Nessun diritto d’abitazione per il coniuge superstite se la casa non è più adibita ad abitazione familiare

03 Dicembre 2019

Lo stato di separazione personale dei coniugi costituisce un ostacolo insormontabile al riconoscimento dei diritti sulla casa familiare in favore del coniuge superstite se, al momento dell'apertura della successione, difetta il requisito della convivenza.
Massima

Lo stato di separazione personale dei coniugi costituisce un ostacolo insormontabile al riconoscimento dei diritti sulla casa familiare in favore del coniuge superstite se, al momento dell'apertura della successione, difetta il requisito della convivenza e sia, pertanto, impossibile qualificare la casa come abitazione familiare.

Il caso

Tizia propone azione di riduzione con riferimento alla successione del coniuge separato, il quale aveva disposto con testamento, in favore della moglie, un legato di usufrutto generale, qualificato dai giudici di merito quale legato in sostituzione di legittima.

La domanda di Tizia viene dichiarata inammissibile nei primi due gradi del giudizio, in quanto, secondo il Tribunale e la Corte d'Appello, la rinuncia al legato da parte dell'attrice era intervenuta tardivamente, ossia dopo che la legataria aveva compiuto atti di esercizio del diritto ravvisati nella circostanza che ella aveva continuato ad abitare nella ex casa coniugale, ricompresa negli immobili oggetto del legato.

Tizia propone allora ricorso per ottenere la cassazione della sentenza, adducendo quale unico motivo l'errata qualificazione, operata dalla Corte d'Appello, dell'utilizzo dell'appartamento come esercizio del diritto di usufrutto, trattandosi piuttosto di esercizio del diritto di abitazione spettante ex lege al coniuge ai sensi dell'art. 540, comma 2, c.c.

La questione

Al coniuge superstite, separato senza addebito, spetta sic et simpliciter il diritto di abitazione della casa familiare o vi sono particolari requisiti da soddisfare affinché tale diritto possa dirsi legittimamente attribuito?

Le soluzioni giuridiche

L'orientamento della Suprema Corte di Cassazione è, ormai dal 2014, pacifico nel ritenere che presupposto imprescindibile all'attribuzione al coniuge superstite del diritto di abitazione della casa familiare e di uso dei mobili che la corredano è l'effettiva esistenza, al momento dell'apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare, evenienza che ricorre solo quando, a seguito della separazione personale, non sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi.

Orientamento che viene confermato anche dalla recentissima ordinanza n. 15277 del 5 giugno 2019, con cui la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dalla moglie del de cuius, ritenendo corretta la soluzione cui era pervenuta la Corte d'Appello, la quale aveva qualificato la permanenza nella casa coniugale dell'attrice come esercizio del diritto di usufrutto oggetto del legato, non trovando applicazione, nel caso di specie, l'art. 540, comma 2, c.c., posto che marito e moglie non convivevano al tempo dell'apertura della successione.

La ratio della norma in esame, infatti, va ravvisata nella tutela non tanto dell'interesse economico del coniuge superstite a beneficiare di un'abitazione, quanto dell'interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare e, in particolare, la conservazione della memoria del coniuge scomparso, il mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status symbols goduti durante il matrimonio.

Ed è proprio tale interpretazione dell'art. 540, comma 2, c.c., che spiega la ragione per cui la giurisprudenza unanime nega l'attribuzione del diritto di abitazione della casa familiare al coniuge superstite, separato senza addebito, quando, al momento della morte dell'altro coniuge, la convivenza non sia più attuata: venuta meno la condivisione dell'abitazione, viene meno anche l'interesse morale a continuare a godere di tale abitazione, godimento che, dunque, si tradurrebbe in un vantaggio meramente economico, in contrasto con la ratio della norma.

Dunque, benché l'art. 548 c.c. riconosca al coniuge superstite separato senza addebito i medesimi diritti successori del coniuge non separato, e quindi – in astratto – anche il diritto di abitazione della casa familiare di cui all'art. 540, comma 2, c.c., in realtà così non è.

La Corte di Cassazione, nelle tre pronunce in materia (cfr. Cass. civ., sez. II, 12 giugno 2014, n. 13407; Cass. Civ., sez. II, 22 ottobre 2014, n. 22456; Cass. civ., sez. II, 5 giugno 2019, n. 15277), ha elevato a criterio necessario, al fine dell'attribuzione del diritto in questione, la convivenza tra i coniugi, benché separati, al momento dell'apertura della successione.

Osservazioni

Il principio di diritto enunciato dalla Cassazione è molto chiaro e lineare: il coniuge superstite, separato senza addebito, potrà risultare intestatario del diritto di abitazione della casa familiare e di uso dei mobili che la corredano solo se, al momento della morte del de cuius, sia possibile qualificare la casa come residenza familiare. È, quindi, necessario accertare che i coniugi, benché separati, vivessero ancora insieme.

La cessazione della convivenza determina la recisione di ogni legame tra l'immobile e il concetto di residenza familiare, quale luogo in cui si svolge in modo stabile e prevalente il menage della famiglia.

Si tratta di un principio condivisibile, posto che, altrimenti, l'attribuzione dei diritti in parola si tradurrebbe in un vantaggio economico a favore del coniuge superstite e non verrebbe attuato il fine perseguito dalla norma in esame, ossia quello di tutelare l'interesse morale alla conservazione dei rapporti affettivi.

Volgendo lo sguardo sui risvolti pratici dell'applicazione dell'art. 540, comma 2, c.c., come interpretato dalla Corte di Cassazione, si può affermare che i diritti di abitazione della casa familiare e di uso dei mobili che la corredano spetteranno al coniuge superstite nelle ipotesi dei c.d. “separati in casa”, ossia quando marito e moglie continuano a coabitare nella casa familiare anche dopo la separazione personale, mantenendo stabile il legame tra l'immobile e lo svolgimento della vita familiare.

Titolare dei diritti di cui all'art. 540, comma 2, c.c. sarà anche il coniuge superstite cui è stata assegnata la casa familiare ai sensi dell'art. 337-sexies c.c., al fine di continuare ad abitarvi con i figli minori o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti. Anche in tal caso è, infatti, indubbio che sussista un legame forte tra l'immobile e la famiglia.

In conclusione, dunque, per poter legittimamente attribuire il diritto di abitazione della casa familiare e di uso dei mobili che la corredano al coniuge superstite devono essere soddisfatti due requisiti, uno soggettivo e uno oggettivo.

Il requisito soggettivo richiede la qualità di coniuge, cui viene equiparato il coniuge separato purché la separazione non gli sia stata addebitata.

Il requisito oggettivo viene soddisfatto quando, al momento dell'apertura della successione, esista una situazione di convivenza dei coniugi che renda qualificabile la casa come residenza familiare, come centro in cui si svolge la vita della famiglia.

Guida all'approfondimento

C. De Rosa, Separazione senza addebito e (mancato) riconoscimento dei diritti successori di abitazione e uso, in ilFamiliarista, 9 aprile 2015

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