Il nuovo decreto intercettazioni: le indicazioni sulla riservatezza

13 Gennaio 2020

A distanza di due anni da quella che avrebbe dovuto essere la propria entrata in vigore la riforma delle intercettazioni vede finalmente la luce, nella sua globalità, a partire dal 29 febbraio 2020. Una riforma che troverà applicazione dopo un significativo restyling, che ha avuto per oggetto in particolare proprio le disposizioni finalizzate a una maggiore tutela della riservatezza. Il d.l. 161/2019 interviene in particolare...
Abstract

A distanza di due anni da quella che avrebbe dovuto essere la propria entrata in vigore la riforma delle intercettazioni vede finalmente la luce, nella sua globalità, a partire dal 29 febbraio 2020. Una riforma che troverà applicazione dopo un significativo restyling, che ha avuto per oggetto in particolare proprio le disposizioni finalizzate a una maggiore tutela della riservatezza. Il d.l. 161/2019 interviene in particolare sulla disciplina della conservazione e della consultazione, in forme telematiche, dei dati relativi alle intercettazioni nell'archivio informatico delle Procure, sulla normativa in materia di intercettazioni mediante l'utilizzo di captatori informatici, sul meccanismo di acquisizione giudiziale anticipata delle intercettazioni nel corso delle indagini preliminari, sul dovere di vigilanza del pubblico ministero a tutela della reputazione e dei dati sensibili dei soggetti coinvolti nella captazioni e sulla sostanziale parificazione ai delitti di criminalità organizzata, ai delitti contro la pubblica amministrazione commessi da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio.

L'acquisizione delle intercettazioni: premessa

Il quarto punto del comunicato della Presidenza del Consiglio riguarda “l'introduzione di un meccanismo, non obbligatorio, di acquisizione giudiziale anticipata delle intercettazioni nel corso delle indagini preliminari e, ove tale meccanismo non sia attivato dalle parti, una selezione delle intercettazioni rilevanti ed utilizzabili in sede di chiusura delle indagini preliminari”. È l'aspetto, indubbiamente, sul quale il d.l. 161/2019 ha maggiormente inciso, come precisato fin dalla premessa, considerato che è stato previsto un sostanziale recupero della disciplina già delineata dall'art.268 c.p.p.

Con il d.lgs. 216/2017, il legislatore aveva preso atto dell'inadeguatezza della disciplina dell'art. 268 c.p.p. a garantire le esigenze delle quali la delega si proponeva di farsi carico. Un'inadeguatezza, verosimilmente, non tanto strutturale e teorica, quanto derivante dalla prassi, che, con rare eccezioni, si era venuta affermando nel panorama nazionale, stante la sostanziale disapplicazione della procedura dell'art. 268 c.p.p. Le procure della Repubblica come le parti private procedevano raramente alla richiesta di acquisizione e trascrizione ai sensi dei commi 6 e 7 dell'art. 268 c.p.p. delle conversazioni e comunicazioni registrate ritenute rilevanti, optando piuttosto per richieste nelle udienze dibattimentali relative alla discussione sull'ammissione di prove ex art. 493 c.p.p. o, meno frequentemente, in sede di udienza preliminare.

Una scelta condizionata dalla concreta prospettiva che la (non breve e certamente “costosa”, in tutti sensi) procedura di cui all'art. 268 c.p.p. avrebbe potuto rivelarsi concretamente inutile, considerando la possibilità di definizione del procedimento:

  • con richieste di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p.;
  • con richieste di giudizio abbreviato, con conseguenti possibilità di utilizzo dei brogliacci redatti dalla polizia giudiziaria e notevoli riduzioni delle spese connesse alle trascrizioni peritali;
  • in ambito di un giudizio ordinario ma in esito a una sopravvenuta perdita di importanza probatoria delle intercettazioni, conseguente alla piena confessione degli imputati.

Scelte che non potevano essere globalmente ricondotta al desiderio di ridurre l'impegno di lavoro o a uno scarso rispetto per le disposizioni del codice non direttamente sanzionate a pena di nullità o inutilizzabilità, quanto determinate con sorprendente frequenza della necessità di fare fronte a carichi di lavoro non proporzionati alle “forze” che i singoli uffici potevano impegnare e – soprattutto – nella prospettiva, in epoche di stringenti esigenze di risparmio, di “economizzare” sui non irrilevanti costi delle trascrizioni.

Il d.l. 161/2019 riprende il larga misura la disciplina che il d.lgs. 216/2017 aveva abrogato, senza tuttavia- almeno apparentemente- “imporre” o incentivare in termini significativi ( quantomeno in termini di sanzioni processuali) l'attività di selezione preventiva delle intercettazioni funzionale alla tutela della riservatezza.

Il primo momento effettivo della procedura di deposito stabilito dall'art. 268 c.p.p. era costituito dalla previsione di immediata trasmissione da parte della polizia giudiziaria al P.M. dei verbali e delle registrazioni delle comunicazioni intercettate, non appena avvenuta la conclusione delle operazioni d'intercettazione. Lo svolgimento in termini di assoluta riservatezza delle intercettazioni trovava il suo primo limite naturale con la fase del deposito disciplinata dall'art. 268, comma 4, c.p.p.; in questo senso, verbali e registrazioni, entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, dovevano essere depositati in segreteria insieme ai decreti che avevano disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione.

Il d.lgs. 216/2017 aveva previsto la trasmissione dei verbali e delle registrazioni al pubblico ministero, “per la conservazione nell'archivio di cui all'articolo 269, comma 1, immediatamente dopo la scadenza del termine indicato per lo svolgimento delle operazioni nei provvedimenti di autorizzazione o di proroga.”

Una trasmissione, pertanto, non collegata alla conclusione delle operazioni, quanto alla scadenza dei termini delle stesse, con possibilità, per il P.M. di differire la “trasmissione dei verbali e delle registrazioni quando la prosecuzione delle operazioni rende necessario, in ragione della complessità delle indagini, che l'ufficiale di polizia giudiziaria delegato all'ascolto consulti le risultanze acquisite”, fissando, per altro, in tali casi “le prescrizioni per assicurare la tutela del segreto sul materiale non trasmesso.”

Il d.l. 161/2019, riscrivendo l'art. 268 comma 4, recupera in larga misura la pregressa disciplina: “I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero per la conservazione nell'archivio di cui all'articolo 269, comma 1. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati presso l'archivio di cui all'articolo 269, comma 1, insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga.”

Era stata mantenuta la possibilità per il P.M “Se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini” di chiedere al giudice l'autorizzazione al ritarda del deposito “non oltre la chiusura delle indagini preliminari

Nel caso di intercettazioni rispetto a più indagati e a utenze differenti, è evidente che un deposito parziale anticipato relativo alle operazioni terminate avrebbe potuto compromettere gli esiti delle attività in corso. Il sistema consentiva di ovviare a tale difficoltà mediante la richiesta di autorizzazione al ritardato deposito, prevista dallo stesso art. 268 c.p.p. Il P.M. può richiedere – motivando in punto «grave pregiudizio per le indagini» – la facoltà di essere autorizzato dal giudice a ritardare il deposito non oltre la chiusura delle indagini preliminari, limite per altro naturale e insormontabile del procedimento. Una richiesta giustificata a fronte di particolari situazioni, sulla sussistenza e rilevanza delle quali il giudice avrebbe dovuto esercitare un controllo. Il termine ultimo di deposito che il giudice poteva autorizzare era stato identificato con quello della chiusura delle indagini preliminari.

In questo senso, per la S.C., a fronte dell'autorizzazione al ritardo del deposito sino alla conclusione delle indagini preliminari per il deposito delle trascrizioni, delle registrazioni e dei relativi decreti autorizzatori, il termine di cui all'art. 268, comma 5, c.p.p. avrebbe potuto coincidere con quello di cui all'art. 415-bis, potendosi così fare luogo a un unico deposito, in esito al quale l'indagato e il suo difensore avrebbero potuto esercitare anche le facoltà di cui all'art. 268, comma 6, c.p.p. (Cass. Sez. V, n. 22957, 11.4.2003, CED 224837).

Il d.l. 161/2019 ha reintrodotto quest'ultima facoltà, alla luce dell'attuale testo dell'art. 268 comma 5 c.p.p.

Il legislatore aveva riconosciuto, con modalità per certi aspetti anomale rispetto all'impianto codicistico, la facoltà per il P.M. di fissare il tempo di deposito – mettendo in rapporto le esigenze delle indagini con l'“entità” degli atti depositati – fatta salva la possibilità per il giudice di accordare, su istanza delle parti, una proroga. In questo senso verbali, registrazioni e decreti autorizzativi dovevano rimanere depositati in segreteria «per il tempo fissato dal P.M., salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga».

In concreto, il controllo giurisdizionale sul punto doveva intendersi come strumento di tutela a fronte del diniego da parte dell'organo dell'accusa. Anche queste possibilità è stata reintrodotta dal d.l. 161/2019, che ha reintrodotto il termine di cinque giorni dalla conclusione delle operazione previsto dell'originaria versione dell'art. 268 c.p.p.

Ai difensori era riconosciuto il diritto all'avviso – immediatamente – della facoltà, entro i termini sopra indicati, di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche. Nel caso in cui il difensore non fosse ancora stato nominato, sarebbe stato necessario procedere in tal senso, con contestuale trasmissione dell'informazione di garanzia e degli avvisi ex art. 369, 369-bis c.p.p.; in tale ipotesi pare ragionevole ritenere che il difensore avrebbe potuto chiedere la proroga del termine di deposito per esaminare gli atti.

Le ragioni della riforma ex d.lgs. 216/2017

Sul piano operativo, la procedura di trascrizione peritale di conversazioni e comunicazioni ai sensi dell'art. 268 c.p.p., commi 6, 7 e 8 e dell'art. 269 c.p.p., non frequentemente attivata durante le indagini preliminari per le ragioni già indicate, non presentava particolari problemi: ai difensori delle parti era riconosciuto il diritto di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni, senza tuttavia poter ottenere copia dei file audio se non – dopo l'esaurimento della procedura stessa dell'art. 268 c.p.p. – di quelli ritenuti rilevanti dal giudice e conseguentemente trascritti nella forma peritale.

La piena disponibilità delle conversazioni e comunicazioni era subordinata a una fase di verifica da parte dell'organo giurisdizionale, effettuata in contraddittorio. Al contrario, un problema di deposito generalizzato degli atti si era posto (come detto sopra, in un elevato numero di procedimenti), laddove la “massa” delle intercettazioni fosse pervenuta nella disponibilità dei difensori con il deposito degli atti ex art. 415 bis c.p.p., ossia nella fase ipoteticamente prodromica all'esercizio dell'azione penale.

Una situazione che avrebbe potuto verificarsi non solo nei procedimenti privi di un'autonoma sub-procedura di natura cautelare ma anche:

  • laddove – pur dopo una misura cautelare emessa dal giudice competente e pur dopo il dovuto deposito – fossero state disposte nuove intercettazioni telefoniche o fossero proseguite quelle non "svelate'' (con conseguente provvedimento autorizzativo del ritardato deposito ai sensi dell'art. 268, comma 5, c.p.p.);
  • comunque, in tutti i procedimenti nei quali non fosse stata avviata la procedura di trascrizione peritale nonché di stralcio di quelle manifestamente irrilevanti e di cui è vietata la utilizzazione, ai sensi dell'art. 268, commi 6 e 7, c.p.p.

Gli indagati e i difensori avevano, al termine delle indagini preliminari, «il diritto pieno e tendenzialmente non limitabile di conoscere l'intero contenuto del fascicolo del P.M. e – conseguentemente – quello di estrarne copia integrale (il che significa copia dei documenti in cartaceo e di ogni altro supporto audio, informatico o magnetico esistente in atti, anche se attinenti alle intercettazioni): solo in tal modo può assicurarsi l'esercizio pieno del diritto di difesa essendo ben noto che, in maniera assolutamente frequente, la ricostruzione della responsabilità o dell'estraneità dell'accusato rispetto al fatto delittuoso attribuitogli dipenderà, con riferimento alla prova per intercettazione, dalla lettura (e dall'ascolto) di una pluralità di conversazioni, alcune delle quali apparentemente non riferibili al singolo imputato della cui posizione si discute. Diversamente, si finirebbe con il limitare in modo inaccettabile l'esercizio del diritto di difesa» (così la circolare Procura della Repubblica di Torino del 15.2.2016).

Con il deposito ex art. 415-bis c.p.p. veniva meno il divieto di pubblicazione per riassunto degli atti in questione, come previsto dall'art. 114, comma 2, c.p.p., così che l'ufficio requirente si trova in una situazione particolarmente delicata: impedire la “libera circolazione” di intercettazioni a vario titolo inutilizzabili o comunque lesive del diritto alla riservatezza rispetto a dati sensibili – a fronte della istanza dei difensori per ottenere copia di documentazione e supporti relativi a intercettazioni di conversazioni e comunicazioni varie – senza un'autonoma possibilità di secretazione di tali atti e senza potere respingere direttamente la richiesta di rilascio copie formulata dal difensore. Scelta quest'ultima tale da compromettere un pieno e libero esercizio del diritto di difesa.

Il fatto che la sub-procedura dell'art. 268 non abbia costituito un passaggio formalmente e sostanzialmente obbligato della scansione procedimentale e che la stessa sia stata, nella prassi giudiziaria, con singolare frequenza pretermessa, ha portato all'inevitabile conseguenza di un deposito indistinto e generalizzato degli atti. Atti che in tal modo potevano “entrare” in un circuito di potenziale propagazione, in termini non compatibili con un'effettiva tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti nelle captazioni.

Per uscire da tale impasse vi era un'unica possibilità, fatta propria, pur con differenti “declinazioni”, da alcune procure della Repubblica: imporre sostanzialmente il vaglio giurisdizionale previsto dalla procedura di cui all'art. 268 c.p.p., attraverso il quale legittimamente impedire (nel contraddittorio con le parti) la piena e diretta “disponibilità” delle intercettazioni oggetto di deposito, a fronte di conversazioni e comunicazioni inutilizzabili o irrilevanti e contenenti dati sensibili (ex art. 4, lett. d), d.lgs. 196/2003: in particolare dati personali relativi a opinioni politiche o religiose, sfera sessuale, stato di salute) e comunque non pertinenti rispetto all'accertamento delle responsabilità per i reati per cui si procede.

Attraverso una generalizzata attivazione della procedura di cui all'art. 268 c.p.p., commi 6, 7 e 8 e all'art. 269, comma 3, c.p.p., immediatamente prima o contestualmente all'avviso ex art. 415-bis c.p.p., era così possibile ottenere lo stralcio e la secretazione di verbali o supporti audio/informatici relativi a tali conversazioni e comunicazioni informatiche e telematiche.

Una procedura utilizzata, in tale prospettiva, per ottenere non solo la trascrizione peritale di conversazioni e comunicazioni utilizzabili, quanto anche la separazione e secretazione processuale (con divieto di rilascio di copie alle parti richiedenti) di conversazioni e comunicazioni inutilizzabili, nonché irrilevanti e contenenti dati sensibili ai sensi del citato d.lgs. 196/2003.

Un meccanismo certamente non semplice e “dispendioso” – per la parte pubblica, per quelle private così come per l'organo giudicante – e nondimeno in grado di conciliare le contrastanti esigenze sopra esposte. In ogni modo, l'avviso di cui all'art. 268, comma 6, c.p.p. poneva i difensori nelle condizioni di potere globalmente esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche, venendo al contempo gli stessi avvisati (almeno secondo la circolare della Procura della Repubblica di Torino, menzionata) dell'intenzione del P.M. di richiedere al giudice competente lo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione e di quelli contenenti dati sensibili, purché irrilevanti.

I difensori, in tale prospettiva, potevano avere accesso a registrazioni, flussi e relativi verbali senza diritto di ottenerne alcuna copia, con possibilità – dopo la trasmissione della richiesta di stralcio delle registrazioni da parte del P.M. al Gip – di contestare (o integrare, ovviamente) le valutazioni della pubblica accusa nell'apposita udienza camerale. Udienza in esito alla quale l'organo giudicante avrebbe potuto decidere sulla richiesta di distruzione o di restituzione al P.M. per conservazione ai sensi dell'art. 269 c.p.p. fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione.

Naturalmente, al contrario, a fronte della decisione del Gip di respingere in tutto o in parte la richiesta di stralcio (e quella eventuale di distruzione), anche i suddetti atti e registrazioni avrebbero dovuto essere oggetto di deposito al termine delle indagini preliminari, con conseguente diritto per le parti di richiederne e ottenerne copia.

Una procedura di selezione è stralcio prevista, in base alla circolare, anche nei casi di richiesta di giudizio immediato da parte del P.M.; richiesta che, com'è noto, non è preceduta dall'avviso ex art. 415-bis c.p.p. In tali casi, è stato previsto il deposito di cui all'art. 268, commi 4 e 5, c.p.p., preferibilmente almeno 5 giorni prima della scadenza dei termini rispettivamente previsti dagli artt. 453, comma 1-bis, e 454, comma 1, c.p.p. e comunque non oltre gli stessi, in modo da poter inoltrare al giudice la richiesta di stralcio contemporaneamente alla richiesta di giudizio immediato, così consentendo a tale organo, che pure può assumere le decisioni di competenza in tempi diversi, di conoscere tempestivamente anche il materiale di cui il P.M. non ritenga di potersi avvalere.

(Segue). Le indicazioni del d.lgs. 216/2017 e del d.l. 161/2019

Per ovviare alle criticità sopra descritte, la relazione illustrativa al d.lgs. 216/2017 aveva precisato «Si è optato per una procedura bifasica, che prevede il deposito delle conversazioni e delle comunicazioni, oltre che dei relativi atti, e la successiva acquisizione, a cui il giudice provvede sulla base di un contraddittorio tra le parti di tipo cartolare (richieste scritte e memorie); ove necessario, il giudice può fissare udienza, con la partecipazione del pubblico ministero e dei soli difensori, per provvedere, all'esito, all'acquisizione e al contestuale stralcio, con destinazione finale all'archivio riservato, delle comunicazioni irrilevanti e inutilizzabili».

Rispetto all'udienza in camera di consiglio ante riforma, il d.lgs. 216/2019 aveva ha ipotizzato una valutazione da parte dell'organo giudicante fondata solo su atti, prodromica all'acquisizione, che dovrebbe essere emessa entro il termine – puramente ordinatorio – di cinque giorni dalla presentazione delle richieste. Una valutazione ipotizzata nell'ambito di un'ordinanza «emessa in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori» e che avrebbe dovuto limitarsi a escludere, rispetto alle richieste delle parti (considerata anche la necessariamente limitata conoscenza della vicenda, in questo fase, del Gip), quelle manifestamente irrilevanti. Valutazione che, ove necessario, avrebbe potuto fondarsi sull'ascolto delle conversazioni e comunicazioni, alle quali il giudice era facoltizzato.

Il modello proposto dal d.lgs. 216/2017, non prevedeva come obbligatoria la celebrazione di un'udienza; l'esigenza del contraddittorio avrebbe dovuto essere valutata dal G.I.P., in base all'art. 268-quater, comma 2, c.p.p. Evidente l'intenzione del legislatore di “snellire” per quanto possibile la procedura, lasciando l'instaurazione del contraddittorio “pieno” all'apprezzamento dell'organo giudicante. Per l'art 268-quarter, comma 2 c.p.p.Quando necessario, l'ordinanza è emessa all'esito dell'udienza fissata per il quinto giorno successivo alla scadenza del termine indicato al comma 1, con tempestivo avviso al pubblico ministero e ai difensori”

In tale quadro, di grande l'indicazione del terzo comma del medesimo articolo “Con l'ordinanza viene meno il segreto sugli atti e i verbali delle conversazioni e comunicazioni oggetto di acquisizione. Essi sono inseriti nel fascicolo di cui all'articolo 373, comma 5 “

L'ultima fase della procedura si caratterizzava, quale momento di “completamento” del materiale destinato, con l'acquisizione, a “entrare” nel fascicolo del P.M. Un momento che avrebbe dovuto segnare, tra l'altro, il venire meno del «segreto sugli atti e i verbali delle conversazioni e comunicazioni oggetto di acquisizione» e che coincide con l'ordinanza con la quale il Gip si pronuncia sulle richieste delle parti. Per il d.lgs. 216/2017, dopo l'acquisizione gli atti «sono inseriti nel fascicolo di cui all'articolo 373, comma 5». Proprio per garantire la “parità” formale tra le parti, nel momento dell'inserimento delle comunicazioni indicate dalla difesa nel fascicolo del P.M., con l'ordinanza menzionata il giudice avrebbe dovuto ordinare “la trascrizione sommaria, a cura del pubblico ministero, del contenuto delle comunicazioni o conversazioni acquisite su richiesta dei difensori, se nel verbale delle operazioni di cui all'articolo 268 comma 2 sono indicate soltanto la data, l'ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta”.

Era stata inoltre prevista, nell'art. 268-quater, comma 4, la possibilità per i difensori di ottenere copia dei verbali delle operazioni concernenti le comunicazioni e conversazioni acquisite, atteso che non sarebbe stato facilmente ravvisabile la ragione per cui la disponibilità della registrazione integrale (che ben può essere autonomamente trascritta) non avrebbe dovuto essere corredata dalla disponibilità dei relativi verbali.

La tutela della riservatezza relativa alle comunicazioni e conversazioni trovava, infine il suo momento conclusivo – fatte salve le integrazioni su cui vedremo infra– laddove il legislatore aveva imposto (art. 268-quater, comma 5) che «gli atti e i verbali relativi a comunicazioni e conversazioni non acquisite sono immediatamente restituiti al pubblico ministero per la conservazione nell'archivio riservato di cui all'articolo 269, comma 1».

Il d.l. 161/2019 ha abrogato gli articoli 268-bis, 268-ter, 268- quater, 493-bis c.p.p., rinnegando in tal modo la prospettazione generale espressa al riguardo dal d.lgs. 216/2017.

L'attuale art. 268 comma 6 c.p.p.- come introdotta dal d.l. 161/2019, stabilisce che :

-ai difensori dell'imputato è immediatamente dato avviso che, entro il termine fissato a norma dei commi 4 e 5, per via telematica hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche. La facoltà di consultazione telematica è tuttava subordinata all'emanazione del decreto di cui al punto 3.

- scaduto il termine, il giudice dispone l'acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, che non appaiano irrilevanti, procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione e di quelli che riguardano categorie particolari di dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza.

- il pubblico ministero e i difensori hanno diritto di partecipare allo stralcio e sono avvisati almeno ventiquattro ore prima.

La procedura descritta dall'art. 268 comma 6, citato, non è indicata come “obbligatoria”: lo si desume dalla modifica del testo dell'art. 415 bis c.p.p., rispetto al quale, dopo il comma 2 è stato aggiunto il comma 2 bis

«Qualora non si sia proceduto ai sensi dell'articolo 268, commi 4, 5 e 6, l'avviso contiene inoltre l'avvertimento che l'indagato e il suo difensore hanno facoltà di esaminare per via telematica gli atti relativi ad intercettazioni ed ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche e che hanno la facoltà di estrarre copia delle registrazioni o dei flussi indicati come rilevanti dal pubblico ministero. Il difensore può, entro il termine di venti giorni, depositare l'elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia. Sull'istanza provvede il pubblico ministero con decreto motivato. In caso di rigetto dell'istanza o di contestazioni sulle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti il difensore può avanzare al giudice istanza affinché si proceda nelle forme di cui all'articolo 268, comma 6.»;

Pertanto, in assenza della selezione e valutazione di cui all'art. 268 comma 6 e senza che ciò comporti una “consegna” degli atti, i difensori possono esaminare ascoltare le intercettazioni, procedendo quindi alla richiesta “integrativa” contestuale alla fase dell'art. 415 bis c.p.p.

(Segue). La trascrizione

In relazione alle formalità della trascrizione, nulla vietava (e vieta, con i limiti quali-quantitativi stabiliti dalla riforma) al P.M. di disporla con le forme dell'art. 359 c.p.p. nella fase delle indagini preliminari, con eventuale contestuale traduzione, ove si tratti di lingua straniera; una scelta a volte necessaria, alla luce del contenuto delle conversazioni, che in astratto non incideva sui momenti di tutela della riservatezza e sui vincoli inderogabili dipendenti dall'inutilizzabilità.

In generale, prima del d.lgs. 216/2017, la trascrizione doveva essere effettuata con le forme, i modi e le garanzie della perizia, previa fissazione di apposita udienza da parte del tribunale, da svolgersi quindi nel pieno contraddittorio delle parti. L'art. 268, comma 7, c.p.p. prevedeva la trascrizione delle registrazioni o la stampa intellegibile dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche acquisite. Un'indicazione espressiva:

• di un preciso obbligo da parte del giudice, funzionale alle esigenze delle parti rispetto al contenuto delle intercettazioni stesse;

• di una trascrizione di tutte le intercettazioni non manifestamente irrilevanti e utilizzabili indicate dalle parti.

Inoltre, ai sensi dell'art. 268, comma 8, c.p.p. ai difensori era riconosciuta facoltà di estrarre copia delle trascrizioni e delle trasposizioni su nastro delle conversazioni. In base alla stessa disposizione, in caso di intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche o telematiche i difensori avrebbero potuto richiedere copia su idoneo supporto dei flussi intercettati, ovvero copia della stampa; entrambe tali indicazioni sono state riprese dal d.l. 161/2019.

La riforma era intervenuta con una modifica di particolare rilievo su tale aspetto; modifica che riguardava il momento nel quale gli atti selezionati avrebbero potuto essere trascritti e così entrare nel fascicolo del dibattimento: non più la sub-procedura dell'art. 268 c.p.p., in limine alla fase di indagine e neppure l'udienza preliminare, quanto solo la fase dibattimentale.

Precisa la relazione illustrativa: «Il nuovo sistema ruota intorno alla novità rappresentata dall'archivio riservato, luogo della segretezza investigativa, in cui sono collocati e custoditi sin da subito i risultati delle operazioni di intercettazione. Per essere trasportati in ambito processuale devono essere valutati in chiave di rilevanza, e ovviamente anche di piena utilizzabilità, e sono così inseriti nel fascicolo delle indagini, proprio per intervento del giudice. Da lì, e su richiesta di parte secondo il modello generale del diritto alla prova, possono transitare nel fascicolo per il dibattimento previa trascrizione nelle forme della perizia».

Il d.lgs. 216/2017 aveva dato attuazione alla delega inserendo, dopo l'art.493, l'art. 493-bis c.p.p.( Trascrizione delle intercettazioni), nel capo dedicato agli atti introduttivi al dibattimento1. Il giudice dispone, su richiesta delle parti, la trascrizione delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche acquisite. 2. Per le operazioni di trascrizione e stampa si osservano le forme, i modi e le garanzie previsti per l'espletamento delle perizie. 3. Delle trascrizioni, delle registrazioni e delle stampe le parti possono estrarre copia.”

Al contrario, per l'attuale art. 268 coma 7 c.p.p.Il giudice, anche nel corso delle attività di formazione del fascicolo per il dibattimento ai sensi dell'articolo 431, dispone la trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l'espletamento delle perizie. Le trascrizioni o le stampe sono inserite nel fascicolo per il dibattimento.”

L'abrogazione dell'art. 268 quater c.p.p. ha fatto venire meno le indicazioni del d.lgs. 216/2017 circa la segretezza degli atti non acquisiti con il meccanismo selettivo sopra descritto: l'art. 268-quater, comma 3, precisava che «con l'ordinanza viene meno il segreto sugli atti e i verbali delle conversazioni e comunicazioni oggetto di acquisizione. Essi sono inseriti nel fascicolo di cui all'articolo 373, comma 5». Un'indicazione che integrata dalla disposizione dell'art. 269, comma 1-bis, inserito dalla riforma: «Non sono coperti da segreto i verbali e le registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo di cui all'articolo 373, comma 5».

Il legislatore aveva stabilito che solo gli atti inseriti con la menzionata procedura nel fascicolo del P.M. non erano coperti da segreto, laddove gli altri verbali e registrazioni – per quanto conosciuti alle parti, che ne hanno potuto prendere visione con il deposito – erano esclusi dal regime generale degli atti depositati; atti conosciuti, valutati ma non direttamente disponibili per le parti, in quanto destinati all'archivio riservato introdotto dalla riforma.

Un riflesso del venire meno della procedura di acquisizione ex art. 268 bis ss c.p.p. è ravvisabile anche in relazione alla disciplina delle ricerche del latitante; nell'ambito dell'art. 295 c.p.p. (Verbale di vane ricerche), in base al quale, al comma terzo è previsto che “Al fine di agevolare le ricerche del latitante, il giudice o il pubblico ministero, nei limiti e con le modalità previste dagli articoli 266 e 267, può disporre l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione” l'indicazione “Si applicano, ove possibile, le disposizioni degli articoli 268, 268 bis, 268 ter, 268 quater, 269 e 270” è sostituita dal richiamo alle “disposizioni degli articoli 268, 269 e 270”

Gli “adeguamenti” alla nuova sub-procedura

La tutela degli interessi che possono essere compromessi da forme di diffusione del contenuto delle intercettazioni aveva portato il legislatore delegato a porre particolare attenzione anche al caso in cui, dopo la sub-procedura ex art 268 ter c.p.p. - sopra esaminata, si fosse presentata la necessità di integrare l'elenco delle conversazioni e comunicazioni acquisite. Erano stati così previsto momenti “integrativo” della fase di selezione e acquisizione, per consentire il recupero di conversazioni e comunicazione originariamente non selezionate la cui rilevanza fosse emersa o fosse stata evidenziata nel corso dell'udienza preliminare. Le modifiche apportate con l'esclusione della procedure di “acquisizione al fascicolo delle indagini” introdotta a sua tempo dall'art. 268 ter c.p.p. a favore del ritorno alla sub- procedura i cui all'art 268 c.p.p. hanno imposto la revisione di tale previsione.

In tema di “Attività di integrazione probatoria del giudice” di cui all'art.422 c.p.p. era stata prevista la possibilità per il giudice di disporre “ anche d'ufficio, l'assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere” anche con riguardo a “conversazioni o comunicazioni intercettate e non acquisite”. In tali casi era stata prevista- art 422 comma 4 bis- l'applicazione, in quanto compatibili, gli articoli 268 ter e 268 quater. Una possibilità venuta meno con la soppressione del menzionato comma 4 bis dell'art. 422 c.p.p.

Una modifica è stata apportata anche in tema di giudizio immediato nell'ambito dell'art 454 c.p.p. (Presentazione della richiesta del p.m. in caso di giudizio immediato). In tale articolo, dopo il comma 2, è stato aggiunto il comma 2 bis: “Qualora non abbia proceduto ai sensi dell'articolo 268, commi 4, 5 e 6, con la richiesta il pubblico ministero deposita l'elenco delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche rilevanti ai fini di prova. Entro quindici giorni dalla notifica prevista dall'articolo 456, comma 4, il difensore può depositare l'elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia. Sull'istanza provvede il pubblico ministero con decreto motivato. In caso di rigetto dell'istanza o di contestazioni sulle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti il difensore può avanzare al giudice istanza affinché si proceda nelle forme di cui all'articolo 268, comma 6.”

La richiesta di giudizio immediato, com'è noto, non è preceduta dall'avviso ex art. 415-bis c.p.p.; risultando- come abbiamo visto- a tutt'oggi priva di sanziona processuale l'omessa attivazione della sub-procedura di cui all'art. 268 ss, il d.l. 161/2019, in caso di richiesta di immediato il p.m. dovrà indicare le intercettazioni rilevanti nella forme sopra precisate; a sua volta il difensore potrà indicare quella a suo giudizio di rilievo; intercettazioni la cui acquisizione sarà ammessa dal P.M., ovvero, in caso di rigetto dell'istanza della difesa da parte di questi, dal giudice, con recupero della procedura di cui all'art. 268 c.p.p.

Un terzo intervento è previsto in relazione al disposto dell'art. 472 c.p.p.. Un'esigenza di integrazione può porsi indubbiamente anche in fase dibattimentale. Il fatto che l'ostensibilità delle nuove comunicazione avrebbe potuto essere ancora valutata (o rivalutata) dall'organo giudicante, aveva imposto l'indicazione di procedere a porte chiuse, proprio per evitare che la celebrazione in udienza pubblica potesse vanificare le cautele disposte in termini generali per la selezione destinata a trovare luogo nella fase terminale delle indagini preliminari. Ciò con riguardo alle comunicazioni e conversazioni intercettate, ritenute dal giudice non rilevanti o inutilizzabili, che, dopo essere state restituite al P.M., per la loro conservazione nell'archivio riservato, avrebbero potuto essere oggetto di nuovo “ascolto” funzionale alla presentazione dell'istanza di acquisizione, laddove gli esiti verosimilmente del dibattimento ne avessero evidenziato la necessità.

Al tal fine, il d.lgs. 216/2017 aveva aggiunto all'articolo 472, comma 1, c.p.p. (Casi in cui si procede a porte chiuse) un periodo finale: “Il giudice dispone che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse quando la pubblicità può nuocere al buon costume ovvero, se vi è richiesta dell'autorità competente, quando la pubblicità può comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell'interesse dello Stato. Il giudice dispone che si proceda a porte chiuse alle operazioni di cui all'articolo 268-ter quando le parti rinnovano richieste non accolte o richiedono acquisizioni, anche ulteriori, e quando le ragioni della rilevanza a fini di prova emergono nel corso dell'istruzione dibattimentale.” Con il d.l. 161/2019, nell'art. 472, comma 1, l'ultimo periodo è stato soppresso.

Il d.l. 161/2019 ha altresì modificato anche il secondo comma dell'art. 242 c.p.p. (Traduzione di documenti. Trascrizione di nastri magnetofonici). La norma prevedeva «Quando è acquisito un nastro magnetofonico, il giudice ne dispone, se necessario, la trascrizione a norma dell'articolo 493-bis comma 2» e attualmente prevede un richiamo, al contrario, alla disciplina dell'art. 268, comma 7 c.p.p.. Inoltre, l comma 2, le parole: «acquisito un nastro magnetofonico» sono sostituite dalle seguenti: «acquisita una registrazione»; la rubrica e' sostituita dalla seguente: «Art. 242.Traduzione di documenti. Trascrizione di registrazioni)

La discovery in sede cautelare

Nella logica sottesa al d.lgs. 216/2017, nella fase cautelare l'attività di valutazione – in termini di utilizzabilità e rilevanza – demandata al P.M. si presentava come particolarmente delicata. In tale fase, l'impossibilità di estrarre copia delle intercettazioni avrebbe dovuto impedire qualsiasi forma di illecita diffusione delle stesse. In concreto, nella fase cautelare era stata anticipata – sebbene in termini non del tutto sovrapponibili – la sub-procedura di acquisizione di cui agli artt. 268-ter ss. c.p.p. – svolta tuttavia direttamente dal P.M. e senza contraddittorio “pieno” con la difesa e, singolarmente, con esclusione della disponibilità anche da parte del giudice- integrata dalla previsione della custodia in un archivio che avrebbe dovuto impedire ogni “fuga di notizie”.

L'indicazione generale del d.lgs. 216/2017 era chiara: si chiedeva al P.M. di operare una scelta, facendosi precedentemente e dettagliatamente carico di selezionare comunicazioni e conversazioni per tutelare la riservatezza dei soggetti coinvolti nella stesse per una delle ragioni esplicitate dal legislatore.

In questo senso l'art. 268-ter (Acquisizione al fascicolo delle indagini) al comma 1, stabiliva: «L'acquisizione delle comunicazioni o conversazioni utilizzate, nel corso delle indagini preliminari, per l'adozione di una misura cautelare è disposta dal pubblico ministero, con inserimento dei verbali e degli atti ad esse relativi nel fascicolo di cui all'articolo 373, comma 5». La scelta effettuata può essere colta da un semplice raffronto tra le due versioni dell'art. 291 c.p.p., prima e dopo il d.lgs. 216/2017:

Versione originale art. 291 c.p.p.

Versione art. 291 c.p.p. post d.lgs. 216/2017

1. Le misure sono disposte su richiesta del pubblico ministero, che presenta al giudice competente gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell''imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate.

[…]

1. Le misure sono disposte su richiesta del pubblico ministero, che presenta al giudice competente gli elementi su cui la richiesta si fonda, compresi i verbali di cui all'articolo 268, comma 2, limitatamente alle comunicazioni e conversazioni rilevanti nonché tutti gli elementi a favore dell''imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate. […]

1-ter. Quando è necessario, nella richiesta sono riprodotti soltanto i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate.

Era stato posto un preciso limite alla possibilità di un deposito indiscriminato o anche solo “sovrabbondante” degli atti posti a fondamento della richiesta di misura. La nuova versione dell'art. 291, comma 1, c.p.p. aveva inserito l'inciso “compresi i verbali di cui all'articolo 268, comma 2, limitatamente alle comunicazioni e conversazioni rilevanti”. Il d.l. 161/2019 ha soppresso, all'articolo 291, al comma 1, le parole: “compresi i verbali di cui all'articolo 268, comma 2, limitatamente alle comunicazioni e conversazioni rilevanti”.

Al contrario è “sopravissuto” al d.l. 161/2019 il comma 1 ter dell'art. 291 c.p.p, introdotto dal d.lgs 216/2017: “Quando è necessario, nella richiesta sono riprodotti soltanto i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate.”

Una disposizione evidentemente funzionale alla salvaguardia di esigenza di tutela della riservatezza. Precisa la relazione illustrativa: «Quest'ultima disposizione costituisce un significativo criterio di orientamento nella redazione degli atti attraverso i quali è altamente probabile che possano essere diffuse notizie sui contenuti intercettativi pur quando non siano di diretta pertinenza, nell'ambito dell'essenzialità, ai fatti oggetto di prova, beninteso di tipo indiziario».

L'intenzione del legislatore era certamente apprezzabile, in quanto la trasposizione diretta della parole utilizzate può essere certamente rilevante sul piano della ricostruzione delle responsabilità ma devastante sotto altri profili. Per altro, i dubbi che possono sorgere al riguardo rilevano sul piano delle garanzie. È vero che i difensori possono disporre, in relazione ai file selezionati dall'accusa, dei file audio; è vero che tali file potranno essere ascoltati direttamente dal G.I.P.; è altrettanto vero che ciò potrebbe anche non accadere – per molteplici ragioni che sono sin troppo semplici da ipotizzare – e che pertanto le valutazione potranno articolarsi, almeno in molti casi, direttamente sul testo dei riassunti predisposti dal P.M. o direttamente dalla P.G.

È notorio che, al di la delle “cattive intenzioni”, che riguardano forme di patologia del sistema che potranno essere commentate in altre sedi, in perfetta buona fede si possono elaborare sunti di testi di intercettazioni anche molto “distanti” dalla volontà espressiva degli autori della conversazioni. In buona sostanza: il rischio di travisamenti o omissioni è francamente molto alto. Il fatto che il sistema contempli strumenti di “correzione” al riguardo conforta ma non esime da porsi legittimi dubbi sulla scelta effettuata. In questo senso, la scelta di non prevedere i “riassunti” è certamente condivisibile; l'indicazione dei soli brani essenziali, nondimeno, non pare del tutto confortante, in quanto proprio il fatto di isolare singoli brani da un contesto generale può rendere equivoca o difficile l'interpretazione degli stessi.

Infine, anche in relazione agli adempimenti esecutivi per le misure, all'art. all'articolo 293, comma 3, il d.l. 161/2019 ha soppresso i periodi terzo e quarto. Per tale norma “Le ordinanze previste dai commi 1 e 2, dopo la loro notificazione o esecuzione, sono depositate nella cancelleria del giudice che le ha emesse insieme alla richiesta del pubblico ministero e agli atti presentati con la stessa. Avviso del deposito è notificato al difensore.” Risultano soppresse le successive indicazioni “Il difensore ha diritto di esame e di copia dei verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate. Ha in ogni caso diritto alla trasposizione, su supporto idoneo alla riproduzione dei dati, delle relative registrazioni.”

Nonostante la soppressione, si ritiene che gli atti posti a fondamento della misura dovranno essere corredati dai relativi file audio: una disposizione diretta conseguenza delle indicazioni della Corte costituzionale (sentenza n. 336/2008). Le indicazioni di quest'ultima impongono di ravvisare il diritto del difensore a ottenere la trasposizione su idoneo supporto delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare, anche se ancora non depositate. Proprio per evitare il rischio di deposito di comunicazioni non inserite nella richiesta di misura cautelare, a fronte dell'istanza della difesa, parrebbe assolutamente necessario formare nuovo e idoneo supporto contenente solo quelle di cui alla richiesta.

La disciplina dei captatori

L'ultimo punto indicato dal comunicato della Presidenza del Consiglio ha per oggetto la “rigorosa normativa in materia di intercettazioni mediante l'utilizzo di captatori informatici (c.d. trojan)”.

La disciplina sull'impiego del captatore informatico era stato uno degli elementi qualificanti il d.lgs. 216/2017, in quanto, pure trattandosi di uno strumento investigativo già diffuso da tempo e ritenuto particolarmente efficace, sino a quel momento non era stato mia oggetto di una regolamentazione specifica. Sia il d.l. 161/2019, come già il d.lgs. 216/2017 hanno considerato l'installazione di un captatore solo su dispositivo elettronico portatile e al fine di consentire l'esecuzione delle intercettazioni tra presenti, scegliendo di non disciplinare le altro potenzialità investigative del captatore. Uno programma che è in grado- normalmente di effettuate captazione traffico dati, attivazioni di microfoni e webcam, possibilità di perquisizione e duplicazione delle memorie interne, visualizzazione di ciò che viene digitato sulla tastiere (funzione di keylogger).

In materia di captatori, il d.l. 161/2019 è intervenuto sul testo dell'art. 89 dispatt c.p.p. (Verbale e registrazioni delle intercettazioni). Rispetto alla versione della norma introdotta dal d.lgs. 216/2017, si devono registrare due modifiche, sostanziali (laddove, sul piano formale, i commi 2 bis, ter, quater e quinquies sono stati indicato come commi 2,3,4,5).

E' stato espunto il comma secondo, il cui contenuto era ormai anacronistico sul piano tecnico, avendo per oggetto i nastri delle registrazioni” (“I nastri contenenti le registrazioni, racchiusi in apposite custodie numerate e sigillate, sono collocati in un involucro sul quale sono indicati il numero delle registrazioni contenute, il numero dell'apparecchio controllato, i nomi, se possibile, delle persone le cui conversazioni sono state sottoposte ad ascolto e il numero che, con riferimento alla registrazione consentita, risulta dal registro delle intercettazioni previsto dall'articolo 267 comma 5 del codice”).

E' stato modificato il contenuto del comma 2-ter ( attualmente comma 3) laddove le intercettazioni eseguite mediante captatore informatico sono trasferite, dopo l'acquisizione delle necessarie informazioni in merito alle condizioni tecniche di sicurezza e di affidabilità della rete di trasmissione, non più esclusivamente verso gli impianti della procura della Repubblica, quanto nell'archivio digitale di cui all'articolo 269, comma 1, del codice. Resta da verificare, sul piano tecnico, se effettivamente tali archivi saranno idonei- e a fronte di quali possibili adeguamenti - alla funzione prevista dalla norma.

Art. 89 disp attc.p.p.- d.lgs. 216/2017

Art. 89 disp att c.p.p.- d.l. 161/2019

2-ter. Nei casi previsti dal comma 2-bis le comunicazioni intercettate sono trasferite, dopo l'acquisizione delle necessarie informazioni in merito alle condizioni tecniche di sicurezza e di affidabilità della rete di trasmissione, esclusivamente verso gli impianti della procura della Repubblica. Durante il trasferimento dei dati sono operati controlli costanti di integrità, in modo da assicurare l'integrale corrispondenza tra quanto intercettato e quanto trasmesso e registrato.

3. Nei casi previsti dal comma 2 le comunicazioni intercettate sono trasferite, dopo l'acquisizione delle necessarie informazioni in merito alle condizioni tecniche di sicurezza e di affidabilità della rete di trasmissione, esclusivamente nell'archivio digitale di cui all'articolo 269, comma 1, del codice. Durante il trasferimento dei dati sono operati controlli costanti di integrità che assicurino l'integrale corrispondenza tra quanto intercettato, registrato e trasmesso.

(Segue). Intercettazione a mezzo di captatore utilizzazione in procedimenti diversi

Il d.lgs. 216/2017 era intervenuto sul testo dell'art. 270 c.p.p. aggiungendo un comma 1 bis: “I risultati delle intercettazioni tra presenti operate mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile non possono essere utilizzati per la prova di reati, anche connessi, diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza”. A sua volta era stato introdotto il comma 2, per il quale “Ai fini della utilizzazione prevista dal comma 1, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni sono depositati presso l'autorità competente per il diverso procedimento. Si applicano le disposizioni degli articoli 268 bis, 268 ter e 268 quater.” Su quest'ultimo aspetto si precisa che il d.l. 161/2019 ha sostituito le parole «degli articoli 268-bis, 268-ter e 268-quater» con «dell'articolo 268 commi 6, 7 e 8.».

Una formula che aveva cercato di “mitigare” – con il richiamo ai delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza – l'espressione di una sostanziale “sfiducia” derivante dall'esclusione della possibilità di utilizzo dei risultati delle intercettazioni tra presenti operate mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile per la prova di reati, anche connessi, diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, in sostanziale deroga dal principio generale di cui all'art. comma 1 c.p.p. Per tale principio i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza. Il d.lgs. 216/2017 aveva limitato il concetto di procedimento “diverso”, escludendo da tale novero anche quelli “connessi”, facendo solo salvo il fatto che le captazioni risultassero funzionali all'accertamento di reati di particolare gravità, positivamente individuati con il riferimento alla previsione dell'arresto obbligatorio in flagranza.

In termini generali, con riguardo al concetto di procedimento diverso per la S.C. il procedimento è considerato identico quando tra il contenuto dell'originaria notizia di reato, alla base dell'autorizzazione, e quello dei reati per cui si procede vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico (Cass. Sez. VI , n. 46244, 15.11.2012, CED 254285). La diversità del procedimento menzionata dalla norma deve assumere rilievo di carattere sostanziale e non può derivare da dati meramente formali, quali la materiale distinzione degli incartamenti relativi a due procedimenti o il loro diverso numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato (Cass. Sez. III, n. 348, 13.11.2007, CED 238779). In particolare, occorre far riferimento a una nozione sostanziale di diverso procedimento, secondo cui la diversità va collegata al dato dell'insussistenza, tra i due fatti-reato storicamente differenti, di un nesso ai sensi dell'art. 12 c.p.p. o di tipo investigativo e, quindi, all'esistenza di un collegamento meramente fattuale e occasionale (Cass. Sez. III, n. 2608, 5.11.2015, CED 266423);

Una nozione, quindi, sostanziale di diverso procedimento, secondo cui la diversità andrebbe collegata al dato dell'alterità o non uguaglianza del procedimento, instaurato non nell'ambito del medesimo filone investigativo ma in relazione ad una notizia di reato che deriva da un fatto storicamente diverso da quello oggetto di indagine nell'ambito di altro, differente, anche se connesso, procedimento (Cass. Sez. II, n. 3253 , 10.10.2013, CED 258591; sul tema C. Cazzolla, Se i reati sono connessi le intercettazioni possono essere usate in altri processi, in www.sicurezzaegiustizia.it)

Con il d.l. 161/2019, il legislatore ha inteso mitigare l'esclusione prevista dal d.lgs 216/2017, con una prospettiva di utilizzo non più legata alla previsione dell'arresto obbligatorio in flagranza, quanto con riferimento alle categorie di reati che, dall'impianto generale della riforma, risultano essere stati globalmente individuati tali da giustificare una possibile “compressione” di generali profili di tutela, alla luce di uno specifico bilanciamento di interessi..

In questo senso l'art. 270 comma 1 bis è stato sostituito dal seguente: «Fermo restando quanto previsto dal comma 1, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, se compresi tra quelli indicati dall'articolo 266, comma 2 bis “ ossia “per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, e per i delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata ai sensi dell'articolo 4

Il quadro sopra delineato deve essere tuttavia rivisto alla luce del recentissimo intervento delle S.U. - n 51/20, 28.11.2019 - sul tema. In base a tale decisione “il divieto di cui all'art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni – salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza – non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 c.p.p. a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge». La decisione delle S.U. rappresenta, indubbiamente, una svolta rispetto a una prospettiva ermeneutica che si era sedimentata nel corso di molti anni, rispetto a una giurisprudenza che in linea di massima che aveva inteso “salvare” con larghezza i risultati delle captazioni, proponendo un'interpretazione in qualche modo restrittiva del concetto di “procedimento diverso”.

Le S.U. chiamate e delineare il concetto di "stesso o diverso procedimento":

- da un lato hanno ritenuto che i casi di collegamento ex art. 371 c.p.p. non sarebbero in generale idonei a creare quel legame sostanziale tra il reato a quo e il reato ad quem utile ad evitare l'operatività del divieto di cui all'art. 270 c.p.p.; si tenga presente che sino alla menzionata decisione l'orientamento delle S.U. riteneva che, non solo i casi dell'art. 12 c.p.p., ma anche quelli dell'art. 371 comma 2 lettere “b” e “c” potessero garantire un legame tale tra i reati idoneo a evitare il divieto dell'art 270 c.p.p.,

- hanno affermato che i risultati delle intercettazioni possono essere utilizzati solo per i reati connessi per i quali la legge consente l'attività captativa, ossia per quei reati che rientrano nell'elenco di cui all'art 266 c.p.p.; una scelta destinata a incidere , in relazione alla indagini su fenomeni associativi, per questi reati fine che non ricompresi nel citato art. 266 c.p.p.

Per altro, resterebbe salva l'utilizzabilità delle conversazioni e comunicazioni che costituiscono corpo del reato (“frase utilizzata per commettere il reato”); deve trattarsi, tuttavia, di una frase o parola che è mezzo per commettere il reato ( si pensi, in particolare, ai reato di cui agli artt. 378 c.p. o 326 c.p.) e non semplicemente di una conversazione il cui oggetto sia un reato diversamente commesso.

In conclusione
  • È stato introdotto un meccanismo, non obbligatorio, di acquisizione giudiziale anticipata delle intercettazioni nel corso delle indagini preliminari e, ove tale meccanismo non sia attivato dalle parti, una selezione delle intercettazioni rilevanti ed utilizzabili in sede di chiusura delle indagini preliminari;
  • È stato sostanzialmente completata la parificazione ai delitti di criminalità organizzata, almeno per quanto attiene alla disciplina delle intercettazioni, dei delitti contro la pubblica amministrazione commessi da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio.
  • È stata integrata la normativa in materia di intercettazioni mediante l'utilizzo di captatori informatici, anche in relazione alla possibilità di utilizzo in procedimenti diversi degli esiti della captazioni effettuate con tali modalità.
Guida all'approfondimento

L. CAMALDO Le innovazioni previste dalla legge anticorruzione in tema di intercettazioni con captatore informatico, in www.penalecontemporaneo.it

C. CAZZOLLA, Se i reati sono connessi le intercettazioni possono essere usate in altri processi, in www.sicurezzaegiustizia.it

L. GIORDANO, Divieto di utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi: il rilievo dell'unitarietà iniziale, in questa rivista

M. GRIFFO, Una proposta costituzionalmente orientata per arginare lo strapotere del captatore, in www.penalecontemporaneo.it

R. ORLANDI, Usi investigativi dei cosiddetti captatori informatici. Criticità e inadeguatezza di una recente riforma, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 544 ss.;

P. RIVELLO, Le intercettazioni mediante captatore informatico, in O. Mazza (a cura di), Le nuove intercettazioni, Giappichelli, Torino, 2018, p. 101 ss.;

S. SIGNORATO, Modalità procedimentali dell'intercettazione tramite captatore informatico, in G. Giostra - R. Orlandi (a cura di), Nuove norme in tema di intercettazioni. Tutela della riservatezza, garanzie difensive e nuove tecnologie informatiche, Giappichelli, Torino, 2018, p. 269 ss.

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