Riciclaggio, sequestro di denaro contante e difficile individuazione del reato presupposto. Un tormentato percorso normativo e giurisprudenziale

Ignazio Pardo
22 Novembre 2019

L'evoluzione normativa in tema di riciclaggio è stata caratterizzata da un progressivo allargamento delle fattispecie individuabili come reato presupposto sino alla generica previsione attuale; a fronte di tale ampliamento l'evoluzione giurisprudenziale ha...
Premessa

L'evoluzione normativa in tema di riciclaggio è stata caratterizzata da un progressivo allargamento delle fattispecie individuabili come reato presupposto sino alla generica previsione attuale; a fronte di tale ampliamento l'evoluzione giurisprudenziale ha, dapprima individuato nuove fattispecie di reati presupposto estranei alla categoria dei delitti contro il patrimonio e poi sganciato l'accertamento dell'ipotesi di cui all'art. 648-bisc.p. da quella del reato presupposto ampliando notevolmente l'area della punibilità. Un aspetto critico di tale progressiva evoluzione si rinviene al proposito del sequestro preventivo penale di denaro contante rinvenuto in ingenti quantità in possesso di persone fisiche che non siano in condizione di indicarne l'origine; nel presupposto della origine illecita del denaro viene frequentemente contestata l'ipotesi di riciclaggio di cui all'art. 648-bisc.p. ritenendosi in corso attività poste in essere dall'indagato finalizzate ad occultare l'illecita origine del contante e ciò anche in assenza di qualsiasi indicazione circa l'esistenza di contatti e relazioni fra l'indagato ed ambienti criminali. A fronte di tale impostazione l'evoluzione giurisprudenziale non sembra avere raggiunto una uniformità di indirizzo circa la legittimità del sequestro in relazione alla sussistenza del fumus commissi delicti del reato di cui all'art. 648-bisc.p.

La problematica dei beni giuridici dei reati da ricezione e sostituzione del profitto illecito

L'analisi dell'evoluzione dei rapporti tra reato presupposto, ricettazione, riciclaggio e autoriciclaggio costituisce un punto nodale per accertare l'emersione della volontà legislativa di proteggere attraverso le norme di cui agli artt. 648 e segg. c.p. beni giuridici che al momento della introduzione del codice Rocco non erano individuati quali punti di riferimento.

Analizzando la struttura delle suddette fattispecie e l'evoluzione normativa che le ha contraddistinte, può anticiparsi che il bene giuridico patrimonio individuale (tipico della ricettazione), inizialmente protetto, è poi divenuto, con le introduzioni a più riprese delle fattispecie di cui agli artt. 648-bis, 648-ter 648-ter.1c.p., l'ordine pubblico economico e ciò perché attraverso riciclaggio, reimpiego e auto riciclaggio non si attua soltanto la repressione di quelle attività di sostituzione del profitto illecito che continuano ad aggredire il patrimonio individuale del soggetto passivo del reato presupposto ma ci si sposta sul settore della tutela del mercato, della libera concorrenza e di tutti quei fattori che governando le attività economiche e finanziarie dei privati necessitano di non essere alterati a seguito della introduzione in tali settori di capitali ed altri oggetti di provenienza illecita.

E sebbene le citate norme rimangono incluse nel Titolo XIII del Libro II del codice penale dedicato al patrimonio, il che evidentemente pone comunque un problema di plurioffensività che pure dovrà essere affrontato, può ritenersi pacificamente riconosciuto che la tutela dell'ordine economico ha portato il legislatore italiano a introdurre previsioni che puniscono penalmente la circolazione e sostituzione del profitto illecito e ciò sino al punto da superare anche le obiezioni della dottrina tradizionale che basandosi sul principio del ne bis in idem sostanziale negava che tali condotte potessero mai portare ad una ulteriore ed autonoma punizione dell'autore del delitto presupposto.

Prima di analizzare compiutamente le tematiche relative ai rapporti tra le suddette fattispecie e i reati presupposto, va ricordato come solo con il codice Rocco e l'introduzione della fattispecie autonoma di ricettazione di cui all'art. 648 c.p. si è giunti alla definitiva autonomizzazione della predetta ipotesi posto che, prima di tale previsione, le condotte da ricezione dell'oggetto illecito venivano punite a titolo di concorso nel delitto presupposto; fino al diritto comune l'auxilium come specie della compartecipazione era distinto in tre categorie a secondo che fosse prestato ante delictum, in delicto o post delictum sicché la ricettazione rientrava proprio in tale ultima figura di concorso. Si riteneva così che la volontà di uno può in un certo modo concorrere ad un delitto da altri commesso anche “con la partecipazione al frutto derivatone”.

Fu all'inizio del XX secolo che la dottrina italiana sottolineò l'inconsistenza logica e politica-criminale della suddetta tesi sconfessando la correttezza della possibilità di ritenere il concorso di persone in un reato già consumato e di ciò prese atto proprio il codice Rocco introducendo l'autonoma fattispecie di cui all'art. 648 c.p.

L'evoluzione della normativa italiana in tema di riciclaggio

Mai come nel caso del riciclaggio l'evoluzione della normativa incriminatrice e penale italiana è dipesa dalle condotte illecite poste in essere dai componenti di pericolose organizzazioni criminali che venivano negli anni accertate dalle indagini delle forze dell'ordine e dai procedimenti giudiziari della magistratura.

Come è stato anticipato l'unica fattispecie delittuosa presente nel codice penale italiano del 1930 che punisse le condotte aventi a oggetto le vicende successive del denaro o degli oggetti provenienti da reato era il delitto di ricettazione di cui all'art. 648 c.p. L'impostazione tradizionale non prevedeva, quindi, alcuna punibilità delle condotte di sostituzione proprio perché l'unico bene giuridico protetto era il patrimonio del soggetto che aveva subito il delitto presupposto.

Si puniva così la sola condotta di ricezione del denaro o di altro bene provento di delitto; il delitto di ricettazione è tipico reato contro il patrimonio: la ricezione del denaro o dell'oggetto del reato da parte di terzi rendendo più difficoltoso l'accertamento del fatto viene punito come reato autonomo rispetto al delitto presupposto.

Successivamente nel 1978, dal d.l. n. 59 del 1978, art. 3, conv. con modificazione nella l. n. 191 del 1978, viene introdotto il testo originario dell'art. 648-bisc.p. intitolato significativamente: “sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata o sequestro di persona a scopo di estorsione”; nella relazione del ministro della giustizia al Parlamento in sede di approvazione di tale norma espressamente si sottolinea che la stessa tende a colpire un'attività costituente un vero e proprio incentivo alla criminalità più pericolosa ed efferata proprio in quanto permette un impiego relativamente sicuro dei proventi delle più gravi imprese delittuose.

Con l'introduzione del 1978 delle attività di sostituzione del profitto illecito si punisce l'attività di occultamento, ma solo quando il reato presupposto fosse rapina, estorsione aggravata, sequestro a scopo di estorsione.

Nella prassi giudiziaria sorge quindi il problema principale occorreva provare non soltanto che fosse stata posta in essere una condotta di sostituzione del denaro proveniente da rapina o sequestro a scopo di estorsione ma altresì che il reo era consapevole della precedente commissione di quel delitto specifico. L'agente cioè per essere punito ex art.648-bisc.p. doveva sapere che le somme di denaro provenivano da quel determinato grave delitto (rapina etc…) e non genericamente che avessero carattere illecito.

Nel 1990 la originaria fattispecie di cui all'art. 648-bisc.p. viene modificata poiché tra i reati presupposto del riciclaggio oltre a rapina, estorsione, sequestro a scopo di estorsione, vengono inserite anche tutte le ipotesi di traffico di sostanze stupefacenti. In particolare, con la l. n. 55 del 1990, art. 23, l'art. 648-bisc.p. venne riformato una prima volta. Fu, innanzitutto, sostituita la rubrica (che, venne intitolata Riciclaggio) e fu modificato anche il testo nel senso che furono ampliati sia il novero dei reati presupposto (furono aggiunti i delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope) sia la stessa condotta materiale (fu prevista la punibilità, infatti, della sostituzione del "denaro, beni o altre utilità" provenienti dai suddetti delitti, con altro denaro, altri beni o altre utilità ovvero ostacola l'identificazione della loro provenienza dai delitti suddetti (...)) per la quale, ora, non era più necessario il dolo specifico ma solo il dolo generico.

Le evidenti difficoltà incontrate nell'accertamento delle condotte successive la consumazione di gravissimi fatti associativi nel settore del traffico internazionale di droga portarono, quindi, il legislatore ad introdurre nel 1990 la figura del traffico di stupefacenti quale possibile delitto presupposto del riciclaggio.

Tuttavia, le polemiche non si fermarono, e ciò per l'evidente ragione che la particolare struttura del reato così come era congegnato richiedeva svolgersi un doppio accertamento:

  • si doveva provare una condotta di sostituzione su somme provento di quei delitti indicati od oggetti di provenienza illecita;
  • si doveva provare che l'agente fosse consapevole di sostituire somme frutto di quel particolare precedente delitto.

E così l'art. 648-bisc.p. venne nuovamente modificato dalla l. 9 agosto 1993, n. 328, art. 4 che ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato (stipulata Strasburgo l'8/11/1990), nonché alla direttiva n. 166 del 10 giugno 1991 del Consiglio dei Ministri della Comunità Europea con cui gli stati membri venivano invitati ad evitare il riciclaggio dei proventi di reato. Il testo entrato in vigore prevedeva espressamente che Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con…. la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000.

Con la suddetta legge, il reato di riciclaggio veniva nuovamente modificato sotto due profili:

  • veniva definitivamente svincolato dalla pregressa tassativa indicazione dei reati che potevano costituirne il presupposto ed esteso, indifferentemente, a tutti i delitti non colposi;
  • era ampliata la condotta di riciclaggio nel senso che veniva dichiarata punibile la sostituzione o il trasferimento del "denaro, beni o altre utilità" e di ogni operazione idonea ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa.

Con la definitiva riformulazione del reato di riciclaggio, quindi, il legislatore, recependo la normativa Europea, ha inteso colpire ogni condotta tendente a "ripulire" il cd. denaro sporco proveniente da delitti.

Tipologie di reati presupposto

Il presupposto normativo delle fattispecie previste e punite dagli artt. 648, 648-bis 648-ter, 648-ter.1c.p. è costituito dalla necessità che la condotta dell'agente per essere punibile sia posta in essere su beni o denaro provento di precedente delitto. Secondo il testo della norma di contenuto generale che è quella dell'art. 648 c.p. si punisce chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare.

Costituiscono così tipici reati presupposto tutte le fattispecie previste dal titolo XIII del libro II del codice penale in quanto capaci di produrre un profitto illecito che possa poi essere ricevuto, sostituito, reimpiegato: furti, rapine, estorsioni, sequestro di persona a scopo di estorsione, truffe anche per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frodi informatiche, usure, appropriazioni indebite, integrano certamente le tipiche ipotesi di reato presupposto delle successive condotte di ricettazione, riciclaggio, reimpiego ed auto riciclaggio.

La giurisprudenza ha tuttavia chiarito che il reato presupposto può anche non essere un reato contro il patrimonio; difatti l'ipotesi di cui all'art. 648 c.p., è configurabile anche quando abbia ad oggetto cose provenienti da un delitto che non sia contro il patrimonio, perché, anche in tal caso, dall'acquisizione di beni di illegittima provenienza, che il legislatore ha inteso scoraggiare e punire, deriva un incremento patrimoniale. I casi più frequenti sono costituiti da reati presupposto commessi in materia di diritto d'autore, tutela di marchi e brevetti ovvero violazione dei principi di libera concorrenza; così si afferma che integra il reato di ricettazione la ricezione di supporti di programmi tutelati dal diritto d'autore ed abusivamente riprodotti (tra le tante si veda Cass. pen., n. 25215/2019), ovvero l'acquisto di prodotti con marchi o segni distintivi contraffatti od alterati (473 c.p.); ancora il delitto presupposto del reato di riciclaggio può essere costituito anche dal reato di illecita concorrenza con minaccia e con violenza art. 513 bis c.p. (Cass. pen., n. 1439 del 27 novembre 2008).

Così ancora si afferma che il possesso di un'arma clandestina integra di per sé la prova del delitto di ricettazione, poiché l'abrasione della matricola, che priva l'arma medesima di numero e dei contrassegni di cui all'art. 11 legge 18 aprile 1975, n. 110, essendo chiaramente finalizzata ad impedirne l'identificazione, dimostra, in mancanza di elementi contrari, il proposito di occultamento del possessore e la consapevolezza della provenienza illecita dell'arma (Cassn.39187del 29 agosto 2013).

Anche prima dell'introduzione della norma sull'autoriciclaggio si era affermato che è configurabile il reato di cui all'art. 12-quinquies del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in legge 7 agosto 1992, n. 356 in capo all'autore del delitto presupposto, il quale attribuisca fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di denaro, beni o altre utilità, di cui rimanga effettivamente "dominus", al fine di agevolare una successiva circolazione nel tessuto finanziario, economico e produttivo, poiché la disposizione di cui all'art. 12 quinquies citato consente di perseguire anche i fatti di "auto" ricettazione, riciclaggio o reimpiego (Cass n. 25191 del 27/02/2014).

Il tema più interessante relativo alla individuazione della tipologia dei reati produttivi di profitto illecito riciclabile riguarda certamente i casi in cui il delitto presupposto non sia produttivo di un attivo finanziario bensì integrato soltanto da un risparmio di spesa; in questi casi, infatti, sembra mancare quell'evento naturalistico costituito dalla realizzazione di un profitto illecito su cui interviene l'attività di sostituzione od occultamento punibile, poiché, per definizione, una condotta che sia consistita in una omissione di pagamenti dovuti non è idonea a “creare” il profitto illecito riciclabile. Tale soluzione tradizionale appare però dimenticare che anche attraverso l'impiego del risparmio di spesa che si realizzi attraverso una condotta illecita possono compiersi condotte di alterazione dell'ordine pubblico economico.

Con un primo intervento della corte di cassazione sul tema si è affermato che soltanto le contravvenzioni ed i delitti colposi non possono costituire il presupposto di quello di riciclaggio; ne consegue che tutti i delitti dolosi, e quindi anche quello di frode fiscale, sono idonei a fungere da reato presupposto del riciclaggio (Cass. pen., n. 6061 del 17 gennaio 2012). In questa occasione la Corte Suprema ha precisato che il riferimento dell'art. 648-bisc.p. alle altre utilità ben può ricomprendere il risparmio di spesa che l'agente ottiene evitando di pagare le imposte dovute, poiché esso produce un mancato decremento del patrimonio che si concretizza in una utilità di natura economica. In motivazione si precisa che la tesi negativa secondo cui il reato di frode fiscale non può rientrare fra i reati presupposto perché la frode fiscale non determinerebbe alcun accrescimento del patrimonio dell'agente (nel senso che dalla consumazione del reato non deriverebbero denaro, beni o altre utilità oggetto del successivo riciclaggio) ma solo un non impoverimento del patrimonio, limitandosi ad impedire la perdita, ancorché giusta, di un bene (rectius: denaro) legittimamente posseduto, viene smentita dalla già analizzata evoluzione storica della norma in esame che mette in evidenza come il legislatore, con le due riforme, abbia ampliato non solo il numero dei reati presupposto, ma anche la condotta incriminabile e lo stesso oggetto del reato, passando dalla semplice sostituzione di denaro o valori alla sostituzione o trasferimento di denaro, beni o altre utilità.

Si è così affermato che con tale amplissima ed ellittica formula, è del tutto evidente che il legislatore ha inteso colpire, con il delitto di riciclaggio, ogni vantaggio derivante dal compimento del reato presupposto, tant'è che ha adoperato la locuzione altre utilità come una sorta di clausola di chiusura rispetto al denaro e beni, proprio per evitare che potessero sfuggire dalle maglie della repressione penale utilità (qualunque esse fossero) derivanti dal reato presupposto e delle quali l'agente, grazie all'attività di riciclaggio posto in essere da un terzo, potesse usufruirne.

In altri termini, la locuzione altre utilità è talmente ampia che in esse devono farsi rientrare tutte quelle utilità che abbiano, per l'agente che abbia commesso il reato presupposto, un valore economicamente apprezzabile. Così interpretata la locuzione altre utilità, è chiaro che in esse devono farsi rientrare non solo quegli elementi che incrementano il patrimonio dell'agente ma anche tutto ciò che costituisca il frutto di quelle attività fraudolente a seguito delle quali si impedisce che il patrimonio s'impoverisca: il che è quanto accade quando viene perpetrato un reato di frode fiscale a seguito del quale l'agente, evitando di pagare le imposte dovute, consegue un risparmio di spesa che si traduce, in pratica, in un mancato decremento del patrimonio e, quindi, in una evidentissima e solare utilità di natura economica.

Posto infatti che secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione costituisce profitto dei reati tributari la somma corrispondente all'imposta evasa, sicché, ai sensi della l. finanziaria n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, se ne ammette il sequestro preventivo finalizzato alla successiva confisca, il profitto che l'agente ricava dai reati tributari non può che essere una concreta utilità economica suscettibile di essere riciclata al fine di ostacolarne la provenienza delittuosa e sottrarla alla pretesa impositiva dello Stato. In conclusione, si afferma che la locuzione altre utilità di cui all'art. 648-bisc.p. dev'essere intesa come tutte quelle utilità che abbiano, per l'agente che abbia commesso il reato presupposto, un valore economicamente apprezzabile. In esse devono farsi rientrare non solo quegli elementi che incrementano il patrimonio dell'agente ma anche quelle attività fraudolente a seguito delle quali l'agente impedisce che il proprio patrimonio s'impoverisca. Di conseguenza, rientra fra i reati presupposto anche il reato di frode fiscale a seguito del quale l'agente, evitando di pagare le imposte, consegue un risparmio di spesa che si traduce in un mancato decremento del patrimonio e, quindi, in una evidente utilità di natura economica.

Dopo un lungo contrasto le Sezioni Unite avevano chiarito che tra i reati presupposto del riciclaggio poteva rientrare anche quello di associazione mafiosa; difatti si è stabilito che il delitto di associazione di tipo mafioso può costituire il presupposto dei reati di riciclaggio e di reimpiego di capitali, in quanto di per sé idoneo a produrre proventi illeciti, rientrando negli scopi dell'associazione anche quello di trarre vantaggi o profitti da attività economiche lecite per mezzo del metodo mafioso. Precisandosi però che non è configurabile il concorso fra i delitti di cui agli artt. 648-bis o 648-ter c.p. e quello di associazione mafiosa, quando la contestazione di riciclaggio o reimpiego nei confronti dell'associato abbia ad oggetto denaro, beni o utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa, operando in tal caso la clausola di riserva contenuta nelle predette disposizioni (Cass pen., n. 25191 del 27 febbraio 2014).

A tale proposito, però, va chiarito che se prima della introduzione del delitto di auto riciclaggio il reimpiego dei proventi del delitto di cui all'art. 416-bis c.p. non poteva comportare la punibilità ex art. 648-bisc.p., la situazione appare completamente mutata a seguito della introduzione della nuova fattispecie normativa che permetterà di contestare agli associati che abbiano compiuto attività decettive, di sostituzione od occultamento dei capitali mafiosi oltre all'art. 416-bisc.p. anche il delitto di cui all'art. 110, 648-ter.1 c.p.

L'allargamento della platea dei reati presupposto operato da parte della giurisprudenza sotto la spinta delle diverse figure delittuose, anche come si è visto, con l'inclusione delle condotte omissive di versamento di imposte, amplia notevolmente la sfera di intervento della repressione penale e combinata con la possibilità di accertamento incidentale del delitto presupposto di cui si dirà nel successivo paragrafo, porta a conseguenze che non sempre paiono condivisibili.

La progressiva astrazione del rapporto tra reato presupposto e ricettazione/riciclaggio

Difatti, poiché la fattispecie tipiche dei reati c.d. a valle, sia della ricettazione che del riciclaggio che delle ipotesi di reimpiego e autoriciclaggio, richiamano l'esistenza quale presupposto di un precedente delitto, ci si è domandato quale grado di accertamento deve essere stato raggiunto per potere affermare la responsabilità del delitto successivo di ricettazione/riciclaggio; se cioè sia necessario un accertamento definitivo in via giurisdizionale ovvero sia sufficiente anche una semplice verifica incidentale.

Al proposito, nella elaborazione della giurisprudenza di legittimità, si è assistito ad un progressivo allentamento del rigoroso rapporto tra accertamento del delitto presupposto e colpevolezza per ricettazione e/o riciclaggio e ciò perché, essendo la provenienza da delitto uno dei presupposti della fattispecie astratta, è richiesta per lo stesso un uguale criterio di verifica probatoria rispetto agli altri elementi; in particolare si è affermato che (Cass. pen., n. 29685 del 05 luglio2011)l'affermazione della responsabilità per il delitto di ricettazione non richiede l'accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, né dei suoi autori, né dell'esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l'esistenza attraverso prove logiche. In motivazione, tale pronuncia, che può ritenersi la capostipite di questo orientamento, espressamente riconosce che la provenienza da delitto della res, infatti, al pari di qualsiasi elemento strutturale della fattispecie - non richiedendosi uno specifico nomen iuris che qualifichi l'origine del bene, così come non rilevando neppure la imputabilità o la punibilità del relativo autore ovvero (a seguito della novella introdotta dalla L. n. 328 del 1993) la stessa procedibilità del delitto presupposto - forma oggetto di prova secondo gli ordinari criteri di accertamento, che ben può fondarsi, dunque, anche su indizi e, pertanto, sulla stessa prova logica”.

In sostanza a partire da tale orientamento poiché gli artt. 648 e648-bisc.p. contengono soltanto il riferimento alla provenienza da delitto e non anche l'indicazione della fattispecie tipica di reato presupposto, non è necessario nè indispensabile che nella formulazione dell'accusa si individui con precisione tale antecedente delittuoso storico con valore presupposto imprescindibile. E poiché secondo gli orientamenti che abbiamo analizzato nel precedente paragrafo delitto presupposto può essere anche un reato diverso da quelli contro il patrimonio, l'accertamento incidentale di tale fatto rispetta i criteri per la formulazione dell'imputazione.

A partire da questa pronuncia del 2011 una serie di ulteriori sentenze hanno “estremizzato” il criterio della indipendenza del reato c.d. a valle (ricettazione, riciclaggio, reimpiego, auto riciclaggio) dall'accertamento del delitto presupposto; così si è affermato (Cass. pen., n.29486 del 26 giugno 2013) che il presupposto del delitto della ricettazione non deve essere necessariamente accertato in ogni suo estremo fattuale, poiché la provenienza delittuosa del bene posseduto può ben desumersi dalla natura e dalle caratteristiche del bene stesso.

Analoghe affermazioni hanno riguardato il delitto di cui all'art. 648-bisc.p. per il quale si è espressamente affermato come in tema di riciclaggio, non è necessario che il delitto non colposo presupposto risulti accertato con sentenza passata in giudicato, ma è sufficiente che lo stesso non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il reato di cui all'art. 648-bis c.p. ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza (Cass. pen. n. 527 del 13 settembre 2016 dep. 2017).

Premesso, quindi, che l'accertamento del delitto presupposto può anche essere operato in via incidentale da ciò consegue che ai fini della procedibilità per i reati di ricezione e trasformazione del profitto illecito vi sia indipendenza totale rispetto allo svolgimento di procedimenti per il primo fatto delittuoso; può anche avvenire, ed in tema di riciclaggio quando siano state verificate plurime operazioni di sostituzione e trasformazione ciò risulta particolarmente frequente, che un procedimento per il delitto presupposto neppure vi sia poiché un fatto-reato nella sua materialità e concretezza non risulta neppure accertato.

La tesi della autonomia e indipendenza del delitto di ricettazione/riciclaggio rispetto al delitto presupposto che permette anche una semplice verifica incidentale del primo reato, collegata alla possibilità già citata (Cass. pen., n. 6061 del 17 giugno 2012) che il reato presupposto sia costituito da una operazione di evasione di imposta può comportare conseguenze davvero rilevanti e poco condivisibili; difatti la frode fiscale dalla cui consumazione si trae il profitto illecito riciclabile e cioè le altre utilità cui fa riferimento la norma, potrebbero anche non essere oggetto di previo o contestuale accertamento ma lasciate alla verifica incidentale da parte del giudice procedente con evidente “nebulizzazione” della tassatività penale.

Il limite estremo di tale evoluzione: la tesi della illegittimità del sequestro di denaro

Non può mancarsi di osservare come la progressiva astrazione del delitto presupposto nel suo rapporto con il reato di ricezione, trasformazione, sostituzione del profitto illecito, ha portato a conseguenze applicative non del tutto condivisibili; venuta meno cioè la necessità ed indispensabilità della primaria verifica della esistenza di una fattispecie penale dalla quale sono originati denaro o altri beni di origine illecita poi oggetto di ricezione, sostituzione e trasformazione dai responsabili di ipotesi riconducibili agli artt. 648, 648-bis, 648-ter.1c.p., si è enormemente rafforzata l'area della repressione penale soprattutto nella fase delle indagini preliminari in cui attraverso i sequestri si può procedere all'ablazione di beni anche solo di incerta provenienza nella attesa della verifica della loro lecita od illecita origine. Ed è indubbio che l'interpretazione giurisprudenziale in precedenza ripetutamente citata sia stata utilizzata anche in questo senso, rinviando cioè la possibilità di verifica incidentale della esistenza del reato presupposto anche ad un momento successivo l'adozione della misura cautelare reale. E di fronte a tali ripetute prese di posizione la giurisprudenza della cassazione ha reagito richiedendo quanto meno una identificazione in concreto del delitto presupposto al momento della formulazione dell'imputazione, anche provvisoria così contrapponendosi al diverso orientamento già in precedenza citato. Il tema ha riguardato, e continua a riguardare soprattutto, i sequestri di somme di denaro contante rinvenuti in possesso di soggetti che non sappiano specificarne l'origine e di cui però non viene accertata preliminarmente alcuna concreta relazione con gli autori del delitto presupposto, poiché in quest'ultimo caso la correttezza dei sequestri ed anche dell'imputazione ex artt. 648 o 648-bisc.p. potrebbe ritenersi fondata.

Una prima, risalente pronuncia, affermava che il presupposto della ricettazione è l'esistenza di un delitto anteriore, del quale, seppure non è necessario l'accertamento giudiziario, occorre la dimostrazione attraverso i normali sistemi di valutazione della prova, non potendo essere soltanto intuito (Cass. pen., n. 2179 del 20 gennaio 1983).

Con una successiva e ancor più chiara statuizione (Cass. pen., n.26308del 22 giugno 2010) si è affermato che la fattispecie criminosa di ricettazione è configurabile non già con il riferimento, in contestazione, ad una provenienza delittuosa del bene non meglio identificata, poiché è necessario che il delitto presupposto, se pure non giudizialmente accertato, sia specificato.

Ed in motivazione testualmente la corte afferma che il provvedimento oggetto di riesame superava la esigenza della ravvisabilità in astratto del reato presupposto con la non necessità "dell'accertamento" del reato presupposto, confondendo così il diverso profilo della incompletezza della contestazione. Tale motivazione è del tutto condivisibile in quanto l'esistenza di un delitto anteriore, se pure non giudizialmente accertato, deve comunque ricorrere ai fini dell'astratta configurabilità della condotta criminosa prevista dall'art. 648 c.p., nel senso che la sua sussistenza deve comunque risultare al giudice. Non vi è dubbio, infatti che il reato presupposto integra la fattispecie della ricettazione ed incide sulla completezza della contestazione.

Come già anticipato il tema della non indispensabilità della indicazione del reato presupposto nella contestazione di ricettazione e riciclaggio trova un suo momento critico nelle vicende cautelari riguardanti il sequestro preventivo di somme di denaro, di ingente importo, che siano state rinvenute in possesso di soggetti in assenza di giustificazioni. In tali casi si è proceduto alla elevazione della contestazione di riciclaggio nel presupposto che la somma di denaro sia provento di precedente delitto senza però la possibilità né di indicare lo stesso né di accertare le modalità ed i tempi delle attività di sostituzione o trasformazione delle somme illecite.

Orbene con una ulteriore serie di pronunce, la giurisprudenza della Corte di cassazione sembra avere escluso la legittimità di tale prassi che rimane confinata ai casi in cui siano svolti accertamenti in ordine all'esistenza di precisi rapporti e relazioni tra il soggetto rinvenuto in possesso della rilevante somma di denaro ingiustificata ed altri esponenti criminali, dediti a precise attività delittuose ovvero circa il coinvolgimento dello stesso nella consumazione di tali fatti.

In particolare, si è affermato (Cass. pen., n. 29689 del 28/05/2019) che se, infatti, è corretto il richiamo alla giurisprudenza che non ritiene necessaria la ricostruzione del delitto presupposto in tutti gli estremi storici e fattuali, ciò non esonera dall'individuare quale tipologia di delitto costituisca l'origine delle cose da sottoporre a sequestro, in quanto appunto di provenienza delittuosa, risultando insufficiente l'affermazione che il denaro trasportato dagli indagati dovesse necessariamente essere provento di attività delittuose, in ragione della loro scarsa capacità reddituale, potendosi in alternativa ipotizzare una serie di differenti causali a base della disponibilità del denaro, di cui comunque non è stata individuata la possibile provenienza delittuosa intesa come derivazione da una specifica ipotesi di reato e non anche come mera asserzione d'ingiustificato possesso del denaro. Analogamente, in quel caso di possesso di denaro contante non giustificato risultava del tutto mancante la motivazione relativa all'individuazione degli elementi di fatto in grado di rappresentare a quale delle condotte tipiche indicate dall'art. 648-bisc.p. sia riconducibile il comportamento tenuto dagli indagati, come accertato in sede di indagini.

In sostanza la predetta pronuncia sottolinea due aspetti critici della impostazione che ritiene legittima l'adozione della misura cautelare reale nei confronti di qualsiasi soggetto rinvenuto in possesso di somme di denaro non giustificate. In primo luogo, infatti, sottolinea correttamente la possibile provenienza di dette somme da alternative di fatto non necessariamente riconducibili a fattispecie delittuose; si pensi ad esempio a tutte le ipotesi di violazione finanziarie c.d. sotto soglia di punibilità che pur costituendo irregolarità fiscali non danno origine a contestazioni penali e che abbiano determinato la progressiva accumulazione di quelle somme di denaro contante. Tale ipotesi è certamente particolarmente frequente nei casi di sequestri di somme di denaro contante nei riguardi di soggetti stranieri che siano incaricati di trasferire all'estero il compendio di evasione fiscale compiuto da esercenti commerciali diversi che incaricano lo stesso soggetto del trasporto; orbene in tali casi procedere ad una indiscriminata imputazione di riciclaggio giustificativa l'adozione del sequestro sganciata da qualsiasi accertamento del delitto presupposto potrebbe estendere ingiustificatamente l'area della repressione penale, con conseguenze sanzionatorie anche particolarmente gravi, nei confronti di fatti non costituenti delitto penale bensì solo irregolarità fiscali.

In secondo luogo la stessa giurisprudenza sottolinea come in tali casi sia mancante l'individuazione della condotta tipica di riciclaggio; la fattispecie suddetta, come in precedenza ricordato, richiede infatti sempre che siano compiute condotte di trasformazione e/o sostituzione del profitto illecito ovvero condotte atte ad ostacolare l'identificazione dell'origine delittuosa del denaro rinvenuto. E la citata giurisprudenza dubita che il solo trasporto sia condotta punibile ex art. 648-bisc.p. mancando certamente qualsiasi trasformazione o sostituzione del contante ed essendo dubbio che il semplice spostamento da un luogo ad altro costituisca attività diretta ad ostacolare l'origine delittuosa di quel bene.

Il citato orientamento giurisprudenziale si è adeguato ad un precedente orientamento già espresso da altre pronunce; invero negli stessi termini si esprimeva altra sentenza (Cass. pen., n.9224 del 16 febbraio 2017) con particolare riferimento al caso del sequestro probatorio e secondo cui:l'esistenza di un delitto anteriore, se pure non giudizialmente accertato, deve comunque ricorrere ai fini dell'astratta configurabilità della condotta criminosa prevista dall'art. 648/648-bisc.p., nel senso che la sua sussistenza deve comunque risultare al giudice. Non vi è dubbio, infatti che il reato presupposto integra la fattispecie della ricettazione o del riciclaggio ed incide sulla completezza della contestazione. Tali fondamentali principi non parevano osservati nel caso allora in esame perché, il reato presupposto del contestato riciclaggio nel provvedimento di sequestro era totalmente frutto di una mera ipotesi astratta basata esclusivamente sulla quantità del denaro rinvenuto però in possesso di tre distinti soggetti e gran parte del quale investito in titoli posseduti in maniera trasparente; pertanto la valutazione di pertinenza al contestato delitto non pare confortata da alcun elemento concreto poiché il mero possesso di un'ingente somma di denaro non può giustificare ex se, in assenza di qualsiasi riscontro investigativo, l'elevazione di un'imputazione di riciclaggio senza che sia in alcun modo stata verificata l'esistenza di un delitto presupposto, od anche solo l'esistenza di relazioni tra il ricorrente ed ambienti criminali, ovvero la precedente commissione di fatti di reato dai quali era derivato quel denaro, o l'avvenuto compimento di operazioni di investimento comunque di natura illecita a qualsiasi titolo. In assenza, quindi, di qualsiasi elemento idoneo a specificare l'esistenza di un delitto presupposto, dal quale abbia avuto origine quella somma tratta in sequestro, il provvedimento assunto appare viziato da violazione di legge poiché del tutto arbitrario si prospetta profilare un'ipotesi di riciclaggio.

Ancora negli stessi termini si segnala altra affermazione (Cass. pen., n.53210 dell'08/11/2017) che analizzava il caso del disposto sequestro preventivo delle somme di denaro rinvenute nella disponibilità di soggetti mentre si trovavano a bordo di una vettura noleggiata da un terzo, gravato da precedenti penali, ipotizzando la provenienza delittuosa di quelle somme "in quanto detenuta in assenza di qualsivoglia titolo giustificativo e a fronte di una scarsa o nulla capacità reddituale" e formulando, così, la conclusione che il denaro fosse trasportato dagli indagati nell'interesse del soggetto che aveva noleggiato la vettura. E si assumeva che la motivazione del provvedimento del riesame non fornisse elementi sufficienti per individuare l'ipotizzata provenienza delittuosa del denaro sottoposto a sequestro, risultando meramente congetturale l'affermazione che il denaro trasportato dagli indagati dovesse necessariamente essere provento di attività delittuose, in ragione della scarsa capacità reddituale degli indagati e del collegamento fattuale indicato tra gli indagati e un terzo soggetto, genericamente gravato da precedenti penali, potendosi in alternativa ipotizzare una serie di differenti causali a base della disponibilità del denaro, di cui comunque non è stata individuata la possibile provenienza delittuosa intesa come derivazione da una specifica ipotesi di reato e non anche come mera asserzione d'ingiustificato possesso del denaro.

In termini analoghi (Cass. n. 53944 del 21/09/2016) secondo cui è pur sempre necessario che - anche in fase cautelare - il giudice si faccia carico di indicare, quantomeno genericamente o sommariamente, quale dovrebbe essere il delitto presupposto e su quali elementi indiziari o prove logiche si fonda la sua convinzione. Nella specie, il giudice del provvedimento impugnato si era limitato a rimarcare l'assenza di congrue giustificazioni fornite dall'indagato circa la provenienza del denaro e l'incompatibilità di tale importo (peraltro, nemmeno particolarmente elevato) con la sua attività lavorativa. Tale accertamento, però, non accompagnato da alcun accenno a quale possa essere l'ipotetico reato presupposto, appariva insufficiente per affermare non solo il fumus, ma neppure la configurabilità astratta del delitto di ricettazione.

Del resto addivenire ad una soluzione contraria significherebbe introdurre una regola di generale sequestrabilità di tutte le somme di denaro contante il cui possesso non sia giustificato, in assenza di qualsiasi concreto elemento per affermare la sussistenza di un delitto presupposto e tale soluzione appare evidentemente contrastare con fondamentali principi costituzionali. Peraltro, poiché la corte di cassazione è giudice di legittimità e non del fatto l'affermare un principio di tale genere sarebbe indipendente dalla somma di denaro rinvenuta; si vuole cioè sottolineare come la tesi contraria, che pure in seguito riporteremo, non può riuscire a chiarire quale importo di denaro contante possa considerarsi ingiustificato e pertanto frutto di riciclaggio e quale invece non lo sia e ciò per l'evidente “friabilità” del caso e mutevolezza delle condizioni connesse a ciascun fatto.

La tesi della legittimità del provvedimento di sequestro di denaro contante non giustificato a titolo di riciclaggio

Tuttavia, come anticipato, devono essere segnalate le pronunce che hanno concluso in senso contrario e che sostanzialmente si richiamano a quell'orientamento primigenio secondo cui facendosi riferimento indeterminato negli artt. 648 e 648-bisc.p. alla provenienza da delitto non è necessario che l'accertamento del reato presupposto sia effettuato preventivamente e neppure che lo stesso sia specificamente indicato. In particolare questa soluzione viene sposata anche da recenti statuizioni (Cass. pen., n.19171del 6 febbraio 2019) secondo cui quanto alla mancanza di un previo accertamento giudiziale in relazione alla illecita provenienza, deve ricordarsi che non risulta necessario che il delitto non colposo presupposto risulti accertato con sentenza passata in giudicato, ma è sufficiente che lo stesso non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza ferma restando la possibilità che venga raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute potendosi la provenienza delittuosa del bene posseduto desumersi dalla natura, dalle caratteristiche o dalle modalità di conservazione dei beni oggetto di contestazione di cui l'imputato non abbia saputo fornire una attendibile indicazione della provenienza come nel caso preso in esame (sequestro di denaro contante occultato, diverse pietre preziose ed orologi Rolex) risultava proprio avvenuto.

Negli stessi termini si pronunciava anche quella sentenza (Cass. pen., n. 54027 del 5 luglio 2017) il cui intervento si rileva di particolare interesse poiché la contestazione non riguardava soltanto il delitto di riciclaggio ma, altresì, il delitto di omessa dichiarazione previsto e punito dall'art. 5 d.lgs. 74/2000 con conseguente applicabilità della confisca obbligatoria sancita per dette fattispecie ai sensi dell'art. 12 bis del decreto; si affermava infatti nella pronuncia chela mancata indicazione del delitto presupposto della ipotizzata ricettazione non ha poi rilievo alcuno e ciò perché l'affermazione della sussistenza del delitto di ricettazione non richiede l'accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, nè dei suoi autori, nè dell'esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l'esistenza attraverso prove logiche. Ne conseguiva l'affermazione di legittimità dei provvedimenti impugnati, dovendosi altresì ritenere decisiva la circostanza che all'indagato risultava contestato anche il reato di cui all'art. 5 d.lgs. 74/2000 che prevede la confisca obbligatoria dei beni che ne costituiscono il profitto o il provento, di guisa che la speciale natura del corpo del reato, ai sensi dell'art. 253 comma 2 c.p.p. e dell'oggetto di tale misura rende superflua una motivazione anche in termini di altre necessità funzionali, rendendo preminente la funzione della effettività della confisca, anche con effetto interdittivo del divieto di restituzione.

In conclusione

Il tema del sequestro a titolo di riciclaggio di denaro contante rinvenuto in ingenti quantità vede confrontarsi le esigenze delle indagini preliminari di assicurare nella immediatezza un vincolo reale su somme di elevato valore rinvenute in possesso di soggetti che non sappiano fornirne qualsiasi giustificazione, con la difficoltà di affermare un principio generale di sequestrabilità di tali somme per la formulazione provvisoria di un'imputazione di riciclaggio completamente sganciata dalla individuazione del reato presupposto.

Per limitare la fondatezza della soluzione della generale ed indeterminata sequestrabilità di somme contanti non giustificate, pare preferibile la tesi secondo cui il sequestro preventivo di somme di denaro contante, possedute da soggetti che non siano in condizioni di giustificarle, a titolo di imputazione provvisoria di riciclaggio, è legittimo ove siano accertati legami dell'indagato con ambienti criminali, che possano fare concretamente individuare la provenienza del contante da un delitto presupposto contro il patrimonio ovvero il coinvolgimento dello stesso nella consumazione del reato presupposto.

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