L'Avvocato può rendere noto il nome dei propri assistiti?

21 Febbraio 2020

L'Avvocato può rendere noto il nome dei propri assistiti? Significativa sul punto la sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. 9861/17) la quale conferma

L'Avvocato può rendere noto il nome dei propri assistiti?

Significativa sul punto la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 9861/2017 la quale conferma il divieto deontologico da parte dell'avvocato di rivelare il nome dei propri assistiti: “Il rapporto tra cliente ed avvocato non è solo un rapporto privato di carattere personale e non può essere ricondotto puramente e semplicemente ad una logica di mercato” La sentenza in commento ribadisce, dunque, la legittimità del divieto previsto dal terzo comma dell'art. 17 del Codice deontologico previgente (ora art. 35, comma 8) “nell'ottica di una necessaria cautela diretta ad impedire una diffusione che potrebbe riguardare non solo i nominativi dei clienti stessi ma anche la particolare attività svolta nel loro interesse con interazioni di terzi, prestandosi ad interferenze, condizionamenti e strumentalizzazioni” (v. Le SS.UU. confermano la legittimità del divieto di rendere noti i nomi dei clienti, in consiglionazionaleforense.it).

Nel caso oggetto del pronuncia delle Sezioni unite civili gli avvocati impugnavano dinanzi al Consiglio Nazionale Forense la decisione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Macerata che aveva irrogato loro la sanzione dell'avvertimento per avere riportato sul sito internet del proprio studio legale elenco dei propri assistiti- con il loro consenso- in via continuativa e dei principali clienti assistiti per progetti specifici per violazione delle norme di cui agli artt. 6 e 17 del Codice deontologico forense (previgente). Il C.N.F. respingeva il ricorso, rilevando che le norme deontologiche relative alla pubblicità devono essere interpretate alla luce della funzione sociale del difensore, conformemente alla normativa comunitaria, e al rispetto della dignità e decoro della professione forense.

Il Consiglio Nazionale Forense riteneva i motivi presentati dai ricorrenti infondati rilevando che sebbene il d.l. n. 223 del 2006 (cd. decreto Bersani) abbia previsto l'abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni il suddetto decreto non ha abrogato la norma deontologica (allora vigente) per cui l'avvocato non può rivelare al pubblico il nome dei propri assistiti, sebbene questi vi consentano. Il divieto, dunque, opera anche dopo il decreto Bersani.

La Cassazione ha ritenuto: “Tanto premesso occorre innanzitutto considerare che l'esclusione dei divieto di rendere pubblici i nominativi dei propri clienti non è espressamente prevista dal decreto citato e pertanto essa può ritenersi rientrare nella richiamata previsione normativa solo in base ad un'ampia interpretazione dei concetto dì pubblicità informativa circa "le caratteristiche del servizio offerto”. Di tale interpretazione deve tuttavia essere verificata la compatibilità con le peculiari caratteristiche dell'attività libero-professionale considerata, essendo in proposito da evidenziare che l'attività forense risulta disciplinata da una complessa normativa, anche processuale, ed è indubbiamente nell'ambito più generale di tale normativa complessivamente considerata che vanno inserite ed interpretate le disposizioni in materia di pubblicità informativa con riguardo alla professione forense”.

Ed ancora nelle motivazioni della suddetta sentenza ha precisato che l'attività dell'avvocato, in quanto attività libero-professionale, non è sottratta al principio della ammissibilità della pubblicità informativa "circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni", ciò nonostante tale principio va riletto alla luce della suddetta attività, “non essendo l'avvocato solo un libero professionista ma anche il necessario "partecipe" dell'esercizio diffuso della funzione giurisdizionale, se è vero che nessun processo (salvo i processi civili di limitatissimo valore economico) può essere celebrato senza l'intervento di un avvocato”.

Le Sezioni Unite Civili, inoltre, evidenziano che l'eventuale pubblicazione dei nomi dei propri assistiti potrebbe riguardare anche di fatto l'attività processuale svolta in loro difesa con il pericolo che “indirettamente, uno o più processi, che potrebbero essere ancora in corso e, tra l'altro, in alcuni casi persino subire indirette interferenze da tale forma di pubblicità (si pensi, per esempio, a processi per partecipazione ad associazioni di tipo mafioso, in cui il cliente potrebbe autorizzare la diffusione del proprio nominativo non tanto per fare pubblicità al proprio legale quanto per lanciare messaggi ad eventuali complici circa la linea difensiva da seguire o il difensore da scegliere)”.

Guida all'approfondimento

Si veda commento all'art. 35 di Antonio Miriello pagg. 102 ss. (Il penalista e il nuovo codice deontologico - G.U. 16 Ottobre 2014) a cura di Ettore Randazzo Milano Giuffrè, 2014.

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