Il ricongiungimento familiare per i conviventi di fatto post legge sulle unioni civili

Michol Fiorendi
16 Settembre 2019

La legge 20 maggio 2016, n. 76 equipara il convivente more uxorio al coniuge sotto diversi aspetti,anche nel caso del ricongiungimento familiare, istituto diretto a rendere effettivo il diritto all'unità della famiglia, poiché...
Massima

La legge 20 maggio 2016, n. 76 equipara il convivente more uxorio al coniuge sotto diversi aspetti, anche nel caso del ricongiungimento familiare, istituto diretto a rendere effettivo il diritto all'unità della famiglia, poiché

questo diritto si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare e, pur nel silenzio della legge n. 76/2016, può essere rivendicato non solo dai coniugi e dai soggetti uniti civilmente, ma anche dai conviventi di fatto.

Il caso

Un uomo, in servizio come appuntato presso il nucleo operativo di investigazione di Gioia Tauro, convive more uxorio da molti anni con la sua compagna. In ragione di alcune patologie di cui la donna soffre, il signore ha necessità di trasferirsi presso una sede di servizio più vicina alla comune abitazione per poter dare assistenza alla donna. Egli presenta, pertanto, domanda di trasferimento a cui segue il provvedimento con il quale il Comando Generale dell'Arma dichiara inammissibile la domanda «in quanto non riunisce i requisiti previsti dalla circolare riguardante il ricongiungimento al coniuge lavoratore, poiché non sussiste rapporto di coniugio». Contro questo provvedimento, l'uomo presenta ricorso al T.A.R. della Calabria che, pronunciandosi in via definitiva sulla questione, accoglie il ricorso con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

La questione

Nel silenzio della legge n. 76/2016, il diritto all'unità della famiglia, racchiuso nella garanzia della convivenza del nucleo familiare, può essere invocato solamente dai coniugi o dai soggetti uniti civilmente, come sostiene, nel caso di specie, la difesa del Ministero? Ovvero tale diritto si deve estendere anche ai conviventi di fatto?

Le soluzioni giuridiche

Il Tar giudicante rileva come la Corte Costituzionale abbia sì ripetutamente chiarito come nessuna norma costituzionale o principio fondamentale possa cancellare le ontologiche differenze tra famiglia di fatto e quella fondata sul matrimonio, legate da una scelta delle stesse parti interessate, cioè quella di sposarsi o meno. Cionondimeno, la stessa Consulta ha sottolineato la necessità di tutelare i diritti individuali dell'uomo in tutte le formazioni sociali in seno alle quali si svolge la sua personalità, specificando che «per formazione sociale si intende ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione»(Corte Costituzionale, 15 aprile 2010, n. 138), ponendo così le basi per il riconoscimento della rilevanza giuridica della famiglia di fatto.

Questo riconoscimento si allinea, per altro, anche con le indicazioni proveniente dalle fonti sovranazionali, in particolare dalla Carta di Nizza (o Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea) e dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (CEDU) che afferma il principio di libertà individuale nella scelta del modello familiare. La Corte Europea dei diritti dell'uomo si è, peraltro, da tempo premurata di chiarire che la nozione di vita privata e familiare, contenuta dall'art. 8, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo include, ormai, non solo le relazioni consacrate dal matrimonio, ma anche le unioni di fatto nonché, in generale, i legami esistenti tra i componenti del gruppo designato come famiglia naturale.

Osservazioni

Anche alla luce di ciò, si deve dare atto dell'evoluzione del concetto di famiglia, che comprende altresì le unioni di fatto tra individui dello stesso sesso, e della progressiva e conseguente valorizzazione della convivenza stabile quale fonte di effetti giuridici.

Questo progresso, in termini di creazione normativa, ha raggiunto il suo acme con la legge 20 maggio 2016, n. 76 che nella sua prima parte (art. 1, comma 1-35) si dedica alla disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, e nella seconda (art. 1, comma 36-68) alla convivenza di fatto tra due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile (comma 36).

La citata legge, facendo proprie anche le sollecitazioni della giurisprudenza, parifica il convivente more uxorio al coniuge sotto molteplici profili, come quello dell'assistenza ospedaliera, dei poteri di rappresentanza conferibili in caso di malattia e incapacità di intendere e di volere, ed in ordine al subentro nel contratto di locazione della casa di residenza intestato al convivente deceduto.

Occupandoci del caso specifico dell'istituto del ricongiungimento familiare in ambito di amministrazione pubblica e arma dei carabinieri, è opportuno ricordare come l'art. 398 del Regolamento Generale dell'Arma dei Carabinieri prevede che «i sottoufficiali, gli appuntati e i carabinieri che aspirano al trasferimento per fondati e comprovati motivi nell'ambito delle regioni, delle brigate e delle divisioni o fuori detti comandi, possono indipendentemente dal periodo di permanenza ad uno dei suddetti reparti o comandi, presentare istanza, da inoltrare tramite gerarchico, ai comandi competenti a decidere».

La Corte Costituzionale, Corte Cost. 30 maggio 2008, n. 183 ha evidenziato che «il ricongiungimento è diretto a rendere effettivo il diritto all'unità della famiglia che si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare e costituisce espressione di un diritto fondamentale della persona umana. Tale valore costituzionale può giustificare una parziale compressione delle esigenze di alcune amministrazioni (nella specie, quelle di volta in volta tenute a concedere il comando o distacco di propri dipendenti per consentirne il ricongiungimento con il coniuge), purché nell'ambito di un ragionevole bilanciamento dei diversi valori contrapposti, operato dal legislatore».

A questo proposto, la Consulta ha sottolineato più volte che la distinta considerazione costituzionale della convivenza e del rapporto di coniugio non esclude la comparabilità delle discipline riguardanti aspetti particolari dell'una e dell'altro che possano presentare delle analogie, ai fini del controllo di ragionevolezza a norma dell'art. 3 della Costituzione.

Nel caso specifico, l'elemento unificante tra le due situazioni è dato proprio dall'esigenza di tutelare il diritto di unità familiare, nella sua accezione più ampia, collocabile tra i diritti inviolabili dell'uomo ai sensi dell'art. 2 della Costituzione. E per tale ragione, l'esclusione della convivenza more uxorio, stabile ed accertata, dal novero delle situazioni che legittimano il ricongiungimento familiare, è apparsa irragionevole per l'organo giudicante che ha ritenuto di accogliere il ricorso dell'uomo, contestualmente annullando il provvedimento negativo impugnato.

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