Impugnazione del lodo irrituale

Mauro Di Marzio
11 Novembre 2019

All'arbitrato irrituale, istituto nato dalla prassi e, fino alla riforma del 2006, privo di disciplina normativa, è dedicato l'art. 808-ter c.p.c., diretto a diradare cospicui dubbi concernenti il complessivo inquadramento della figura e ribaltare taluni orientamenti giurisprudenziali in proposito formatisi.
Inquadramento

All'arbitrato irrituale, istituto nato dalla prassi e, fino alla riforma del 2006, privo di disciplina normativa, è dedicato l'art. 808-ter c.p.c., diretto — è da credere — a diradare cospicui dubbi concernenti il complessivo inquadramento della figura e ribaltare taluni orientamenti giurisprudenziali in proposito formatisi.

Può dirsi, in breve, che la dottrina tradizionale guardava all'arbitrato rituale e irrituale come a fenomeni radicalmente distinti, l'uno collocato sul terreno processuale, l'altro su quello negoziale: l'arbitrato rituale tale da comportare l'esercizio di un'attività sostitutiva di quella giurisdizionale; l'arbitrato irrituale, o libero, tale da comportare, a mezzo degli arbitri, la soluzione negoziale della lite, sotto forma di mandato a transigere o di arbitraggio (art. 1349 c.c.) applicato alla transazione, ma anche, più avanti, di negozio di accertamento (per riferimenti alla vastissima bibliografia sul tema v. Bove, Art. 808-ter. Arbitrato irrituale, in Menchini (a cura di), La nuova disciplina dell'arbitrato, Padova, 2010, 65). Di qui taluni corollari in punto di inapplicabilità al lodo irrituale della disciplina del lodo rituale, di efficacia ed impugnabilità del loro irrituale (attraverso le sole impugnative negoziali), di interpretazione della clausola arbitrale — questo, nel tempo, uno degli aspetti di maggior frizione nel dialogo tra giurisprudenza e dottrina —, che la Suprema Corte, nel dubbio, riteneva doversi risolvere nel senso dell'arbitrato irrituale, dal momento che l'arbitrato rituale avrebbe avuto carattere eccezionale, importando deroga alla competenza del giudice ordinario (ma v. ormai anche per il passato Cass. civ., 7 aprile 2015, n. 6909).

All'opinione tradizionale si è contrapposta, fin dagli anni '60 del secolo scorso la teoria c.d. unitaria o monista (v. per tutti Fazzalari, L'arbitrato, Torino, 1997, 24), secondo cui arbitrato rituale e irrituale costituirebbero fenomeni sovrapponibili, salvo che per il limitato effetto del lodo, che, nel primo caso avrebbe effetto di sentenza, nell'altro di negozio. Dall'omogeneità del complessivo fenomeno, anzitutto, è poi fatta derivare la tendenziale applicabilità al lodo irrituale della disciplina dettata per quello rituale.

Natura dell'arbitrato irrituale

Al di là delle intenzioni del legislatore, è un dato di fatto che l'art. 808-ter c.p.c. non abbia risolto il dibattito dottrinale, il quale appare viceversa rinfocolato, opinandosi da alcuni che la norma esprima adesione alla teoria unitaria, da altri che essa abbia voluto ribadire la non sovrapponibilità, storicamente incontestabile, delle due figure. Ciò suggerisce di guardare all'arbitrato irrituale privilegiando, sia pur con le eventuali osservazioni critiche necessarie, l'assetto che esso ha assunto nella giurisprudenza.

Se è vero, allora, che un avvicinamento tra arbitrato rituale e irrituale si è manifestato, a partire da Cass. civ., Sez. Un., 13 giugno 2000, n. 427, che ha qualificato la decisione arbitrale «quale atto riconducibile, in ogni caso, all'autonomia negoziale e alla sua legittimazione a derogare alla giurisdizione, per ottenere una privata decisione della lite, basata non sullo ius imperii, ma solo sul consenso delle parti» (per tale avvicinamento v. p. es. Cass. civ., 18 febbraio 2008, n. 3933), è altrettanto vero che ciò è dipeso da una ricollocazione (temporanea) dell'arbitrato rituale al di fuori del recinto della giurisdizione, non da un ripensamento dell'approccio all'arbitrato irrituale. Ma è cosa nota che Cass. civ., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24153, ha nuovamente riconosciuto la natura giurisdizionale, precedentemente affermata da un orientamento costante, dell'arbitrato.

In evidenza

L'atteggiamento giurisprudenziale sull'arbitrato irrituale, dal canto suo, non pare aver subito altrettanti scossoni, come si desume ad es. dalla massima, ben radicata nel solco della tradizione, secondo cui il patto compromissorio libero non demanda agli arbitri l'esercizio di una funzione giurisdizionale, ma conferisce loro un mandato per l'espletamento di una attività negoziale (Cass. civ., 29 marzo 2012, n. 5105; Cass. civ., 24 marzo 2014, n. 6830).

Oppure dal principio più volte ribadito secondo cui, essendo l'arbitrato irrituale frutto di volontà contrattuale e non alternativo alla giurisdizione dello Stato, va, in caso di arbitrato irrituale, esclusa l'ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione (p. es. Cass. civ., Sez. Un., 11 marzo 2008, n. 6423) e del regolamento di competenza (p. es. Cass. civ. 5 dicembre 2012, n. 21869; Cass. civ., 13 maggio 2014, n. 10300, ove si afferma che all'arbitrato irrituale sono inapplicabili tutte le norme dettate per quello rituale, ivi compreso l'art. 819-ter c.p.c.).

Il patto compromissorio

Se, dunque, si guarda all'arbitrato irrituale quale esso vive nei responsi della giurisprudenza, non v'è dubbio che non possa attagliarsi al relativo patto compromissorio, sia sotto forma di compromesso che di clausola compromissoria, la definizione di contratto ad effetti processuali che è generalmente condivisa con riguardo all'arbitrato rituale, dovendosi invece ravvisare nel patto compromissorio per arbitrato irrituale «piuttosto un contratto con effetti sostanziali» (Bove, op. cit., 77).

In evidenza

La giurisprudenza ha stabilmente affermato che dalla previsione dell'arbitrato irrituale discende un'eccezione di natura non già processuale, bensì di merito, di improponibilità della domanda (Cass. civ., 19 maggio 2016, n. 10332; Cass. civ., 27 marzo 2007, n. 7525; Cass. civ., 14 aprile 2000, n. 4845; sembra che, allo stato della giurisprudenza, l'eccezione di improponibilità non sia rilevabile d'ufficio, potendo peraltro essere detta eccezione oggetto di rinuncia, secondo Cass. civ., 4 marzo 2011, n. 5265).

L'impugnazione del lodo irrituale in generale

La natura negoziale del lodo irrituale, faceva sì, in passato che esso rimanesse assoggettato non già all'impugnazione per nullità prevista dagli artt. 827 ss. (Cass. civ., 24 marzo 2014, n. 6830), bensì alle impugnative negoziali esperibili nei riguardi dei contratti: impugnabile, dunque, non per errori di diritto, ma solo per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale, come l'errore, la violenza, il dolo o l'incapacità delle parti che hanno conferito l'incarico e dell'arbitro stesso (p. es. Cass.civ., 19 ottobre 2006, n. 22374).

Con l'introduzione dell'art. 808-ter c.p.c., per i lodi irrituali fondati su patti compromissori stipulati a far data dal 2 marzo 2006, la situazione può dirsi solo in parte modificata, dovendosi ritenere che i motivi indicati nell'art. 808-terc.p.c. vadano ad aggiungersi rispetto alle menzionate impugnazioni negoziali (Verde, Arbitrato irrituale, in Riv. arb., 2005, 674), rimanendo peraltro esclusa l'impugnazione ex artt. 827 e ss., sicché l'impugnazione proposta avverso un lodo arbitrale irrituale, ancorché erroneamente omologato, deve essere dichiarata, anche d'ufficio, inammissibile (Cass.civ., 18 giugno 2014, n. 13899).

Pare difatti risolutivo osservare, tralasciando le opinioni dottrinali di segno opposto, che la questione dell'esclusività o meno dei motivi di annullamento elencati dall'art. 808-ter c.p.c. è stata sottoposta a vaglio di costituzionalità, sull'assunto che la norma limiterebbe l'impugnabilità del lodo, reso all'esito dell'arbitrato irrituale, ai casi di gravame in esso previsti, tra i quali non figurano tra l'altro i vizi del consenso, l'incapacità e l'omessa motivazione.

In evidenza

La Corte costituzionale, nel dichiarare manifestamente inammissibile la questione in ragione della sua formulazione, ha altresì osservato che il giudice remittente, nel lamentare l'impossibilità di impugnativa del lodo arbitrale irrituale per vizi del consenso e incapacità, aveva omesso di considerare l'orientamento consolidato della Corte di cassazione, fondato sui principi della disciplina contrattuale, in base al quale il lodo irrituale è soggetto al regime delle impugnative negoziali in ragione della sua natura di negozio di accertamento (Corte cost., 20 luglio 2016, n. 196, che richiama Cass. civ., 18 novembre 2015, n. 23629; Cass. civ., 8 novembre 2013, n. 25258; Cass. civ., 31 ottobre 2013, n. 24552).

Occorre ancora sottolineare che, agli effetti dell'individuazione del mezzo con cui il lodo va impugnato, ciò che conta è la natura dell'atto in concreto posto in essere dagli arbitri, più che la natura dell'arbitrato come previsto dalle parti; pertanto, se sia stato pronunciato un lodo rituale nonostante le parti avessero previsto un arbitrato irrituale, quel lodo è impugnabile esclusivamente ai sensi degli artt. 827 e ss. (Cass. civ.,24 marzo 2011, n. 6842, in Riv. arb., 2013, 931, con nota di Debernardi; Cass. civ., 8 novembre 2013, n. 25258; Cass. civ., 18 febbraio 2016, n. 3197), e, per converso, se è stato pronunciato lodo irrituale, non può in ogni caso ricorrersi a detta impugnazione (Cass. civ., 8 novembre 2013, n. 25258).

Patti compromissori ante-riforma

Quanto alla competenza, l'impugnativa dei lodi irrituali pronunciati sulla base di patti compromissori conclusi fino al 2 marzo 2006 si propone dinanzi al giudice ordinario competente in primo grado sulla base degli ordinari criteri, sulla base degli ordinari criteri della materia, del valore e del territorio (Cass. civ., 1° febbraio 2007, n. 2213; Cass. civ., 6 settembre 2006, n. 19129), fatto salvo il regime applicabile ai lodi irrituali in materia di lavoro (Cass. civ., 18 febbraio 2008, n. 3933; Cass. civ., 1° febbraio 2007, n. 2213).

Con riguardo alla competenza territoriale, trova anzitutto applicazione il criterio del foro generale del convenuto (artt. 18 e 19). Si ritiene territorialmente competente anche il giudice del luogo in cui è stato concluso l'accordo compromissorio (forum contractus), nonché del luogo in cui esso deve avere esecuzione (forum destinatae solutionis). Non radica la competenza, secondo l'opinione prevalente, il luogo in cui il lodo è stato adottato.

Rilevano quali motivi di impugnazione le cause di invalidità del contratto: ossia incapacità delle parti o degli arbitri, errore, violenza, dolo, violazione di norme imperative (p. es. Cass. civ., 19 gennaio 2016, n. 813; Cass. civ., 24 marzo 2014, n. 6830).

Con particolare riguardo all'azione di annullamento per errore, si ritiene che l'errore rilevante sia quello di fatto, essenziale, che abbia perturbato la volontà degli arbitri, per effetto di una falsa rappresentazione della realtà sottoposta al loro esame (Cass. civ., 19 gennaio 2016, n. 813; Cass. civ., 29 maggio 2013, n. 13418; Cass. civ., 1° dicembre 2009, n. 25268).

In evidenza

Nessun rilievo assume l'errore di giudizio concernente la valutazione dei fatti e delle prove, e così pure l'errore di diritto.

È stato detto, ad esempio, che, in tema di arbitrato irrituale, allorché le parti abbiano assegnato agli arbitri il potere di adottare decisioni secondo diritto, il lodo così pronunciato, stante la sua irritualità, è impugnabile soltanto per incapacità e vizi della volontà degli arbitri, con esclusione degli errori di giudizio e di apprezzamento; conseguentemente, allorché la pronuncia arbitrale secondo diritto sia stata resa con riferimento alla dedotta incongruità del prezzo contrattuale relativo all'acquisto di una partecipazione azionaria ed abbia condotto alla determinazione del prezzo, in termini di garanzia della corrispondenza del patrimonio aziendale a quello risultante dal bilancio, è improponibile l'impugnazione che prospetti il vizio di eccesso di potere od abuso di mandato degli arbitri, per errore sulla valutazione di mercato (Cass. civ., 19 dicembre 2008, n. 29772). Ed ancora, l'errata interpretazione e ricostruzione degli elementi, regole e criteri prestabiliti dalle parti da parte degli arbitri non è censurabile in sé tranne nel caso di dolo degli stessi, perché si risolve in un errore di giudizio e può essere soltanto fonte di responsabilità per abuso di mandato (Cass. civ., 1° dicembre 2009, n. 25268, ove si chiarisce che l'errore del giudizio arbitrale, deducibile in sede impugnatoria, per essere rilevante, deve integrare gli estremi della essenzialità e riconoscibilità di cui agli artt. 1429 e 1431 c.c., mentre non rileva l'errore commesso dagli arbitri con riferimento alla determinazione adottata in base al convincimento raggiunto dopo aver interpretato ed esaminato gli elementi acquisiti).

Il lodo nell'arbitrato irrituale può essere impugnato per errore essenziale esclusivamente nell'ipotesi in cui la formazione della volontà degli arbitri sia stata deviata da un'alterata percezione o da una falsa rappresentazione della realtà e degli elementi di fatto sottoposti al loro esame, e non anche quando la deviazione attenga alla valutazione di una realtà i cui elementi siano stati esattamente percepiti. Il lodo irrituale, pertanto, non è impugnabile per errores in iudicando, neppure ove questi consistano in una erronea interpretazione dello stesso contratto stipulato dalle parti, che ha dato origine al mandato agli arbitri, né è annullabile per erronea applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale, ovvero per un apprezzamento delle risultanze negoziali diverso da quello ritenuto dagli arbitri e non conforme alle aspettative della parte impugnante (Cass. civ., 29 maggio 2013, n. 13418). È stata tuttavia riconosciuta la rilevanza dell'errore di diritto limitatamente al caso dell'errore degli arbitri, essenziale e riconoscibile, sulla esistenza o inesistenza di una norma di diritto: in tema di arbitrato libero — è stato affermato — l'avere le parti assegnato agli arbitri, all'esito di procedimento non formale, il potere di adottare decisioni secondo diritto non impugnabili comporta che il lodo così pronunciato è impugnabile soltanto se la decisione abbia ad oggetto rapporti diversi da quelli sottoposti al giudizio arbitrale, ovvero trovi fondamento in una regola di decisione difforme da quella assegnata (come l'equità o il diritto straniero). Ne consegue che l'eventuale malgoverno del diritto applicabile da parte del collegio arbitrale rappresenta nulla più di un abuso dei poteri conferiti agli arbitri, che non inficia neanche la riferibilità ai mandanti del decisum oggetto del lodo, posto che questi ultimi ebbero a conferire agli arbitri proprio il potere di dare contenuti giuridici non impugnabili alla loro stessa volontà negoziale. Error iuris non censurabile deve, peraltro, ritenersi quell'errore che impinge un'erronea valutazione della norma di diritto (che la natura negoziale dell'arbitrato fa ovviamente ritenere insindacabile da parte del giudice), e non anche l'errore percettivo di diritto (attinente alla erronea supposizione di esistenza o inesistenza di una norma, e la cui sindacabilità è, viceversa, correlata alla stessa rilevanza attribuita all'errore di fatto), che non vi è ragione di escludere dall'area dell'impugnativa per vizi della volontà, ad istanza e nell'interesse della parte, tutte le volte in cui l'ambito della decisione degli arbitri irrituali abbia investito la (erroneamente supposta e predicata) esistenza o inesistenza di una norma di diritto (Cass. civ., 14 luglio 2004, n. 13114).

In alcune decisioni la Suprema Corte ha affermato che anche la violazione del contraddittorio può determinare l'invalidità del lodo irrituale ove essa si risolva in una violazione del mandato arbitrale (Cass. civ., 18 gennaio 1992, n. 595). Sulla scia di tale decisione si è chiarito che la violazione del contraddittorio, assumendo rilievo ai sensi dell'art. 1429 c.c., e cioè come errore tale da inficiare la volontà manifestata dagli arbitri, per effetto di una violazione dei limiti del mandato, in tanto può essere fatta valere, in quanto venga lamentata la violazione delle norme processuali stabilite dalle parti (Cass. civ., 21 gennaio 2016, n. 1097). In altre occasioni, in una prospettiva nei fatti non dissimile, si è negato che la violazione del principio del contraddittorio possieda autonoma rilevanza, dovendo essere fatta valere sotto il profilo dell'impugnativa contrattuale di cui all'art. 1429 c.c., e cioè quale errore degli arbitri che abbia colpito la loro volontà contrattuale, sicché la parte ha l'onere di dimostrare in concreto l'errore nell'apprezzamento della realtà nel quale gli arbitri siano eventualmente incorsi a cagione del mancato rispetto del contraddittorio (Cass. civ., 15 luglio 2014, n. 16164; Cass. civ., 9 agosto 2004, n. 15353).

Dopo la riforma la violazione del contraddittorio è espressamente menzionata al n. 5 dell'art. 808-ter c.p.c.

Patti compromissori post-riforma

Quanto ai lodi irrituali pronunciati sulla base di patti compromissori conclusi successivamente al 2 marzo 2006, l'art. 808-ter c.p.c. stabilisce che essi sono annullabili «dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I». Il che val quanto dire che trovano applicazione i normali criteri di radicamento della competenza di cui si è detto.

Il n. 1 dell'art. 808-ter c.p.c. contempla l'annullabilità del lodo irrituale se la convenzione dell'arbitrato è invalida: si tratta di una previsione a largo spettro, concernente i vizi tali da determinare l'annullabilità del negozio, alla quale sono riconducibili tanto le ipotesi di vizio del consenso, quanto quelle di inosservanza della forma scritta richiesta per il compromesso (v. l'art. 808-ter, comma 1, c.p.c.) o di difetto di capacità o legittimazione a compromettere.

Lo stesso n. 1 dell'art. 808-ter c.p.c. contempla l'annullabilità del lodo pronunciato su conclusioni esorbitanti rispetto ai limiti del patto compromissorio, sempre che la relativa eccezione sia già stata sollevata dinanzi agli arbitri. È bene chiarire che la norma si riferisce all'ipotesi in cui le parti abbiano proposto conclusioni non riconducibili al patto compromissorio e su queste gli arbitri abbiano pronunciato, non al caso in cui le parti abbiano preso conclusioni consentite dal patto compromissorio e gli arbitri abbiano invece pronunciato ultra petita, nella quale ipotesi, ovviamente, non è pensabile che venga sollevata la relativa eccezione nel procedimento arbitrale.

Il n. 2 dell'art. 808-ter c.p.c. sancisce l'annullabilità del lodo irrituale per inosservanza delle forme e dei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale per la nomina degli arbitri.

Il n. 3 concerne il caso di pronuncia resa da soggetto che non aveva la capacità di essere arbitro, ai sensi dell'art. 812. Tale norma, individua nella capacità legale di agire (senza alcun riferimento, dunque, all'incapacità naturale) il requisito necessario per ricoprire (da parte di sole persone fisiche) l'incarico arbitrale. Non possono essere arbitri, dunque, gli interdetti, gli inabilitati, i minori (sebbene emancipati ed autorizzati all'esercizio dell'impresa ai sensi dell'art. 397 c.c.: la norma, richiedendo che la capacità di agire non sia menomata né in tutto, né in parte, richiede una capacità piena che nell'ipotesi considerata manca), i beneficiari di amministrazione di sostegno. Detta previsione ha carattere tassativo (Cass. civ., 8 agosto 1989, n. 3637). L'art. 812 c.p.c. non menziona più come in passato il fallito, che, d'altro canto, non subisce più, per effetto della dichiarazione di fallimento, la perdita di capacità di agire. Bisogna però considerare che la giurisprudenza assimila il contratto di arbitrato ad un contratto di mandato (Cass. civ., 17 aprile 2003, n. 6165), il quale si scioglie per il fallimento del mandatario. Neppure è più menzionata l'interdizione dai pubblici uffici, quale pena accessoria per i reati di cui agli artt. 28, 29 e 31 c.p., che non sembra più rappresentare causa di incapacità degli arbitri. Sicuramente capaci sono gli stranieri, già dopo la modifica che la norma subì per effetto dell'art. 1 l. n. 28/1983.

Il n. 4 ammette l'impugnazione in caso di violazione delle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo. La norma si riferisce essenzialmente alla violazione delle regole concernenti il procedimento: si immagini il caso che il patto compromissorio richieda la motivazione del lodo, che ne sia invece privo, ovvero la violazione del termine per il deposito del lodo.

Come si è già accennato, infine, il n. 5 contempla l'impugnazione del lodo per violazione del contraddittorio. Ad esempio, gli arbitri incorrono nella violazione del principio del contraddittorio qualora abbiano stabilito la natura perentoria dei termini da loro fissati alle parti per le allegazioni e istanze istruttorie e, in relazione a tale determinazione, abbiano dichiarato decaduta una parte per il tardivo esercizio delle facoltà di proporre quesiti e istanze istruttorie, senza che la convenzione d'arbitrato, o un atto scritto separato o il regolamento processuale dagli arbitri stessi predisposto, prevedesse la possibilità di fissare termini perentori per lo svolgimento delle attività difensive e senza una specifica avvertenza circa il carattere perentorio dei termini al momento della loro assegnazione (Cass. civ., 26 settembre 2018, n. 22994, che ha rigettato il motivo di ricorso fondato sulla circostanza che gli arbitri, dopo aver fissato termini perentori per le richieste istruttorie, avevano successivamente consentito a una parte, risultata poi vittoriosa, di produrre la documentazione e le prove a sostegno delle sue pretese, rispetto alle quali tuttavia la controparte era stata messa in grado di interloquire e controdedurre).

Riferimenti
  • Bove, L'arbitrato irrituale dopo la riforma, in judicium.it 2006;
  • Bove, Art. 808-ter. Arbitrato irrituale, in Menchini (a cura di), La nuova disciplina dell'arbitrato, Padova, 2010, 65;
  • La China, L'arbitrato: il sistema e l'esperienza, Milano, 2011;
  • Punzi, Disegno sistematico dell'arbitrato, Padova, 2012;
  • Sassani, L'arbitrato a modalità irrituale, in judicium.it, 2006;
  • Sassani, Art. 808-ter. Arbitrato irrituale, in Comoglio, Consolo, Sassani e Vaccarella (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, Torino, 2012, 116;
  • Verde, Arbitrato irrituale, in Riv. arb. 2005, 674;
  • Verde, Lineamenti di diritto dell'arbitrato, Torino, 2010.

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