La legittimazione del curatore fallimentare ad agire avverso i provvedimenti di sequestro preventivo
09 Aprile 2020
Abstract
Una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 45936 del 26 settembre 2019) offre lo spunto per affrontare il tema della legittimazione del curatore fallimentare a richiedere la restituzione dei beni sequestrati alla società fallita, questione oggetto di fervente dibattito dottrinario e giurisprudenziale. L'argomento, inoltre, è oggetto della riforma legislativa contenuta nel d.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, c.d. “Codice della Crisi d'impresa”, in procinto di entrare in vigore. Punto di partenza del presente contributo sarà costituito dalla definizione del contesto normativo di riferimento all'interno del quale si inseriscono le attività del curatore fallimentare. Saranno successivamente illustrati gli orientamenti giurisprudenziali espressi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione prima di offrire brevi considerazioni conclusive.
Premessa: il quadro normativo di riferimento
Al fine di comprendere l'origine della questione relativa alla possibilità di riconoscere al curatore del fallimento la legittimazione a chiedere la revoca del sequestro preventivo o a impugnare il provvedimento cautelare, occorre ripercorrere brevemente i poteri espressamente riconosciuti a tale figura dalla legge fallimentare e individuare i (presunti) punti di attrito con la disciplina penale, sostanziale e processuale. La prima delle fonti normative richiamate stabilisce che la sentenza dichiarativa di fallimento priva il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni (art. 42 l. fall.) e fa subentrare il curatore nell'amministrazione del patrimonio fallimentare (art. 31 l. fall.) e nella disponibilità dei beni. In linea teorica parrebbe pacifico che tali poteri debbano estendersi a tutti i beni, anche a quelli che non vengono rinvenuti al momento dell'apertura del fallimento ma che il curatore può recuperare alla massa compiendo ogni azione utile, compresa la richiesta di restituzione di beni sequestrati. Tale conclusione, tuttavia e in concreto, necessita di esser contemperata con la tutela di altre esigenze ritenute meritevoli di tutela. Nella pratica, infatti, capita sovente che il patrimonio del fallito sia gravato anche una misura cautelare reale disposta nell'ambito di un procedimento penale parallelo alla procedura fallimentare avviato nei confronti degli amministratori o legali rappresentanti della società o dello stesso ente (ex art. 19 d.lgs. 231/2001). In tali casi sui beni del fallito concorrono due vincoli entrambi rappresentativi di pretese tutelate dal sistema giudiziario. In linea generale può affermarsi che l'uno è volto a consentire l'acquisizione al patrimonio statale dell'oggetto del sequestro mediante la sua confisca; l'altro mira, invece, a soddisfare al meglio i creditori della società fallita (fra i quali è sovente presente anche lo Stato rappresentato dall'Erario).
Il dibattito giurisprudenziale e dottrinario circa i poteri da riconoscere al curatore nei confronti del sequestro preventivo emesso su beni rientranti nel patrimonio del fallimento si inserisce in questo contesto e trova terreno fertile per attecchire in assenza di una disciplina specifica di riferimento ed alla conseguente necessità applicare la complessa normativa generale in materia di sequestri preventivi come interpretata sul punto dalle corti e dai tribunali. Tuttavia, anche a causa della varietà della casistica e della natura eterogenea dei provvedimenti reali adottabili (sequestri impeditivi o finalizzati alla confisca diretta o per equivalente, disposti contro il patrimonio di persone fisiche o giuridiche etc.), le soluzioni offerte dalla giurisprudenza sono apparse spesso contrastanti. Talvolta si è esclusa la sussistenza della legittimazione del curatore a richiedere la revoca del sequestro o a impugnare il provvedimento cautelare dando precedenza incondizionata alla tutela dell'interesse statale ritenuto prevalente rispetto all'interesse della massa dei creditori. In altre occasioni è stata, invece, riconosciuta al curatore una legittimazione più o meno estesa ad agire contro la cautela reale. Fra gli orientamenti “intermedi” due meritano espressa menzione, poiché indicativi della carenza di chiarezza del quadro normativo e alla confusione fra profili di legittimazione e di fondatezza della domanda. Si tratta di quello fondato sul criterio cronologico e volto a riconoscere la legittimazione del curatore solo nel caso il provvedimento di sequestro sia emesso successivamente alla dichiarazione di fallimento e di quello della valutazione degli interessi in gioco caso per caso: «Il giudice deve apprezzare nel caso concreto il diritto e l'interesse del curatore fallimentare all'impugnativa delle misure cautelari reali, avuto riguardo alla specialità delle norme fallimentari, da un lato, ed alle specialità delle norme penali dall'altro e formulando di volta in volta un giudizio di bilanciamento dei contrapposti interessi» (Cass. pen., Sez. III, 7.3.2017, n. 37439).
Come accennato in premessa, al fine di dirimere i numerosi contrasti giurisprudenziali intervenuti sul punto, il legislatore è intervenuto predisponendo una disciplina ad hoc. Il codice della crisi di impresa (d.lgs, 12 gennaio 2019, n. 14), la cui entrata in vigore è prevista per il 15 agosto 2020, attribuisce infatti espressamente al curatore il diritto di proporre riesame o appello avverso i provvedimenti di sequestro ed eventualmente anche ricorso per cassazione avverso le decisioni su dette richieste (art. 320 c.p.p.). Tuttavia, in attesa dell'entrata in vigore della citata normativa, una parte della giurisprudenza continua a mostrarsi piuttosto restia a riconoscere la legittimazione del curatore a presentare richiesta di restituzione dei beni sequestrati o atti di impugnazione in materia di cautele reali. Indicativa, in tal senso, appare una decisione di poco antecedente a quella delle S.U. che ha ispirato il presente contributo, secondo la quale proprio il fatto che il legislatore abbia ritenuto di dover conferire esplicitamente al curatore tale facoltà confermerebbe la mancanza della stessa nell'attuale assetto normativo (Cass. pen.,Sez. II, 16.4.2019, n. 27262). Le decisioni emesse dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
La materia oggetto del presente contributo è stata oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali. Sul punto, dovendo necessariamente fare una cernita delle decisioni più rilevanti, meritano di essere segnalati ben tre arresti delle sezioni unite della Corte di Cassazione, circostanza indicativa della complessità della questione e delle turbolenze esistenti in giurisprudenza.
La sentenza Focarelli. Con la prima delle citate decisioni la Corte di legittimità aveva rilevato che il curatore agisce per la rimozione di un atto pregiudizievole ai fini della reintegrazione del patrimonio e svolge una funzione istituzionale rivolta alla ricostruzione dell'attivo fallimentare sulla base di un'autorizzazione del giudice delegato. Alla luce di tali argomentazioni la S.C. era giunta a concludere che al curatore del fallimento deve riconoscersi la facoltà di proporre sia l'istanza di riesame del provvedimento di sequestro preventivo, sia quella di revoca della misura, ai sensi dell'art. 322 c.p.p., nonché di ricorrere per cassazione ai sensi dell'art. 325 stesso codice avverso le relative ordinanze emesse dal tribunale del riesame (Cass.pen., Sez. Unite, 24.05.2004, n. 29951 ric. Focarelli). Nella motivazione si evidenziano in particolare i seguenti aspetti:
La sentenza Uniland. A distanza di circa dieci anni le Sezioni unite sono ritornate sulla questione, con la nota sentenza Uniland, prendendo spunto da una misura adottata in materia di responsabilità amministrativa degli enti. Nell'occasione il Supremo consesso ha adottato una soluzione almeno in parte confliggente con la precedente pronuncia affermando che il curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione contro il provvedimento di sequestro adottato ai sensi dell'art. 19 d.lgs. n. 231 del 2001 (Cass. pen., Sez. Unite, 25.09.2014, n. 11170). Si tratta di una decisione che, seppur emessa nello specifico settore della responsabilità amministrativa degli enti, ha mirato a fornire una soluzione generale e di carattere sistematico alla questione in esame.Essa si fonda sulla considerazione secondo la quale la dichiarazione di fallimento non trasferisce alla curatela la proprietà dei beni del fallito. Il curatore ha soltanto poteri gestori e non vanta diritti reali neppure in rappresentanza dei creditori i quali fino alla chiusura della procedura concorsuale vantano solo una mera pretesa sui beni del fallito e non hanno alcun titolo per la restituzione degli stessi. In ogni caso, secondo la Corte, la verifica delle ragioni dei terzi al fine di accertarne la buona fede spetta al giudice penale e non al giudice fallimentare.
La sentenza M. Petroli. Più di recente, infine, la Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno (ri)affermato la legittimazione del curatore fallimentare a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale (Cass. pen., Sez. Unite, 26.09.2019, n. 45936). Con quest'ultima sentenza la Corte ha precisato che la legittimazione del curatore, discende non già dal riconoscimento di diritti reali sui beni del fallito ma dalla titolarità del diritto alla restituzione dei beni sequestrati sottolineando che, a tal fine è sufficiente un rapporto di fatto della persona con il bene che ne consenta la disponibilità autonoma e giuridicamente tutelata dello stesso, non essendo necessario che sullo stesso si vanti un diritto reale. Il fondamento normativo di tale soluzione viene dunque individuato, da un canto e in riferimento alla legittimazione della persona che ha diritto alla restituzione dei beni, nella disciplina in materia di riesame e appello del sequestro preventivo (artt. 322, 322-bis c.p.p.) richiamata anche in proposito di ricorso per cassazione avverso i provvedimenti conclusioni dei procedimenti di riesame e appello cautelare (art. 325 c.p.p.). Dall'altro, quanto al riconoscimento in capo al curatore della qualità di soggetto avente diritto alla restituzione dei beni, negli artt. 42, comma 1, e 43 della legge fallimentare a norma dei quali la sentenza dichiarativa del fallimento comporta il trasferimento dei beni intestati al fallito alla procedura concorsuale alla quale viene riconosciuta la rappresentanza in giudizio dei rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento. Sulla base di tali premesse la Corte conclude affermando che il diritto del curatore a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale dev'essere riconosciuto anche in relazione ai beni caduti in sequestro prima della dichiarazione di fallimento, poiché anch'essi fanno parte della massa attiva che entra nella disponibilità della curatela, con contestuale spossessamento del fallito, ai sensi dell'art. 42 l. fall. Con tale ultima affermazione si supera uno degli orientamenti espressi da parte della giurisprudenza volto a riconoscere la legittimazione del curatore ad impugnare i provvedimenti cautelari reali solo nel caso in cui tali misure fossero intervenute successivamente alla dichiarazione di fallimento.
In conclusione
La soluzione adottata da ultimo dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione appare certamente condivisibile e coerente con le volontà del legislatore della riforma. Del resto, gli orientamenti giurisprudenziali di segno contrario volti a negare legittimazione all'impugnazione al curatore, si espongono a rilevanti critiche di carattere sistematico. Ed infatti:
In definitiva l'impostazione fornita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza da ultimo citata così come la disciplina legislativa in procinto di entrare in vigore, attribuendo al curatore la legittimazione ad agire al fine di ottenere la restituzione dei beni oggetto di sequestro preventivo, ha il pregio di evitare rigide preclusioni preventive e di consentire l'accertamento della legalità del provvedimento impugnato. Tale circostanza, attinente al solo profilo dell'ammissibilità della richiesta, non impedirà, in ogni caso, al giudice di valutare nel merito la fondatezza della stessa e di bilanciare caso per caso i diversi interessi in gioco evitando, a titolo esemplificativo, che il bene sequestrato possa esser rimesso in circolazione o persino riacquisito dal fallito (circostanza che potrebbe verificarsi ove al termine della procedura concorsuale risulti ancora un attivo o in ipotesi di derelizione dei beni del fallito). Per tale ragione, al fine di ottenere una decisione favorevole, sarà opportuno che il Curatore che agisca per la restituzione dei beni in sequestro offra al giudice tutti gli elementi utili per garantire che l'eventuale provvedimento di accoglimento non comporterà alcuno dei rischi paventati in dottrina e giurisprudenza (specificando ad esempio che non si tratta di beni in sé pericolosi o chiarendo le ragioni idonee ad escludere che essi verrebbero rimessi in circolazione o restituiti alla disponibilità del fallito). D. Pagani, La legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare il provvedimento di sequestro, in Archivio penale, 2017 n. 1. C. Santoriello, Sulla legittimazione del Curatore a richiedere la restituzione delle cose sottoposte a sequestro dal giudice penale, Il penalista, 19 giugno 2019. M. Toriello, L'amministrazione dell'azienda sottoposta a sequestro preventivo, tra prassi applicative e prospettive di riforma, Cass. pen. 2017, fasc. 9, p. 3416 B. P. Di Geronimo, La confisca del profitto del reato, tra responsabilità da reato delle società ed esigenze di garantire il soddisfacimento dei creditori nella procedura fallimentare: pregi e limiti della soluzione prospettata dalle sezioni unite, in Cass. pen., 2015, 9, p. 3031. F. M. Iacoviello, Fallimento e sequestri penali, in Fall. 2005, 11, 1265.
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