Distribuzione delle somme in comunione

Giulio Amodio
05 Novembre 2019

La questione analizzata nell'ordinanza in commento concerne la ripartizione dell'onere della prova in tema di obbligazioni contratte dai coniugi in comunione legale. Ci si chiede, in particolare, su chi gravi l'onere di provare la natura non personale del debito assunto da uno dei coniugi in comunione al fine di rendere applicabile il regime di responsabilità patrimoniale di cui agli artt. 186 e 190 c.c.
Massima

L'onere di provare che il debito assunto dal coniuge è un debito della comunione legale grava sul creditore procedente. Il coniuge non debitore può proporre opposizione all'esecuzione sui propri beni personali dando prova della natura personale del debito.

Il caso

In un giudizio di esecuzione immobiliare dinanzi al Tribunale di Napoli concernente la vendita di beni in comunione legale, il coniuge debitore si opponeva alla distribuzione dell'intero ricavato in favore del creditore procedente, ritenendo applicabile la disciplina di cui all'art. 189 c.c. e, quindi, chiedendo l'attribuzione del 50% del ricavato al coniuge non debitore.

Il Tribunale, richiamata la disciplina della responsabilità dei coniugi in regime di comunione ed i criteri di riparto dell'onere della prova in tale ambito, riconosceva che il creditore aveva inteso agire in giudizio per la soddisfazione di un credito personale nei confronti del singolo coniuge, onde la necessità di attribuire al coniuge non debitore la metà del ricavato della vendita.

La questione

La questione analizzata nell'ordinanza in commento concerne la ripartizione dell'onere della prova in tema di obbligazioni contratte dai coniugi in comunione legale. Ci si chiede, in particolare, su chi gravi l'onere di provare la natura non personale del debito assunto da uno dei coniugi in comunione al fine di rendere applicabile il regime di responsabilità patrimoniale di cui agli artt. 186 e 190 c.c.

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza in commento consente di svolgere alcune considerazioni con riguardo alla disciplina dettata dal codice civile in tema di responsabilità dei coniugi per le obbligazioni assunte in regime di comunione legale, senza tralasciare i riflessi di tale disciplina sul processo esecutivo.

Come noto, la comunione legale - definita dalla rubrica dell'art. 159 c.c. quale "regime patrimoniale legale" della famiglia - comporta la contitolarità e la cogestione da parte dei coniugi dei beni acquistati, anche separatamente, in costanza di matrimonio.

La Consulta, con la sentenza n. 311/1988, ha affermato che i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto i beni della comunione e che la quota non rappresenta un elemento strutturale dell'istituto.

Seguendo tale impostazione, la comunione legale viene ricondotta dalla giurisprudenza allo schema della comunione di tipo germanistico (cd. comproprietà solidale o "a mani riunite"), ove i comunisti sono solidalmente titolari dei beni comuni nella loro interezza, senza che si possa fissare il loro diritto su una specifica quota (come avviene nella comunione romanistica).

La ratio di tale schema di comunione è individuabile nella ritenuta prevalenza dell'interesse sociale della famiglia rispetto all'interesse del singolo comunista.

Le peculiarità della comunione legale si ripercuotono sul regime della responsabilità patrimoniale dei coniugi, nonché sulle regole della esecuzione forzata sui beni comuni.

Il codice civile, difatti, individua due diversi regimi di responsabilità per le obbligazioni contratte dai coniugi in regime di comunione, a seconda che sussista o meno "a latere debitoris" l'obiettivo di perseguire un interesse di natura familiare.

Ai sensi dell'art. 189 c.c., non sussiste la responsabilità diretta e immediata dei beni comuni nel caso di obbligazioni contratte dal coniuge per ragioni strettamente personali. Il creditore particolare di uno dei coniugi, difatti, non potendo chiedere la liquidazione della quota del proprio debitore, è tenuto ad aggredire preliminarmente i beni personali di quest'ultimo e, solo ove questi si rivelino insufficienti, può agire, in via sussidiaria, sui beni della comunione, nei limiti della quota spettante al coniuge obbligato.

Viceversa, in caso di obbligazioni assunte nell'interesse della famiglia, anche da parte di uno solo dei coniugi, il creditore della comunione può aggredire in primo luogo i beni della comunione legale, cui si aggiunge in via sussidiaria la responsabilità dei coniugi, che risponderanno ciascuno per la metà del credito (artt. 186 e 190 c.c.).

Invero, tale ultima norma, ha posto dubbi di compatibilità con il principio dettato dall'artt. 2740 c.c.: non sembrerebbe coerente con il principio di unitarietà della garanzia patrimoniale limitare alla sola metà del credito la responsabilità (sussidiaria) del coniuge, con i propri beni personali, nei confronti del creditore della comunione.

La giurisprudenza, tuttavia, ha affermato che non sussiste tale incoerenza, atteso che la limitazione di responsabilità di cui all'art. 190 c.c. riguarda esclusivamente il coniuge che non abbia assunto l'obbligazione, mentre l'altro coniuge risponde per l'intero debito, secondo i principi generali.

In tale prospettiva, la particolare rilevanza dell'interesse sottostante all'obbligazione assunta dal coniuge porta con sé un ampliamento (e non un dimezzamento) della garanzia patrimoniale, facendo rispondere del debito in via aggiuntiva anche il coniuge non debitore, sia pure per la metà del credito.

La disciplina richiamata, pur confermando che quella legale è una "comunione senza quote", consente comunque di evidenziare una triplice funzione assolta dalla quota del singolo coniuge: essa rappresenta, difatti, il criterio per misurare la responsabilità sussidiaria dei coniugi con i propri beni personali per le obbligazioni comuni (art. 190 c.c.), nonché per misurare entro quali limiti i beni comuni possono essere aggrediti per le obbligazioni personali (art. 189 c.c.) e, infine, la misura di ripartizione di attivo e passivo in sede di scioglimento della comunione (art. 194 c.c.).

Venendo all'attuazione dei diritti di credito nei confronti dei coniugi in comunione legale, la giurisprudenza, valorizzando la natura di comunione "senza quote" della comunione legale, ha riconosciuto che l'espropriazione di un bene in comunione, anche se riguarda un credito personale di uno solo dei coniugi, deve avere ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà. Solo una volta venduto il bene si avrà lo scioglimento della comunione legale rispetto ad esso e, conseguentemente, il coniuge non debitore potrà far valere il proprio diritto alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione (Cass. civ., sez. III, n. 6575/2013).

Sempre valorizzando la natura di "comproprietà solidale", inoltre, una parte della giurisprudenza ha ritenuto che il titolo esecutivo ottenuto dal creditore della comunione nei confronti del singolo coniuge sia efficace anche nei confronti dell'altro, in quanto ciascuno sarebbe legittimato passivo dell'esecuzione per l'intero, a condizione che dal titolo sia evincibile, anche in maniera indiretta, che l'obbligazione rientra nell'elenco di cui all'art. 186 c.c. (cfr. Trib. Milano 14 giugno 1993; Trib. Napoli, 6 aprile 1990).

A sostegno di tale conclusione depone altresì la circostanza che le norme sopra richiamate individuano obbligazioni solo oggettivamente della comunione, escludendo che la comunione possa rappresentare un autonomo e distinto soggetto di diritti; con la conseguenza che il creditore non può ottenere un titolo esecutivo emesso direttamente nei confronti della comunione.

Svolte tali precisazioni di carattere generale, è necessario chiedersi su chi gravi l'onere di provare la natura non personale del debito assunto dai coniugi (sul creditore o sul debitore non esecutato), data l'incidenza dell'interesse coinvolto sul regime di responsabilità patrimoniale applicabile.

Il dubbio non si pone in materia di fondo patrimoniale, atteso che l'art. 170 c.c., come interpretato dalla giurisprudenza, pone a carico dei debitori opponenti l'onere di provare che il creditore fosse a conoscenza della estraneità dell'obbligazione assunta ai bisogni della famiglia, così sottraendo all'espropriazione il bene appartenente al fondo (Cass. civ., n. 4011/2013).

In tema di comunione legale, invece, la giurisprudenza (cui si conforma l'ordinanza in commento) pone a carico del creditore l'onere di provare che un determinato debito sia stato contratto dal coniuge nell'interesse della famiglia, così da poter aggredire direttamente i beni in comunione, evitando il limite della quota del 50% del coniuge obbligato.

Inoltre, qualora il creditore voglia agire anche nei confronti del coniuge dello stipulante, questi è tenuto a dimostrare non solo che il convenuto è coniuge dello stipulante, ma anche che i beni della comunione non sono sufficienti ad estinguere l'obbligazione e, infine, che il coniuge stipulante non abbia adempiuto l'obbligazione assunta esclusivamente a suo carico.

Al coniuge non stipulante, invece, dovrà essere consentito esperire il rimedio dell'opposizione di terzo e l'opposizione agli atti esecutivi, al fine di far valere la natura meramente personale del debito assunto dall'altro coniuge e preservare il proprio diritto ad ottenere la metà del ricavato della vendita.

Sulla base di tali principi, nell'ordinanza in commento il Tribunale riconosceva il diritto del coniuge non debitore di ottenere la distribuzione della metà del ricavato, avendo il creditore agito espressamente per la soddisfazione di un debito personale del coniuge debitore.

Osservazioni

Al creditore procedente spetta la qualificazione del debito consacrato nel titolo esecutivo ottenuto contro il coniuge in comunione legale.

Una volta individuata la natura personale dell'obbligazione, non è consentita una diversa qualificazione in sede di distribuzione delle somme. Diversamente opinando, si precluderebbero al coniuge non esecutato i rimedi oppositivi avverso l'esecuzione al fine di far valere la natura personale del debito.

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