Ricongiungimento familiare: il necessario bilanciamento tra la protezione del benessere psicofisico del minore e la tutela dell’ordine pubblico
17 Ottobre 2019
Massima
Il diniego dell'autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero in territorio italiano non può essere fatto derivare automaticamente dalla condanna del familiare stesso per uno dei reati ostativi all'ingresso o al soggiorno, ma deve rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, se la presenza del familiare nel territorio dello Stato costituisce una minaccia concreta e attuale all'ordine pubblico o alla sicurezza nazionale. Pertanto, occorre effettuare un bilanciamento tra detti interessi e quelli del minore che non sono assoluti, potendo risultare recessivi all'esito di un esame circostanziato del caso concreto. Il caso
Due coniugi albanesi chiedevano al Tribunale per i minorenni dell'Abruzzo l'autorizzazione alla permanenza in Italia al fine di accudire i figli minori che si trovavano in territorio italiano, assumendo che i fanciulli avevano necessità di essere assistiti da entrambi i genitori. Il Tribunale aveva respinto il ricorso per carenza di gravi motivi giustificativi dell'autorizzazione richiesta. Ugualmente la Corte d'Appello di L'Aquila. In seguito a ricorso per cassazione, la prima sezione rimetteva gli atti al Primo Presidente, per l'assegnazione alle Sezioni Unite, per stabilire se in presenza di minore straniero in territorio italiano il comportamento del familiare incompatibile con la permanenza in Italia possa essere considerato solo ai fini della revoca, ex art. 31 comma 3 TUI, o anche ai fini del diniego al rilascio di autorizzazione. Gli Ermellini hanno cassato il decreto impugnato, rinviando la causa alla Corte d'Appello di L'Aquila, per omissione in motivazione sul giudizio di bilanciamento tra l'interesse statuale alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza nazionale e le esigenze dei minori.
La questione
L'intervento delle Sezioni Unite ha ad oggetto il bilanciamento delle circostanze tra il comportamento del familiare, incompatibile con la permanenza in Italia, e le esigenze del minore, non solo al fine della revoca dell'autorizzazione già concessa, ai sensi dell'art. 31, comma 3 d. lgs. n. 286/1998, ma anche per il diniego della stessa ex ante. Nell'ordinanza interlocutoria, che ha investito le Sezioni Unite della questione, si dubita dell'esattezza dell'approdo interpretativo della precedente giurisprudenza, che attribuisce rilievo ostativo ad attività del familiare incompatibili con la permanenza nel territorio nazionale sia in caso di sopravvenienze rispetto alla concessa autorizzazione, sia a fortiori, al momento del rilascio dell'autorizzazione, poiché la lettera della norma in questione non suggerirebbe una prognosi ex ante di incompatibilità. Le soluzioni giuridiche
L'art. 31, comma 3, TUI riconosce al Tribunale per i minorenni la possibilità di autorizzare la presenza in Italia di cittadini stranieri, aventi familiari minori che si trovino nel territorio dello Stato italiano, per un periodo di tempo limitato, qualora vi siano gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore, tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute dello stesso, anche derogando alle disposizioni sul rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno. L'autorizzazione in questione non richiede necessariamente l'esistenza di situazioni di emergenza strettamente collegate alla salute e allo sviluppo del minore, ma la sussistenza di danni effettivi ed obiettivamente gravi che potrebbero derivare al bambino dall'allontanamento del familiare o dal suo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto, in forza del diritto del minore ad avere assistenza e cura dal proprio familiare, in una famiglia unita, idonea a preservarlo da disagi psicofisici che potrebbero derivargli dall'allontanamento di uno dei suoi componenti. Questo sia in forza dei principi costituzionalmente garantiti, di cui agli articoli 2, 3, 29, 30 e 31 della Carta, sia rispetto alla normativa ordinaria, di cui all'art. 1 l. 184/1983, e dall'art. 337-ter c.c., che riguardo alle Convenzioni internazionali. Posto che il presupposto per l'autorizzazione temporanea in questione è la valutazione necessariamente implicita dei “gravi motivi”, i Tribunali dovranno analizzare i comportamenti dell'adulto eventualmente incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza del familiare in Italia. L'accertamento dell'incompatibilità della condotta dell'interessato impone un giudizio di bilanciamento tra la protezione del benessere psicofisico del minore, al cui scopo la presenza del familiare è finalizzata, e la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza nazionale, da svolgersi alla stregua dei parametri dettati dalla normativa interna ed internazionale. Il Supremo Collegio ritiene che l'attività incompatibile con la permanenza in Italia debba rilevare sia in sede di revoca che in fase di rilascio dell'autorizzazione. Diversamente opinando ci si dovrebbero porre dubbi di tenuta sul piano logico-sistematico con il rischio di rilascio dell'autorizzazione in presenza di cause di revoca immediata, frammentandosi l'unitarietà e la continuità delle esigenze da esaminare. Il Giudice è così tenuto a valutare, in riferimento al caso concreto, se i comportamenti del familiare incompatibili con la permanenza in Italia, come i precedenti penali ostativi, abbiano una rilevanza tale da impedire il ricongiungimento familiare, in presenza di gravi motivi che possano compromettere lo sviluppo psicofisico del minore, bilanciando l'interesse dello stesso con i parametri esterni ut sopra. Osservazioni
Il comma 3 dell'art. 31 TUI è norma di chiusura del sistema di tutela dei minori stranieri, in deroga alla disciplina sull'ingresso e sul soggiorno dello straniero, quando è necessario salvaguardare il preminente interesse del minore che si trova nel territorio italiano, in situazioni nelle quali l'allontanamento di un proprio familiare potrebbe pregiudicarne gravemente l'integrità psicofisica. La Suprema Corte chiarisce la non eccezionalità della norma in questione, evidenziando che la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore non richiede necessariamente situazioni di emergenza o circostanze contingenti ed eccezionali collegate alla salute del fanciullo, ma è suscettibile di includere qualsiasi danno effettivo, concreto, oggettivamente grave che possa compromettere lo sviluppo psicofisico del minore derivante dall'allontanamento del familiare o dall'effettivo sradicamento del fanciullo dall'ambiente di crescita. La Suprema Corte, già nel 2007 (Cass. civ. n.747/2007 e Cass. civ.10135/2007) aveva specificato che l'autorizzazione all'ingresso o alla permanenza del familiare del minore per un tempo determinato poteva essere rilasciata solamente per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, la salute, l'età del bambino, tanto da porre in grave pericolo la crescita dello stesso, in assenza del genitore nel territorio dello Stato. L'eventuale incompatibilità dell'attività del familiare è paramento esterno, rispetto al bene giuridico protetto dalla norma, che dovrà essere bilanciato con le esigenze di ordine pubblico e sicurezza nazionale, quali limiti ai fini della concessione dell'autorizzazione, sia ex ante che ex post, onde evitare soluzioni di discontinuità all'interno del sistema. Le Sezioni Unite stabiliscono che la protezione del benessere psicofisico del minore, valutato in termini di preferenza, deve essere bilanciato con l'interesse dello Stato, sicché il diritto del minore a non vedersi privato della figura genitoriale, fino ad allora presente nella sua vita di relazione, non è assoluto, potendo soccombere all'esito di un esame basato sul comportamento del familiare che abbia posto in essere attività incompatibili con la permanenza in Italia. Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, costituzionalmente orientato, specifica che l'attività del familiare incompatibile con le esigenze del minore e con la permanenza in Italia non possa ricavarsi automaticamente da pronunce di condanna, in particolare per reati ostativi all'ingresso o al soggiorno dello straniero, tassativamente indicati e che legittimerebbero un provvedimento di espulsione. La condanna è destinata a rilevare in quanto il comportamento dello straniero costituisca una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale. Il Giudice delle leggi, con le sentenze Corte cost 6 luglio 2012, n. 172 e Corte cost. 16 maggio 2008, n. 148, ha previsto che la condanna per determinati reati di uno straniero, non appartenente all'Unione Europea, possa giustificare la previsione di automatismi ostativi al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, ma ha specificato che occorre pur sempre un bilanciamento proporzionato tra le esigenza di ordine pubblico, sicurezza nazionale e regolamento dei flussi migratori, da un lato, e la salvaguardia dei diritto dello straniero, dall'altro. Anche la Corte di Strasburgo ammette che gli Stati possano espellere gli stranieri se condannati per reati puniti con pena detentiva sulla base del bilanciamento tra la gravità del fatto e la situazione familiare. La condotta del familiare deve essere, quindi, valutata al fine della concessione dell'autorizzazione che potrà essere negata all'esito di un bilanciamento tra l'interesse concreto del minore e le esigenze di ordine pubblico e di sicurezza nazionale.
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