Il diritto di astensione dei difensori dopo le sentenze costituzionali n. 180 del 2018 e n. 14 del 2019

Virginia Oddi
29 Gennaio 2020

Il diritto di astensione collettiva dalle udienze dei difensori nei processi con imputati in vinculis ha suscitato, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale, intensi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali. È imprescindibile, dunque, individuare l'interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina applicativa del codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati in relazione all'inviolabilità del diritto alla libertà personale.
Abstract

Il diritto di astensione collettiva dalle udienze dei difensori nei processi con imputati in vinculis ha suscitato, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale, intensi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali. È imprescindibile, dunque, individuare l'interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina applicativa del codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati in relazione all'inviolabilità del diritto alla libertà personale.

Inquadramento normativo

L'astensione collettiva dalle udienze dei difensori – in quanto «manifestazione incisiva della dinamica associativa volta alla tutela di questa forma di lavoro autonomo» – trova il proprio fondamento nell'art. 18 Cost. È proprio grazie a questo passo argomentativo della sent. cost. n. 171 del 1996 che è dato, ad oggi, constatare la natura di autentica libertà dei difensori a partecipare alle iniziative delle proprie associazioni di categoria. Infatti, già la precedente sent. cost. n. 114 del 1994 aveva evidenziato come queste forme di protesta collettiva, al pari dello sciopero (ex art. 40 Cost.), siano «in grado di impedire il pieno esercizio di funzioni che assumono, [al pari di] quella giurisdizionale, un risalto primario nell'ordinamento».

L'elemento normativo che emerge, però – prima nella sent. cost. n. 114 del 1994, poi nella sent. cost. n. 171 del 1996 –, è la necessità che il bilanciamento tra valori costituzionali venga effettuato compiutamente a livello di normativa primaria. Invero, se la pronuncia dei giudici delle leggi del 1994 auspicava un intervento del legislatore – vista l'inerzia di quest'ultimo –, la successiva decisione della Corte costituzionale ha evidenziato che la libertà dei difensori di aderire alle astensioni collettive, pur in considerazione del favor libertatis che ispira la prima parte della Costituzione, deve arretrare di fronte alla forza prevalente dei diritti fondamentali della persona, tra i quali rientrano il diritto di azione e il diritto di difesa ex art. 24, commi 1 e 2, Cost., nonché dei principi generali a tutela della giurisdizione.

Tra questi ultimi, l'art. 1, comma 2, lett. a), l. 12 giugno 1990, n. 146, considera la corretta amministrazione della giustizia, assicurato dall'art. 97 Cost., in specie quando vengano in gioco provvedimenti restrittivi della libertà personale. Come auspicato, le sopra rammentate sentenze costituzionali hanno sortito l'effetto di ottenere un intervento del legislatore: a tal fine, la l. 11 aprile 2000, n. 83 ha interposto l'art. 2-bis, l. n. 146 del 1990. Tuttavia, la scelta legislativa si mosse nel senso di demandare alla normativa regolamentare – attraverso il diretto coinvolgimento delle associazioni di categoria – il compito di effettuare il bilanciamento tra i diritti costituzionali coinvolti, così da confinare tale operazione al livello della normativa secondaria.

Dal codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati alle SS.UU. Lattanzio

Come anticipato, l'art. 2-bis, l. n. 146 del 1990 ha richiesto che fosse la Commissione di garanzia a promuovere l'adozione, da parte delle associazioni od organismi di rappresentanza delle categorie interessate, di codici di autoregolamentazione. Nel caso dei difensori, il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati è stato approvato nel 2007 e contiene – in particolare, all'art. 4 – le prestazioni indispensabili in materia penale da assicurare nelle tassative ipotesi previste dalle lett. a) e b) della disposizione.

Se da un lato il codice di autoregolamentazione permette di assicurare il corretto bilanciamento tra diritti costituzionali, dall'altro, la sua adozione ha lasciato aperte alcune questioni. Tra queste – di non poco rilievo – la natura giuridica dello “sciopero” dei difensori, in specie a seguito della modifica dell'art. 159 c.p. per opera della l. 5 dicembre 2005, n. 251, la quale – seppur in tema di prescrizione del reato – ha imposto la netta distinzione tra le cause di “assoluta impossibilità” a comparire del difensore e la scelta di aderire all'astensione collettiva.

A pronunciarsi sulla questione è stata la Cassazione (sent. SS.UU. n. 26711 del 30 maggio 2013, Ucciero) la quale ha inequivocabilmente qualificato l'astensione collettiva degli avvocati come «un diritto … e non semplicemente un legittimo impedimento partecipativo».

L'assunto è stato successivamente ripreso dalla più ampia sent. SS.UU. n. 40187 del 27 marzo 2014, Lattanzio, con cui i giudici di legittimità hanno ricostruito il percorso normativo e giurisprudenziale in materia, ponendo alcuni punti fermi. Dopo aver qualificato il già rammentato codice di autoregolamentazione come normativa secondaria avente efficacia erga omnes – di conseguenza, anche nei confronti del giudice – in merito alla residua possibilità di effettuare una valutazione sul bilanciamento tra diritti costituzionali, la Cassazione ha affermato che il legislatore, con la novella di cui all'introdotto art. 2-bis della l. n. 146 del 1990, ha «già posto un sistema idoneo ad operare esaurientemente il bilanciamento del diritto all'astensione con gli altri diritti e valori costituzionali primari» fra i quali rientrano «quelli del diritto di libertà, del diritto di difesa e di azione, del buon andamento della amministrazione della giustizia … nonché quello generale delle “esigenze di giustizia” e della ragionevole durata del processo».

I nuovi dubbi di legittimità costituzionale della disciplina e l'approdo alla sent. cost. n. 180 del 2018

I punti fermi cristallizzati nelle sentenze di legittimità appena rammentate non sono stati oggetto di nuove discussioni sino all'ordinanza del 23 maggio 2017 emessa dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia, nell'ambito del maxi-processo c.d. “Aemilia”. Il giudice a quo, più precisamente, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2-bis, l. n. 146 del 1990 con riferimento agli artt. 1, 3, 13, 24, 27, 70, 97, 102 e 111 Cost., nella parte in cui consente che il summenzionato codice di autoregolamentazione stabilisca che nei processi nei quali l'imputato si trovi in stato di custodia cautelare o di detenzione – analogamente a quanto previsto dall'art. 420-ter, comma 5, c.p.p. – si proceda malgrado l'astensione del difensore solo ove l'imputato lo consenta. Il Tribunale rimettente, pertanto, reputava costituzionalmente illegittima la disciplina in discorso in quanto i valori costituzionali risultavano considerati subvalenti rispetto al diritto di astensione.

Il cuore del dubbio di legittimità emergeva in relazione al parametro di cui all'art. 13 Cost., in quanto l'imputato – a fronte di una legittima richiesta di rinvio dell'udienza per adesione all'astensione collettiva – subisce restrizioni della libertà personale per ragioni diverse da quelle espressamente previste dalla legge.

Dunque, con la sent. cost. n. 180 del 2018, i giudici delle leggi hanno rinvenuto la violazione della riserva di legge posta dall'art. 13, comma 5, Cost., «della norma primaria nella parte in cui ha consentito a quella subprimaria di incidere sulla durata della custodia cautelare». In particolare, la censura ha colpito, non già l'art. 4, comma 1, lett. b) del codice di autoregolamentazione, bensì l'art. 2-bis della l. n. 146 del 1990, poiché quest'ultimo viola, stante l'indisponibilità della libertà personale, la riserva di legge assoluta che riguarda i casi e i modi in cui è ammessa la restrizione ante rem iudicatam, nel momento in cui rimette all'imputato la facoltà di determinare la durata della propria custodia cautelare.

In effetti, la disposizione del codice di autoregolamentazione mira a introdurre una fattispecie analoga e parallela a quella legale che – ponendo l'astensione collettiva sullo stesso piano del legittimo impedimento di cui all'art. 420-ter, comma 5, c.p.p. – dà rilievo proprio all'assenso dell'imputato, con una diretta ricaduta sul suo stato di libertà.

La successiva giurisprudenza di legittimità

Come anticipato, la sent. cost. n. 180 del 2018 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2-bis, lL. n. 146 del 1990 «nella parte in cui consente che il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati … nel regolare, all'art. 4, comma 1, lettera b), l'astensione degli avvocati nei procedimenti e nei processi in relazione ai quali l'imputato si trovi in stato di custodia cautelare, interferisca con la disciplina della libertà personale dell'imputato».

La vaghezza del dispositivo in merito alla portata della dichiarazione di incostituzionalità ha suscitato perplessità in dottrina: a chi (G. Pecorella) ha interpretato la decisione nel senso di ritenere ancora sussistente il diritto di “sciopero” degli avvocati nei processi con imputati in vinculis, si sono contrapposti, coloro che hanno ritenuto che la sentenza costituzionale avesse comportato il divieto di aderire alle astensioni collettive nell'ipotesi di cui all'art. 4, comma 1, lett. b) del codice di autoregolamentazione. Tanto è vero che l'U.C.P.I. (delibere dell'8 e del 30 novembre 2018) proclamava l'astensione dei difensori, salvo il caso in cui, «nel rispetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 180 del 2018», vi fossero processi con imputati in stato di custodia cautelare, in attesa, ad ogni modo, di una «più certa e consolidata sua interpretazione».

Quest'ultima impostazione è stata avvalorata anche dai giudici di legittimità. La Corte di Cassazione (sent. Sez. VI pen., n. 54656 del 22 novembre 2018) ha dichiarato inammissibile, da parte di un avvocato il cui assistito si trovava sottoposto alla misura restrittiva della custodia cautelare, aderire all'astensione collettiva in applicazione della sent. cost. n. 180 del 2018.

L'indirizzo dei giudici di legittimità così inaugurato ha trovato successive conferme in più recenti pronunce (v., ad esempio, Cass. Sez. VI pen., n. 7618 del 18 dicembre 2018 e Cass. Sez. II pen., n. 49504 del 24 ottobre 2019), cosicché si può ritenere allo stato attuale consolidata l'interpretazione secondo la quale la sent. cost. n. 180 del 2018 in discorso ha comportato il venir meno, in capo al difensore, del diritto di aderire alle astensioni collettive proclamate dalle associazioni di categorie ogniqualvolta vi siano processi con imputati in vinculis.

Le questioni irrisolte e l'interpretazione autentica della sent. cost. n. 180 del 2018 ad opera della sent. cost. n. 14 del 2019

La vaghezza del dispositivo della sent. cost. n. 180 del 2018, tuttavia, lasciava perplessità in capo alla dottrina. A fronte di una dichiarazione di incostituzionalità parziale dell'art. 2-bis, l. n. 146 del 1990, con conseguente disapplicazione dell'art. 4, comma 1, lett. b) del codice di autoregolamentazione, la pronuncia dei giudici delle leggi veniva criticata là dove non individua con precisione l'oggetto della propria censura: il diritto di “sciopero” dei difensori ovvero la facoltà dell'imputato di opporsi all'adesione all'astensione del proprio avvocato.

Il dubbio è stato risolto dalla stessa Consulta. Con la sent. cost. n. 14 del 2019, la Corte ha individuato – attraverso un'interpretazione autentica della sent. cost. n. 180 del 2018 – il vizio di incostituzionalità nella sola possibilità per l'imputato di influire, col proprio assenso o dissenso, sui termini di custodia cautelare. Sicché, allo stato attuale, «non è più applicabile la condizione ostativa al dispiegarsi della regola posta dallo stesso codice di autoregolamentazione (art. 4, comma 1) che non consente l'astensione del difensore allorché l'imputato versi in stato di custodia cautelare».

Di conseguenza, se, da un lato, la Corte di Cassazione si dimostra costante nell'escludere il diritto in discorso, dall'altro, la Corte costituzionale – rispondendo a quella dottrina che si interrogava su quale fosse il preciso oggetto di censura – ha riproposto densi spunti di riflessione. Lo snodo decisivo per individuare quale sia l'interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina del codice di autoregolamentazione è comprendere la ratio decidendi della sent. cost. n. 180 del 2018. Vi si afferma che la violazione della riserva assoluta di legge ex art. 13, comma 5, Cost., riguarda la (mera) facoltà dell'imputato di incidere potenzialmente sui termini legali massimi (di fase) di durata della misura cautelare custodiale: dunque, occorre comprendere se residui un diritto del difensore ad astenersi nell'ipotesi di cui all'art. 4, comma 1, lett. b) del codice di autoregolamentazione.

In conclusione

La sent. cost. n. 180 del 2018 ha operato, indirettamente, un nuovo bilanciamento tra diritti e valori costituzionali, nel momento in cui ha anteposto il diritto alla libertà personale dell'imputato alla libertà sindacale e alla libera associazione dei difensori allineandosi alle SS.UU. “Lattanzio”, che avevano impedito al giudice tale bilanciamento in quanto di competenza del legislatore.

Tuttavia, a differenza di coloro che affermano che la medesima pronuncia costituzionale non abbia fatto venir meno il diritto di “sciopero” degli avvocati, può essere utile rammentare che la censura di illegittimità s'inserisce in un percorso tracciato all'indomani della sent. cost. n. 171 del 1996. Già il disegno di legge A.S. 1268, elaborato nel corso della XIII legislatura, si proponeva di escludere la possibilità di astensione collettiva in processi con imputati in stato di custodia cautelare. La medesima posizione, poi, fu anche alla base del parere negativo reso dalla Commissione di garanzia al codice di autoregolamentazione del 6 giugno 1997, poiché legittimava inammissibili atti di disposizione della libertà personale e del diritto di difesa.

Da qui, la necessitata ricaduta degli effetti della sentenza costituzionale più volte rammentata nella sfera operativa dell'art. 304 c.p.p. L'attuale inquadramento delle astensioni collettive come fattispecie riconducibile all'art. 304, comma 1, lett. b) c.p.p. – non essendo più sussumibile all'ipotesi del legittimo impedimento ex art. 420-ter c.p.p., come è, invece, previsto dall'art. 4, comma 1, lett. b) del codice di autoregolamentazione – implica di considerare i diritti fondamentali di azione e di difesa dell'imputato e i valori costituzionali alla base della sent. n. 180 del 2018. Ciò poiché, nel calcolo dei termini di custodia cautelare di cui all'art. 304, comma 6, c.p.p., non si computano i periodi durante i quali il processo è sospeso o rinviato a causa della mancata presentazione o partecipazione del difensore. Se, ad ogni modo, a tutela della situazione in discorso, interviene la salvaguardia di cui all'art. 304, comma 7, c.p.p. – sull'ovvio limite relativo alla durata complessiva della custodia cautelare –, è anche vero che quest'ultima non può essere estesa sino al punto di comprimere oltremisura la libertà personale dell'imputato a favore della libertà sindacale del difensore.

In conclusione, lo stato dell'arte fa emergere il dovere, in capo al difensore, di assicurare la propria assistenza in situazioni di processi con imputati in vinculis, non rilevandone più il consenso (i.e. mancato dissenso). È, tuttavia, ineludibile un intervento legislativo che effettui il bilanciamento tra diritti e valori costituzionali contrapposti, escludendo che il medesimo bilanciamento possa essere legittimato da una fonte regolamentare.

Guida all'approfondimento

GIANFRANCESCO, “Sciopero” degli avvocati e Costituzione, Milano, 2002;

PECORELLA, Una sentenza della Corte costituzionale (apparentemente) oscura. Può ancora esercitarsi il diritto di astensione nei processi con imputati detenuti?, in Dir. pen. contemporaneo, ed. on-line del 17 ottobre 2018;

ALESCI, Astensione collettiva e procedimento con detenuti. La decisione della Consulta e le ricadute processuali, in Dir. pen. e proc., fasc. 1/2019.

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