Matrimonio del minore: quali presupposti?
13 Settembre 2019
Massima
Va accolta l'autorizzazione alle nozze, avanzata da una minore in stato di gravidanza, anche senza ascoltare il padre, sospeso dalla responsabilità genitoriale, con cui i rapporti erano sporadici, risultando la scelta della minore scevra da qualsiasi condizionamento familiare e sociale. Il caso
Una minore in stato di gravidanza, figlia di un uomo detenuto e sospeso dalla responsabilità genitoriale, chiede al giudice di essere autorizzata a contrarre matrimonio. Il tribunale minorile, ritenuto sufficiente l'ascolto della sola madre, accoglie la domanda, a fronte della genuinità della scelta della minore, scevra da condizionamenti familiari o sociali. La questione
Due sostanzialmente le questioni affrontate dalla pronuncia in commento: i) devono essere ascoltati entrambi i genitori del minore che chiede l'autorizzazione al matrimonio?; ii) quali sono i presupposti di detta autorizzazione? Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in esame riguarda una fattispecie (fortunatamente, a parere di chi scrive, sempre più rara), ossia la richiesta di autorizzazione alle nozze da parte di un minore. Come è noto, l'art. 84 comma 1 c.c. prevede, quale primo requisito soggettivo per la valida celebrazione del matrimonio, la maggiore età dei nubendi. Si presume infatti che, solo con l'acquisizione della piena capacità d'agire, si acquisisca anche quella di contrarre il vincolo coniugale, con l'assunzione dei doveri e diritti che derivano per legge. In questa prospettiva si nota la differenza fra matrimonio civile e canonico, nel quale ultimo assume importanza preponderante la finalità procreativa: esso infatti è valido, quanto all'età, se l'uomo sia ultrasedicenne e la domma maggiore di anni quattordici. Dispone peraltro l'art. 84 comma 2 che il tribunale minorile può comunque ammettere al matrimonio (civile) colui che abbia compiuto i sedici anni; l'autorizzazione, emessa dopo aver sentito, oltre al minore, anche il pubblico ministero ed i genitori (ovvero il tutore), presuppone: a) l'accertamento della maturità psico-fisica del minore e la fondatezza delle ragioni da lui addotte; b) la ricorrenza di gravi motivi. Quanto al procedimento, esso è disciplinato dagli artt. 737 ss. c.p.c.. Come si è anticipato, i genitori o il tutore devono soltanto essere “sentiti” , per fornire al giudice informazioni utili, senza la necessità di un loro assenso, attesa la natura personalissima del diritto che il minore intende esercitare. Il tribunale minorile (come avvenuto nella fattispecie) può delegare ai servizi sociali il suddetto incombente. Stante la finalità meramente conoscitiva dell'ascolto dei genitori, esso può essere omessa allorquando risulti superfluo, se non pregiudizievole per il minore. Il decreto in commento correttamente esclude doversi procedere all'ascolto del padre della ricorrente, che aveva mantenuto sporadici contatti con la figlia ed era astretto in carcere, per scontare una lunga pena detentiva che aveva determinato la sospensione della responsabilità genitoriale. L'omissione dell'ascolto non consegue dunque alla pena accessoria della richiamata sospensione (attesa la già evidenziata natura personalissima dei diritti dedotti con la richiesta di autorizzazione alle nozze), bensì all'inconferenza dell'incombente nella fattispecie concreta: la sostanziale mancata instaurazione di una relazione tra padre e figlia nessun elemento avrebbe potuto attribuire al giudice, per comprendere le motivazioni che avevano indotto la richiedente alle nozze. Già si è detto che, per autorizzare il minore al matrimonio, il giudice deve valutarne la maturità psico-fisica, intesa come volontà consapevole e sincera di assumere il vincolo ed affrontare la vita coniugale, con i diritti e i doveri che derivano dal vincolo stesso. Il matrimonio, infatti, comporta l'adempimento di una serie di obblighi, previsti dall'art. 143 c.c., che stanno alla base del consorzio familiare. Diverso è invece l'oggetto dell'ulteriore accertamento demandato al giudice minorile, afferente i “gravi motivi” che dovrebbero legittimare nozze precoci. La maggior parte di una (ormai datata) casistica riflette fattispecie in cui i gravi motivi erano rappresentati dallo stato di gravidanza della minore, con la conseguente necessità (avvertita soprattutto in contesti, per cultura e tradizioni, meno evoluti) di dar corso ad un matrimonio “riparatore”. Come ricorda il decreto in esame, già sulla scorta di risalente giurisprudenza, le responsabilità proprie dello status di coniuge postulano un grado di maturità e consapevolezza maggiore rispetto a quello dello status genitoriale, più naturale e spontaneo. Da ultimo, occorre rimarcare come i motivi, che inducono a celebrare il matrimonio, non solo devono essere seri, ma pure suscettibili di una verifica oggettiva, non potendo essere intesi come semplici espressioni di desideri. Movendosi sul solco di un orientamento consolidato, il tribunale minorile di Caltanissetta autorizza una giovane ragazza in stato di gravidanza e già madre ad accedere alle nozze, avendo riscontrato che “la scelta della minore prescinde da qualsiasi condizionamento familiare e sociale, essendo univocamente riconducibile al desiderio della stessa di costituire quel patto di alleanza e reciproca appartenenza con il proprio compagno, discendente dal vincolo matrimoniale”. Del resto, proprio lo stesso Tribunale minorile aveva affermato come sia necessario interpretare restrittivamente la nozione di “gravi motivi”, da escludersi nei casi in cui il minore, per effetto di propri deficit ovvero di fattori esterni, abbia a manifestare una volontà viziata (Trib. min. Caltanissetta 26 ottobre 2017). Osservazioni
Come premesso, la decisione annotata riguarda una fattispecie sempre più rara nella pratica, quasi una sorta di “archeologia giurisprudenziale”. La celebrazione del matrimonio determina per le parti l'assunzione di precisi doveri reciproci, di natura personale e patrimoniale, da assumersi con piena consapevolezza ed autonomia (che non necessariamente…. possono ritenersi acquisite con il compimento della maggiore età). Per diversi anni dopo la riforma del 1975, l'autorizzazione alle nozze ha fatto per lo più riferimento alla fattispecie standard del matrimonio riparatore, a fronte dello stato di gravidanza della minore (ma v. Trib. min. L'Aquila 28 gennaio 1984, n Giur. merito; nella specie i nubendi convivevano già e la gravidanza si era interrotta per aborto spontaneo). In oggi la società è molto cambiata; l'approccio al matrimonio è meno frequente di una volta e tende a spostarsi nel tempo. È naturale, anche per ragioni economiche, programmare le nozze al momento in cui i nubendi potranno beneficiare di una stabilità lavorativa e patrimoniale; la nascita di un figlio presuppone il consolidarsi di un rapporto di coppia. Ecco perché sono calate in maniera sensibile le richieste di autorizzazione alle nozze da parte di un minore: dato oggettivo, che non può che considerarsi favorevolmente nel nome di una genitorialità più matura e consapevole, slegata dall'approccio alla sessualità in un'età giovanile. Correttamente la l. 76/2016 ha previsto, per la costituzione di un'unione civile fra persone dello stesso sesso, il raggiungimento della maggiore età, senza introdurre deroga alcuna Del resto, come ricorda il decreto annotato, dopo la riforma del 2012/2013 non sussiste più differenza di diritti e doveri dei figli, a seconda della loro nascita (dentro o fuori il matrimonio); tutti i figli infatti hanno lo stesso stato giuridico (art. 315 c.c.). Per di più oggi il nuovo testo dell'art. 250 c.c. legittima il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio anche da parte del genitore di età inferiore ai sedici anni, previa autorizzazione del giudice “valutate le circostanze e avuto riguardo all'interesse del figlio”. L'instaurazione di un vincolo di filiazione è dunque ammissibile anche per il soggetto infrasedicenne, che mai potrebbe essere autorizzato alle nozze. Si evidenzia allora ancor più la scissione tra capacità alla creazione di uno stato di filiazione rispetto a quella occorrente per il matrimonio; quest'ultimo viene dunque valorizzato come mezzo per costruire una famiglia e non per sanare una nascita non programmata. |