La nuova difesa legittima e l'eccesso colposo. Applicazioni pratiche

Giulio Corato
19 Febbraio 2020

L'introduzione ad opera della l. 36/2019 dell'avverbio “sempre” nell'ambito del comma 2 dell'art. 52 c.p. non priva di validità il consolidato principio…
Premessa

L'introduzione ad opera della l. 36/2019 dell'avverbio sempre nell'ambito del comma 2 dell'art. 52 c.p. non priva di validità il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui è configurabile l'esimente della legittima difesa solo qualora l'autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all'offesa mediante aggressione.

Il nuovo disposto di cui al comma 2 dell'art. 55 c.p. rappresenta la codificazione di ipotesi di inesigibilità che comunque esigono un accertamento rigoroso della globalità degli elementi della fattispecie, al fine di verificare se il pericolo in atto possa oggettivamente aver influito sull'errata valutazione della necessità di reagire nella maniera concretamente avutasi.

Il caso

Quanto deciso dalla Suprema Corte ha riguardo alla vicenda dell'uccisione di un uomo introdottosi furtivamente, nottetempo e con altri, in privata dimora, da parte del padrone di casa.

Qualificato dal giudice di prime cure come omicidio doloso, la Corte d'Appello aveva di converso ritenuto versarsi in ipotesi di eccesso colposo ex art. 55 c.p., escludendo dunque, da un lato, un dolo rilevante ex art. 575 c.p. e, dall'altro, una piena legittima difesa.

In punto di fatto il ricorrente, svegliato da rumori sospetti ed accortosi del tentativo di un uomo di ingresso in casa mediante la finestra del balcone della camera da letto dei figli, aveva imbracciato il fucile e aveva fatto fuoco in direzione dello sconosciuto che nel frattempo, resosi conto dei movimenti del padrone di casa, si era allontanato dal balcone stazionando sotto un albero nel terreno antistante l'abitazione, al fine di verificare se le possibilità di furto fossero definitivamente sfumate o meno.

La Corte territoriale, sul presupposto di un pericolo ancora attuale e tuttavia fortemente scemato, aveva ritenuto eccessiva la reazione dell'imputato, avendo il parziale allontanamento dell'uomo reso sufficiente un uso dimostrativo e dissuasivo dell'arma, in luogo di spari ad altezza uomo, come di fatto avvenuto.

Il comma 2 dell'art. 52 c.p.

A fronte di tale vicenda e del ricorso dell'indagato la Suprema Corte afferma anzitutto la correttezza dell'esclusione dell'esimente della legittima difesa, sia reale che putativa, a nulla rilevando la modifica apportata all'art. 52 c.p. dalla l. 36/2019.

Nei suoi elementi costitutivi – afferma la Corte – la descrizione della menzionata scriminante quale prevista dall'art. 52 c.p., comma 1, è tuttora originariamente delineata dal codice Rocco: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.” Secondo consolidato orientamento interpretativo la causa di giustificazione postula tre indefettibili condizioni: il pericolo attuale di un'offesa ingiusta ad un diritto proprio o altrui; la necessità di reagire a scopo difensivo; la proporzione tra la difesa e l'offesa.

Le modifiche della disposizione hanno riguardato – dapprima ad opera della l. 59/2006 e più recentemente con la l. 36/2019 – le reazioni difensive poste in essere contro chi commetta fatti di violazione di domicilio ai sensi dell'art. 614 c.p. commi 1 e 2, situazione a cui è stata parificata la commissione di fatti avvenuti “all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale.” (art. 52, comma 3, c.p.).

Affermata nel caso di specie l'irrilevanza del disposto di cui all'ultimo capoverso dell'art. 52 c.p., la Suprema Corte si è posta nell'ottica di apprezzare la sussumibilità della vicenda nell'ambito del comma 2 dell'art. 52 c.p. secondo il quale “Nei casi previsti dall'art. 614, primo e secondo comma sussiste sempre – e l'introduzione di tale avverbio costituisce l'unica modifica apportata dalla l. 36/2019 al comma in parola, già introdotto dalla l. 59/2006il rapporto di proporzione di cui al comma 1, del presente articolo se taluno legittimamene presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità; b) i beni propri o altrui quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.

Con riguardo alla previsione introdotta nel 2006, la Corte rievoca propri precedenti arresti con i quali aveva già ritenuto l'aver la detta previsione configurato una presunzione circa la sussistenza del requisito della proporzione tra offesa e difesa, in ipotesi di violazione del domicilio, ferma restando la necessità del concorso dei presupposti dell'attualità dell'offesa e della inevitabilità dell'uso delle armi come mezzo di difesa della propria o altrui incolumità (vd. Cass. pen., Sez. I n. 50909/2014, Thekna, Rv. 261491; Cass. pen., Sez. I n. 16677/2007, Grimoli, Rv. 236502).

A quest'ultimo proposito, con riguardo all'impiego di armi in modo tale da attentare alla vita dell'aggressore, continua dunque a trovare applicazione il principio secondo cui è configurabile l'esimente della legittima difesa solo qualora l'autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all'offesa mediante aggressione (vd. Cass. pen., Sez. I, n. 51262/2017, Can, Rv. 272080).

A giudizio della Suprema Corte, al di là delle intenzioni del Legislatore storico - certamente mosso dalla volontà di ampliare fortemente le possibilità di reazione a fronte di aggressioni perpetrate nel domicilio – i citati risultati interpretativi non possono dirsi venuti meno a seguito dell'inserimento dell'avverbio sempre ad opera della recente novella, “potendo ad esso attribuirsi un mero significato rafforzativo della presunzione posa dalla norma, presunzione che, tuttavia, da un lato, riguarda la sussistenza di uno soltanto degli elementi costitutivi della fattispecie scriminante e che non esclude il giudizio di accertamento degli altri, vale a dire la necessità di reagire ad un'offesa in atto; d'altro lato opera diversamene a seconda che il pericolo riguardi l'aggressione alla persona oppure ai beni.” (vd. in termini Cass. pen., Sez. I, n. 39977/2019, Addis, Rv. 276949).

In tale ordine di idee “l'uso di un'arma – purché legittimamente detenuta – può dirsi reazione sempre proporzionata nei confronti di chi si sia illecitamente introdotto o illecitamente si trattenga, all'interno del domicilio o dei luoghi a questo equiparati, nei quali il legislatore ha ritenuto maggiormente avvertita l'esigenza dell'autodifesa, a patto che, appunto, il pericolo di offesa ad un diritto (personale o patrimoniale) sia attuale e che l'impiego dell'arma quale in concreto avvenuto sia necessario a difendere l'incolumità propria o altrui, ovvero anche soltanto i beni se ricorra pur sempre un pericolo di aggressione personale.

Secondo la Corte tali conclusioni si impongono non soltanto alla luce dell'interpretazione del disposto del codice ma altresì in forza del doveroso rispetto delle previsioni ricavabili dalla Costituzione, lette pure nell'ottica degli obblighi internazionali assunti dallo Stato.

Nella giurisprudenza della Consulta è infatti principio costante quello secondo cui le cause di non punibilità in senso lato costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali, sicché la loro valutazione comporta strutturalmente un giudizio di ponderazione tra ragioni diverse e confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono a norma generale e quelle che viceversa sorreggono la norma derogatoria: giudizio da riconoscersi di pertinenza, in primo luogo, del Legislatore (vd. sul punto Corte Cost. n. 140/2009 con richiami alle conformi sentenze nn. 385/1992, 267/1992, 32/1992, 1063/1988, 241/1983).

Nell'individuare e delineare le cause scriminanti – e più in generale, le cause di non punibilità – il legislatore ordinario deve tuttavia operare un ragionevole dei valori costituzionali in gioco (vd. Corte Cost. n. 148/1983) e, nelle poche occasioni in cui è stata chiamata ad occuparsi di questioni di legittimità costituzionale concernenti la scriminante della legittima difesa, la Corte Costituzionale ha dato per scontato che l'istituto postuli la reazione ad un'offesa in atto, non essendo invece configurabile quando al momento del fatto la stessa si sia esaurita e l'agente intenda soltanto reagire alla minaccia di un male futuro ed eventuale (vd. Corte Cost. 225/1987).

Sul piano degli obblighi internazionali assunti dall'Italia e che, anche in forza del principio affermato dall'art. 117,comma 1,Cost., vincolano il Legislatore ordinario – come pure l'interprete, vd. Cass. S.U. 27620/2016, Dasgupta, Rv. 267586 – rileva a giudizio della Corte l'art. 2 CEDU, articolo fondamentale della Convenzione, non suscettibile di deroga, ai sensi dell'art. 15, in tempo di pace. Dopo avere al paragrafo 1 sancito la protezione del diritto alla vita ed il divieto di volontariamente provocare la morte di alcuno, l'art. 2, par. 2, lett. a), considera come non data in violazione di detto articolo la morte di una persona “determinata da un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: a) per difendere ogni persona da una violenza illegittima.” Sul punto la giurisprudenza della Corte EDU ha più volte precisato che il ricorso alla forza tale da poter condurre a provocare, anche involontariamente, la morte di un uomo è da ritenersi giustificato soltanto se assolutamente necessario per assicurare la difesa delle persone da una violenza illegale (cfr. sul punto Corte EDU, Sez. II 14.6.2011, Trèvalec c. Belgio; Corte EDU, Sez. IV 25.8.2009, Giuliani e Gaggio c. Italia).

Sotto tale profilo, al fine di fornire un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 52 c.p., a giudizio della Corte non può in definitiva prescindersi dalla verifica del requisito della necessità rispetto alla tutela della persona da violenze illegittime, in difetto del quale la lesione di tale diritto non può mai dirsi giustificata.

L'interpretazione dell'art. 52, comma 2, c.p. fornita già in passato dalla Suprema Corte – e ribadita con la pronuncia in analisi pur a fronte del novum rappresentato dall'avverbio sempre - non desta alcuna perplessità nel suo pieno rispondere ad un corretto canone di totalità dell'apprezzamento ermeneutico.

Il comma 1 dell'articolo 52 c.p. pone infatti ontologici limiti di operatività della scriminante - quale in particolare la necessità della reazione – che risultano essere stati riconosciuti quale vere e proprie parti integrante del tessuto costituzionale e alla luce dei quali non possono non essere interpretate tutte le ulteriori disposizioni normative dell'art. 52 c.p.

Pertinenti appaiono altresì i richiami alla giurisprudenza CEDU relativa all'art. 2 della Convenzione che pur riguardando, come riconosciuto dalla stessa Corte, fattispecie di uso della forza da parte dei pubblici poteri, si inserisce nondimeno in più ampio contesto ermeneutico che da tempo fornisce importanti linee guida ai fini dell'applicazione orizzontale dei principi elaborati (sul cosiddetto horizontal effect della Convenzione vd. per tutte C.edu, Osman c. Regno Unito, 28.10.1998, §§ 115-116).

Escluso il riconoscimento nella fattispecie della legittima difesa, la Suprema Corte convalida altresì la negazione da parte della Corte territoriale di un rilievo putativo della stessa scriminante.

Il nuovo eccesso colposo di legittima difesa

La Corte sposta quindi la propria attenzione sul secondo motivo di ricorso, riguardante l'asserita violazione dell'art. 55 c.p.

Sul presupposto della necessità di nuovi accertamenti di fatto, la Suprema Corte risulta aver annullato con rinvio la sentenza impugnata proprio ai fini della valutazione dell'applicabilità del nuovo art. 55, comma 2, c.p., fornendo tuttavia talune importanti indicazioni interpretative.

Proprio la situazione psicologica di chi si trovi a dover fronteggiare un'aggressione all'interno di un luogo di privata dimora è stata oggetto dell'intervento dalla più volte menzionata l. 36/2019 che ha inserito nell'ambito dell'art. 55 un secondo comma a mente del quale “nei casi di cui ai commi secondo e quarto dell'art. 52 c.p., la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all'art. 61, primo comma, n. 5 c.p. ovvero in stato di grave turbamento, derivane dalla situazione di pericolo in atto.

Secondo la Cassazione la nuova disposizione non ha codificato un'ulteriore scriminante da aggiungersi a quelle di cui agli art. 50 e ss. c.p., trattandosi invero di una situazione che, inserendosi nell'ambito di applicazione di una scriminante già esistente, esclude la soggettiva imputabilità all'agente di condotte antigiuridiche colpose rispetto alle quali sia stata già accertata la violazione di una regola cautelare.

La situazione codificata nell'art. 55, comma 2, c.p. si riferisce, tra le diverse cause di giustificazione, soltanto a quella della legittima difesa e, nell'ambito di questa, è ulteriormente circoscritta alle sole ipotesi di cui all'art. 52 c.p., commi 2, 3 e 4 c.p.

Essa inoltre non si riferisce a tutte le possibili situazioni che, pur nei riferiti luoghi, possono dar luogo ad una difesa legittima, essendo stato delimitato il campo di applicazione con esclusivo riferimento a chi abbia “commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità, da ritenersi comprensiva dei casi di eccesso commessi in legittima difesa dei beni propri o altrui quando sia ragionevolmente ipotizzabile quel pericolo di aggressione personale considerato dall'art. 52, comma 2 lett. b), c.p.

Le condizioni di cui all'art. 61, comma 1, n. 5 c.p. sono quelle “di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa.

Trattasi di circostanze oggettive che se dal punto di vista dell'agente facilitano il compimento dell'azione criminosa in maniera meritevole di un inasprimento di pena, dal punto di vista della vittima che, difendendosi, ecceda i limiti consentiti giustificano la non punibilità per il reato colposo commesso, proprio perché incidenti sull'impossibilità di opporre una “normale” difesa rispetto all'aggressione subita (vd. Cass. Sez. I 39560/2019, Souhi, Rv. 276871; Cass. Sez. I 40293/2013, Congiusti, Rv. 257248).

Comunque necessaria viene indicata la complessiva valutazione volta ad appurare se, in concreto, si sia realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata che possa aver oggettivamente influito sull'errata valutazione della necessità di reagire all'aggressione nel modo di fatto avvenuto, dovendosi a giudizio della Corte evitare interpretazioni astratte che perdano di mira la ratio della previsione, da individuarsi nell'intento di adeguare il giudizio di rimproverabilità effettuata ex ante sul modello razionale di agente alle particolari condizioni in cui l'azione si è in concreto verificata. (vd. Cass. pen, Sez. IV n. 54570/2017, Torre e a., Rv. 271259; Cass. pen., Sez. IV n. 53343/2016, Mihai, Rv. 268697)

Con l'ulteriore fattispecie di commissione del fatto in stato di grave turbamento, a giudizio della Suprema Corte ci si allontana ulteriormente dal modello razionale di agente per dare rilievo ad una situazione psicologica fondata su connotazioni emotive che secondo l'impostazione originaria del codice penale vengono di regola considerate ininfluenti ai fini della responsabilità penale (si pensi agli stati emotivi o passionali di cui all'art. 90 c.p.).

La rigidità di questa impostazione e la necessità di valutarne la tenuta alla luce dei modelli costituzionali - osserva la Cassazione - formano da tempo oggetto di discussione, anche alla luce di acquisizioni scientifiche che sottolineano come stati emotivi e passionali possano sostanzialmente produrre gli stessi effetti che sulla capacità di intendere e di volere determinano le situazioni patologiche.

La stessa giurisprudenza ha talvolta riconosciuto rilevanza agli stati emotivi o passionali ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sul rilievo che essi influiscono sulla misura della responsabilità penale (vd. Cass. Sez. I n. 7272/2013, Disha, Rv. 259160; Cass. Sez. I n. 2897/1982, Langella, Rv. 158296).

La nuova previsione ad avviso della Suprema Corte ha qualche analogia con queste ipotesi e rappresenta dunque una situazione codificata di inesigibilità della condotta che non potrebbe trovare ingresso nell'ordinamento se non espressamente prevista.

Questa inesigibilità, che certamente si fonda sulla non facile ricostruzione di un elemento psicologico interno come il grave turbamento che la legge vuole prodotto dalla situazione di pericolo in atto va comunque valutata - si precisa in termini perentori - alla luce di parametri oggettivi.

Occorrerà esaminare, con giudizio ancora una volta calibrato sulla globale considerazione di tutti gli elementi, se e in che misura, il pericolo in atto – per concretezza e gravità rispetto alla lesione dell'integrità fisica propria o altrui – possa aver determinato nell'agente un turbamento così grave da rendere esigibile quella razionale valutazione sull'eccesso di difesa che costituisce oggetto del rimprovero mosso a titolo di colpa.

La Corte risulta dunque aver già in astratto indicato alcune fondamentali e condivisibili caratteristiche di eccezionalità della nuova disposizione legislativa - del resto coerenti con le complessive indicazioni del sistema - ma sarà dunque necessario attendere nuove fattispecie concrete idonee ad essere assunte ad autentici e completi banchi di prova della nuova disposizione.

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