Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici

Ciro Santoriello
11 Gennaio 2016

La fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici dopo la riforma introdotta con il d.lgs. n. 158 del 2015, è un reato comune che presenta una condotta bifasica, che ruota attorno a due elementi ovvero la presentazione di una dichiarazione fiscale mendace e le condotte frodatorie di supporto. Non occorre che tale condotta frodatoria faccia leva su una falsa rappresentazione nelle scritture contabili e perciò, come detto, potenziali soggetti attivi del reato non solo i soli contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, come in passato (NAPOLEONI, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Milano, 2000, 87), ma i contribuenti tout court.

Inquadramento

La fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici dopola riforma introdotta con il d.lgs. n. 158 del 2015, è un reato comune che presenta una condotta bifasica, che ruota attorno a due elementi ovvero la presentazione di una dichiarazione fiscale mendace e le condotte frodatorie di supporto. Non occorre che tale condotta frodatoria faccia leva su una falsa rappresentazione nelle scritture contabili e perciò, come detto, potenziali soggetti attivi del reato non solo isoli contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, come in passato (NAPOLEONI, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Milano, 2000, 87), ma i contribuenti tout court.

La condotta tipica: la dichiarazione mendace

Come si è osservato, la condotta tipica si articola in due frammenti: la dichiarazione mendace e l'attività ingannatoria di supporto a tale mendacio.

Quanto alla dichiarazione mendace, si può constatare come la norma si limiti a fare un generico riferimento alle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, con la scomparsa tuttavia dell'aggettivo annuali che in precedenza sembrava escludere la rilevanza penale delle dichiarazioni relative a periodi d'imposta di durata infrannuale. Assumono dunque penale rilevanza anche le dichiarazioni ragguagliate a segmenti temporali diversi dall'anno, quali le cosiddette dichiarazioni straordinarie (da presentare a seguito di eventi peculiari quali la liquidazione, il fallimento, la trasformazione, la fusione, ecc.) (NAPOLEONI, I fondamenti, cit., 87; MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, Milano, 2010, 342; MUSCO, ARDITO, Diritto penale tributario, II ed., Bologna, 2012, 141).

Quanto, poi, alla tipologia di mendacio che deve inficiare la dichiarazione fiscale, lo stesso art. 3, d.lgs.74/2000 specifica che questo si deve risolvere nella indicazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi. Con l'espressione elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, la norma intende riferirsi alla dichiarazione solo parziale dei componenti positivi che incidono sulla determinazione della base imponibile rilevante ai fini delle imposte sui redditi o dell'imposta sul valore aggiunto; quanto agli elementi passivi fittizi, la definizione di tale nozione ha rappresentato per lungo tempo il principale oggetto di discussione per la determinazione della sfera di applicazione della disposizione in parola potendosi riscontrare due possibili significati della nozione di fittizietà ovvero una portata naturalistica –ritenendosi fittizio solamente ciò che non esiste in natura ossia ciò che non è effettivamente venuto ad esistenza, per cui avrebbero dato luogo a elementi passivi fittizi solamente quelle annotazioni di costi relativi ad operazioni non effettivamente intervenute nella realtà fenomenica dei fatti (CARACCIOLI, Dalle “manette agli evasori” alle “manette agli estimatori”, in Il fisco, 2000, 3362) – o, in alternativa, una valenza giuridica, nel senso che il costo fittizio sarebbe stato quello non deducibile perché in contrasto con la normativa tributaria– si pensi, ad esempio, ad una voce passiva iscritta in violazione del principio di competenza (BERSANI, I reati di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione, Padova 2003, 42; NANNUCCI, Il delitto di dichiarazione infedele, in AA.VV., La riforma del diritto penale tributario (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74), a cura di Nannucci-D'Avirro, Padova, 2000, 175).

Il dibattito, tuttavia, pare non aver più ragion d'essere alla luce di quanto dispongono i nuovi commi 1-bis e 1-ter dell'attuale art. 4, d.lgs. 74/2000. In particolare, il comma 1-bis dispone che ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1 [il delitto di dichiarazione infedele, n.d.a.], non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.

Si tratta, com'è chiaro, di una previsione di rilevanza cruciale siccome dichiara esplicitamente l'irrilevanza penale, ai sensi dell'art. 4 d.lgs. 74/2000 di tutti i casi nei quali il contribuente viola un criterio di classificazione, oppure l'individuazione del periodo d'imposta nel quale collocare una componente reddituale o, in modo ancora più radicale, attribuisce il connotato dell'inerenza ad un costo del tutto avulso dallo svolgimento dell'attività di impresa (INFANTE, Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, in AA.VV., Corso di diritto penale dell'economia, a cura di MANNA, Padova, 2018, 768; MAZZACUVA, ll nuovo delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, in MANTOVANI – CURI – TORDINI CAGLI – CAIANIELLO (diretto da), Scritti in onore di Luigi Stortoni, Bologna 2016, 593). Se quindi, volendo esemplificare, continuerà ad assumere rilevanza il costo confluito nella dichiarazione fiscale ma del tutto inesistente in quanto mai sostenuto dal contribuente (rilevante ex art. 4, d.lgs. 74/2000 se privo di “pezza giustificativa”, rientrante invece nell'alveo dell'art. 2, d.lgs. 74/2000 se falsamente documentato da una fattura mendace), risulterà invece atipico il costo sostenuto per la ristrutturazione dell'immobile personale ma imputato al reddito dell'impresa, così come atipici saranno le quote di ammortamento dello yacht intestato alla società o il costo del gioiello regalato all'amante ed annoverato tra le spese dell'esercizio.

Difficile non ritenere che i commi 1-bis e 1-ter dell'art. 4 d.lgs.74/2000 non debbano riverberare i propri effetti anche con in relazione all'art. 3 ora in commento. Se infatti oggi, tanto in seno alla fattispecie di cui all'art. 2 quanto in quella prevista dall'art. 4, la nozione di elemento passivo fittizio è venuta a coincidere con quella di elemento passivo inesistente, pare arduo ritenere che tale locuzione possa assumere, in assenza di precise indicazioni normative di segno opposto, un diverso significato nell'ambito dell'art. 3. Di conseguenza, anche in seno alla fattispecie in commento, l'elemento passivo fittizio debba essere identificato con il componente negativo di reddito inesistente, in quanto disancorato da un concreto dato fattuale (PERINI, Reati tributari, in Dig. Disc. Pen., Agg., Milanofiori Assago, 2016, 574).

Penalmente rilevante è poi l'indicazione nella dichiarazione fiscale di crediti e ritenute fittizi. Una volta determinata la base imponibile in seno alla dichiarazione fiscale, il contribuente provvede a calcolare su di essa l'imposta dovuta applicando le aliquote previste dalla normativa tributaria; al risultato così ottenuto vengono detratti gli eventuali crediti d'imposta e le ritenute già subite per procedere, in ultimo, al calcolo dell'imposta da versare: in precedenza tutto il conteggio in questione e, in particolare, l'imputazione dei crediti d'imposta e delle ritenute subite, fuoriusciva dalla sfera applicativa delle norme penali tributarie, mentre oggi è attribuita rilevanza anche all'indicazione di “crediti e ritenute fittizi”, con l'avvertenza che, ovviamente, anche una tale forma di mendacio dovrà trovare supporto in una delle diverse condotte frodatorie (PERINI, Reati tributari, cit., 580).

Da notare che anche le soglie di punibilità sono state adeguate a tale innovazione: la lettera b) del comma 1, infatti, prevede ora che acquisisca rilevanza penale anche la dichiarazione nella quale l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta, è superiore al cinque per cento dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro trentamila; tuttavia, questa previsione va coordinata con quanto previsto dall'altra soglia di punibilità contemplata dalla lettera a) del medesimo comma 1 dell'art. 3 d.lgs. 74/2000 che prevede che assumano rilevanza penale solo condotte foriere di un'evasione superiore ad € 30.000. Ciò significa che il contribuente che, dovendo corrispondere un'imposta di € 100.000, documenti falsamente di avere già subito ritenute per € 10.000, non risponderà dell'illecito in parola. In un tale contesto, infatti, la soglia del 5% sarà superata ma l'evasione sarà limitata ad € 10.000, ossia al quantum di imposte non versate in quanto decurtate grazie alle ritenute fittizie.

(Segue). La condotta tipica: le attività fraudolente di supporto alla dichiarazione mendace

Come si osservava, aspetto caratterizzante il delitto in esame è la presenza di condotte destinate ad incidere sulla decettività della dichiarazione in modo tale da renderne più difficilmente individuabile la falsità e, quindi, aumentare le chances di successo dell'inganno perpetrato ai danni dell'Amministrazione finanziaria.

A tale riguardo, il legislatore tipizza tre tipologie di condotte:

  • il compimento di operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente;
  • l'avvalersi di documenti falsi;
  • l'avvalersi di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l'accertamento o a indurre in errore l'Amministrazione finanziaria.

Ovviamente, è sufficiente la presenza di una soltanto di tali forme di frode con la dichiarazione mendace per aversi, sussistendo gli altri elementi di tipicità, il delitto in esame.

Quanto all'ipotesi di utilizzo di documenti falsi, si pone un problema di distinzione rispetto alla fattispecie di cui all'art. 2, d.lgs. 74 del 2000 – ovvero il delitto di utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all'art. 2 – punita più gravemente in quanto non sono previste soglie di punibilità. Rientreranno dunque nell'alveo dell'art. 3 tutti i documenti mendaci diversi dalle fatture e dagli altri documenti dotati di analoga rilevanza fiscale ma aventi al contempo rilievo probatorio analogo a quello delle fatture in base alle norme tributarie: in tale novero la giurisprudenza inserisce – nell'ambito della normativa in materia di imposta sul valore aggiunto – a) le note di variazione di cui all'art. 26, d.P.R. 633/1972; b) l'autofattura di cui agli artt. 17 e 34 del medesimo decreto, nonché di cui all'art. 6, comma 8, d.lgs. 471/1997; c) i titoli di accesso emessi mediante apparecchi misuratori fiscali ovvero mediante biglietterie automatizzate, per le imprese operanti nel settore delle attività spettacolistiche, ai sensi dell'art. 74-quater, comma 2, d.P.R.633/1972; d) le bollette emesse dai contribuenti che, ai sensi dell'art. 22, comma 2, dello stesso decreto, prestino servizi al pubblico con caratteri di uniformità, frequenza e importo limitato; e) le ricevute emesse dai lavoratori autonomi occasionali, ed in particolare la “parte figlia” del “bollettario”, mediante cui i contribuenti minori possono adempiere all'obbligo di fatturazione (l'art. 32, comma 2, d.P.R. n. 633/1972 ne prevede l'equiparazione alla fattura); f) le distinte emesse (o sottoscritte) dall'esercente per attestare l'avvenuto acquisto di valori bollati; g) i contratti di compravendita recanti dati non conformi a verità, come accade in casi di alienazione di immobili con indicazione nel rogito di un prezzo diverso rispetto a quello effettivo.

Nella fattispecie in esame non rientra invece l'ipotesi di una falsificazione materiale di una fattura o

documento equipollente, versandosi in tale circostanza nell'ipotesi delittuosa di cui all'art. 2 (Cass. pen.,Sez. III, 24 novembre 2011, n.48486).

In ultimo, occorre sottolineare come la norma preveda che il contribuente debba avvalersi del documento mendace affinché venga integrata la condotta tipica ed il nuovo comma 2 dell'art. 3 precisa che il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell'Amministrazione finanziaria. Questa nuova previsione esclude la sussistenza del reato laddove la falsità investa il bilancio, il quale viene trascritto nel libro inventari ma non registrato nelle scritture contabili, né è detenuto a fini di prova nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, visti gli obblighi di pubblicità che ne accompagnano l'approvazione.

La seconda tipologia di condotte volte a supportare la falsità della dichiarazione fiscale è descritta dal legislatore facendo riferimento al compimento di operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente, le quali si caratterizzano per dare vita ad uno scollamento tra la realtà effettuale ed economica dell'operazione e l'immagine che di tale realtà viene data ai soggetti estranei all'operazione, ai quali viene fatto apparire un contratto avente oggetto differente da quello reale oppure riguardante il venditore e l'interposto quando, in realtà, la transazione avviene tra il soggetto venditore e l'interponente.

La terza ed ultima tipologia di condotta tipica è costituita dall'avvalersi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'Amministrazione finanziaria, formula di chiusura con la quale il legislatore tenta di colorare di tipicità tutte le condotte in qualche modo artificiose attuate dal contribuente onde scongiurare che l'Amministrazione finanziaria si avveda della mendacità della dichiarazione fiscale.

Rispetto al passato un profilo di novità è rappresentato dal richiamo alla necessità che la condotta posta in essere presenti una concreta valenza ingannatoria nel senso che sono rilevanti ai fini della sussistenza dell'illecito in parola solo quei comportamenti davvero in grado di sviare l'attività di accertamento ed indurre in errore l'Amministrazione finanziaria: saranno dunque penalmente irrilevanti le piccole furberie, le irregolarità, le violazioni, le imprecisioni destinate a rendere meno agevole l'attività di verifica condotta dall'Amministrazione finanziaria ma scevre di una reale idoneità ingannatoria (A. D'AVIRRO, Il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, in A. D'AVIRRO – GIGLIOLI – M- D'AVIRRO, Reati tributari e sistema normativo europeo, Milanofiori Assago, 2017, 55; PERINI, Reati tributari, cit., 592).

Il momento consumativo del reato

Posto che come detto il reato in parola richiede da un lato compimento di condotte fraudolente e dall'altro la presentazione di una mendace dichiarazione fiscale, ci si può domandare se - al pari di quanto ci si chiedeva nella vigenza della precedente disposizione (PERINI, Elementi di diritto penale tributario, Torino, 1999, 205)

– debba sussistere o meno una particolare consecutio temporale da rispettarsi ai fini dell'integrazione del fatto tipico. Nella vigenza della antecedente versione della fattispecie la tesi prevalente era nel senso che – richiedendo la previsione incriminatrice che la falsità della dichiarazione dovesse avvenire sulla base di falsità contabili ed avvalendosi di mezzi fraudolenti – la presentazione della dichiarazione rappresentasse necessariamente l'ultimo passo – da un punto di vista temporale – della condotta frodatoria (NAPOLEONI, I fondamenti, cit., 115; MUSCO, ARDITO, Diritto penale tributario, cit., 155) e tale soluzione pare doversi confermare anche dopo la riforma, dovendosi quindi concludere nel senso che con la presentazione della dichiarazione mendace venga a cristallizzarsi la condotta del contribuente, consentendo di attualizzare a tale istante la valutazione in ordine alla fraudolenza o meno della condotta.

Si ricorda comunque che l'art. 11, l. 22 dicembre 2011, n. 214 punisce chiunque, in fase di accertamento, esibisca o trasmetta atti o documenti falsi in tutto o in parte: ciò comporta l'attribuzione di rilevanza penale all'utilizzo, in sede di accertamento, di documentazione mendace eventualmente confezionata in epoca successiva alla presentazione della dichiarazione, colmando così buona parte di quelli che, altrimenti, rischierebbero di apparire come degli arretramenti della tutela penale non agevoli da giustificare (GIANONCELLI, Il nuovo reato di false esibizioni documentali e false comunicazioni al Fisco, in Rass.trib., 2013, 177).

Le soglie di punibilità

Come si è già anticipato, la fattispecie in esame contempla due soglie di punibilità e solo il loro superamento congiunto comporta la rilevanza penale del fatto.

La prima di tali soglie è riferita all'importo dell'imposta evasa e prende in considerazione ognuna delle imposte evase, con la conseguente impossibilità di sommare l'evasione dell'Iva all'evasione di imposte dirette. La nozione di imposta evasa è anch'essa definita dall'art. 1, la cui lett. f) dispone che per «imposta evasa» si intende la differenza tra l'imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l'intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine.

A chiusura di tale previsione, la recente riforma ha aggiunto un inciso destinato a specificare che non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell'esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili. Ciò dovrebbe porre termine alla risalente questione concernente la discussa rilevanza penale delle dichiarazioni (non solo fraudolente) la cui falsità abbia come conseguenza non già quella di comportare una minore tassazione ma si risolva nell'emersione di una perdita fiscale maggiore di quella che vi sarebbe comunque stata. Si pensi al contribuente che, in luogo di dichiarare una perdita di 100, grazie ad una dichiarazione fraudolenta dichiari una perdita di 500.

La seconda delle soglie di punibilità previste prende in considerazione gli elementi attivi sottratti all'imposizione: dunque, in questo caso, si tratta di quantificare l'entità della base imponibile (non delle imposte) non dichiarata. La soglia in esame è, innanzitutto, di tipo percentuale: gli elementi attivi sottratti a tassazione devono superare il 5% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione; tuttavia, la soglia è comunque superata – al di là del dato percentuale – qualora gli elementi attivi sottratti a tassazione siano in valore assoluto superiori a un milione cinquecentomila euro: tale soglia è stata innalzata rispetto al tetto di un milione che in precedenza era stato introdotto dal d.l. 13 agosto 2011, n.138.

Le predette soglie di punibilità danno la stura a delicati problemi applicativi in presenza di società di persone atteso che, com'è noto, codeste tipologie di società presentano una dichiarazione fiscale anche se i relativi redditi vengono attribuiti “per trasparenza” ai singoli soci in funzione della diversa percentuale di partecipazione agli utili (si veda, in argomento, PISANI, La dichiarazione fraudolenta delle società di persone, in Fisco, 2003, 2903). In un tale contesto, è comunque la soglia di punibilità relativa agli elementi attivi sottratti all'imposizione ad orientare l'interprete, dato che un tale valore non può che essere riferito alla società: non si vedrebbe, infatti, quali possano essere gli elementi attivi in questione se non i componenti positivi di reddito indicati nella dichiarazione della società; quindi, è al dato espresso dalla società che dovrà essere parametrata la soglia in esame.

L'elemento soggettivo del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici

Con riguardo all'elemento soggettivo del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, questo è definito attraverso il riferimento al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto.

Tale coefficiente psicologico appare immutato rispetto alla previgente fattispecie ed accomuna ampia parte dei reati tributari: ciò consente di affrontarne una trattazione particolarmente sintetica, rinviando ogni ulteriore approfondimento alla vasta letteratura che si è formata attorno a tale materia.

Per prevenire il sorgere di difficoltà interpretative in relazione agli enti societari, la peculiare finalità in questione è stata opportunamente precisata dall'art. 1, lett. e)(anch'esso lasciato intonso dalla riforma), prevedendo che, qualora i fatti siano commessi da chi agisce in qualità di amministratore, liquidatore, o rappresentante di società, enti o persone fisiche, il fine di evasione deve essere inteso come comprensivo altresì dello scopo di consentire l'evasione alla società, all'ente, o alla persona fisica per conto della quale il soggetto agisce. Si è altresì specificato che il fine di evasione ricomprende pure quello di conseguire un indebito rimborso o di ottenere il riconoscimento di un inesistente credito d'imposta (art. 1, lett. d)).

Anche la previsione di un coefficiente psicologico così pregnante non risulta casuale, contribuendo non poco a selezionare i comportamenti davvero meritevoli di risposta penale. In questa prospettiva, quindi, condotte fraudolente finalizzate ad obiettivi “extra-fiscali” dovrebbero rimanere estranee alla sfera applicativa della fattispecie: si pensi, ad esempio, al nascondimento di parte degli utili per indurre un socio di minoranza a svendere la propria quota di partecipazione nella società/contribuente.

L'elemento psicologico richiesto per la sussistenza del delitto in parola è qualificato in termini di dolo specifico in quanto il fine avuto di mira dal contribuente (quello di evadere le imposte) non dovrebbe necessariamente essere raggiunto per aversi l'integrazione della fattispecie che ci occupa. Tuttavia, la correttezza di una tale conclusione dipende strettamente dalla natura che si vuole attribuire alle soglie di punibilità ed, in particolare, se in esse si reputi di scorgere un elemento costitutivo del fatto (ed in questo senso si esprimono MUSCO - ARDITO, Diritto penale tributario, cit., 48; DI AMATO, La dichiarazione infedele, in DI AMATO - PISANO, I reati tributari, cit., 550) oppure una condizione obiettiva di punibilità (SALCUNI, Natura giuridica e funzioni delle soglie di punibilità nel nuovo diritto penale tributario, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2001, 131; CERQUA, Sulla natura giuridica delle soglie di punibilità dei delitti in materia di dichiarazione, in Fisco, 2001, 8960. Nella giurisprudenza, per questa tesi, cfr. Cass. pen., Sez. III, 2dicembre 2011, n. 5640; Cass. pen., Sez. III, 27 marzo 2014, n. 36703), posto che – se si aderisce alla prima prospettazione – allora il contribuente deve volere semplicemente evadere una somma superiore a quella indicata come soglia di punibilità della condotta (senza cioè intendere raggiungere obiettivi ulteriori) con il che l'elemento soggettivo richiesto si identificherebbe nel solo dolo diretto, mentre se invece si ritiene che la soglia di punibilità sia identificabile con una mera condizione di punibilità allora il superamento della soglia (e quindi l'entità assunta dall'evasione) renderebbe più pertinente la chiamata in causa del dolo specifico (da ultimo, nel senso che la soglia di punibilità presente nell'art. 10-ter d.lg. n. 74 del 2000 rientra fra gli elementi costitutivi del reato e la mancata integrazione della stessa comporta l'assoluzione dell'imputato con la formula "il fatto non sussiste", Cass., sez. III, 21 novembre 2019, n. 2210).

Il nuovo quadro sanzionatorio dopo il d.lgs. n. 124 del 2019

In palese controtendenza rispetto alla precedente riforma del 2015, con il lgs. N. 124 del 2019 (su cui GARAVOGLIA – IMPERATO, Le novità del Diritto Penale Tributario, aumento delle pene, casi particolari di confisca, responsabilità degli Enti per i reati tributari, relazione al Convegno della Associazione Nazionale Tributaristi Italiani Sezione Del Piemonte E Della Valle d'Aosta, 30 gennaio 2020; RUTA, La riforma dei reati tributari, una prima lettura, in www.questionegiustizia.it.; PERINI, Brevi note sui profili penali tributari del d.l. n. 124/2019 (decreto fiscale), in www.sistemapenale.it; FINOCCHIARO, Le novità in materia di reati tributari e di responsabilità degli enti contenute nel c.d. decreto fiscale (d.l. n. 124/2019), ivi; DI VIZIO, Reati tributari: il Decreto fiscale innalza le pene ed abbassa le soglie, in Quotidiano giuridico, 7 novembre 2019), il legislatore ha significativamente inciso sulle sanzioni previste per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, giacché oltre ad inasprire le pene ha individuato due ulteriori forme di reazione a fronte di tali illeciti..

Per quanto riguarda la pena la reclusione va ora da tre ad otto anni (a fronte della precedenti previsione di un anno e sei mesi a sei anni).

In secondo luogo, è stata prevista l'applicabilità – sancita dal nuovo art. 12-ter - della c.d. confisca allargata ex art. 240-bis c.p. in caso di condanna o patteggiamento allorché l'evasione fiscale superi la soglia di €. 100.000. Come noto, la confisca c.d. allargata ha ad oggetto il denaro, i beni o le altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica (GUCCIARDO, Il delitto tributario come presupposto per l'applicazione della confisca allargata o per sproporzione, in disCrimen, 16.3.2020).

Questa confisca, dunque, consiste in una forma di ablazione fondata essenzialmente sulla sproporzione patrimoniale, sproporzione che permette una presunzione iuris tantum di origine illecita dei beni, secondo un meccanismo di accertamento non dissimile da quello proprio della confisca di prevenzione di cui al c.d. codice antimafiaex d.lg. 159 del 2011 (BONTEMPELLI, La confisca o le confische da illecito (penale) tributario?, in Sistemapenale.it).

In forza, poi, del rinvio che l'art. 240-bis c.p. opera all'art. 578-bis c.p.p., il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato tributario estinto per prescrizione o per amnistia, potranno decidere sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, purché procedano ad un previo accertamento della responsabilità dell'imputato.

Si ricorda che secondo l'insegnamento della Corte Costituzionale – in specie della decisione n. 33 del 2018 non è necessario un nesso di pertinenza o di provata derivazione causale tra il reato ed i beni oggetto di confisca (di sequestro, nella fase delle indagini), così come non è necessario ai fini di una valida ablazione che i beni siano stati acquisiti in epoca posteriore al commesso reato né occorre, per asserire l'origine illecita dei beni di cui dispone il singolo, che questi sia stato condannato ma è sufficiente la sproporzione tra detti beni e il reddito dichiarato o le attività economiche del soggetto, sproporzione che – secondo i correnti indirizzi giurisprudenziali – non consiste in una qualsiasi discrepanza tra guadagni e possidenze, ma in uno squilibrio incongruo e significativo, da verificare con riferimento al momento dell'acquisizione dei singoli beni. La presunzione di illegittima acquisizione dei beni oggetto della misura – che va comunque desunta sulla base di elementi forniti dal pubblico ministero in ordine alla sproporzione fra reddito e patrimonio - resta circoscritta in un ambito di cosiddetta “ragionevolezza temporale” poiché il momento di acquisizione del bene non deve risultare talmente lontano dall'epoca di realizzazione del “reato spia” da rendere ictu oculi irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da una attività illecita, sia pure diversa e complementare rispetto a quella per cui è intervenuta condanna.

Un limite all'operatività della confisca è poi desumibile dalla previsione di cui all'art. 240-bis c.p., secondo cui “in ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge”. L'inciso è volto ad escludere dall'oggetto della confisca allargata quanto l'imputato abbia già restituito all'erario, evitando una duplicazione di apprensione del provento illecito: la previsione è conforme al disposto di cui all'art. 12-bis d.lg. n. 74 del 2000, secondo cui non può procedersi a confisca del profitto del reato fiscale per la parte che il contribuente ha effettivamente già versato all'erario o che si sia impegnato a versare (Nel senso che a seguito della riforma in commento, la rilevanza dell'impegno a pagare l'imposta evasa ex art. 12-bis, comma 2, operi solamente in relazione alla confisca “ordinaria” prevista da tale articolo, mentre per la confisca allargata introdotta all'art. 12-ter sembrerebbe rilevare solamente l'effettiva restituzione all'erario, FINOCCHIARO, In vigore la riforma, cit.).

La nuova forma di confisca, per espressa previsione normativa, si applicherà “esclusivamente alle condotte poste in essere successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione”, precludendo così applicazioni giurisprudenziali in senso retroattivo di quella che – a torto o ragione – viene ancora generalmente qualificata come misura di sicurezza, pertanto non soggetta al divieto di retroattività in malam partem. Proprio in ragione di tale qualificazione, peraltro, la presente “clausola di irretroattività” potrebbe essere interpretata nel senso di non ostare alla possibilità che la confisca, pur applicata a condotte poste in essere dopo l'entrata in vigore della legge, vada a colpire cespiti acquisiti in epoca anteriore alla medesima data.

Da ultimo, con il d.l. n. 124 del 2019 si è previsto che alcuni degli illeciti previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 rappresentino un presupposto della responsabilità da reato dell'ente societario. Con particolare riferimento al delitto di dichisrazione fraudolenta mediante altri artifici, il nuovo art. 25-quinquiesdecies d.lg. n. 231 del 2001 prevede la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote. Inoltre, è prevista l'applicazione delle sanzioni interdittive di cui all'art. 9, comma 2, lettera c (divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio), lettera d (esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi) e lettera e (divieto di pubblicizzare beni o servizi).

Ovviamente l'ente risulta poi esposto anche all'applicazione del sequestro e della confisca, diretta e per equivalente, del prezzo o profitto del reato tributario realizzato nell'interesse o a vantaggio dell'ente, superandosi così i limiti precedenti – individuati dalla decisione delle Sezioni Unite Gubert – che in caso di illecito fiscale commesso da amministratori o dirigenti di una persona giuridica consentivano il sequestro in capo all'ente del profitto del reato tributario, sub specie di risparmio d'imposta, solo se si trattava di confisca in via diretta.

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