Confisca per sproporzione nei reati tributari. Doveri e limiti investigativi nella fase della cognizione e dell'esecuzione

17 Aprile 2020

Il presente articolo descrive le novità apportate dall'art. 39, comma 1, lett. q), del c.d. Decreto Fiscale, in particolare in tema di confisca per sproporzione, e affronta alcune problematiche sostanziali e processuali legate alla novella…
Abstract

Il presente articolo descrive le novità apportate dall'art. 39, comma 1, lett. q), d.l. 26 ottobre 2019, n.124, recante: Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili (c.d. Decreto Fiscale), convertito con legge 19 dicembre 2019, n. 157, alla disciplina dei reati tributari, in particolare in tema di confisca per sproporzione, e affronta alcune problematiche sostanziali e processuali legate alla novella, evidenziando altresì taluni profili di criticità in tema di legittimità costituzionale delle nuove disposizioni.

Premessa

In un precedente lavoro (cfr. Mazzanti, Loretti in Confisca diretta e di valore e sequestro preventivo nella disciplina dell'art. 12-bis, comma 1, d.lgs. 74/2000, in ilPenalista) si è evidenziato come, nel nostro ordinamento, coesistano tre diverse specie di confisca: la confisca misura di sicurezza, la confisca sanzione (penale o amministrativa) e la confisca misura di prevenzione, i cui caratteri spesso si sovrappongono tanto che l'istituto è stato qualificato con i più stravaganti aggettivi: proteiforme (cfr., Cass. pen., Sez. Unite, 2 luglio 2008, n. 26654, Impregilo – Fisia Italimpianti), ermafroditico (MUCCIARELLI-PALIERO), promiscuo (CISTERNA) ed è stato addirittura definito quale vischiosa gelatina informe (FONDAROLI).

La giurisprudenza di legittimità, dopo un periodo di titubanza, è giunta, a Sezioni Unite, a designare la confisca per sproporzione (o allargata), già prevista dalla norma di cui l'art. 12-sexies, d.l. 306/1992 (convertito con modificazioni in legge 7 agosto 1992, n. 356), norma attualmente versata, in ossequio al principio di riserva di codice, nell'art. 24-bis c.p.,quale misura di sicurezza patrimoniale.

Non è questa la sede per indagare approfonditamente se, effettivamente, tale tipo di confisca sia da inquadrare ontologicamente sotto la specie “misura di sicurezza” ovvero sotto la specie “sanzione”. Certo è che qualificare, come fa la giurisprudenza di legittimità, la confisca per sproporzione quale misura di sicurezza patrimoniale consente automaticamente l'applicazione del precetto di cui all'art. 200 c.p.

Ora, l'art. 39, comma 1, lett. q), d.l. 26 ottobre 2019, n.124, recante: Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili” (c.d. Decreto Fiscale), ha modificato il d.lgs. 74/2000, introducendovi, inter alia, l'art. 12-ter (Casi particolari di confisca).

Tale norma rende obbligatoria la confisca per sproporzione prevista dall'art. 240 bis c.p. nel caso di sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti in relazione ai reati pp. e pp. dagli artt. 2, 3, 8, 11, comma 1 e 11, comma 2, d.lgs. 74/2000, qualora risultino superate le soglie indicate dallo stesso precetto di cui all'art. 12 ter per ciascuna delle fattispecie punitive ivi elencate.

Il comma 1 bis del medesimo articolo stabilisce che tale disposizione si applichi “esclusivamente alle condotte poste in essere successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione” del Decreto Fiscale (legge 19 dicembre 2019, n.157) che, come noto, ha acquisito efficacia il 1° gennaio 2020 (e, quindi, sessantotto giorni dopo l'approvazione del Decreto Fiscale).

Nel presente lavoro cercheremo di indagare alcuni sensibili aspetti concernenti la portata ed i limiti del precetto di al cui combinato disposto degli artt. 12 ter d.lgs. 74/2000e 1 bis d.l.124/2019 afferenti alle possibili questioni di legittimità costituzionale, il tema dei poteri investigativi del Pubblico Ministero nella fase della cognizione ed in quella dell'esecuzione ed il tema del diritto intertemporale.

Con riferimento al primo aspetto, la nomogenesi della riforma della disciplina penale tributaria impone alcune riflessioni in merito alla sua legittimità costituzionale.

L'art. 25, comma 2, Cost. stabilisce la riserva di legge per le sanzioni penali.

Le modifiche alla disciplina penale tributaria sono state realizzate attraverso lo strumento del decreto legge, atto normativo legittimo in quanto caratterizzato da straordinaria necessità ed urgenza (art. 77 Cost.).

Ora, in primo luogo è la stessa formulazione letterale dell'art. 39, comma 3, del Decreto Fiscale, ad escludere che tale decreto, in parte qua, sia caratterizzato da straordinaria necessità ed urgenza, laddove prevede che tali modifiche abbiano “efficacia dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge di conversione”.

Come si è sopra riferito, la legge di conversione è entrata in vigore sessantotto giorni dopo l'emanazione del Decreto Fiscale.

Il prevedere che la norma acquisti efficacia in via differita è già di per sé elemento idoneo a far sorgere dubbi circa la sussistenza, ab origine,dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza che legittimano l'adozione dell'iter nomogenetico del decreto.

Certo: si potrà argomentare che la confisca per sproporzione, in quanto misura di sicurezza, non risulta coperta dall'obbligo di riserva di legge di cui art. 25, comma 2, Cost.

Ma è proprio l'espressa previsione, introdotta nella legge di conversione del Decreto Fiscale all'art. 39, comma 1 bis, che essa si applichi “esclusivamente alle condotte poste in essere successivamente all'entrata in vigore” di tale legge ad imporre riflessioni circa la natura giuridica di tale istituto il quale, laddove venisse qualificato come sanzione, risulterebbe oggetto dei medesimi rilievi di costituzionalità sommariamente svolti in relazione alle altre norme del decreto fiscale che novellano il d.lgs. 74/2000.

Con riferimento al secondo aspetto, il presente articolo sarà occupato da alcune riflessioni in ordine ai poteri doveri investigativi del Pubblico Ministero in relazione all'individuazione dei beni del condannato ed all'accertamento della loro sproporzione, in termini di valore, rispetto al reddito dichiarato.

Ciò, in quanto tale argomento è certamente connotato da forte interesse in ambito pratico, posto che dalla natura obbligatoria della confisca per sproporzione discende la sua applicabilità anche in fase esecutiva.

Recente giurisprudenza di legittimità ha stabilito il principio secondo cui il Pubblico Ministero presso il giudice dell'esecuzione non possa utilizzare gli strumenti propri delle indagini preliminari, con ciò ponendo un argine, anche se solo di natura processuale, ad un istituto, quale la confisca per sproporzione, che, nella sua applicazione pratica, si presta ad inaccettabili derive giustizialiste.

Con riferimento al terzo aspetto, si affronteranno questioni concernenti il diritto intertemporale che rivestono, per certo, notevole importanza pratica per chi si trovi ad operare l'ambito del diritto penale tributario.

Confisca per sproporzione in genere e nei reati tributari: cenni storici

La confisca per sproporzione venne introdotta nell'ordinamento interno con la norma di cui all'art. 12-sexies, d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (convertito con modificazioni in legge 7 agosto 1992, n. 356) recante: Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa.

La ratio del Legislatore fu di dotare l'Autorità Giudiziaria di uno strumento idoneo a fronteggiare il fenomeno della criminalità organizzata anche sul piano economico, sottraendo al condannato per reati connessi alla criminalità organizzata il patrimonio nella sua diretta o indiretta disponibilità.

La norma di cui all'art. 12-sexies (ora trasposta nell'art. 240-bis c.p.) ha aggirato l'ostacolo, praticamente insormontabile, costituito dalla difficoltà di dimostrare la pertinenzialità fra beni del condannato e le attività delittuosa contestata, vista la fitta ed insidiosa rete di legami tipica della criminalità organizzata.

Infatti, i presupposti della confisca per sproporzione sono l'emanazione di una sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti e la sproporzione fra il denaro, i beni o altre utilità rispetto al reddito dichiarato dal reo, stabilendo una presunzione iuris tantum circa il fatto che il patrimonio sproporzionato sia di provenienza illecita.

La Corte Costituzionale ha successivamente precisato che l'art. 12-sexies prevede una forma di confisca atipica con struttura e presupposti diversi dalla confisca tipizzata dalla norma di cui all'originario art. 240 c.p. (Cfr., Corte cost., ord. 29 gennaio 1996, n. 18).

La norma, dalla sua entrata in vigore, è stata oggetto di varie modifiche, molte delle quali volte ad ampliare l'ambito di operatività di quest'ultima, a conferma del fatto che il Legislatore vede nella confisca lo strumento più efficace nella lotta a determinati tipi di reato (a titolo esemplificativo, l'applicazione della misura di sicurezza è stata ampliata anche ai reati pp. e pp. capo I, titolo II, libro II, c.p. a seguito delle modifiche apportate con l. 296/2006).

Proprio in ragione di questo incessante ampliamento (definito “alluvionale” dalla Corte Costituzionale, sent. 33/2018) le modifiche più recenti, oltre a prevedere l'applicabilità della confisca allargata ad altre ed ulteriori fattispecie di reato, ne modificano anche la disciplina per ragioni di sistematiche.

La centralità che questo istituto sta acquisendo come strumento di repressione e prevenzione della criminalità è confermata anche dalla dir. 2014/42/CE la quale, all'art. 5, impone a tutti gli stati membri di adottare tutte «le misure necessarie per poter procedere alla confisca, totale o parziale, dei beni che appartengono a una persona condannata per un reato suscettibile di produrre, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico, laddove l'autorità giudiziaria, in base alle circostanze del caso, compresi i fatti rispetto al reddito legittimo della persona condannata, sia convinta che i beni in questione derivino da condotte criminose».

A quest'ottica si riconduce la l. 17 ottobre 2017, n. 161 - Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni - che ha introdotto la citazione nel processo di cognizione dei terzi titolari di diritti reali o di godimento su beni oggetto di sequestro di cui l'imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo.

La stessa legge ha anche aggiunto all'art. 12-sexies i commi 4-septies e 4-octies i quali stabiliscono che la disciplina in oggetto si applica anche “quando, pronunziata sentenza di condanna in uno dei gradi di giudizio, il giudice di appello o la Corte di cassazione dichiarano estinto il reato per prescrizione o per amnistia, decidendo sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato” e in caso di morte del condannato.

Il d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice in materia penale a norma dell'articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n.103 - ha recepito la proposta della commissione Marasca (commissione istituita con decreto del 3 maggio 2016 dal Ministro della Giustizia on. Andrea Orlando per la redazione di un decreto legislativo per un riordino della parte speciale del c.p. in conformità al principio c.d. “della tendenziale riserva di codice” contenuto nella legge delega) di trasferire nell'art. 240-bis c.p., rubricato Confisca in casi particolari, la disciplina della confisca ai sensi dell'art 12-sexies del d.l. 306/1992, attuando il tendenziale progetto “riserva di codice”, positivizzato all'art. 3-bis c.p., ed effettuare così un riordino dei principali istituti del diritto penale per garantire un'effettiva conoscibilità della legge.

Fra il nuovo art. 240 bis c.p. e il vecchio art. 12-sexies d.l. 306/1992 vi sono pochi elementi di differenza: si riporta solo che il catalogo dei reati dell'art. 240-bis c.p. non contiene quelli pp. e pp. all' art. 295, comma 2, d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (T.U. in materia doganale) e all'art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (T.U. in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope).

Per questi reati, il Legislatore ha preferito immettere la disciplina della confisca per sproporzione direttamente nel T.U., coerentemente a quanto suggerito nella Relazione Marasca, per cui, se una materia è totalmente disciplinata in un testo unico è preferibile che vi confluiscano tutte le disposizioni inerenti.

Per il resto, la disciplina prevista dalle due norme risulta per lo più coincidente.

Infatti, l'art. 6 d.lgs. 21/2018 va a modificare le norme di attuazione, coordinamento e transitorie del codice di procedura penale in modo da poter applicare all'art. 240-bis c.p. le medesime regole procedurali previste dall'art. 12-sexies d.l. 306/92.

Pertanto, ai casi particolari di confisca risulta applicabile:

- l'art. 104 bis disp. att. c.p.p.l'amministrazione dei beni sottoposti a sequestro, sequestro preventivo e a confisca in casi particolari”, e, quindi, per espresso rinvio, anche la disciplina prevista dal d.lgs. 159/2011, rendendo, quindi, applicabile anche la disciplina per l'amministrazione e destinazione dei beni confiscati per la tutela del terzo, per l'esecuzione del sequestro;

- l'art. 183 quater disp. att. c.p.p.per cui la competenza ad emettere i provvedimenti in tema di confisca, dopo una sentenza irrevocabile, è il giudice ai sensi dell'art. 666, commi 1, 2 e 3, c.p.p., mentre l'autorità giudiziaria competente ad amministrare i beni sequestrati è il giudice che ha disposto il sequestro ovvero, se organo collegiale, il giudice delegato nominato dal collegio stesso e, nel caso in di morte del soggetto condannato con sentenza definitiva, il procedimento per la confisca continua nei confronti degli eredi;

- l'art. 578 bis c.p.p. per cui, quando è stata ordinata la confisca, il giudice di appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato.

L'ultima modifica, introdotta con il Decreto Fiscale qui in commento, è l'immissione nel d.lgs. 74/2000 dell'art. 12-tergrazie al quale è stato ulteriormente ampliato l'ambito oggettivo di applicazione della confisca per sproporzione, che dovrà essere obbligatoriamente disposta dal giudice quando viene emanata una sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per i reati pp. e pp. dagli artt. 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), 3 (Dichiarazione fraudolente mediante altri artifici), 8 (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e 11 (Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte) del decreto.

(Segue). Cenni esegetici

L'art. 240-bis c.p. prevede che il giudice debba sempre disporre (trattasi, pertanto, di un'ipotesi di confisca obbligatoria) «la confisca di denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica», ove proceda con l'emanazione di una sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. per le ipotesi delittuose tassativamente previste dalla norma stessa.

I presupposti per l'applicazione della confisca per sproporzione ai sensi dell'art. 240 bis sono i seguenti:

a. sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. per taluno dei delitti tassativamente indicati dalla norma stessa.

Pertanto, l'ambito oggettivo di applicazione è limitato solo ad alcune delle ipotesi previste dal codice penale, ma, a seguito delle svariate riforme succedutesi nell'ultimo trentennio, il catalogo dei reati risulta essere non solo particolarmente esteso, ma anche alquanto eterogeneo. Infatti, inizialmente, vi erano solo fattispecie particolarmente allarmanti, connotate da un forte disvalore sociale, quali i delitti associativi, delitti commessi con fini terroristici o di eversione dell'ordine costituzionale e, solo successivamente, sono stati aggiunti i alcuni dei delitti previsti nel capo I, titolo II, libro II, c.p. (Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, legge 27 dicembre 2006, n. 296), la corruzione fra i privati ex art. 2635 c.c. (D. lgs. 29 ottobre 2016, n. 202) e, a seguito del Decreto Fiscale, alcuni dei reati tributari previsti dal d.lgs. 74/2000.

Inoltre, a nulla rileva la pertinenza dei beni oggetto di confisca ai fatti accertati, visto che il Legislatore, nell'individuare i reati dalla cui condanna discende la confiscabilità dei beni, non ha posto come presupposto la derivazione di tali beni dall'evento criminoso, ma il semplice fatto che vi sia stata una condanna.

b. Il reo è titolare o ha la disponibilità a qualsiasi titolo di beni che risultino di valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato a fini di imposta o alla propria attività economica.

Relativamente al concetto di “sproporzione”, i giudici di legittimità (Cass. pen., Sez. Unite, 17 dicembre 2003, n. 920) hanno chiarito che questa vada riferita non a qualsiasi difformità fra guadagni e capitalizzazioni, ma ad un incongruo squilibrio fra questi, da valutarsi secondo le regole di comune esperienza: così intesa, la sproporzione viene testualmente riferita non al patrimonio come complesso unitario, ma alla somma dei singoli beni, con la conseguenza che il confronto debba essere effettuato fra il reddito e le attività nei momenti dei singoli acquisti e il valore dei beni di volta in volta acquisiti e non al momento di disposizione della misura.

c. la mancanza di una giustificazione da parte dell'interessato.

Trattasi, pertanto, di un'ipotesi di inversione dell'onere prova: la pubblica accusa deve dimostrare la sussistenza dell'imputazione e la sproporzione di cui supra, mentre spetta alla difesa dimostrare l'acquisto dei beni è stato effettuato grazie ad altra fonte economica (quale, ad esempio, lasciti ereditari, vincite di gioco o redditi provenienti da attività lecita prima della scadenza del termine per la dichiarazione).

La Cassazione a Sezioni Unite ha affermato che la “giustificazione credibile” consiste nella prova della positiva liceità della provenienza dei beni, e non in quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta condanna (Cass. pen., Sez. Unite, n. 920/2003).

L'art. 240-bis, comma 2, c.p. prevede, invece, la confisca per sproporzione per equivalente: nei casi previsti dal primo comma, «ove non sia possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui allo stesso comma, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona».

Grazie a questa disposizione è possibile procedere, in via sussidiaria, a confisca per sproporzione per equivalente: i requisiti che rilevano dunque sono solo la commissione, accertata con sentenza, di uno dei reati previsti, la sproporzione tra i redditi e i beni confiscabili e che questi ultimi siano nella diponibilità del condannato: è del tutto irrilevante chi sia il formale proprietario dell'oggetto della confisca.

Sia la confisca per sproporzione diretta che per equivalente possono riguardare un soggetto che non è neppure imputato; in tal caso spetta all'accusa provare l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi di non coincidenza tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, e che, quindi, si possa desumere con certezza che il terzo intestatario si è prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la conservazione del bene al soggetto indagato o condannato, salvaguardandolo dal pericolo della confisca (Cass. pen., Sez. II, 23 marzo 2011, n. 17287).

La Cassazione ha ulteriormente precisato che l'interposizione fittizia dovrà essere dimostrata non solo da circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma anche elementi fattuali che si connotino della gravità, precisione e concordanza, tali da costituire prova indiretta del superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene (Cass. pen., Sez. V, 6 marzo 2017, n. 13084).

Una volta provata la interposizione fittizia, spetterà al titolare apparente dei beni dimostrare la legittima provenienza dei beni stessi e l'effettività della propria posizione di titolare, cosa che potrà fare, con pienezza di mezzi dimostrativi, in sede di incidente di esecuzione.

L'art. 12-ter d.lgs. 74/2000, introdotto dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157 ha ulteriormente allargato l'ambito di applicazione della confisca per sproporzione, rendendola obbligatoria anche per taluni dei delitti previsti dal d.lgs. 74/2000.

La norma impone l'applicazione della misura di sicurezza ai sensi dell'art 240-bis c.p. ove, con sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, venga accertata la commissione di uno dei delitti indicati, sempre che siano integrate le soglie di punibilità previste (ove l'ammontare risulti inferiore, pur in presenza di una condanna, non sarà possibile procedere a confisca). In particolare:

  • delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto solo se l'ammontare dei passivi fittizi è superiore a euro duecentomila (art. 2);
  • delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici tali da ostacolare l'accertamento effettuato dall'amministrazione finanziaria al fine di evadere imposte sui redditi o sul valore aggiunto per un ammontare superiore a euro centomila (art. 3);
  • delitto di emissione fatture o altri documenti per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi l'evasione solo se fra il valore reale e quello falsamente dichiarato vi è una differenza di almeno euro duecentomila (art.8);
  • delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte quando viene effettuata un'alienazione per sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero su interessi o sanzioni amministrative il cui valore complessivo sia superiore a euro centomila (art. 11, comma 1);
  • delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte quando, durante una procedura di transazione fiscale, venga presentata della documentazione con degli attivi inferiori a quelli effettivi o degli elementi passivi fittizi pari ad un ammontare superiore di euro duecentomila (art. 11, comma 2).
Doveri e limiti investigativi nella fase della cognizione e dell'esecuzione

Le questioni relative ai poteri ed ai doveri del Pubblico Ministero in ordine all'individuazione del “denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza” di valore sproporzionato rispetto a quanto dal medesimo dichiarato all'Agenzia delle Entrate, nonché in ordine all'eventuale interposizione fittizia di persona in ordine alla proprietà di tali beni, rivestono carattere generale e non sono specificamente connesse all'introduzione, nel d.lgs. 74/2000, della norma di cui all'art. 12-ter.

Tuttavia, è di tale rilevanza pratica l'individuazione di tali poteri e doveri che si è ritenuto di dover dedicare la presente sezione all'approfondimento del tema sopra evocato.

L'art. 240-bis c.p., richiamato dalla norma di cui all'art. 12-ter d.lgs. 74/2000, stabilisce che la confisca per sproporzione debba essere obbligatoriamente applicata in caso di sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti per taluno dei reati tassativamente elencati dalla medesima norma.

Dal carattere obbligatorio della confisca allargata discende la sua applicabilità anche in executivis.

L'art. 6, comma 3, lettera b), d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21, ha introdotto, all'art. 183-quater disp. att.c.p.p., il precetto che positivizza la competenza del giudice dell'esecuzione ad emettere i provvedimenti di confisca in casi particolari previsti dall'art. 240-bis c.p.

Peraltro, già le Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr., Cass. pen., SS. UU., 30 maggio 2001, n. 29022, Derouach) avevano «affermato il principio che la confisca prevista dall'art. 12 sexies L. n. 356/92 e succ. modif. può essere disposta dal giudice dell'esecuzione sul patrimonio del soggetto al momento della condanna o del patteggiamento per uno dei reati indicati dalla norma«.

La questione che si pone, e che è stata risolta da Cass. pen., Sez. I, 23 maggio 2019, n. 22820, qui in commento, è quella relativa alla possibilità del Pubblico Ministero presso il giudice dell'esecuzione di attingere agli strumenti investigativi che sono riservati alla pubblica accusa nella fase delle indagini preliminari.

Nella pronuncia commentata si osserva come non sussistano indicazioni giurisprudenziali (e, ovviamente, normative) in ordine ai poteri di indagine e di impulso del Pubblico Ministero nei confronti del giudice dell'esecuzione.

Osservano i giudici di legittimità come la citata sentenza delle SS. UU. Derouach, così come le altre generalmente richiamate nel medesimo senso, precedenti (Cass. pen., Sez. I, 16 maggio 2000, n.216751, Nevi) o successive (Cass. pen., Sez. VI, 20 maggio 2008, n. 27343, Ciancimino), riguardassero la confisca per sproporzione di beni già sequestrati in sede di cognizione, talché il giudice dell'esecuzione risultava chiamato a svolgere unicamente “residuali verifiche” in ordine alle disponibilità patrimoniali già individuate e ritenute sproporzionate dal giudice della cognizione.

Il caso concreto sottoposto al vaglio della Prima Sezione della Suprema Corte concerneva, invece, la legittimità di indagini patrimoniali “meramente esplorative” svolte dal Pubblico Ministero presso il giudice dell'esecuzione, utilizzando gli strumenti attribuitigli dal codice di procedura penale nella fase cognitiva.

Nella pronuncia commentata si afferma come la confisca disposta in executivis sulla base di: «non previste indagini patrimoniali” svolte dal Pubblico Ministero presso il giudice dell'esecuzione con finalità “meramente esplorative che non hanno una reale continuità con la cognizione» aprirebbero «la strada ad un'abnormità funzionale derivante dall'inosservanza dell'ordine normativamente assegnato allo sviluppo del rapporto processuale secondo le previsioni in materia di indagine rimessa al Pubblico Ministero ai fini delle sue richiesta al giudice senza possibilità di regressione alle fasi esaurite».

Da ciò discendono due conseguenze.

La prima è cristallizzata nella stessa pronuncia qui commentata come “l'ammissione delle verifiche e dei poteri decisionali di sequestro e confisca in sede di esecuzione, dunque, va circoscritta a quelle disponibilità la cui individuazione, pur in mancanza di tutti i dati identificativi, risulti già in sede di cognizione, non potendosi spingere le indagini dopo il passaggio in giudicato ad accertamenti di carattere inedito del tutto estranei all'ambito di cognizione”.

La seconda, ricavata implicitamente dalla motivazione della pronuncia in commento, è che il Pubblico Ministero, nella fase delle indagini preliminari, sia chiamato non solo ad acquisire elementi utili a fornire la prova in sede di cognizione della responsabilità penale dell'indagato, ma altresì a dare conto della sussistenza di una sproporzione fra le attività patrimoniali riferibili all'indagato ed il suo reddito dichiarato, individuando altresì tali attività.

Riserva di legge e questioni di legittimità costituzionale

Si è visto che la riforma dei reati tributari di cui si discute, tra cui la riforma dell'art. 12-ter d.lgs. n. 74/2000 è stata introdotta con d.l. 26 ottobre 2019, n.124, convertito con legge 19 dicembre 2019, n. 157.

La veste formale della decretazione d'urgenza utilizzata dal Legislatore non è priva di criticità ed è idonea a porre, quantomeno potenzialmente, problemi di legittimità costituzionale certamente di non poco momento.

Vige infatti nell'ordinamento il principio, di rango costituzionale, secondo il quale è fatto divieto di punire un determinato fatto in assenza di una legge che lo configuri come reato.

Tale principio è espresso dall'art. 25, comma 2, Cost., il quale dispone, nella parte qui di interesse, quanto segue: “nessuno può essere punito se non in forza di una legge”.

Esso è poi ripreso e precisato dall'art. 1, c.p., secondo cui “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”.

Il fatto che la stessa Costituzione citi espressamente la sola “legge” quale unica fonte idonea a innovare il diritto penale sostanziale pone all'interprete l'interrogativo circa la legittimità della decretazione d'urgenza quale strumento per l'introduzione di nuove norme incriminatrici.

Vero è che il decreto legge è stato utilizzato svariate volte per introdurre nuove fattispecie penali.

Si pensi, per esempio, alle norme in tema di sequestro di persona a scopo di estorsione, introdotte con d.l. n. 59/1978, convertito con l. n. 191/1978; al d.l. n. 136/1992, convertito con l. n. 356/1992, il quale ha introdotto il reato di false informazioni al P.M. di cui all'art. 317 bis c.p.; al d.l. n. 272/2005, convertito con l. n. 49/2006, in materia di stupefacenti.

La prassi di considerare fonte della potestà punitiva non solo la legge formale, ma anche gli atti aventi forza di legge (c.d. legge materiale), fra cui il decreto legge, è legittimata, con riferimento al decreto legge, dal fatto che sia il Parlamento, con legge formale, a fare propria la scelta di politica criminale effettuata dal Governo; pertanto, si conclude, il principio della riserva di legge resta pienamente rispettato.

La tesi non convince pienamente, ove si ponga mente alla funzione precipua dell'art. 25, comma 2, Cost., che è quella di presidiare e garantire il bene inviolabile della libertà personale.

In forza tale disposto, il Costituente ha inteso sottolineare come l'introduzione di sanzioni penali personali e patrimoniali debba vedere la propria genesi solo quale risultato del libero confronto tra le forze parlamentari e a valle del procedimento descritto dagli artt. 70-74, Cost. per l'approvazione della legge ordinaria, partecipato da tutte le forze politiche aventi rappresentanza e idoneo a assicurare la naturale dialettica parlamentare.

Vi è inoltre una frizione ontologica tra le ragioni d'urgenza, solo ed esclusivamente in presenza delle quali la decretazione d'urgenza è ammessa dall'art. 77, Cost., e la ovvia necessità che la scelta incriminatrice sia preceduta da una fase di attenta ponderazione e approfondito studio, normalmente propri dell'iter parlamentare di produzione normativa.

D'altro canto, è la stessa Corte Costituzionale ad aver recentemente posto un argine all'arbitrio dell'esecutivo nella decretazione d'urgenza in campo politico criminale.

Infatti, nella sentenza n. 32/2014, la Corte ricorda che la legge di conversione segue un iter parlamentare semplificato e caratterizzato da tempi particolarmente rigidi; esso, di conseguenza, senza alcun dubbio comprime di molto quel confronto dialettico tra le forze parlamentari proprio dell'iter ordinario.

Da tale constatazione, la Corte fa discendere il rilevante corollario secondo il quale non è consentito l'abuso di tale strumento, e cioè il suo utilizzo al solo fine di evitare o limitare il pieno esplicarsi del dibattito parlamentare.

Ora, nel caso che ci occupa, l'esecutivo ha introdotto con decretazione d'urgenza una articolata e complessiva rivisitazione del sistema penale tributario in senso ampiamente sfavorevole al reo, con ciò effettuando scelte di politica criminale riservate al Parlamento e dalle conseguenze particolarmente pregnanti in tema di trattamento punitivo.

Ai sensi dell'art. 77, Cost., il governo può emanare atti aventi forza di legge, successivamente soggetti a conversione con legge, solo in casi straordinari di necessità e urgenza.

Tali requisiti paiono difettare radicalmente con riferimento alla norma, indispensabile, della straordinaria necessità e urgenza: infatti, ai sensi l'art. 39, comma 3, d.l. 26 ottobre 2019, n.124, tutte le disposizioni innovative del D.lgs. n. 74/2000, le modifiche della disciplina penale in materia tributaria assumono efficacia “dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del presente decreto”.

Pertanto, la decretazione d'urgenza, nel caso in esame, ha un effetto che possiamo dire differito, avendo lo stesso esecutivo espressamente dichiarato la sua entrata in vigore dopo un notevole lasso di tempo (e cioè del tempo necessario per la conversione, eventualmente con modifiche), in ogni caso incompatibile con i suddetti requisiti di straordinaria necessità e urgenza di cui all'art. 77, Cost.

Il fatto che sia previsto che la normativa penale entri in vigore solo dopo l'approvazione della legge di induce a legittimamente sospettare che il Governo abbia usato il decreto d'urgenza al di fuori dei presupposti tassativamente indicati nell'art. 77, Cost., e cioè al di fuori di una situazione di straordinaria necessità e urgenza, in presenza della quale la riforma avrebbe dovuto essere immediatamente esecutiva, non potendo tale eccezionale situazione tollerare alcuna dilazione temporale all'adozione di efficaci strumenti per farvi fronte.

Occorre anche evidenziare che tale formulazione del decreto legge in commento rivela che nel caso di specie l'esecutivo abbia posto in essere proprio quell'abuso della decretazione d'urgenza censurato dalla Corte Costituzionale nella pronuncia ricordata sopra.

Infatti, la prevista efficacia differita del decreto legge in esame può far ragionevolmente ritenere che la normativa recante la riforma del sistema penale tributario sia stata in esso inserita dal Governo al solo (o al preponderante) fine di comprimere il dibattito parlamentare e quindi in tal modo aggirare la garanzia costituzionale di cui all'art. 25, comma 2, Cost., con conseguente violazione del principio della riserva di legge.

La volontà in capo all'esecutivo di coartare la volontà del Parlamento trova poi ulteriore conferma nella fiducia richiesta e ottenuta dal Governo per l'approvazione della legge di conversione.

L'intera riforma del sistema penale tributario è quindi gravemente a rischio di illegittimità costituzionale, a causa dell'uso della decretazione d'urgenza distorto e deviato dalle sue naturali finalità effettuato dall'esecutivo.

Questioni di diritto intertemporale

Si è già visto che ai sensi dell'art. 39, comma 3, del d.l. 26 ottobre 2019, n.124, le modifiche della disciplina penale in materia tributaria assumono efficacia “dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del presente decreto”.

A sua volta, l'art. 39, comma 1-bis, della legge di conversione dispone che la riforma della confisca per sproporzione, si applichi “esclusivamente alle condotte poste in essere successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione”.

Sulla base della norma speciale in commento, quindi, la confisca per sproporzione potrà essere applicata solo ed esclusivamente per fatti commessi successivamente all'entrata in vigore della legge che include il reato tributario nell'elenco dei reati per cui la misura ablatoria è applicabile.

Tale espressa previsione normativa costituisce un rilevante elemento di novità in tema di successione delle leggi nel tempo rispetto alla disciplina ordinaria della confisca per sproporzione, così come elaborata dalla Giurisprudenza di Legittimità.

Infatti, la ritenuta finalità non sanzionatoria, ma preventiva, della confisca per sproporzione fa rientrare la medesima nell'alveo delle misure di sicurezza, con conseguente applicazione del disposto di cui all'art. 200 c.p., a mente del quale “le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione”.

Pertanto, secondo l'orientamento attuale della Giurisprudenza di Legittimità, la confisca per sproporzione, in quanto misura di sicurezza, è soggetta al principio del tempus regit actum di cui al ricordato art. 200 c.p. e non al principio di irretroattività della legge penale statuito dall'art. 2 c.p., secondo il quale “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”.

Corollario di tale principio è la conclusione secondo la quale «la natura di misura di sicurezza di questa ipotesi particolare di confisca consente che essa è applicabile anche ai reati presupposto commessi nel tempo in cui tale ipotesi di confisca non era prevista dalla legge» (Cass. pen. Sez. II, 25 settembre 2018, n. 56374; Cass. pen., Sez. VI, 11 ottobre 2012, n. 10887).

La legge speciale sulla riforma dei reati tributari ha espressamente escluso che la confisca per sproporzione possa applicarsi ai fatti commessi antecedentemente all'approvazione della legge di conversione, e cioè, come visto, all'1° gennaio 2020.

Deve concludersi che, per espressa previsione legislativa, alla confisca per sproporzione si applichi l'art. 2 c.p. e non l'art. 200 c.p., ove il reato presupposto sia un reato tributario.

Opera quindi in relazione alla confisca per sproporzione per reati tributari il principio di irretroattività della legge penale, tipico delle misure sanzionatorie.

Tale disposizione normativa apre le porte a una innovativa concezione della confisca per sproporzione quale sanzione, al pari della confisca per equivalente, anziché quale misura di sicurezza, come tradizionalmente considerata dalla Giurisprudenza.

Ciò posto, si pone l'ulteriore problema della ammissibilità della confisca per sproporzione nei reati tributari di cespiti acquistati antecedentemente all'entrata in vigore della legge di conversione.

La Giurisprudenza di Legittimità investita del problema in relazione a altri reati per cui è ammissibile tale forma atipica di confisca, ha avuto modo di ritenere che «l'ipotesi di confisca prevista dall'art. 12-sexies, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, può essere disposta anche in relazione a cespiti acquisiti in epoca anteriore all'entrata in vigore delle disposizioni che l'hanno istituita» Cass. pen.,Sez. II, 25 settembre 2018, n. 56374; Cass. pen., Sez. VI, 11 ottobre 2012, n. 10887).

Ciò in quanto «il principio di irretroattività opera solo con riguardo alle confische aventi natura sanzionatoria e non anche in relazione alla confisca in questione, da ricomprendere tra le misure di sicurezza» (ibid.).

Pertanto, la S.C. fa discendere dalla ritenuta non operatività in tema di confisca per sproporzione del principio di irretroattività l'ammissibilità della confisca di beni acquistati dal prevenuto antecedentemente all'entrata in vigore della legge che include il reato spia nel novero dei reati per cui la misura in questione va disposta.

Ciò premesso, occorre prendere atto che il Legislatore ha ritenuto, nella propria discrezionalità, di applicare il principio di cui all'art. 2 c.p. in relazione alla confisca per sproporzione nei reati tributari, come si è visto sopra.

Cade quindi l'unico presupposto logico da cui la S.C. fa discendere l'applicabilità della misura ablatoria in esame per cespiti acquisiti dal prevenuto anteriormente alla legge istitutiva.

Pertanto, si dovrà concludere, in tema di confisca per sproporzione nei reati tributari, che il prevenuto non potrà in ogni caso essere spogliato di beni che abbia acquisito prima della di entrata in vigore della legge di conversione del Decreto Fiscale, e cioè prima del 1° gennaio 2020.

Ciò risponde alla ragionevole esigenza di garantire il principio di personalità e responsabilità individuale di cui all'art. 27 Cost., in modo che il consociato sia pienamente consapevole delle conseguenze delle proprie condotte, essendo tali conseguenze descritte con precisione e determinatezza in una legge precedente al momento in cui esse condotte vengono poste in essere.

Questa è l'unica via per cui il diritto penale può effettivamente informarsi agli irrinunciabili principi di libertà e autodeterminazione, che sono il fondamento stesso del vivere civile e solo in presenza dei quali è garantito il pieno sviluppo della persona nella sua dimensione privata e partecipativa; solo in presenza dei quali, in definitiva, il singolo acquista la dignità di cittadino, libero e uguale, libero dall'arbitrio del potere e uguale perché responsabilizzato, al pari degli altri consociati, da leggi predeterminate.

In conclusione

La repressione dei reati, e di quelli tributari in particolare, è sempre più strettamente legata, negli interventi riformatori via via effettuati dal Legislatore, alla predisposizione di misure ablatorie nei confronti del reo.

In effetti, il Legislatore sta facendo sempre più largo uso dell'arma micidiale della confisca, intesa ora quale misura di sicurezza, ora quale misura di prevenzione, ora quale sanzione accessoria, ora, infine, quale sanzione principale, come nel caso di quella prevista in tema di responsabilità dell'ente ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, estesa ai reati tributari con la riforma oggetto del presente articolo.

Il proliferare di molteplici ipotesi di confisca, che possono coesistere e che stringono su più fronti la repressione dei reati tributari in una vera e propria manovra a tenaglia, comportano il rischio di creare una grave incertezza del diritto.

Sarebbe quindi auspicabile, in una prospettiva de iure condendo, un intervento di razionalizzazione da parte del Legislatore, finalizzato ad omogeneizzare la disciplina dell'istituto in questione, in conformità ai principi di determinatezza e tassatività costituzionalmente garantiti dall'art. 25 Cost.

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