oltretutto di rango primario.

Qualche dubbio, però, è più che legittimo.

Intanto perché questi importi sono stati adeguati, ai sensi del combinato disposto dei commi 3 e 4 della medesima norma, dal D.M. 9 giugno 2017 che è atto amministrativo (in generale sulla natura dei decreti ministeriali ancora recentemente cfr. Cass. civ., sez. Lav., 11 giugno 2018 n. 15100); in secondo luogo perché questi importi sono stabiliti a tutela dei terzi danneggiati, nel senso che tra assicuratore ed assicurato non si possono prevedere massimali più bassi di quelli stabiliti dalla legge, ma nulla impedisce che le parti fissino un tetto più alto.

Dunque, almeno tutte le volte in cui l'assicuratore sia obbligato in virtù di una valido contratto di assicurazione (e quindi non quando è la legge che fissa il limite massimo entro il quale esso è obbligato verso i terzi, come nel caso in cui sia evocato in giudizio quale impresa designata per il F.G.V.S.) ed il danneggiato agisca in giudizio ai sensi dell'art. 144 Cod. Ass., non dovrebbe essere sufficiente eccepire il limite del massimale al fine di impedire che la domanda possa essere accolta in misura eccedente.

Il primo comma dell'art. 144 Cod. Ass. infatti consente al danneggiato di agire direttamente per il risarcimento del danno nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile «entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l'assicurazione»; il comma 2 stabilisce espressamente che l'impresa di assicurazione non può opporre al danneggiato eccezioni derivanti dal contratto “per l'intero massimale di polizza”.

Ebbene sia le “somme per le quali è stata stipulata l'assicurazione” sia “l'intero massimale di polizza” non necessariamente debbono coincidere con i massimali minimi di cui all'art. 128 Cod. Ass.; né la scelta del legislatore di prevedere che l'assicuratore è obbligato per il massimale pattuito e non nei limiti di quello minimo stabilito dalla legge può considerarsi una mera svista.

Quindi, alla luce del dato normativo sembra evidente che l'assicuratore, se vorrà evitare di rispondere in misura eccedente al massimale di polizza, non potrà limitarsi a chiedere che la eventuale statuizione di condanna sia mantenuta entro i massimali di legge, bensì – documentandone l'esatto ammontare - dovrà eccepire che la domanda del danneggiato esorbita il massimale di polizza, giacché «le somme per le quali è stata stipulata l'assicurazione» costituiscono un fatto ostativo e/o impeditivo all'accoglimento della domanda attorea il cui onere della prova, ai sensi dell'art. 2697 comma 2 c.c., grava su chi lo eccepisce.

In altri termini, non pare che le novità introdotte dal Codice delle Assicurazioni in materia di massimali possano far ritenere superata quella giurisprudenza, sopra richiamata, che ha “sanzionato” la scelta processuale dell'assicuratore di eccepire il limite del massimale senza produrre in giudizio il contratto di assicurazione.

Orientamenti a confronto

Massimale: grava sull'assicuratore l'onere di provare il limite pattuito tra le parti

Nella responsabilità civile obbligatoria derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, mentre nel caso di rapporto assicurativo con impresa assicuratrice "in bonis" la sussistenza e l'entità del massimale, sia pure nel rispetto dei minimi di legge, dipendono dalla libera volontà negoziale delle parti, sicché è l'assicuratore stesso che ha l'onere di provare, mediante esibizione delle polizze, quale fosse il limite del massimale pattuito tra le parti del contratto di assicurazione all'epoca del sinistro, nella fattispecie disciplinata dagli art. 19 e 21 l. 24 dicembre 1969 n. 990, il diritto del danneggiato al risarcimento nasce, per volontà di legge, limitato, e la misura del massimale si presume quindi nota al giudice (Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2013 n. 11552).

Massimale: il limite minimo deve presumersi noto al giudice in virtù del principio iura novit curia

In materia di assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, ove sorga controversia circa l'ammontare del massimale assicurativo previsto dalla legge per il veicolo condotto dal responsabile, è onere del danneggiato, e non dell'assicuratore, dimostrare a quale categoria appartenesse il veicolo suddetto, mentre - una volta fornita tale prova - il massimale minimo deve presumersi noto al giudice in virtù del principio jura novit curia (Cass. civ., sez. III, 1 ottobre 2009 n. 21057).

La mala gestio

Sebbene l'assicuratore sia obbligato a risarcire il danno nei limiti del massimale di polizza, questa regola è derogata nel caso di “mala gestio”.

La giurisprudenza è solita distinguere tra mala gestio “propria” ed “impropria”.

Si ha mala gestio impropria quando l'assicuratore risarcisce il danno con ritardo, ossia quando non osserva l'obbligo di liquidare il pregiudizio sofferto dal danneggiato nei termini di legge e cioè entro lo spatium deliberandi: in tal caso il capitale non potrà mai eccedere il massimale, ma su questo – dal giorno della costituzione in mora – saranno dovuti gli interessi ed il danneggiato avrà anche diritto al maggior danno ex art. 1224 comma 2 c.c., se provato (Cass. civ., Sez. III, 11 dicembre 2018 n. 31964; Cass. civ., Sez. III, 14 marzo 2016 n. 4892).

Si ha mala gestio propria quando l'assicuratore, non attenendosi ai canoni di correttezza e buona fede, non impedisce – tardando la liquidazione del danno – che l'ammontare di questo ecceda il limite del massimale: in questo caso l'assicuratore risponderà (e si tratta di responsabilità contrattuale) del pregiudizio provocato all'assicurato purché questo riesca a dimostrare che l'assicuratore, pur avendone la possibilità, non ha eseguito esattamente la prestazione di natura contrattuale e non ha impedito, quindi, al danno di lievitare (Cass. civ., Sez. III, 8 luglio 2003 n. 10725); tuttavia, ha recentemente chiarito la Cassazione che l'assicuratore è obbligato a tenere integralmente indenne l'assicurato solo se il massimale era capiente all'epoca del sinistro e non anche quando questo fosse già interamente esaurito all'epoca dell'evento: ricorrendo questa ipotesi, infatti, l'assicuratore “sarà tenuto a pagare soltanto gli interessi legali maturati sul massimale non pagato tempestivamente” (Cass. civ., Sez. III, 19 aprile 2018 n. 9666).

In entrambi i casi l'assicuratore risponderà oltre massimale, ma nella mala gestio impropria sarà sufficiente che il danneggiato si limiti a chiedere la condanna al pagamento di interessi e rivalutazione monetaria, non occorrendo l'espresso riferimento al superamento del massimale o alla condotta renitente dell'assicuratore (Cass. civ., Sez. III, 27 giugno 2014 n. 14637) ma soltanto che quest'ultimo abbia risarcito il danno con ingiustificato ritardo (Cass. civ., Sez. III, 11 luglio 2014 n. 15900); nella mala gestio propria, invece, è necessario che l'assicurato formuli apposita domanda sebbene sia ammissibile che, in difetto, sia lo stesso danneggiato a fare valere i diritti dell'assicurato esperendo l'azione surrogatoria (Cass. civ., Sez. III, 12 settembre 2011 n. 18649).

Gli effetti della copertura assicurativa

A mente del secondo comma dell'art. 144 Cod. Ass., per l'intero massimale di polizza l'impresa di assicurazioni non può opporre al danneggiato eccezioni derivanti dal contratto, né clausole che prevedano l'eventuale contributo dell'assicurato al risarcimento del danno.

L'Assicuratore tuttavia ha diritto di rivalsa verso l'assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione.

La norma ha la funzione di contemperare due contrapposte esigenze: da una parte garantire al danneggiato l'integrale risarcimento del danno senza che questo possa essere pregiudicato o parzialmente compromesso dall'inserimento nel contratto di assicurazione di alcune clausole che escludano o limitino la responsabilità dell'Assicuratore; dall'altro non comprimere eccessivamente la libertà contrattuale delle parti, le quali – nel regolare i loro reciproci interessi – possono avere la concreta utilità di delimitare il rischio anche nell'ottica di un contenimento del premio.

Così, non è raro che il contratto escluda la copertura assicurativa se alla guida vi era un conducente privo di abilitazione ovvero in stato di ebbrezza ovvero quando il veicolo circoli privo di revisione ovvero nel caso di trasporto illegittimo del passeggero (si pensi alla circolazione dei ciclomotori ed al divieto, ai sensi dell'art. 170 comma 2 Cod. Strada, di trasportare passeggeri quando il conducente è minore di anni diciotto).

Inoltre, l'obbligo dell'assicuratore di tenere indenne l'assicurato può essere escluso o limitato anche dalla legge, ad esempio nel caso di sinistro provocato con dolo ai sensi dell'art. 1917 c.c. ovvero quando l'assicurato abbia omesso di denunciare il sinistro alla propria impresa utilizzando il modulo che deve consegnargli la compagnia di assicurazione al momento della stipula del contratto e che deve essere conforme al modello predisposto dall'Ivass: ai sensi dell'art. 143, comma 1, cod. ass., infatti, in questo caso trova applicazione l'art. 1915 c.c., a mente del quale l'assicurato perde il diritto all'indennità, se l'omissione è dolosa, ovvero subisce una riduzione della stessa qualora l'omissione sia colposa e da ciò ne sia derivato un pregiudizio per l'assicuratore (Giud. pace Pisciotta 10 giugno 2007, n. 256; Trib. Napoli 26 maggio 1999).

In tutti questi casi, la legge non ammette la possibilità che l'assicuratore si sottragga all'obbligo di risarcire il terzo, ma ne salvaguarda i diritti prevedendo la possibilità di agire in rivalsa nei confronti dell'assicurato, chiedendo il rimborso di tutte le somme che abbia dovuto pagare al danneggiato.

Parimenti, pur potendo le parti contraenti pattuire eventuali franchigie, e quindi l'esclusione dell'obbligo dell'assicuratore di tenere indenne l'assicurato per una quota di danno inferiore ad una certa soglia, l'impresa non potrà eccepire al danneggiato l'esistenza di questa limitazione contrattuale e dovrà risarcire integralmente il danno, fatta salva – ovviamente – la rivalsa nei confronti dell'assicurato.

Più in generale, per costante giurisprudenza, per eccezioni derivanti dal contratto o clausole che prevedono eventuali contributi dell'assicurato al risarcimento devono intendersi solo quelle che attengono all'invalidità ed all'inefficacia del contratto di assicurazione, ma non anche le eccezioni di inesistenza e nullità del contratto (Cass. civ., Sez. III, 30 giugno 2011 n. 14410, la quale ha ritenuto opponibile la eccezione di nullità del contratto di assicurazione stipulato per un periodo di tempo antecedente la data della sottoscrizione e dopo che il danno si è verificato, vertendosi in una ipotesi di inesistenza del rischio).

Ovviamente, un contratto di assicurazione deve esistere e tale condizione non sussiste quando il contrassegno è falso.

Al riguardo ha però precisato la giurisprudenza che la falsità del certificato di assicurazione non è opponibile al terzo danneggiato quando l'azione fraudolenta è imputabile all'agente della medesima impresa, la quale dovrà risarcire integralmente il danno ed agire in rivalsa nei confronti dell'intermediario infedele e in via di regresso nei confronti dell'assicurato (Cass. civ., Sez. III,11 aprile 2016 n. 6974); tuttavia, l'assicuratore potrà liberarsi dall'obbligo di risarcire il danno qualora riesca a dimostrare che la contraffazione o falsificazione del contrassegno non è dipeso da un proprio comportamento colposo (Cass. civ., Sez. III, 13 luglio 2018 n. 18519; in senso conforme Cass. civ., Sez. III, 27 agosto 2014 n. 18307; Cass. civ., Sez. III, 17 novembre 2011 n. 24089).

Laddove, invece, il certificato di assicurazione sia stato rilasciato erroneamente – perché, ad esempio, non è stato pagato il premio – l'assicuratore non potrà rifiutarsi di risarcire il danneggiato, dovendo prevalere l'apparenza della situazione (Cass. civ., Sez. III, 31 maggio 2019 n. 14891; Cass. civ., Sez. III, 13gennaio 2015, n. 293).

Il Codice delle Assicurazioni prevede un altro caso in cui l'assicurazione non ha effetto: il comma 3 dell'art. 122 Cod. Ass., infatti, esclude la copertura assicurativa quando il sinistro è stato provocato da veicolo che circola contro la volontà del proprietario, dell'usufruttuario, dell'acquirente con patto di riservato dominio o del locatario, in caso di locazione finanziaria.

La circolazione prohibente domino non ha solo riflessi sul rapporto tra assicurato ed assicuratore (l'assicurazione, infatti, non ha effetto a partire dal giorno successivo alla denuncia presentata all'autorità di pubblica sicurezza ed il danno è risarcito dal Fondo di garanzia ai sensi e nei limiti dell'art. 283 comma 1, lettera d Cod. Ass.) ma rileva anche sul piano della responsabilità perchè ai sensi del comma 3 dell'art. 2054 c.c. il proprietario (o gli altri soggetti individuati dalla norma) risponde in solido con il conducente dei danni provocati dal suo veicolo se non prova che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà.

La giurisprudenza si è fatta carico di chiarire quando il proprietario si libera dalla responsabilità: non è sufficiente, infatti, che la circolazione sia avvenuta senza il suo consenso (invito domino) ma occorre, al contrario, che essa sia avvenuta contro la sua volontà (prohibente domino) “estrinsecantesi in atti o comportamenti effettivamente ostativi alla circolazione, rivelatori della diligenza e delle cautele all'uopo adottate” (Cass. civ., Sez. VI, 9 ottobre 2015 n. 20373).

Optando per una interpretazione strettamente letterale dell'art. 122 Cod. Ass., oggi la circolazione prohibente domino idonea a “congelare” gli effetti dell'assicurazione dovrebbe essere unicamente quella avvenuta il giorno dopo la denuncia del proprietario all'autorità di pubblica sicurezza: dunque la regola di valutazione della volontà del proprietario e la distinzione tra invito o prohibente domino perderebbe rilevanza al fine di stabilire se il costo del risarcimento deve ricadere sull'Assicuratore o sul Fondo di garanzia, facendo da “spartiacque” la formale presentazione della denuncia.

Tuttavia, la Cassazione ha escluso che dei danni debba rispondere il Fondo di Garanzia quando il proprietario ne ha denunciato il furto all'autorità di pubblica sicurezza se – per le concrete modalità in cui si è perpetrata la sottrazione del mezzo e cioè a causa della leggerezza del medesimo proprietario che aveva l'auto aperta e con le chiavi nel cruscotto – debba ritenersi che la circolazione è avvenuta invito domino: e ciò perché secondo la Suprema Corte non vi sarebbe ragione di discostarsi dalla propria consolidata giurisprudenza neppure nella vigenza dell'art. 122 Cod. Ass. sia perché tale ultima disposizione riprende la formulazione dell'art. 2054 comma 3 senza alcuna innovazione e sia perché mantenendo fermi gli effetti del contratto di assicurazione si salvaguarda sia la parte danneggiata (la quale non dovrà agire nei confronti del Fondo di garanzia nei limiti consentiti dalla legge) sia il proprietario (che sarà al riparo dal rischio – almeno in linea teorica – di subire l'azione di rivalsa da parte del Fondo) (Cass. civ., Sez. VI, 9 ottobre 2015 n. 20373).

Il periodo di copertura assicurativa

Il comma 2 dell'art. 127 Cod. Ass. stabilisce che “l'impresa di assicurazione è obbligata nei confronti dei terzi danneggiati per il periodo di tempo indicato nel certificato, salvo quanto disposto dall'art. 1901, comma 2, c.c. e dall'art. 122 comma 3 primo periodo”.

Il comma 3 primo periodo dell'art. 122 Cod. Ass. disciplina il caso di sinistro provocato dalla circolazione di un veicolo contro la volontà del proprietario ed è stato esaminato trattando gli effetti della copertura assicurativa, alla quale si rinvia (paragrafo n. 10).

Qui occorre soffermarsi sulle conseguenze dell'omesso pagamento del premio sull'assicurazione e sui riflessi che l'inadempimento dell'assicurato ha sui terzi danneggiati.

Prevede l'art. 1901 c.c. che l'assicurazione è sospesa sino alle ore ventiquattro del giorno in cui l'assicurato paga il premio o la prima rata di premio ed è sospesa anche dalle ore ventiquattro del quindicesimo giorno successivo alla scadenza se l'assicurato non paga i premi successivi al primo.

La regola sancita dalla norma in esame è una applicazione del principio generale “inadimplenti non est adimplendum” adeguato alle peculiari caratteristiche del contratto di assicurazione, “nel quale tra le prestazioni dell'assicurato e quelle dell'assicuratore esiste un rapporto di corrispettività e di interdipendenza” (Corte Cost. 5 febbraio 1975 n. 18).

La disposizione, quindi, disciplina le conseguenze dell'eventuale inadempimento dell'assicurato che non versi il premio iniziale ovvero quelli successivi.

Nel primo caso, l'assicurazione rimane sospesa sino alle ore ventiquattro del giorno in cui l'assicurato adempie la propria prestazione pagando il premio; tuttavia, secondo il consolidato orientamento della Cassazione, nell'assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione stradale l'inadempimento dell'assicurato, qualora si verifichi il sinistro, non è opponibile al terzo danneggiato se l'assicuratore ha rilasciato il certificato di assicurazione (Cass. civ., sez. lav., 16 febbraio 2017 n. 4112; Trib. Napoli 17 maggio 2019 n. 5118).

Il principio troverebbe una conferma proprio nell'art. 127 Cod. Ass.: la norma infatti, stabilendo che l'impresa di assicurazione è sempre obbligata nei confronti dei terzi danneggiati per il periodo di tempo indicato nel certificato di assicurazione e che questa regola è derogata (e dunque l'assicuratore può rifiutarsi di risarcire il danno) se ricorre l'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 1901 c.c., non fa riferimento anche a quella di cui al primo comma dell'art. 1901 c.c.

Ed il suddetto principio si applicherebbe anche quando il danneggiato richieda direttamente al proprio assicuratore il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 149 Cod. Ass., avendo affermato la Suprema Corte che “il danneggiato cui siano stati rilasciati il certificato ed il contrassegno assicurativo può agire nei confronti del proprio assicuratore, ex art. 149, del d.lgs. n. 209 del 2005, quand'anche il pagamento del premio sia mancato, ovvero sia avvenuto in ritardo (come nel caso di specie), considerato, da un lato, che ciò che rileva per la promovibilità della azione diretta nei confronti dell'assicuratore è, in virtù del combinato disposto degli artt. 127 del d.lgs. cit. e 1901 c.c., l'autenticità del contrassegno e non la validità del rapporto assicurativo e, dall'altro, che tale azione è la stessa prevista dall'art. 144 del medesimo d.lgs. per le ipotesi ordinarie, con l'unica particolarità che destinatario ne è l'assicuratore della vittima, anziché del responsabile civile, con accollo liberatorio "ex lege" del debito di quest'ultimo” (Cass. civ., sez. VI, 9 ottobre 2015 n 20374).

Nel caso di omesso pagamento dei premi successivi al primo, invece, l'assicuratore è obbligato a risarcire il danno solo se il sinistro si è verificato nel periodo di “tolleranza”, e cioè entro il quindicesimo giorno successivo alla scadenza, indipendentemente dall'effettivo pagamento del premio o della rata di premio (Cass. civ., sez. III, 12 luglio 2017 n. 17207).

Ha infatti chiarito la Cassazione che “il mancato pagamento alla scadenza, da parte dell'assicurato, di un premio successivo al primo determina, ai sensi dell'art 1901, comma 2, c.c., la sospensione della garanzia assicurativa non immediatamente, ma solo dopo il decorso del periodo di tolleranza di quindici giorni; nè la legge subordina questa ulteriore efficacia del contratto al fatto che il premio sia pagato entro il termine medesimo, onde, in caso di protrazione dell'inadempienza dell'assicurato e di successiva risoluzione del contratto a norma del comma 3 del citato art. 1901, l'effetto retroattivo della risoluzione si produrrà non dalla scadenza del premio, ma dallo spirare del periodo di tolleranza” (Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2016 n. 26104).

Qualora, invece, il sinistro si verifichi dopo le ore ventiquattro del quindicesimo giorno dalla scadenza, il mancato pagamento del premio sarà opponibile ai terzi danneggiati, trovando applicazione – come detto - il comma secondo dell'art. 127 Cod. Ass. (Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 2013 n. 4353, la quale ha ulteriormente precisato che “il danneggiato dovrà richiedere il risarcimento dei danni direttamente al fondo di garanzia vittime della strada”).

E non sarà sufficiente il pagamento successivo del premio (e cioè dopo il periodo di proroga) al fine di riattivare la copertura assicurativa con effetti retroattivi (Cass. civ., sez. III, 31 ottobre 2014 n. 23149; Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2006 n. 13545).

Tuttavia, è stato talvolta ritenuto che la scelta dell'assicuratore di accettare il tardivo pagamento del premio senza alcuna riserva implichi rinuncia ad avvalersi della sospensione della garanzia assicurativa.

Il principio è stato recentemente affermato da Trib. Milano 6 settembre 2012 n. 9818 e precedentemente da Cass. civ., Sez. Lav., 2 dicembre 2000 n. 15407, secondo la quale “in tema di assicurazione, l'art. 1901, comma 2, c.c. - il quale prevede la sospensione della garanzia per effetto del mancato pagamento del premio alla scadenze convenute - costituisce applicazione dell'istituto generale dell'eccezione di inadempimento, di cui all'art. 1460 c.c. In applicazione al comma 2 di tale ultima disposizione deve, pertanto, negarsi all'assicuratore la facoltà di rifiutare la garanzia assicurativa ove ciò sia contrario a buona fede, come nel caso in cui l'assicuratore medesimo abbia, sia pure tacitamente, manifestato la volontà di rinunciare alla sospensione, ad esempio tramite ricognizione del diritto all'indennizzo ovvero accettazione del versamento tardivo del premio senza effettuazione di riserve, nonostante la conoscenza del pregresso verificarsi del sinistro”; in senso conforme anche Cass. civ., Sez. III, 19 luglio 2004 n. 13344; Cass. Civ., Sez. I, 20 gennaio 1981 n. 472)

In senso contrario però è il più recente orientamento della Cassazione, la quale ha ribadito che “nei contratti di assicurazione della r.c.a. con rateizzazione del premio, una volta scaduto il termine di pagamento della seconda rata, l'efficacia del contratto resta sospesa a partire dal quindicesimo giorno successivo alla scadenza, e tale sospensione è opponibile anche ai terzi danneggiati, ai sensi dell'art. 1901 c.c., dovendosi ritenere il veicolo sprovvisto di assicurazione, senza che rilevi l'accettazione, da parte dell'assicuratore, di un pagamento tardivo, che non costituisce rinunzia alla sospensione della garanzia assicurativa, ma impedisce solo la risoluzione di diritto del contratto” (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014 n. 5944; in senso conforme Cass. civ., sez. III 28 ottobre 2009 n. 22809).

Orientamenti a confronto

Pagamento del premio in ritardo e accettazione della somma senza riserva: rinuncia dell'assicuratore alla sospensione della garanzia assicurativa

In tema di assicurazione, l'accettazione senza riserve del premio pagato in ritardo ("a fortiori" se addirittura dopo il verificarsi del sinistro), costituisce un'ipotesi di rinunzia tacita al rimedio della sospensione della garanzia assicurativa ex art. 1901 c.c. (Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2004 n. 13344)

Pagamento del premio in ritardo e accettazione della somma senza riserva: non costituisce rinuncia dell'assicuratore alla sospensione della garanzia assicurativa

Nei contratti di assicurazione della r.c.a. con rateizzazione del premio, una volta scaduto il termine di pagamento della seconda rata, l'efficacia del contratto resta sospesa a partire dal quindicesimo giorno successivo alla scadenza, e tale sospensione è opponibile anche ai terzi danneggiati, ai sensi dell'art. 1901 c.c., dovendosi ritenere il veicolo sprovvisto di assicurazione, senza che rilevi l'accettazione, da parte dell'assicuratore, di un pagamento tardivo, che non costituisce rinunzia alla sospensione della garanzia assicurativa, ma impedisce solo la risoluzione di diritto del contratto (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014 n. 5944).

L'estensione territoriale della copertura assicurativa

A mente dell'art. 122, comma 4, Cod. Ass., l'assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore copre anche la responsabilità per i danni causati nel territorio degli altri Stati membri.

La garanzia è prestata alle condizioni ed entro i limiti stabiliti dalle legislazioni nazionali di ciascuno di tali Stati, salve le maggiori garanzie eventualmente previste dal contratto o dalla legislazione dello Stato in cui il veicolo staziona abitualmente.

Sono “Stati membri” quelli individuati dall'art. 2 del D.M. 1 Aprile 2008 n. 86, e cioè gli Stati membri dell'Unione Europea e gli Stati aderenti alla Spazio economico europeo e come tale equiparato allo Stato membro dell'Unione Europea (e cioè tutti i Paesi dell'UE oltre a Islanda, Liechtenstein e Norvegia).

I terzi

In linea di principio, l'Assicuratore deve risarcire il danno che dalla circolazione del veicolo sia derivato ai terzi.

Per poter esattamente individuare costoro non si può prescindere dall'art. 129 Cod. Ass., a mente del quale non è considerato terzo e non ha diritto ai benefici derivanti dal contratto di assicurazione obbligatoria il solo conducente del veicolo responsabile del sinistro (principio piuttosto chiaro che comunque è stato ribadito da Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2016 n. 19431)

La disposizione deve essere raccordata - però - con la norma del Codice delle Assicurazioni che ha introdotto nell'ordinamento la procedura di indennizzo diretto.

Non è questa la sede per approfondire la questione, ma il conducente, che a mente dell'art. 129 comma 1 Cod. Ass. non è terzo e dunque non può rivolgersi all'impresa di assicurazione che garantiva la circolazione del veicolo alla cui guida si trovava, può - ai sensi dell'art. 149 Cod. Ass. - ugualmente rivolgersi alla impresa che assicurava il veicolo utilizzato per chiedere il risarcimento del danno ove ricorrano due condizioni: che si tratti di danni materiali; che si tratti di lesioni di lieve entità ed il conducente non sia responsabile.

Il presupposto dell'azione del conducente ai sensi dell'art. 149 Cod. Ass. non sarà - ovviamente – il contratto di assicurazione (e così si spiega anche la compatibilità tra l'art. 129 e l'art. 149 del Codice delle Assicurazioni) perché - come bene ha chiarito la Cassazione - “l'azione diretta di cui all'art. 149 d.lg. 7 settembre 2005 n. 209 non è originata dal contratto assicurativo, ma dalla legge, che la ricollega al verificarsi del sinistro a certe condizioni, assumendo l'esistenza di un contratto assicurativo solo come presupposto legittimante, sicché la posizione del danneggiato non cessa di essere originata dall'illecito e trovare giustificazione in esso, assumendo la posizione contrattuale del medesimo verso la propria assicurazione soltanto la funzione di sostituire l'assicurazione del danneggiato a quella del responsabile nel rispondere della pretesa risarcitoria” (Cass. civ., sez. VI, 13 aprile 2012 n. 5928. In senso conforme, Trib. Siena 11 novembre 2014).

Al di fuori dei ristretti ambiti in cui ciò è consentito dall'art. 149 Cod. Ass., dunque il conducente non può rivolgersi all'Assicuratore del veicolo alla cui guida si trovava se a causa del sinistro stradale ha riportato danni: e ciò perché - come previsto espressamente dall'art. 129 Cod. Ass. - egli non può essere considerato terzo.

Il secondo comma di quest'ultima disposizione individua una serie di soggetti che non possono essere considerati terzi e non hanno diritto ai benefici derivanti dal contratto di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli.

Essi sono: a) i soggetti di cui al terzo comma dell'art. 2054 c.c. ed al secondo comma dell'art. 91 Cod. Strada, e cioè il proprietario del veicolo ovvero l'usufruttuario, l'acquirente con patto di riservato dominio ed il locatario nel leasing; b) il coniuge non legalmente separato, il convivente more uxorio, gli ascendenti e i discendenti legittimi, naturali o adottivi del conducente e dei soggetti di cui alla precedente lettera a); c) gli affiliati e gli altri parenti e affini fino al terzo grado del conducente e dei soggetti di cui alla lettera a) quando convivano con questi o siano a loro carico in quanto l'assicurato provvede abitualmente al loro mantenimento; d) se l'assicurato è una società, i soci a responsabilità illimitata e le persone che si trovano con questi in uno dei rapporti indicati alle lettere b) e c).

Costoro, limitatamente ai danni alle cose, non potranno considerarsi terzi agli effetti dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli: peraltro, l'art. 4 l. n. 990/1969, il cui testo è stato sostanzialmente ed integralmente recepito dall'art. 129 Cod. Ass., ha superato il vaglio della Corte Costituzionale, secondo la quale “è manifestamente infondata la questione, sollevata in riferimento all'art. 3 cost., in quanto l'esclusione dei prossimi congiunti dell'assicurato dai benefici assicurativi, limitatamente ai danni alle cose, costituisce esercizio non irragionevole di discrezionalità legislativa, sotteso dal duplice intento di evitare, da un lato, la concentrazione nel medesimo soggetto della qualità di assicurato e danneggiato e, dall'altro, la preordinazione di collusioni in danno dell'assicuratore” (Corte Cost. 13 giugno 2000 n. 193).

La Cassazione, conseguentemente, ha negato la qualità di terzo – in relazione ai danni riportate dagli oggetti di sua proprietà che si trovavano sull'autovettura – al figlio del conducente del veicolo responsabile sebbene il mezzo fosse di proprietà del fratello non convivente del danneggiato, all'uopo osservando che di convivenza è dato discutere solo quando il danneggiato è un affiliato del conducente o un parente ed affine fino al terzo grado (Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2013 n. 19796).

I medesimi soggetti saranno considerati a tutti gli effetti terzi invece per i danni alla persona, e ciò anche nel caso in cui essi fossero trasportati sul veicolo, dovendo applicarsi sempre l'art. 122 comma 2 Cod. Ass. ai sensi del quale “l'assicurazione comprende la responsabilità per i danni alla persona causati ai trasportati, qualunque sia il titolo in base al quale è effettuato il trasporto”.

Dunque, nessun limite potrà soffrire il parente o il congiunto del conducente o del proprietario del veicolo se dalla circolazione del veicolo assicurato gliene sia derivato un danno alla persona, e ciò - come detto – tanto se viaggiava come trasportato quanto se era pedone.

E la regola di particolare favore per il danneggiato è stata affermata dalla Cassazione anche in una fattispecie verificatasi nella vigenza dell'art. 4 lett. a) l. n. 990/1969 nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 28 l. n. 142/1992, avendo affermato il diritto del coniuge trasportato del conducente al risarcimento dei danni alla persona in ossequio all'art. 3 della Direttiva n. 84/5/Cee che vieta di escludere – a motivo del legame di parentela – i membri della famiglia del conducente (Cass. civ., sez. III, 9 marzio 2012 n. 3715; in senso conforme Cass. civ., sez. III, 13 novembre 2009 n. 24028 in un caso in cui il coniuge era anche comproprietario del veicolo sul quale viaggiava come trasportato; e sempre in senso conforme Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2008 n. 2379, la quale ha precisato che “l'assicuratore del vettore è tenuto a risarcire i danni alla persona patiti dal coniuge dell'assicurato trasportato sul mezzo e comproprietario del veicolo, in virtù della prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale”).

Dalla letterale interpretazione dell'art. 129 Cod. Ass. discende che anche il proprietario – quando è diverso dal conducente - è terzo ai fini del risarcimento dei danni alla persona provocatigli dalla circolazione del veicolo di proprietà: peraltro, sulla questione si era anche espressa la Corte di Giustizia, la quale aveva affermato che “le disposizioni nazionali in materia non possono privare le direttive 72/166/Cee (art. 3, n. 1), 84/5/Cee (art. 2, n. 1) e 90/232/Cee (art. 1, n. 1) del loro effetto utile e non possono pertanto negare o limitare in materia sproporzionata il risarcimento del danno al passeggero corresponsabile, che abbia riportato danni nell'incidente, anche se lo stesso passeggero risulti proprietario non conducente dell'autoveicolo” (Corte Giustizia 30 giugno 2005 n. 537).

Ed a maggior ragione sarà terzo il parente del proprietario, quando è diverso il conducente, se chiede il risarcimento di un danno iure proprio, cioè di un danno che, in seguito al decesso del proprietario, è direttamente entrato nella sfera giuridica del danneggiato secondario.

Peraltro, in un caso verificatosi sotto la vigenza dell'art. 4 l. n. 990/1969 prima delle modifiche introdotte dalla l. n. 142/1992, la Cassazione aveva riconosciuto il risarcimento del danno morale subito dai prossimi congiunti del proprietario del veicolo deceduto per colpa del conducente del veicolo, “trattandosi di danno alla persona direttamente risentito dagli stessi congiunti, senza che assuma rilievo, in contrario, la circostanza che al proprietario che avesse riportato lesioni seguite da morte non sarebbe spettata analoga indennità, per la preclusione derivante dal disposto della lett. a, del medesimo articolo” (Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 2010 n. 2362; in senso conforme Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 2002 n. 2503).

La giurisprudenza di merito si è anche spinta al punto di ritenere terzo il parente del conducente responsabile del sinistro quando chiede il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale causatogli dal decesso del detto conducente.

Infatti, è stato “riconosciuto il risarcimento del danno conseguente alla perdita del rapporto parentale, quale tipologia di danno non patrimoniale, la cui configurabilità consiste in un pregiudizio di tipo esistenziale, indipendentemente dal configurarsi di un reato, il quale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia, ed al cui riconoscimento, nel caso in cui la vittima terzo trasportato sia figlio del conducente, alcun ostacolo pone la previsione dell'art. 4 della l. n. 990/69 (oggi rifluito nell'art. 129 Cod. Ass.). Questa disposizione prevede che non è considerato terzo e non ha diritto ai benefici derivanti dal contratto di assicurazione obbligatoria solo il conducente del veicolo responsabile del sinistro, mentre i discendenti legittimi del conducente non hanno diritto al risarcimento limitatamente ai danni alle cose. Tale disposizione impedisce dunque che il conducente che sia deceduto a seguito del sinistro e ne sia stato il responsabile possa trasmettere per via ereditaria ai trasportati le proprie ragioni risarcitorie, ma poiché il danno da perdita parentale, inteso come dolore sofferto per la perdita di un parente (diverso dal biologico), è una voce di danno che il trasportato che sia parente del conducente vanta "iure proprio" (cd. vittima secondaria) e non jure hereditario, ed essendo egli escluso solo dal risarcimento dai danni alle cose, si deve senz'altro ammettere il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale in favore del trasportato figlio del conducente responsabile del sinistro che sia deceduto” (Trib. Bari 26 maggio 2010).

Invece, è stato negato il diritto del conducente di domandare al proprietario del veicolo ed al suo assicuratore della r.c.a. il risarcimento del danno morale patito in conseguenza della morte del prossimo congiunto, trasportato sul veicolo, perché delle due l'una: “o il conducente è responsabile del sinistro, ed allora egli non può pretendere il risarcimento di un danno (quello morale) che lui stesso ha cagionato a se medesimo; ovvero il conducente non è responsabile del sinistro, ed allora non può invocare la responsabilità del proprietario, ex art. 2054 comma 3 c.c., e del suo assicuratore” (Trib. Roma 25 giugno 2003).

E' stato anche affermato il diritto del proprietario del veicolo “ad essere risarcito dal proprio assicuratore della r.c.a., per intero, del danno morale subito in conseguenza della morte del proprio coniuge, avvenuta mentre quest'ultimo era trasportato a bordo del veicolo dell'assicurato e per colpa del conducente diverso dal proprietario” (Corte appello Roma 17 luglio 2002).

Casistica

Assicurazione Rca della motrice ed estensione della copertura ai danni causati dal rimorchio agganciato

In tema di assicurazione di una vettura motrice con rimorchio, l'assicurazione obbligatoria stipulata per la prima copre la responsabilità per i danni provocati dal secondo ad essa agganciato in ragione della considerazione unitaria del complesso autoarticolato(cd. rischio dinamico), mentre l'autonomia del rimorchio rileva, anche ai fini della necessità di una specifica copertura assicurativa, soltanto nella diversa ipotesi in cui il rimorchio provochi danni quando è fermo o manovrato a mano (cd. rischio statico) (Cass. civ., sez. III, 17 novembre 2017 n. 27371).

Assicurazione del c.d. rischio dinamico del rimorchio ed azione diretta del danneggiato: esclusione

Il proprietario di un rimorchio ha la facoltà, ma non l'obbligo, di stipulare un'assicurazione a copertura della propria responsabilità civile per i danni derivanti dalla circolazione del rimorchio (c.d. rischio dinamico), mentre ha l'obbligo di stipulare l'assicurazione della responsabilità civile per i soli danni che il rimorchio può causare quando è fermo o manovrato a mano (cosiddetto rischio statico). Ne consegue che all'assicurazione del primo tipo, non avendo natura obbligatoria, è inapplicabile la disciplina di cui alla l. 24 dicembre 1969 n. 990 (oggi abrogata e sostituita dagli art. 122 e ss. cod. ass..), e la vittima di un sinistro stradale causato da un rimorchio circolante non ha azione diretta nei confronti dell'assicuratore di quest'ultimo, ma solo nei confronti dell'assicuratore della motrice, che è tenuto "ex lege" per i danni causati dall'intero complesso circolante (Cass. civ., sez. III, 26 Luglio 2012 n. 13200).

Circolazione stradale ai sensi dell'art. 2054 c.c.: definizione

Il concetto di circolazione stradale di cui all'art. 2054 c.c. include anche la posizione di arresto del veicolo e ciò in relazione sia all'ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia alle operazioni propedeutiche alla partenza o connesse alla fermata, sia, ancora, rispetto a tutte le operazioni che il veicolo è destinato a compiere e per il quale può circolare sulle strade. Ne consegue che per l'operatività della garanzia per R.C.A. è necessario che il veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull'area ad essa parificata, mantenga le caratteristiche che lo rendano tale in termini concettuali e, quindi, in relazione alle sue funzionalità non solo sotto il profilo logico ma anche delle eventuali previsioni normative, risultando invece indifferente l'uso che in concreto se ne faccia, sempreché esso rientri nelle caratteristiche del veicolo medesimo. (Nella specie le S.U., hanno ricondotto all'art. 2054 c.c., e alla disciplina della R.C.A. il sinistro mortale determinato dall'imperita manovra da parte del conducente di un mezzo in sosta, munito di un braccio meccanico di sollevamento, per effetto della quale un cassone metallico, in fase di caricamento, era scivolato travolgendo la vittima) (Cass. civ., Sez. Un., 29 aprile 2015 n. 8620).

Circolazione su strada pubblica o area ad essa equiparata e sinistro verificatosi su una pista da sci

Nella ipotesi di scontro tra una autovettura ed uno sciatore su pista da sci deve escludersi l'applicazione sia dell'art. 2054 c.c. che della normativa relativa alla assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile da circolazione di veicoli, perché presupposto per l'applicazione di tale disciplina è che il sinistro avvenga in una area stradale o ad essa equiparata, in cui non può comprendersi una pista sciistica, non destinata ad uso stradale ma all'esercizio di uno sport mediante un mezzo non rientrante tra i veicoli disciplinati dal codice della strada (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2016 n. 21254).

Soggetti assicurati: lo è il proprietario del veicolo anche per i danni derivati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione

In tema di assicurazione della responsabilità civile da circolazione di veicoli, i soggetti assicurati, per espressa previsione dell'art. 1 l. 24 dicembre 1969 n. 990, sono quelli previsti dall'art. 2054 c.c., tra i quali è incluso il proprietario del veicolo. Poiché, ai sensi dell'art. 2054, comma 4, c.c., il proprietario è responsabile dei danni derivati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo, anche questa responsabilità, allorché attenga ad eventi dannosi verificatisi durante la circolazione sulle strade, è coperta dall'assicurazione obbligatoria, di cui all'art. 1 l. 24 dicembre 1969 n. 990, con la conseguenza che per essa risponde anche l'assicuratore. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto risarcibili da parte dell'assicuratore i danni correlati alla responsabilità del proprietario di un autocarro per difetto di manutenzione, consistente nell'utilizzo di uno pneumatico vetusto, causa della morte del conducente del veicolo) (Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2011 n. 19883).

Soggetti assicurati: non lo è il trasportato se “danneggiante”

L'assicurazione contro la responsabilità civile da circolazione di veicoli, costituendo applicazione dell'istituto dell'assicurazione della responsabilità civile di cui all'art. 1917 c.c. per danni arrecati a terzi, è diretta a garantire il patrimonio dei soggetti assicurati - tali essendo quelli di cui all'art. 2054 c.c. - non l'autoveicolo; ne deriva, pertanto, che il terzo trasportato a qualunque titolo - i cui danni alla persona, eventualmente subiti, sono coperti dall'assicurazione obbligatoria a norma dell'art. 1, comma 2, l. 24 dicembre 1969 n. 990 - beneficia della disciplina dell'assicurazione medesima quale danneggiato, non quale danneggiante, sicché nei di lui confronti è ammissibile l'azione di rivalsa da parte dell'assicuratore della responsabilità civile che abbia risarcito il danno provocato dal predetto trasportato ad altro soggetto. (Nella specie il terzo trasportato aveva improvvisamente ed incautamente aperto lo sportello destro dell'auto, sulla quale viaggiava, provocando in tal modo lesioni al conducente di un motociclo che sopraggiungeva in fase di sorpasso dell'auto, arrestata sul lato sinistro della carreggiata) (Cass. civ., Sez. III, 6 giugno n. 8216).

Mala gestio propria ed impropria: definizione e differenze

L'ingiustificato ritardo dell'assicuratore della r.c.a. nell'adempimento delle proprie obbligazioni nei confronti del danneggiato lo può esporre a due diversi tipi di responsabilità: la prima è quella per c.d. "mala gestio" impropria (id est: responsabilità da colpevole ritardo) nei confronti del danneggiato stesso, la quale ha per effetto l'obbligo di pagare gli interessi ed, eventualmente, il maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c., anche in eccedenza rispetto al massimale; l'altra è quella per c.d. "mala gestio" propria, che sussiste nei confronti non del danneggiato, ma dell'assicurato, ed ha per effetto l'obbligo dell'assicuratore di tenere indenne quest'ultimo, anche in misura eccedente il massimale, di un importo pari alla differenza tra quanto il responsabile avrebbe dovuto pagare al danneggiato se l'assicuratore avesse tempestivamente adempiuto le proprie obbligazioni, e quanto invece sarà costretto a pagare in conseguenza del ritardato adempimento (Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2010 n. 15397) .

Mala gestio propria ed onere di specificazione della domanda

Nel sistema della assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, qualora l'assicurato/danneggiante chieda di essere sollevato degli eventuali effetti pregiudizievoli che possano derivare dal comportamento illegittimo della assicurazione per il pagamento delle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno nell'ambito del massimale e di quelle che potrebbero eccedere tale limite a titolo di interessi e di svalutazione monetaria, la domanda manca della necessaria specificità affinché possa intendersi espressamente proposta come invocazione della responsabilità ultramassimale dell'assicuratore per cd. "mala gestio propria", che si fonda sull'inadempimento dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nelle obbligazioni derivanti dal contratto di assicurazione e non - al contrario della cd. "mala gestio impropria" - sulla responsabilità da colpevole ritardo nell'adempimento di un'obbligazione pecuniaria (Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2014 n. 15917)

Mala gestio propria e determinazione del danno

Il danno che l'assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione degli autoveicoli può causare al proprio assicurato, colposamente ritardando l'adempimento dei propri obblighi nei confronti del terzo danneggiato, non è rappresentato dai meri interessi di mora, ma consiste in una differenza: quella tra il risarcimento cui l'assicurato sarebbe stato costretto dal terzo, se l'assicuratore avesse tempestivamente adempiuto la propria obbligazione (e dunque anche zero, se possa presumersi che un tempestivo pagamento non avrebbe ecceduto il massimale), e la somma che invece l'assicurato sarà costretto a pagare al terzo, a causa del ritardo dell'assicuratore e della sopravvenuta incapienza del massimale (Cass. civ., sez. III, 26 aprile 2017 n. 10221).

Garanzia assicurativa ed eccezioni di natura contrattuale che possono essere opposte al danneggiato

La disposizione del comma 2 dell'art. 18 l. 24 dicembre 1969 n. 990 ("ratione temporis" applicabile nella specie, e identica al vigente art. 144 comma 2 d.lg. 7 settembre 2005 n. 209), che nega all'assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli o natanti la facoltà di opporre al danneggiato, il quale agisca direttamente nei suoi confronti, eccezioni derivanti dal contratto o clausole che prevedono eventuali contributi dell'assicurato al risarcimento, concerne le sole eccezioni relative all'invalidità ed all'inefficacia del contratto di assicurazione, mentre non è applicabile per le eccezioni di inesistenza e nullità del contratto stesso, quale quella di nullità per inesistenza del rischio, a norma dell'art. 1895 c.c., che vizia la polizza stipulata per un periodo di tempo antecedente la data della sua sottoscrizione e dopo che il danno si è verificato (Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2011 n. 14410).

Garanzia assicurativa se emesso il certificato di assicurazione anche se non è stato pagato il premio: obbligo dell'assicuratore di risarcire il danneggiato

Il rilascio del contrassegno assicurativo da parte dell'assicuratore della responsabilità civile auto vincola questi a risarcire i danni causati dalla circolazione del veicolo, anche quando il premio assicurativo non sia stato pagato o il contratto non sia efficace, poiché, nei confronti del danneggiato, quello che rileva è l'autenticità del contrassegno, non la validità del rapporto assicurativo (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2019 n. 14891).

Assicurazione RCA: il conducente responsabile non è terzo

In tema di circolazione stradale, l'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile contro i danni provocati dal veicolo non include i danni subiti dal conducente del veicolo responsabile del sinistro, il quale non può essere considerato terzo e dunque avente diritto ai benefici del contratto (Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2016 n. 19431).

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