Emergenza coronavirus e diritto punitivo: un quadro di insieme delle responsabilità penali

14 Aprile 2020

'emergenza sanitaria in atto ha posto numerose questioni al penalista, legate ai temi di fondo della giustizia penale, segnatamente all'esigenza di rispettare i cardini dello Stato costituzionale di diritto anche in caso di situazioni eccezionali e drammatiche. Quest'ultime impongono limitazioni delle sfere di libertà...
Premessa

L'emergenza sanitaria in atto ha posto numerose questioni al penalista, legate ai temi di fondo della giustizia penale, segnatamente all'esigenza di rispettare i cardini dello Stato costituzionale di diritto anche in caso di situazioni eccezionali e drammatiche. Quest'ultime impongono limitazioni delle sfere di libertà connesse alla contingente necessità di contenere, attraverso la previsione di adeguate misure e di sanzioni dissuasive in caso di loro inosservanza, la diffusione dell'epidemia, a sua volta collegata alla salvaguardia della salute individuale e collettiva, dunque alle stesse fondamenta dello Stato di diritto.

Le limitazioni di diritti e libertà fondamentali a cui stiamo assistendo non è infatti immaginabile in situazioni di normalità, ma lo stato di eccezione, nel nostro assetto costituzionale, giustifica deroghe, anche se non indiscriminate, a loro volta connesse alla sopravvivenza dei medesimi valori compressi (in tema, Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, in www.sistemapenale.it).

Appare infatti scontato che contenere la diffusione del Covid-19 richiede di evitare il più possibile i contatti sociali, trasmettendosi il virus, con estrema facilità, da un individuo all'altro: si sono quindi imposte misure che limitano l'esercizio di diritti e libertà fondamentali (libertà personale, libertà di circolazione, libertà di riunione, libertà di iniziativa economica, ecc.).

Come è stato ben detto “così come il diritto del terrorismo o della criminalità organizzata, il diritto del coronavirus è un diritto dell'emergenza, che comprime libertà fondamentali. Ciò significa che anche a fronte dell'epidemia in atto si pone il problema dei confini entro i quali la limitazione, se non la privazione di quelle libertà, può dirsi compatibile con i principi superiori del sistema, previsti dalle costituzioni e dalle carte internazionali sui diritti umani. Non è difficile pronosticare che sarà questo uno dei principali temi di riflessione e di indagine nei prossimi anni, a livello globale, nella comunità dei giuristi, accademici e non” (Gatta, I diritti fondamentali alla prova del coronavirus. Perché è necessaria una legge sulla quarantena, in www.sistemapenale.it).

Sul punto, è stato ancora prontamente rilevato che “una lettura d'insieme delle disposizioni costituzionali e convenzionali relative alla libertà di circolazione (art. 16 Cost. e art. 2 Prot. 4 Cedu) e alla libertà personale (art. 13 Cost. e art. 5 Cedu) – per limitarci a queste libertà fondamentali, fortemente limitate dall'emergenza coronavirus, ma il discorso potrebbe essere esteso ad altre (ad es., alla libertà di riunione ex artt. 17 Cost. e 11 Cedu, o al diritto al rispetto della vita privata o familiare, ex art. 8 Cedu) – consente, anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Strasburgo – di individuare un set di requisiti di compatibilità costituzionale/convenzionale delle misure adottate per contenere la diffusione del COVID-19: previsione per legge, disciplina di presupposti e modalità, ragionevolezza (idoneità rispetto allo scopo), necessità (assenza di alternative che non compromettano quelle libertà, ovvero inefficacia, rispetto allo scopo, di misure che comportano un minor grado di compromissione delle libertà stesse), proporzionalità, temporaneità, possibilità di un ricorso giurisdizionale (artt. 24, co. 1 Cost e art. 13 Cedu) e, quando sia coinvolta la libertà libertà personale, previsione della convalida da parte dell'autorità giudiziaria delle misure adottate in via d'urgenza (art. 13 Cost.)” (Gatta, I diritti fondamentali alla prova del coronavirus. Perché è necessaria una legge sulla quarantena, cit.).

In questo contesto si inserisce il problema principale della base legale della limitazione dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini, segnatamente della libertà di circolazione (art. 16 Cost.) e di iniziativa economica (art. 41 Cost.).

Tali libertà, come detto, possono subire limitazioni, in una situazione eccezionale, e possono soccombere rispetto al superiore interesse alla tutela del bene super-primario della salute pubblica, a condizione che le limitazioni siano previste dalla legge o almeno da un atto avente forza di legge.

Il d.l. n. 6/2020 e l'iniziale applicazione dell'art. 650 c.p.

Così, in un contesto ordinamentale quale quello italiano dove non si rinviene una disciplina legale dell'emergenza, è stato adottato il d.l. n. 6/2020, che ha in un primo momento introdotto misure su base locale (circoscritti alle c.d. zone rosse), per poi legittimare tramite lo stesso decreto-legge i successivi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, a partire da quello del 9 marzo, con cui sono state introdotte limitazioni valide sull'intero territorio nazionale.

L'estensione all'intero territorio nazionale non è stata realizzata in sede di conversione del decreto-legge, come osservato “perché è intervenuta il 5 marzo, prima cioè che il Governo decidesse di estendere, per l'appunto, le misure all'intero paese. Senonché oggi, a me pare, sarebbe necessario “sanare” la situazione con un nuovo decreto-legge, che valga come base legale per le limitazioni, estese su base nazionale” (Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, cit.).

Su queste basi, si era dubitato della natura “in bianco” dell'art. 2 d.l. n. 6/2020, relativamente alla compatibilità con la riserva di legge che la Costituzione prevede quale condizione e garanzia per limitare l'esercizio di libertà fondamentali, come quelle di cui agli artt. 16 e 41 Cost. (Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, cit.). Se infatti “le limitazioni sono individuate dai DPCM che – come quello dell'11 marzo che ha tra l'altro comportato la sospensione di svariate attività commerciali e professionali – non si limitano ad attività di specificazione e quindi ad aspetti attuativi e di dettaglio, la riserva di legge (intesa in senso materiale, sub specie di atto avente forza di legge, nel caso che ci occupa) è sostanzialmente elusa” (Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, cit.).

Le misure limitative introdotte dal d.l. n. 6/2020 e dai successivi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri sono state presidiate con sanzioni penali per l'inosservanza dei correlati divieti. Disponeva infatti l'art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020 che ”salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale.

Il rinvio era quindi alla contravvenzione di “inosservanza dei provvedimenti dell'autorità” (art. 650 c.p.), che presuppone provvedimenti amministrativi “legalmente dati” (per la ricostruzione della fattispecie, cfr. B. Romano, Il reato di inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità al tempo del Coronavirus, in www.ilpenalista.it). In relazione a tale fattispecie, va ricordato che parte della dottrina ha sempre avanzato, con ragioni di tutto rispetto, dubbi sulla legittimità incostituzionale del ricorso a tale tecnica di costruzione della norma penale per violazione del principio di stretta legalità, ma l'orientamento prevalente ritiene ammissibile l'uso della stessa. Ed alla stessa conclusione è pervenuta la Corte costituzionale (Corte cost., 8 luglio 1971, n. 168), che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 650 c.p., sollevata in relazione all'art. 25, comma 2, Cost. Il provvedimento dell'Autorità che integra e specifica il precetto deve tuttavia essere, a sua volta, legalmente adottato e sufficientemente preciso in relazione alla base legale dei suoi presupposti, forme e contenuti. Detto altrimenti, occorre un provvedimento che orienti con sufficiente precisione i destinatari, svolgendo la sua funzione dei motivabilità secondo norme. Non è quindi possibile utilizzare genericamente riferimenti alla violazione di leggi o norme giuridiche ed è irrilevante l'inosservanza di semplici inviti, o consigli, pena la violazione del principio di stretta legalità (B. Romano, Il reato di inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità al tempo del Coronavirus, cit.).

Il provvedimento deve essere formalmente legale, cioè dato, con il rispetto delle formalità eventualmente richieste dalla legge, dall'Autorità competente, e sostanzialmente legale, cioè adottato in esecuzione di una norma giuridica imperativa per l'Autorità e nei limiti del potere discrezionale conferitole (B. Romano, Il reato di inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità al tempo del Coronavirus, cit.). Tale provvedimento, poi, deve poi essere adeguatamente motivato (B. Romano, Il reato di inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità al tempo del Coronavirus, cit.) e deve altresì essere legalmente dato dall'Autorità ”per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene”. Nell'ipotesi del Covid 19 i provvedimenti sono stati presi per ragioni di salute pubblica e sotto tale aspetto i vari provvedimenti emessi dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dai vari Presidenti delle Regioni e da alcuni Sindaci hanno rischiato di generare una certa confusione e imprecisione dei contorni delle condotte vietate (B. Romano, Il reato di inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità al tempo del Coronavirus, cit.). Basti pensare che non si può uscire da casa se non per validi motivi, ma si può uscire da casa per andare al lavoro, per ragioni di salute o situazioni di necessità. E per provare queste esigenze dovrà essere compilata un'autodichiarazione che potrà essere resa anche seduta stante sui moduli in dotazione alle forze di Polizia. In ogni caso bisogna evitare assembramenti e rimanere alla distanza di sicurezza di un metro. È di tutta evidenza che si tratta di prescrizioni inevitabilmente generiche ed elastiche.

Dunque, pur ritenendo ammissibile in astratto la tecnica di incriminazione, sarebbe stato necessario, per fondare la rilevanza penale del fatto, che i provvedimenti successivi da rispettare fossero più chiari e netti (B. Romano, Il reato di inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità al tempo del Coronavirus, cit.), in modo da far comprendere con precisione ai consociati la materia del divieto, vale a dire con chiarezza e nettezza ciò che era lecito fare e ciò che non lo era “proprio come se fosse la stessa legge a fissare i divieti..altrimenti, i sospetti di illegittimità e le zone di ombra applicativa saranno prevalenti e mineranno dalle fondamenta il ricorso a norme quali quella di cui all'art. 650 c.p.(B. Romano, Il reato di inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità al tempo del Coronavirus, cit.).

Evidente è stato invece il senso di smarrimento determinato la produzione normativa multilivello.

È stato anche acutamente osservato che “il giudice penale ben potrebbe dubitare della legittimità dei provvedimenti adottati con DPCM, al di fuori delle originarie zone-rosse (istituite all'epoca del d.l. n. 6/2020) e comunque (come nel caso del DPCM dell'11 marzo) sulla base della clausola in bianco di cui all'art. 2 dello stesso decreto-legge. Il giudice penale potrebbe allora ritenere illegittimo il provvedimento la cui inosservanza si contesta all'imputato e, di conseguenza, disapplicarlo e pronunciare un'assoluzione. Oppure potrebbe sollevare questione di legittimità costituzionale, per violazione, quanto alla libertà di circolazione, dell'art. 16 Cost. o, quanto alla libertà d'impresa, dell'art. 41 Cost. La questione di illegittimità costituzionale potrebbe d'altra parte essere verosimilmente sollevata anche con riferimento all'art. 25, co. 2 Cost., sotto il profilo della violazione della riserva di legge in materia penale (pur se intesa in senso sostanziale) e del vulnus al principio di precisione (o determinatezza)” (Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, cit.).

Va altresì considerato che la contravvenzione di cui all'art. 650 c.p., secondo l'orientamento della giurisprudenza prevalente, sanziona l'inosservanza di provvedimenti individuali e concreti rivolti a persone determinate, e non l'inosservanza di atti normativi generali e astratti, come quelli in rilievo per il contenimento del Covid 19 (Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, cit.).

Non a caso, parte della dottrina (Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, cit.) ha ritenuto che il rinvio all'art. 650 c.p. operasse solo quoad poenam, cioè al fine della individuazione della sanzione (l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino a 206 euro; si trattava pertanto di una contravvenzione) della autonoma fattispecie descritta dal d.l. n. 6/2020, che integrava a stretto rigore una norma penale in bianco (cui non apparirebbe per contro riconducibile l'art. 650 c.p. in cui viene in rilievo un singolo provvedimento amministrativo e non una fonte secondaria generale e astratta) (Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, cit.).

Senza considerare che anche dal punto di vista della prevenzione generale, segnatamente della funzione di orientamento culturale, l'applicazione dell'art. 650 c.p., ovvero della fattispecie autonoma di cui all'art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020, appariva privo di reale capacità dissuasiva, trattandosi di fattispecie contravvenzionale punita con una blanda sanzione pecuniaria (l'ammenda fino a euro 206), suscettibile di estinzione per oblazione, che avrebbe solo intasato e sovraccaricato le Procure italiane, per poi, tra l'altro, dirigersi verso esiti di estinzione per prescrizione. Era quindi possibile avanzare seri dubbi sull'effettività dell'uso di tale fattispecie incriminatrice a tutelare i fondamentali beni da proteggere, connessi alle radici della Costituzione repubblicana costruita intorno alla persona umana, rispetto all'allarmante ed insidioso fenomeno del Covid 19.

Il riassetto normativo operato con il d.l. n. 19/2020

I problemi appena evidenziati sono stati superati con il nuovo d.l. n. 19 del 2020, che ha reso compatibili con la riserva di legge le misure di contenimento. Il decreto si connota per la sua capacità ordinante rispetto alla disciplina normativa dell'emergenza Covid-19 fino ad oggi “stratificata su più livelli regolamentari e talvolta differenziata – su base territoriale – nei presupposti applicativi e nelle scelte sanzionatorie” (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, in www.sistemapenale.it).

Con un atto avente forza di legge è stata fornita, con estensione all'intero territorio nazionale (diversamente da quanto si era fatto, su base locale, con il precedente D.L. n. 6/2020), una base legale alle misure limitative di diritti e libertà ritenute necessarie per fronteggiare l'emergenza; misure che vengono tipizzate e che possono essere adottate dal governo o, in caso di emergenza, dalle regioni, fino al 30 luglio 2020, “secondo principi di proporzionalità e adeguatezza al rischio” di diffusione dell'epidemia (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, in www.sistemapenale.it).

Tale provvedimento viene naturalmente ad abrogare il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, che come osservato in dottrina non rappresentava “una valida base di legittimazione delle misure limitative di libertà e diritti fondamentali dell'individuo, attuate col progressivo susseguirsi di decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e ordinanze regionali” (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

Procedendo con ordine, l'art. 1 individua le Misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19. Si pone un limite temporale alle misure di contenimento, che possono essere adottate “per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020”, e con possibilità di modularne l'applicazione secondo l'andamento epidemiologico del virus (comma 1).

Il comma 2 - lett. da a) sino a hh) – contempla, in maniera puntuale e dettagliata, le singole misure di contenimento, alla cui lettura facciamo rinvio; si tratta di un lungo elenco, che si compone di ventinove prescrizioni, le quali riproducono il contenuto di quelle che, sino ad ora, erano state individuate con atti emanati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri o dalle Regioni (Corbetta, Coronavirus: la trasgressione alle misure di anti-contagio è illecito amministrativo, non più penale, in Il quotidiano giuridico, 27 marzo 2020).

L'art. 2 disciplina l'Attuazione delle misure di contenimento. A seconda dell'ambito territoriale su cui sono destinate ad incidere (l'intero territorio nazionale o singole regioni), le misure indicate dall'art. 1 possono essere adottate con decreto emesso dal Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, sentiti il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze e gli altri ministri competenti per materia, ovvero dai presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero dal Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale.

I decreti possono essere adottati anche su proposta dei presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale, sentiti il Ministro della salute, il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze e gli altri ministri competenti per materia (Corbetta, Coronavirus: la trasgressione alle misure di anti-contagio è illecito amministrativo, non più penale, cit.).

Nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e con efficacia limitata fino a tale momento, si prevede inoltre che, in casi di estrema necessità e urgenza per situazioni sopravvenute, le misure possono essere adottate dal Ministro della salute ai sensi dell'art. 32 l. 23 dicembre 1978, n. 833.

Vengono fatti espressamente salvi gli effetti prodotti e gli atti adottati sulla base dei decreti e delle ordinanze emanati ai sensi del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, ovvero ai sensi dell'art. 32 l. 23 dicembre 1978, n. 833 (Corbetta, Coronavirus: la trasgressione alle misure di anti-contagio è illecito amministrativo, non più penale, cit.).

L'art. 3 disciplina le Misure urgenti di carattere regionale o infraregionale. Nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e con efficacia limitata fino a tale momento, si prevede che “le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso”, possano “introdurre misure ulteriormente restrittive, tra quelle di cui all'articolo 1, comma 2, esclusivamente nell'ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale”. Da segnalare che, per espressa previsione normativa, i Sindaci “non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l'emergenza in contrasto con le misure statali, né eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1” (comma 2).

La ratio di tali disposizioni è chiara va individuata nell'esigenza di indicare misure di contenimento che siano omogenee per tutto il territorio nazionale (Corbetta, Coronavirus: la trasgressione alle misure di anti-contagio è illecito amministrativo, non più penale, cit.).

In breve, rispetto alle misure di contenimento del virus, si è provveduto a (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.):

  1. estenderle all'intero territorio nazionale (art. 1, co. 1);
  2. prevederne una casistica tassativa (ben 29 ipotesi, elencate all'art.1, co. 2). Viene così evitato un vulnus al principio della riserva di legge che la Costituzione prevede quale condizione e garanzia per limitare l'esercizio di libertà fondamentali, come quelle di cui agli artt. 16 (libertà di circolazione) e 41 (libertà di iniziativa economica) della Costituzione;
  3. limitarle entro tempi predefiniti, graduandole in relazione all'adeguatezza specifica e alla proporzionalità del rischio (valutate sulla base dell'andamento epidemiologico del virus), previa consultazione, “di norma”, di apposito comitato tecnico scientifico (art. 2, co. 1);
  4. ribadire, ai fini della loro adozione, la centralità della competenza statale, da un lato relegando a casi eccezionali (specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario) e temporalmente limitati la possibilità per le Regioni di disporle in via d'urgenza (art. 3, co. 1); dall'altro, vietando espressamente l'adozione da parte dei Sindaci di ordinanze contingibili e urgenti in contrasto con le misure statali o al di fuori di proprie competenze (art. 3, co. 2).

È stata così ricomposta la frattura con il canone della riserva di legge, messo in forte crisi “dal sovrapporsi labirintico di fonti eterogenee registratosi nella prima fase di gestione dell'emergenza. In quest'ottica, oltremodo significativa appare la previsione di una finestra di dialogo obbligato, ogni quindici giorni, tra il Governo (rappresentato dal Presidente del Consiglio o da un Ministro a ciò espressamente delegato) e il Parlamento; organo, quest'ultimo, istituzionalmente deputato alla salvaguardia della legalità e della democraticità delle scelte compiute in un ambito così delicato (art. 2, co. 5)” (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

Il susseguirsi di provvedimenti normativi lascia sul tappeto il tema della rilevanza della non punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis c.p., ovvero di una scusante del tutto compatibile con le casistiche prospettate nella celebre sentenza della Corte costituzionale n. 364/1988.

I profili sanzionatori. Gli illeciti amministrativi del d.l. n. 19/2020

In relazione al versante punitivo, l'art. 4 disciplina la violazioni di obblighi e prescrizioni volti a contenere il contagio in atto, nell'ottica dei principi penalistici di sussidiarietà, proporzionalità/extrema ratio, oltre che dalla “valorizzazione della scalarità dell'offesa” (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

La prima forma di intervento sanzionatorio è rappresentato dall'illecito amministrativo di cui all'art. 4, co. 1, nel quale si prevede che “salvo che il fatto costituisca reato” il mancato rispetto delle misure di contenimento è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 400,00 a 3.000,00 euro e “non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall'articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all'articolo 3, comma 3”. L'ultimo periodo del comma 1 stabilisce, poi, che se il mancato rispetto delle misure avviene mediante l'utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo.

La clausola di apertura ”salvo che il fatto costituisca reato” rende inapplicabile la disciplina generale di cui all'art. 9 l. n. 689/1981, secondo cui quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale. Il nuovo illecito amministrativo, pertanto, non sarà applicabile quando il fatto sanzionato – cioè l'inosservanza delle misure di contenimento – integri un reato (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.): è il caso della “nuova contravvenzione prevista dall'art. 4, co. 6, del decreto-legge, come si dirà subito, per l'inosservanza della quarantena da parte di chi sia risultato positivo al virus. L'illecito amministrativo potrà invece concorrere con i reati configurabili a fronte della commissione di fatti diversi connessi all'inosservanza delle misure di contenimento (ad es., le lesioni colpose, l'omicidio colposo, l'epidemia colposa, ovvero, nei limiti in cui siano configurabili, i reati di falso)” (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.).

In base alle regole generali di cui all'art. 3, co. 1, l. n. 689/1981, l'illecito amministrativo può essere realizzato sia con dolo sia con colpa. Il rimprovero dell'agente presuppone la conoscenza/ conoscibilità della misura inosservata, vale a dire del provvedimento che la dispone; di conseguenza, l'errore incolpevole sul fatto esclude la responsabilità (art. 3, co. 2 l. n. 689/1981) (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.). La responsabilità è altresì esclusa, ai sensi dell'art. 4 l. n. 689/1981, quando “il fatto sia commesso per stato di necessità (ad es., per acquistare un farmaco o per soccorrere una persona in pericolo, se non esistono alternative alla violazione della misura disposta dall'autorità)” (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.). Ai sensi dell'art. 4 l. n. 689/1981, potranno venire in rilievo, quali cause di giustificazione del fatto, la legittima difesa, l'adempimento di un dovere e l'esercizio di una facoltà legittima: purché “doveri e facoltà siano invocabili nonostante le misure limitative adottate sulla base del decreto-legge in esame; sempre che, in altri termini, quelle misure non limitino anche e proprio i doveri e le facoltà che diversamente potrebbero venire in rilievo come cause di giustificazione” (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.). È configurabile, ai sensi dell'art. 5 della l. n. 689/1981, il concorso di persone nell'illecito amministrativo, con “la conseguenza che ciascuno dei concorrenti sarà sottoposto alla relativa sanzione” (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.).

L'efficacia deterrente è poi rafforzata attraverso la previsione di una serie di sanzioni accessorie nei riguardi di soggetti qualificati esercenti attività commerciali, di impresa o professionali (co. 2 e 4) e di un aggravamento (raddoppio) della sanzione amministrativa e accessoria in caso “di reiterata violazione della medesima disposizione”.

Per la violazione delle misure relative ad attività commerciali, professionali e d'impresa, è inoltre prevista la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività da 5 a 30 giorni. In caso di reiterazione dell'illecito (una sorta di ‘recidiva' specifica), la sanzione amministrativa accessoria è applicata nella misura massima (30 giorni), cioè in misura fissa.

Si tratta di previsione “di sospetta legittimità costituzionale alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittime le pene accessorie fisse già previste per la bancarotta fraudolenta (Corte cost. sent. n. 222/2018); ciò qualora si riconoscesse il carattere punitivo (sostanzialmente penale) della misura” (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.).

La misura può essere peraltro applicata in via cautelare, nell'immediatezza del fatto(Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.).

All'atto dell'accertamento della violazione, “ove necessario per impedire la prosecuzione o la reiterazione della violazione, l'autorità procedente può disporre la chiusura provvisoria dell'attività o dell'esercizio per una durata non superiore a 5 giorni. Il periodo di chiusura provvisoria è scomputato dalla corrispondente sanzione accessoria definitivamente irrogata, in sede di sua esecuzione” (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.).

La competenza ad irrogare le sanzioni per le violazioni delle misure di cui all'art. 2, co. 1, disposte con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, viene attribuita al prefetto; quella ad irrogare le sanzioni per le misure disposte ai sensi dell'art. 3 dalle regioni viene invece attribuita alle regioni.

L'art. 4, co. 3 prevede pagamento della sanzione amministrativa in misura ridotta, rinviando alla disciplina prevista dal codice della strada nell'art. 202, co. 1, 2 e 2.1. Ferme restando le eventuali sanzioni amministrative accessorie, entro 60 giorni dalla contestazione o dalla notificazione è possibile pagare la sanzione pecuniaria nell'ammontare minimo di 400 euro; se il pagamento avviene entro 5 giorni, la misura della sanzione è ridotta del 30%: ammonterà pertanto a 280 euro.

Il comma 8 reca una disciplina transitoria che rende applicabili le nuove sanzioni ammnistrative ai fatti commessi sotto il vigore della precedente disciplina (che sanzionava la violazione delle prescrizioni ai sensi dell'art. 650 c.p.).

Ed invero, in assenza di detta disposizione, i “fatti pregressi” non sarebbero stati punibili né in via penale (art. 2 c.p.), né in via amministrativa (art. 1, legge n. 689 del 1981) (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

Rispetto a tale previsione sanzionatoria amministrativa parte della dottrina ha sollevato talune perplessità (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

È stato rilevato che è “del tutto inedito che il legislatore da un lato inserisca la clausola di riserva a favore dell'illecito penale (che ha lo scopo di evitare che prevalga l'illecito amministrativo, a norma del criterio di specialità di cui all'art. 9 della legge n. 689 del 1981) e, contestualmente, stabilisca che non si applichino gli illeciti penali che potrebbero in astratto configurarsi” (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

L'espressione “non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall'articolo 650 del codice penale” può poi apparire “inusuale ed ambigua: presa alla lettera, sembra voler escludere le sole sanzioni e non anche il reato” (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

Ragionevole è l'opinione di chi ritiene che “con tale espressione il legislatore abbia voluto assicurarsi di evitare l'applicazione dell'art. 650 c.p. (fattispecie contravvenzionale che fino all'entrata in vigore dell'ultimo decreto-legge sanzionava la violazione delle prescrizioni adottate per il contenimento dell'epidemia) e di impedire l'operatività di qualsivoglia fattispecie incriminatrice che operi un rinvio quoad poenam allo stesso art. 650 c.p.” (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

La formulazione della disposizione sembrerebbe peraltro escludere altresì il concorso con altre sanzioni amministrative previste da leggi attributive di poteri per ragioni di sanità, tanto ad enti statali quanto a enti locali, comprese le ragioni.

Sul versante della determinatezza perplessità suscita l'ulteriore espressione “da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all'articolo 3, comma 3”, anch'essa evidentemente funzionale a distinguere il rilievo amministrativo da quello penale delle condotte, potendo ingenerare difformità interpretative e applicative da parte delle autorità amministrative e degli uffici giudiziari.

Con riferimento alla circostanza aggravante dell'utilizzo di un veicolo, la norma collega la sua configurabilità al mero utilizzo dello stesso veicolo, senza distinguere in ordine alla funzionalizzazione dell'uso del mezzo al mancato rispetto delle misure di contenimento.

(Segue). Le condotte penalmente rilevanti del d.l. n. 19/2020

Al secondo livello della scala disvaloriale, il legislatore ha introdotto, all'art. 4, co. 6, una fattispecie contravvenzionale di reato che punisce la violazione del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione per coloro che siano sottoposti alla misura della quarantena perché risultati positivi al virus, con un rinvio quoad poenam all'art. 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, la cui pena è stata opportunamente innalzata al comma 7, rendendola maggiormente in linea con la gravità del fatto (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

È di tutta evidenza la diversa gravità di tale inosservanza rispetto a quella riguardante la quarantena precauzionale (di cui all'art. 2, co. 1, lett. d) e rispetto ad ogni altra prescrizione imposta ai sensi dell'art. 1, co. 2; prescrizioni tutte volte a contenere, in via cautelativa, un generico e indeterminato pericolo di contagio (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

In particolare, l'art. 4, comma 6, d.l. n. 19/2020 introduce il reato di violazione della quarantena obbligatoria per le persone positive al virus (la misura è disciplinata dall'art. 2, co. 1 lett. e) del decreto-legge), punito ai sensi “dell'articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, Testo unico delle leggi sanitarie”, il quale dispone “Chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l'invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell'uomo è punito con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda da lire duecento a quattromila”. Non integra invece il reato in esame – bensì l'illecito amministrativo di cui si è detto – l'inosservanza della ”quarantena precauzionale” prevista quale misura limitativa dall'art. 2, co.1, lett. d) del decreto-legge per i soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che sono rientrati dall'estero.

L'art. 4, comma 7, d.l. n. 19/2020 inasprisce però il trattamento sanzionatorio previsto per il reato di cui all'art. 260 R.D. n. 1265/1934, statuendo “l'arresto da 3 mesi a 18 mesi e l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000”.

Si tratta di reato di pericolo astratto, che non pone dubbi sotto il profilo della meritevolezza di tutela dell'interesse e della ragionevolezza della previsione incriminatrice: il pericolo si fonda su una presunzione ragionevole perché sorretta da evidenze scientifiche ben note, quando si tratta dell'allontanamento dal luogo di isolamento di persona positiva al virus. Non dovrà pertanto essere accertato dal giudice il concreto pericolo causato da quella persona allontanandosi dall'abitazione. Ciò non toglie naturalmente che dovrà essere accertata a legittimità del provvedimento che dispone la misura (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.).

L'art. 32 Cost. tutela infatti la salute non solo come fondamentale diritto dell'individuo, ma anche come «interesse della collettività» (ovviamente anche in chiave di tutela dell'interesse di tutti gli individui che compongono la comunità). Di qui il rilievo costituzionale dell'interesse protetto con l'incriminazione (A. Natale, Il decretolegge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, in www.questionegiustizia.it).

La condotta illecita che si intende sanzionare è chiaramente descritta: è responsabile del reato chi – essendo risultato positivo al virus – ”viola la quarantena” (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

Presupposti della condotta sono (A. Natale, Il decretolegge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.): 1) l'essere risultato positivo al virus; 2) l'essere destinatario di un divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena.

Non rilevano, pertanto, come presupposto del reato, gli stati di quarantena “precauzionale” eventualmente disposti nei confronti di taluno (art. 1, comma 2, lett. d) del dl n. 19 del 2020). La violazione della quarantena precauzionale radicherà l'illecito amministrativo e non quello penale (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

Dalla natura di contravvenzione, deriva che:

  1. non è ipotizzabile il tentativo;
  2. non può essere contestata la recidiva;
  3. non possono essere applicate misure cautelari personali;
  4. non è consentito l'arresto in flagranza.

L'escalation punitiva per condotte connotate da un accentuato grado di pericolosità è sicuramente apprezzabile.

Ciononostante, parte della dottrina ha evidenziato delle criticità della tecnica redazionale (A.R. Castaldo- F. Coppola, Coronavirus: le disposizioni dell'art. 4 del DL n. 19/2020 tra uniformità e semplificazione, in Il quotidiano giuridico, 30 marzo 2020). Si osserva infatti che, anziché costruire un reato contravvenzionale caratterizzato, secondo gli insegnamenti classici, da precetto e sanzione, l'art. 4, comma 6 D. L. n. 19/2020 effettua “un ‘curioso' rimando quod poenam all'art. 260, R. D. n. 1265/1934, salvo poi modificarne la cornice edittale nel comma successivo” (A.R. Castaldo- F. Coppola, Coronavirus: le disposizioni dell'art. 4 del DL n. 19/2020 tra uniformità e semplificazione, cit.).

Sarebbe stato forse preferibile la creazione di una fattispecie dal seguente tenore: “Salvo che il fatto costituisca violazione dell'articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, chiunque violi il divieto assoluto di allontanamento dalla propria abitazione o dimora per le persone fisiche sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus è punito con l'arresto da 3 mesi a 18 mesi e l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000” (A.R. Castaldo- F. Coppola, Coronavirus: le disposizioni dell'art. 4 del DL n. 19/2020 tra uniformità e semplificazione, cit.).

La clausola di riserva sembrerebbe poi confinata ad ipotesi estreme di spread-virus, ovvero “quando alla consapevole violazione della quarantena segua l'evento tipico delle lesioni o dell'omicidio volontario, anche a titolo di dolo eventuale, o ancora nei casi in cui nella condotta del singolo che innesti la catena di contagio si rinvenga la peculiare nota modale prevista per i reati di epidemia dolosa e colposa (artt. 438 e 452 c.p.) data dall'inciso “mediante la diffusione di germi patogeni”, sulla cui riconducibilità al caso di specie si mantengono forti riserve” (A.R. Castaldo- F. Coppola, Coronavirus: le disposizioni dell'art. 4 del DL n. 19/2020 tra uniformità e semplificazione, cit.).

Autorevole dottrina (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.) ha poi posto evidenziato un profilo problematico in relazione al fatto che i casi e le forme di adozione del “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione” in conseguenza della misura della “quarantena” - provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto del reato – non risulterebbero sorrette da una adeguata base legale, ponendosi un problema di conformità al dettato costituzionale.

Sennonchè, in ordine alla astratta legittimità di possibili previsioni di legge che autorizzino o impongano la misura c.d. della quarantena non sembrano potersi porre dubbi significativi (Per una accurata ricostruzione normativa, cfr. A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.). Si tratta di misure che “trovano ancoraggio costituzionale nel già richiamato dettato dell'art. 32 Cost. che tutela la salute come interesse della collettività (in chiave di tutela mediata della salute individuale di ciascun consociato); si tratta di sacrifici imposti ai consociati che – ove giustificati, proporzionati e temporalmente circoscritti – costituiscono per chi vi è sottoposto l'adempimento dei doveri di solidarietà cristallizzati dall'art. 2 Cost” (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

Non può tuttavia dubitarsi che per essere conformi al dettato costituzionale, devono essere chiari ed intellegibili presupposti, modi di esecuzione, forme di adozione e autorità competente all'adozione del provvedimento.

Sul punto, il decreto-legge n. 19 del 2020non affronta – e, anzi, dà per presupposti – una serie di problemi” (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.): chi sia titolato ad adottare il provvedimento di c.d. quarantena; quali le forme di adozione del provvedimento; quali le garanzie che assistono chi ne sia colpito (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

Tali problemi non sono nemmeno risolti esplicitamente dai decreti-legge emessi a seguito dell'emergenza coronavirus prima di quello attuale (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.). L'art. 1 del dl n. 6 del 2020 disponeva che “le autorità competenti, con le modalità previste dall'articolo 3, commi 1 e 2” fossero tenute ad adottare provvedimenti per consentire l'”applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva agli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva”. Non era però esplicitamente chiarito chi fossero le autorità competenti ad adottare il provvedimento (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

L'ordinanza del Ministero della salute del 21 febbraio 2020 indica l'autorità deputata alla applicazione della misura della quarantena c.d. precauzionale; l'art. 1 dell'ordinanza citata dispone infatti che “è fatto obbligo alle Autorità sanitarie territorialmente competenti di applicare la misura della quarantena con sorveglianza attiva, per giorni quattordici, agli individui che abbiano avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva COVID-19” (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

Tale ordinanza ha efficacia per novanta giorni a decorrere dal 21 febbraio 2020.

A chiarimento ed integrazione del decreto ministeriale è stata poi emanata la circolare n.. 5443 del Ministero della salute che attribuisce agli operatori della sanità pubblica il potere di disporre la “quarantena domiciliare con sorveglianza attiva per 14 giorni” del positivo al virus (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

La circolare è anche richiamata dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 marzo 2020 che, all'art. 2, disciplina i casi nei quali scatta “la sorveglianza sanitaria” e in cui la persona è sottoposta ad isolamento sanitario, ovvero fiduciario (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

L'art. 2, comma 4, Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 marzo 2020 prevede che l'operatore di sanità pubblica “allo scopo di massimizzare l'efficacia della procedura sanitaria” deve “informare sul significato, le modalità e le finalità dell'isolamento domiciliare al fine di assicurare la massima adesione e l'applicazione delle seguenti misure: (a) mantenimento dello stato di isolamento per quattordici giorni dall'ultima esposizione; (b) divieto di contatti sociali; (c) divieto di spostamenti e viaggi; (d) obbligo di rimanere raggiungibile per le attività di sorveglianza” (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

Si osserva cosi acutamente che la base legale per “adottare il divieto di allontanamento da casa e la misura della quarantena non può evidentemente essere rappresentata da un Dpcm, né da una semplice ordinanza ministeriale o – peggio – da una circolare del Ministero della salute, essendo necessaria una base legale di rango primario” (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

Si osserva tuttavia che la base legale di rango primario che individua “l'autorità titolata a disporre la misura della quarantena può comunque essere individuata all'esito dell'esame di un articolato reticolo normativo” (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.). Sotto tale aspetto, l'art. 254 R.D. n. 1265/1934 (testo unico leggi sanitarie) prevede che “il sanitario che, nell'esercizio della sua professione, sia venuto a conoscenza di un caso di malattia infettiva e diffusiva o sospetta di esserlo, pericolosa per la salute pubblica, deve immediatamente farne denunzia al podestà, e all'ufficiale sanitario comunale e coadiuvarli, se occorra, nella esecuzione delle disposizioni emanate per impedire la diffusione delle malattie stesse e nelle cautele igieniche necessarie”. Il successivo articolo 255 prevede che “quando la gravità del caso lo esiga, il prefetto, sentito il medico provinciale, può (…) disporre gli altri provvedimenti necessari per assicurare la cura dei malati ed evitare la diffusione della malattia, informandone sollecitamente il Ministro per l'interno”.

Attenta dottrina (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.), argomentando sulla parificazione– alla luce dell'art. 2 R.D. n. 1265/1934 – tra il podestà e l'autorità sanitaria comunale, ha concluso che “alla luce di quanto prevede oggi la legge n. 833 del 1978 all'art. 13, comma 2 – l'autorità sanitaria comunale è da individuare nel Sindaco” (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

Sulla scorta del tessuto normativo, è stato cosi affermato che fonti di rango primario (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.): 1) individuano l'autorità deputata all'adozione della misura della quarantena (l'autorità sanitaria locale, in forza di quanto previsto dall'art. 254 R.D. n. 1265/1934, in combinato disposto con l'art. 13, comma 2, legge n. 833 del 1978, come peraltro chiarito dall'ordinanza del Ministero della salute del 21 febbraio 2020); 2) i casi in cui la misura della quarantena può essere disposta dall'autorità sanitaria locale; l'art. 1, comma 2, lettere d) ed e), del decreto legge n. 19 del 2020 prevede in quali casi l'autorità sanitaria locale possa adottare – quali misure di contenimento – la misura della c.d. quarantena: per ciò che rileva sotto il profilo penale – quale presupposto del reato previsto dall'art. 4, comma 6, dl n. 19 del 2020 può essere disposto il «divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus». Per il vero, sarebbe opportuno indicare altresì la durata della quarantena con una fonte di rango primario (essendo essa, ad oggi, considerata solo dal decreto del Ministero della Salute) (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

Ora, l'art. 1, comma 2, lett.e) dl n. 19 del 2020 fa riferimento al divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora durante la quarantena.

Una simile previsione “non comprime solo il diritto alla libera circolazione delle persone (ricadente nell'orbita dell'art. 16 Cost., che ammette limitazioni al suo esercizio solo ove esse siano stabilite dalla legge «in via generale, per motivi di sanità o sicurezza»); la misura in discorso – con il divieto assoluto di allontanarsi dall'abitazione – incide, non solo sulla libertà di circolazione, ma anche – e in modo netto – sulla libertà personale” (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.). Così: 1) il contenuto della misura della quarantena è – nella sua dimensione materiale – paragonabile in tutto e per tutto a situazioni di privazione della libertà personale come la detenzione domiciliare o gli arresti domiciliari; 2) la limitazione della libertà personale in questo caso ha una base legale, ma è adottata dall'autorità amministrativa in forza di un provvedimento che deve necessariamente avere natura individuale (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

Se così è – si osserva acutamente - “il dato problematico – sotto il profilo della legittimità costituzionale – è rappresentato dal fatto che le misure privative della libertà personale sono sottoposte non solo alla riserva di legge, ma anche a quella di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost.. E, nel caso del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora durante la quarantena, il passaggio giurisdizionale è platealmente pretermesso” (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

Questo argomento pone un problema sulla complessiva efficacia del meccanismo sanzionatorio predisposto a tutela della misura di contenimento della quarantena obbligatoria (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.): in primo luogo, ove la misura della quarantena non sia disposta dall'autorità sanitaria locale con un provvedimento avente portata individuale, verrebbe meno la legittimità dell'atto amministrativo che è presupposto del reato. In secondo luogo, la mancata previsione del controllo dell'autorità giudiziaria sui provvedimenti impositivi della quarantena comporta problemi di compatibilità tra l'attuale fisionomia della misura con il dettato costituzionale (e segnatamente con l'art. 13 Cost. quantomeno sotto il profilo della violazione della riserva di giurisdizione); se così si ritenesse, potrebbe risultare travolto il progetto di incriminazione coltivato dal legislatore; infatti, se si arrivasse ad una simile conclusione interpretativa, la misura amministrativa presupposto del reato (il divieto di allontanamento da casa, connesso alla quarantena) si porrebbe in contrasto diretto con una regola costituzionale chiara e precisa (la riserva di giurisdizione scolpita dall'art. 13 Cost.), con la conseguenza che si potrebbe – a seconda delle diverse sistemazioni teoriche che si prediligono – alternativamente disapplicare l'atto amministrativo illegittimo (perché atto amministrativo ce si pone in diretto contrasto con un precetto costituzionale chiaro e preciso), ovvero, sollevare questione di legittimità costituzionale sulla disciplina prodromica all'adozione del provvedimento amministrativo illegittimo (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

Così, al fine di evitare dubbi sul carattere legittimo del provvedimento la cui inosservanza dà luogo al nuovo reato (con la conseguenza che quel provvedimento, se ritenuto illegittimo, potrebbe essere disapplicato dal giudice penale), sarebbe necessario che in sede di conversione del decreto-legge fosse approntata una apposita disciplina relativa alla più importante misura di contenimento dell'epidemia da coronavirus (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.).

La fattispecie incriminatrice in esame fa salva espressamente l'applicabilità del delitto di epidemia colposa di cui all'art. 452 c.p. o di altro più grave reato (ad esempio, la forma dolosa di cui all'art. 438 c.p., anche a titolo di tentativo, o i reati di omicidio o lesioni nel caso in cui il contagio riguardi una sola persona e sia escluso il pericolo di ulteriore diffusione), con ciò mostrando di voler opportunamente diversificare il peso dell'inosservanza del divieto di allontanamento in relazione alle possibili conseguenze in termini di pericolo per la salute pubblica. Rispetto al delitto di epidemia, in particolare, la contravvenzione si pone in un rapporto di gravità progressiva, sotto il profilo dell'entità del pericolo per la salute pubblica. L'epidemia colposa (punita con la reclusione da 1 a 5 anni) sarà configurabile, in luogo della contravvenzione in esame, se e quando si accerti che la condotta dell'agente ha cagionato il contagio di una o più persone e la possibilità di una ulteriore propagazione della malattia rispetto a un numero indeterminato di persone (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.). Il confine tra le fattispecie andrà calibrato sullo specifico contesto spazio-temporale in cui si realizza la condotta inosservante: l'epidemia, come è noto, oltre al contagio di una o più persone, richiede un reale pericolo di diffusione della malattia, esponendo a pericolo in un unico contesto la salute di un elevato numero di persone. Diversamente, affinché ricorra l'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 260 (di cui all'art. 4, co. 6), non dovrà sussistere alcun pericolo di contagio a seguito dell'allontanamento del soggetto dalla propria abitazione (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

(Segue). La ragionevolezza dell'impianto sanzionatorio

Il complessivo impianto sanzionatorio, attraverso la precisa segmentazione dello stadio di pericolosità della condotta mira ad attualizzare il sistema repressivo sul piano delle scelte politico-criminali, affidandosi a vari livelli di offensività; ciò corrisponde a pieno a un'esigenza di equilibrio sanzionatorio, modellando “la responsabilità penale in rapporto al diverso disvalore del fatto, e a evitare il rischio di stravolgere, in nome dell'emergenza, tradizionali schemi di imputazione e consolidate categorie dogmatiche” (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

È stato altresì valorizzato il principio di sussidiarietà, che impone il ricorso allo strumento penale solo se altri strumenti di tutela si rivelano inefficaci, affidando così la risposta sanzionatoria a sanzioni amministrative. Senza considerare che le nuove sanzioni appaiono maggiormente dissuasive rispetto a quella penale di cui all'art. 650, perché incidono sul patrimonio del trasgressore in maniera non trascurabile e, soprattutto, in tempi rapidi, essendo peraltro corredate da un corredo punitivo molto più ampio.

(Segue). I problemi di diritto intertemporale

L'abrogazione della contravvenzione di cui all'art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020 ha posto il problema della sorte da riservare ai fatti antecedentemente commessi. Naturalmente, la ratio dell'intervento legislativo è quella di non aggravare il carico giudiziario portandolo al collasso, alimentando il noto fenomeno ipertrofico del diritto penale.

La depenalizzazione dovrebbe così determinare l'applicazione dell'art.2, co. 2 c.p. la perdita di rilevanza penale (abolitio criminis) delle classi di fatti riconducibili al nuovo illecito amministrativo.

Si è tuttavia al cospetto di un'impropria depenalizzazione, perché non si è trasformata una contravvenzione in illecito amministrativo, ma si è abolito un reato e si sono introdotte, in sostituzione, un illecito amministrativo e un reato configurati in modo diverso rispetto alla contravvenzione.

L'obiettivo di evitare vuoti di tutela è perseguito mediante la norma transitoria, contenuta nell'art. 4, co. 8, che rende applicabili retroattivamente le nuove sanzioni amministrative.

Il testo è il seguente: “le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507”.

Sul punto la dottrina ha rilevato che “l'improprio riferimento alle disposizioni “che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative” – improprio perché nessuna formale sostituzione vi è stata – è al nuovo illecito amministrativo, che potrà essere pertanto contestato ai 100.000 denunciati ai sensi dell'art. 650 c.p. (rectius, art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020). Il richiamo degli artt. 101 e 102 della legge di depenalizzazione del 1999 è operato ai fini della disciplina della trasmissione degli atti all'autorità amministrativa competente, da parte dell'autorità giudiziaria. In assenza di questa disciplina transitoria, si noti, il principio di irretroattività, operante anche per gli illeciti amministrativi punitivi, avrebbe impedito l'applicazione delle sanzioni del nuovo illecito amministrativo ai fatti commessi prima della sua introduzione. Ciò deve ritenersi pacifico, non solo per quanto disposto dall'art. 1 della l. n. 689/1981, ma ancor più per quanto affermato dalla Corte costituzionale (sent. nn. 196/2010 e 223/2018), che ha esteso la garanzia costituzionale del principio di irretroattività, di cui all'art. 25, co. 2 Cost. e all'art. 117, co. 1 Cost., in rapporto all'art. 7 Cedu, alle disposizioni che introducono (o inaspriscono) sanzioni amministrative di carattere afflittivo-punitivo, come quella in esame. Per evitare un'analoga censura, in occasione dell'intervento di depenalizzazione del 2016 (d.lgs. n. 8/2016, art. 8, co. 3) – che pure aveva previsto l'applicabilità retroattiva delle sanzioni amministrative introdotte al posto di quelle penali – era stata introdotta una regola che impediva l'irrogazione retroattiva di una sanzione amministrativa pecuniaria “per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all'art. 135 c.p.”. Il d.l. n. 19/2020 pare ispirato a una analoga preoccupazione, prevedendo che la sanzioni applicate retroattivamente siano irrogate nella misura minima, ridotta della metà. Ciò significa che i fatti pregressi saranno sanzionati con 200 euro di sanzione amministrativa pecuniaria” (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.).

Si conclude così che “la disciplina dell'art. 4, co. 8 d.l. n. 19/2020 è compatibile con il principio di irretroattività di cui all'art. 25, co. 2 Cost. se e nella misura in cui non comporti una punizione dell'agente più severa di quella al quale lo stesso avrebbe potuto andare incontro sulla base della legge vigente al tempo del fatto, e che era da lui prevedibile e calcolabile in quel momento (è questa, come si è detto, la logica alla base della norma transitoria del 2016, che il legislatore avrebbe potuto opportunamente richiamare). Ciò può a nostro avviso dirsi in relazione alla sanzione amministrativa pecuniaria, non superiore (anche se di una manciata di euro) al massimo dell'ammenda prevista per l'art. 650 c.p., alternativamente all'arresto. Il rinvio all'art. 102 del d.lgs. n. 507/1999 comporta peraltro la previsione del pagamento in misura ridotta, entro i primi 60 giorni dalla notifica della contestazione, e la possibilità di ridurre ulteriormente l'importo della sanzione. Non senza peraltro prospettabili difficoltà operative, considerato che l'art. 16 l. n. 689/1981, a sua volta richiamato, dalla disciplina del 1999, commisura le riduzioni ai limiti edittali delle sanzioni amministrative – riduzione di un terzo del minimo e del doppio del massimo – mentre nel caso di specie è comminata, per le sanzioni retroattivamente applicabili, come si è detto, una sanzione fissa di 200 euro: un ulteriore profilo, quest'ultimo, di dubbia legittimità, in rapporto ai principi di uguaglianza e di proporzione (la medesima sanzione è comminata per violazioni di differente gravità)” (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.).

Sempre il medesimo autorevole orientamento dottrinale rileva che i dubbi di legittimità costituzionale della disciplina transitoria di cui all'art. 4, co. 8 d.l. n. 19/2020sembrano invece diventare certezze – e la violazione dell'art. 25, co. 2 Cost. pare evidente – in rapporto alla sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività (commerciale, imprenditoriale, ecc.), la cui applicazione retroattiva sembrerebbe consentita dal generico riferimento alle “sanzioni”, contenuto nella disposizione transitoria. Senonché un'interpretazione conforme a Costituzione esclude senz'altro una simile evenienza e deve indurre l'autorità amministrativa a non irrogare la predetta sanzione accessoria in relazione ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 19/2020” (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.; contra D. Piva, Il diritto penale ai tempi del coronavirus: troppo su inosservanza e poco su carcere, in www.archiviopenale.it).

Nella prospettiva del diritto intertemporale, va anche considerato il carattere emergenziale della disciplina penale introdotta dal d.l. n. 19/2020. La disciplina dell'art. 4, relativamente ai fatti di rilevanza penale, all'inasprimento delle pene per la contravvenzione di cui all'art. 260 r.d. n. 1265/1934 e al nuovo illecito amministrativo, non ha carattere temporaneo (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.). Il termine del 30 luglio 2020, contenuto nell'art. 1, co. 1, “non è quello di vigenza delle disposizioni, men che meno penali, del decreto-legge; è il termine dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, entro il quale possono essere adottate le misure di contenimento dell'epidemia, la cui inosservanza integra gli illeciti, penali e amministrativo, configurati dall'art. 4. Ciò significa che dopo quel termine gli illeciti non potranno più essere commessi, mancando il presupposto per la loro integrazione, ma non significa che cesserà di essere in vigore la disciplina oggi introdotta per far fronte all'emergenza. E se anche un domani dovesse intervenire un'abrogazione della disciplina penale di nuovo conio, le norme incriminatrici, introdotte con una legge penale eccezionale ai sensi dell'art. 2, co. 5 c.p. (un caso di scuola), sarebbero ultrattive” (Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell'emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, cit.).

La penale rilevanza del falso in autocertificazione

Nella complessiva attività di contenimento della diffusione del Covid 19, viene prescritto di non uscire da casa se non per validi motivi, ma si può uscire per andare al lavoro, per ragioni di salute o situazioni di necessità. E per provare queste esigenze deve essere compilata un'autodichiarazione ai sensi degli artt. 46 e 47 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 che può essere resa anche seduta stante sui moduli in dotazione alle forze di Polizia.

La veridicità delle autodichiarazioni può essere verificata ex post.

Si rileva altresì il continuo aggiornamento del modello di ”autodichiarazione” che viene pubblicato online dal Ministero dell'Interno, con cui ciascuno è chiamato a dichiarare: le proprie generalità (tra cui, la propria utenza telefonica); di essere consapevole delle conseguenze penali previste in caso di dichiarazioni mendaci a pubblico ufficiale (art. 495 c.p.); di non essere sottoposto alla misura della quarantena; di non essere risultato positivo al virus Covid-19; di essersi spostato dal luogo A con destinazione B; di essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio adottate con d.l. 25 marzo 2020, n. 19; di essere a conoscenza delle limitazioni ulteriori adottate dal Presidente della propria Regione di appartenenza; di essere a conoscenza delle sanzioni previste dall'art. 4 del d.l. 25 marzo 2020, n. 19.

Qualora nell'autocertificazione – attestante che lo spostamento avviene per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, motivi di salute o, infine, rientro nel proprio domicilio, abitazione o residenza – si dichiari il falso, potrebbe risultare integrato il reato di cui all'art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) che punisce, con la pena fino a due anni di reclusione, la falsa attestazione a un pubblico ufficiale dei fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità (sul tema V. Nizza-D. Nizza, Emergenza sanitaria: le autodichiarazioni e i reati di falso, in www.ilpenalista.it, 3 aprile 2020).

Proprio tale ultimo requisito pone tuttavia un problema di configurabilità della fattispecie, tenuto conto della difficoltà di qualificare come “attestazione” penalmente valutabile la dichiarazione stessa che non può ritenersi finalizzata a provare la verità dei fatti esposti. Del respo, il reato di cui all'art. 483 c.p. è escluso quando l'atto non provi la verità di fatti obbiettivi, ma riferisce manifestazioni di volontà o futuri intenti. Del respo, il reato di cui all'art. 483 c.p. è escluso quando l'atto non provi la verità di fatti obbiettivi, ma riferisce manifestazioni di volontà o futuri intenti. l'obbligo giuridico dell'esposizione veritiera. In difetto dell'obbligo veritiero per il dichiarante, non ricorrono gli estremi del reato di falso ideologico ex art. 483 c.p. Il delitto di falsità ideologica in atto pubblico commessa dal privato può dirsi sussistere in astratto quando l'atto in cui è stata trasfusa la sua dichiarazione sia destinato a provare la verità dei fatti narrati,e cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero, ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è inserita dal pubblico ufficiale ricevente” (Cass. pen., Sez. V, 15 gennaio 2018, n. 5365).

Occorre, quindi, valutare se un eventuale mendacio dichiarato in sede di autodichiarazione in emergenza Covid-19 possa condurre alla commissione del delitto di cui all'art 483 c.p. Sotto tale aspetto, l'attestazione circa la giustificazione che può derogare all'obbligo di restare a casa non può rientrare nella previsione di cui all'art. 46 d.P.R. 445/2000, che consente di comprovare con dichiarazioni, anche contestuali all'istanza, sottoscritte dall'interessato e prodotte in sostituzione delle normali certificazioni, stati, qualità personali e fatti tassativamente indicati, i quali sarebbero, in assenza di autocertificazione, rinvenibili in pubblici registri o comunque sarebbero già di dominio della pubblica amministrazione (V. Nizza-D. Nizza, Emergenza sanitaria: le autodichiarazioni e i reati di falso, cit.). L'attestazione parrebbe rientrare, invece, nell'ambito dell'art. 47 d.P.R. 445/2000, che ammette di sostituire l'atto di notorietà con una dichiarazione sostitutiva che abbia ad oggetto, tra gli altri, ”fatti che siano a diretta conoscenza dell'interessato” (comma 1); oltre che “nei rapporti con la pubblica amministrazione (… omissis) tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell'articolo 46 possono essere comprovati dall'interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà”(comma 3). L'art. 47 conferisce, dunque, il potere di ”comprovare” i fatti di cui si è a conoscenza con la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà; così facendo l'ordinamento attribuisce efficacia probatoria alla dichiarazione. Il successivo art. 76, per parte sua, assume la generale funzione obbligare al vero nell'elaborazione dell'autodichiarazione, stabilendo che ”le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 (… omissis) sono considerate come fatte a pubblico ufficiale, in questo modo richiamando il precetto di cui all'art. 483 c.p. (V. Nizza-D. Nizza, Emergenza sanitaria: le autodichiarazioni e i reati di falso, cit.) Non ogni mendacio nell'autodichiarazione, tuttavia, può soddisfare la norma incriminatrice: “se è vero, infatti, che l'oggetto del falso può essere unicamente un fatto oggettivo e storicamente vero, allora potranno essere attestati solo fatti già compiuti. Qualora sia falsa tale attestazione, il reato in parola sarà configurabile. Diverso è dichiarare l'intenzione di compiere un fatto non ancora realizzato nella sua materialità. La dichiarazione, in questi casi ultimi, ha per oggetto una mera intenzione e, in quanto tale, pare rientrare in quegli arresti giurisprudenziali che non ammettono di ritenere configurata la fattispecie delittuosa, in quanto a essere attestato è un mero intento, un proposito che, in quanto tale sfugge all'oggetto del mendacio penalmente rilevante” (V. Nizza-D. Nizza, Emergenza sanitaria: le autodichiarazioni e i reati di falso, cit.).

Altra ipotesi astrattamente configurabile nel contesto della autocertificazione è quella delle “conseguenze penali previste in caso di dichiarazioni mendaci (art. 495 c.p.)”, punisce con la pena della reclusione da uno a sei anni chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l'identità, lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona, come indicato dal modello di autocertificazione.

Sennonchè, il delitto previsto dall'art. 495 c.p. viene integrato esclusivamente dalle false attestazioni aventi a oggetto l'identità, lo stato o altre qualità della persona e non già in relazione a quanto addotto su entità e motivo dello spostamento. L'ipotesi di dichiarare un'identità falsa è sotto tale aspetto piuttosto remota. Restano, infatti, fuori della tutela penale le richieste dell'Autorità su condizioni personali del soggetto non giustificate da esigenze di identificazione. Così, con riferimento alla configurabilità del reato di falso ex art. 495 c.p. in capo a chi venga fermato per un controllo e dichiari o attesti il falso al pubblico ufficiale, si deve ritenere che la stessa ricorra laddove l'oggetto del mendacio riguardi gli elementi appena evidenziati, ovvero quelli che concernono l'identità, lo stato e le condizioni/qualità della persona. E non appaiono tali quelli che sono oggetto delle dichiarazioni relative: alle circostanze di moto da un luogo ad altro luogo; alla conoscenza delle norme (statali o regionali che siano) concernenti le misure di contenimento; alla conoscenza delle sanzioni; alle giustificazioni dello spostamento (V. Nizza-D. Nizza, Emergenza sanitaria: le autodichiarazioni e i reati di falso, cit.). Non sussistono astratti dubbi, invece, sull'applicabilità della fattispecie di cui all'art. 495 c.p. con riferimento alla propria condizione di stato (quarantena) o di salute (Covid-19 negativo), trattandosi di qualità della persona certamente rilevanti ai fini della sua completa e corretta identificazione in una situazione di emergenza sanitaria per epidemia (V. Nizza-D. Nizza, Emergenza sanitaria: le autodichiarazioni e i reati di falso, cit., i quali richiamano una recente decisione -26 settembre 2019, n. 44111- secondo cui “la tutela penale della fede pubblica — ancorché abbia sempre ad oggetto i connotati della persona che ne costituiscono l'identità o lo status — si estende anche ad altri connotati della persona, integrativi o sostitutivi che siano, se una particolare norma collega loro effetti giuridici e, quindi, se determinate situazioni di fatto che attengono alla persona costituiscano presupposti o condizioni di legittimazione nei rapporti intersoggettivi”. “Dichiarare falsamente di non essere sottoposto a quarantena o di non essere Covid-19 positivo, significa mentire in ordine alla qualità di soggetto pericoloso perché “probabilmente contagioso”, così da ottenere una libertà di spostamento altrimenti preclusa” (V. Nizza-D. Nizza, Emergenza sanitaria: le autodichiarazioni e i reati di falso, cit.).

Più in generale, poi va considerato il problema, connesso alla rapida stratificazione normativa, della conoscibilità dei provvedimenti normativi dettati in tema di contenimento del contagio da Covid-19 sia dallo Stato che dalle Regioni, tanto in relazione all'offensività, quanto alla colpevolezza, segnatamente al giudizio normativo di rimproverabilità individuale ex sentenza n. 364/88 della Corte Costituzionale, secondo cui l'ignoranza della legge penale non scusa, salvo che la stessa sia scusabile; e niente appare “più scusabile dell'errore nella corretta conoscenza delle norme in un contesto storico, quale quello odierno, in cui i provvedimenti di legge vengono prima annunciati, per poi essere corretti; quindi emanati e pubblicati in maniera difforme da quanto annunciato, e infine, nuovamente modificati, prima negli annunci e poi, di nuovo, negli atti” (V. Nizza-D. Nizza, Emergenza sanitaria: le autodichiarazioni e i reati di falso, cit.).

L'ipotizzabilità dei delitti di falso non appare, quindi, persuasiva, anche tenuto conto della difficoltà di ravvisare gli estremi delle false dichiarazioni del privato “in un atto pubblico” e, comunque, su “identità, stato o qualità” della propria persona (cfr. gli artt. 483, 495 e 496 c.p.).

Tale strada sembrerebbe altresì preclusa, con argomento probabilmente assorbente, dal principio ”nemo tenetur se detegere”, operante in ragione del particolare momento in cui la dichiarazione mendace è realizzata, e per il fine al quale è diretta (evitare una contestazione da parte dell'agente accertatore) (Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, cit.).

Le ipotesi più gravi: epidemia e delitti contro la persona

La violazione del “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus” prevista dall'art. 4, comma 6, dl n. 19 del 2020 è come detto una fattispecie che introduce un reato contravvenzionale di pericolo astratto.

La clausola di riserva prefigura tuttavia la possibilità di diverse e più gravi incriminazioni: l'art. 452 c.p. (esplicitamente evocato) o l'art. 438 c.p. (evocato solo implicitamente).

Ciò significa che il soggetto in quarantena, positivo al virus, il quale si allontani da casa (salvo evidentemente i casi di forza maggiore o situazioni integranti una causa di giustificazione, quali, ad esempio, lo stato di necessità, la legittima difesa, ecc.) può rendersi responsabile, pur difficilmente ricorrendone gli stringenti presupposti, del delitto di epidemia colposa, punito dall'art. 452 c.p. in relazione all'art. 438 c.p., o anche di epidemia dolosa ex art. 438 c.p.

Nonostante l'epidemia sia già in atto, il delitto può essere realizzato – in forma dolosa o colposa – da chi, con la propria condotta, propaghi ulteriormente la diffusione del virus.

Ben più grave è naturalmente la responsabilità di coloro che volontariamente contagino altre persone: oltre al caso limite dell'art. 438 c.p., che punisce con l'ergastolo chiunque cagiona una epidemia mediante la diffusione di germi patogeni, potrebbero essere contestati, in alternativa, i reati di cui all'art. 575 c.p. (omicidio volontario) e all'art. 582 c.p. (lesioni personali dolose) rispettivamente nel caso di morte o di malattia dei soggetti attinti dal morbo. Tali fattispecie potrebbero anche essere punite a titolo di tentativo, laddove ne sussistano gli elementi costitutivi e non siano verificati i relativi eventi.

Nelle ipotesi di contagio colposo, invece, oltre al caso limite dell'art. 452 c.p., potrebbero essere contestati, in alternativa, i reati di cui all'art. 589 c.p. (omicidio colposo) e all'art. 590 c.p. (lesioni personali colpose) rispettivamente nel caso di morte o di malattia dei soggetti attinti dal morbo. Tutte e tre le fattispecie non ammettono il tentativo, essendo punite a titolo colposo, e quindi necessitano per la loro integrazione la verificazione dei relativi eventi.

Va altresì considerata l'ulteriore possibile aggiunta di una responsabilità amministrativa ex art. 25-septies d.lgs. 231/2001 atteso che, stando all'art. 42 del DL 18/2020, i casi accertati di infezione da coronavirus “in occasione di lavoro” assurgono a “infortuni” .

In queste più gravi ipotesi, sarà necessario oltre alla condotta dolosamente o colposamente violativa delle misure di contenimento da parte di colui che è consapevole dalla positività al virus, un quid pluris, vale a dire un evento eziologicamente riconducibile alla trasgressione, tale da assorbire l'offensività insita nella condotta di base. Si pensi, non sussistendo gli elementi costitutivi delle fattispecie di cui agli artt. 438 e 452 c.p. (il cd. evento di macro-proporzioni), alle lesioni personali o all'evento-morte cagionati in concreto dalla diffusione del virus da parte di colui che violi le cautele sapendo di essere positivo al virus.

Procedendo con ordine, va ricordato che l'art. 438 c.p. punisce con l'ergastolo “chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni”.

L'art. 452 c.p. prevede la sanzione da uno a cinque anni di reclusione nei confronti di chiunque “per colpa” commetta il fatto previsto dall'art. 438 c.p. La reclusione da tre a dodici anni se dal fatto deriva la morte di più persone.

Ciò posto, la diffusione del covid 19 è di certo sussumibile nella nozione legale di epidemia. Al riguardo, vanno indicati come elementi dell'epidemia (intesa come malattia contagiosa che colpisce ad un tempo stesso gli abitanti di una città o di una regione): il carattere contagioso del morbo; la rapidità della diffusione e la durata limitata del fenomeno; il numero elevato delle persone colpite, tale da destare un notevole allarme sociale e correlativo pericolo per un numero indeterminato e notevole di persone; un'estensione territoriale di una certa ampiezza, sì che risulti interessato un territorio abbastanza vasto da meritare il nome di regione e, di conseguenza, una comunità abbastanza numerosa da meritare il nome di popolazione. Di recente, la Suprema Corte ha affermato che “in tema di epidemia, l'evento tipico del reato consiste in una malattia contagiosa che, per la sua spiccata diffusività, si presenta in grado di infettare, nel medesimo tempo e nello stesso luogo, una moltitudine di destinatari, recando con sé, in ragione della capacità di ulteriore espansione e di agevole propagazione, il pericolo di contaminare una porzione ancor più vasta di popolazione; ne consegue che le forme di contagio per contatto fisico tra agente e vittima, sebbene di per sé non estranee alla nozione di diffusione di agenti patogeni di cui all'art. 438 cod. pen., non costituiscono, di regola, antecedenti causali di detto fenomeno” (Cass. pen., sez. I, 26 novembre 2019, n. 48014, secondo cui non integra gli estremi del delitto la condotta dell'imputato che aveva consapevolmente trasmesso il virus dell'HIV, da cui era affetto, ad una trentina di donne con le quali avuto rapporti sessuali non protetti nel corso di un periodo di nove anni).

Le modalità di diffusione dei germi patogeni possono assumere materialmente le forme più varie, ma in riferimento alla suddetta fattispecie, la Suprema Corte ha ritenuto che in tema di delitto di epidemia colposa, non è configurabile la responsabilità a titolo di omissione in quanto l'art. 438 cod. pen., con la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni”, richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell'art. 40, comma secondo, cod. pen., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera (Cass. pen., sez. IV, 12 dicembre 2017, n. 9133).

Sotto tale aspetto, il covid 19 è senza dubbio un virus capace di infettare, nel medesimo tempo e nello stesso luogo, una moltitudine di destinatari, connotato da notevole capacità di ulteriore espansione e di agevole propagazione, con conseguente pericolo di contaminare una porzione ancor più vasta di popolazione (basti pensare che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la diffusione del Covid-19 pandemia diffusa in tutto il pianeta).

Attraverso la diffusione dei germi patogeni, dovrebbe dunque essere realizzata un'epidemia e cioè la diffusione rapida in una zona più o meno vasta di una malattia contagiosa.

In dottrina, si discute se si tratti di reato di danno, consistente nella effettiva diffusione di determinate malattie, ovvero di reato di pericolo concreto, connesso alla diffusività del virus, ovvero di reato di evento astrattamente pericoloso, consistente nella diffusione del virus, che è pur sempre un evento, meritevole di pena in sé, a prescindere dalla concreta manifestazione di sintomi morbosi. Basti pensare alla diffusione del virus mediante infezione di persone che sono poi risultate asintomatiche; in questo caso vi è un evento (la diffusione del virus) in sé non dannoso (il contagiato è asintomatico), ma pur sempre pericoloso per la collettività (il contagiato è a sua volta contagioso) (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

Di particolare interesse è la distinzione delle diverse sfere operative del reato di violazione all'obbligo di quarantena e del delitto di epidemia, dolosa di cui all'art. 438 c.p. o colposa di cui all'art. 452 c.p.; la distinzione può ravvisarsi nell'individuazione dell'evento, necessaria nelle ipotesi di epidemia rispetto alla prima. Invero, la contravvenzione di violazione all'obbligo di quarantena è fattispecie per la cui consumazione è sufficiente la violazione dell'obbligo indipendentemente dalla diffusione del virus a terzi.

Viceversa, il delitto di epidemia è fattispecie di evento che per la sua configurazione richiede la diffusione della malattia in una zona più o meno ampia e che si configurerà a seconda del coefficiente soggettivo come dolosa, o, più probabilmente nella maggior parte delle ipotesi come colposa.

Sarà quindi necessario che, in sede processuale, si accerti che, in conseguenza della condotta, si sia determinata una conseguenza: la concreta diffusione del virus, con contaminazione di una pluralità di persone; e – sempre da un punto di vista di prova dell'elemento materiale del reato – sarà necessario escludere che le persone eventualmente contagiate non abbiano altrimenti contratto il virus.

La struttura oggettiva della fattispecie di epidemia rende possibile, anche se improbabile, la sua applicazione.

Ne consegue che in tema di diffusione del coronavirus il soggetto portatore dell'infezione che la trasmetta ad altro individuo singolo non commette tale delitto, difettando una condotta diretta a propagare l'infezione nei confronti di una molteplicità di soggetti passivi, con un evento di macro-proporzioni.

Resta tuttavia salva, in questi casi, l'applicazione delle fattispecie di omicidio o lesioni, nella forma dolosa (anche tentata) o colposa a seconda dei casi concreti.

La consapevolezza delle violazione delle misure da parte del positivo al covid 19 non implica tuttavia necessariamente la volontarietà dell'evento che la regola cautelare volontariamente violata intendeva scongiurare; dunque, la consapevolezza dell'esistenza del divieto di allontanamento e della pericolosità della condotta di libera circolazione sul territorio, non escludono necessariamente la natura colposa del reato.

Resta sul tappeto il problema del dolo eventuale, registrandosi alcune opinioni che – proprio per arginare incriminazioni a titolo di dolo eventuale – ritengono che l'art. 438 c.p. implichi l'esistenza di un dolo intenzionale o diretto; altre opinioni rilevano che – nel silenzio della legge – deve ritenersi si tratti di delitto a dolo generico, compatibile, dunque, con il dolo eventuale (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.).

Andrebbero tuttavia arginate le note dilatazione delle incriminazioni a titolo di dolo eventuale, spesso fondate sulla “mera accettazione del rischio” di produzione dell'evento, che determinerebbero una pericolosa sovrapposizione tra condotte dolose e condotte colpose.

Non appaiono ammissibili in ogni caso automatiche sovrapposizioni tra la violazione del divieto di allontanarsi dall'abitazione (benché da parte di persone positive al virus e soggette a quarantena) e i delitti (dolosi o colposi) di epidemia (A. Natale, Il decreto legge n. 19 del 2020: le previsioni sanzionatorie, cit.), pena la violazione del principio di stretta legalità.

L'ipotizzabilità di una nuova fattispecie incriminatrice

L'importanza dei beni in gioco, da tutelare contro la diffusione del Covid 19, connessi in primo luogo alla salute pubblica, ma anche alla stessa sopravvivenza del sistema economico e Costituzionale di diritto, conducono infine a riflettere sull'opportunità di introdurre una figura di reato eccezionale e temporanea ad hoc, nella forma del delitto di pericolo (anche astratto), giustificandosi l'anticipazione di tutela con l'importanza degli interessi in gioco; con previsione di pene detentive (ma che in concreto consentano la pena sospesa) e pecuniarie elevate(come acutamente proposto da Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, cit.). Tale previsione potrebbe essere accompagnata da pene accessorie quali, nel caso di connessione con il delitto, la confisca del veicolo, la sospensione della patente di guida, ovvero da sanzioni interdittive in relazione a diverse attività.

L'incriminazione, per poter dispiegare appieno la sua funzione di motivabilità secondo norme, dovrebbe altresì essere descritta nel rispetto pieno dei principi di precisione e determinatezza, ovvero accessibilità/prevedibilità convenzionale, e potrebbe essere calibrata sul modello dei delitti di attentato.

Si potrebbe riflettere anche sull'utilizzo del cd. modello ingiunzionale, che potrebbe far scattare la rilevanza penale del fatto a seguito della violazione dell'ingiunzione, fondata su una chiara ed intellegibile base legale (ad es. sul modello dell'ingiunzione alla quarantena), da parte della Autorità amministrativa.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario