Dichiarazione infedele

Ciro Santoriello
15 Febbraio 2016

La fattispecie di dichiarazione infedele di cui all'art. 4, d.lgs. 74/2000 è stata profondamente riformata con il d.lgs. n. 158 del 2015,, nell'intento di contenere il rischio penale potenzialmente derivante da fatti privi di una reale finalità di evasione fiscale ma, più semplicemente, indotti dalla complessità del sistema tributario e dagli ampi margini di opinabilità che talora presenta l'applicazione - soprattutto - delle norme destinate ad intervenire su questioni valutative. Successivamente è intervenuto, in chiave di maggiore severità repressiva, il d.lgs. n. 129 del 2019
Inquadramento

La fattispecie di dichiarazione infedele di cui all'art. 4, d.lgs. 74/2000 è stata profondamente riformata con il D.lgs. n. 158 del 2015,, nell'intento di contenere il rischio penale potenzialmente derivante da fatti privi di una reale finalità di evasione fiscale ma, più semplicemente, indotti dalla complessità del sistema tributario e dagli ampi margini di opinabilità che talora presenta l'applicazione - soprattutto - delle norme destinate ad intervenire su questioni valutative. Successivamente è intervenuto, in chiave di maggiore severità repressiva, il d.l. n. 124 del 2019.

Inquadramento. Le dichiarazioni fiscali rilevanti e i soggetti attivi

Il delitto in questione punisce la presentazione di una dichiarazione relativa alle imposte sui redditi o all'imposta sul valore aggiunto che sia ideologicamente falsae la necessaria assenza di qualsiasi ulteriore comportamento “a sostegno” del mendacio ne giustifica il ruolo di confine e lo contraddistingue dalle ipotesi fraudolente, di cui agli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 74/2000.

In questa prospettiva, ad assumere rilevanza sono le dichiarazioni funzionali alla determinazione della base imponibile da sottoporre a tassazione e, dunque, al calcolo dell'imposta dovuta. Si tratta, quindi, delle dichiarazioni annuali, anche se è bene ricordare come il sistema fiscale conosca situazioni nelle quali la dichiarazione deve essere presentata con differente cadenza: è quanto accade, ad esempio, in presenza di operazioni straordinarie, quali la fusione tra più società e, quindi, tra diversi contribuenti. Nondimeno, alla luce dell'espresso riferimento normativo alle dichiarazioni “annuali”, è da ritenere che solamente tali documenti rientrino nell'ambito della tutela penale, sebbene sia certamente ipotizzabile la presentazione di una dichiarazione non conforme a verità -e quindi foriera di evasione- avente ad oggetto la determinazione infrannuale delle imposte dovute.

Per quanto concerne i potenziali soggetti attivi, è indubbio che quello in esame sia un reato proprio, suscettibile di essere commesso da qualsiasi contribuente (Bersani, I reati di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione, Padova, 2003, 13; Lanzi, sub Art. 4, in AA.VV., Diritto e procedura penale tributaria, in Diritto e procedura penale tributaria, a cura di I. Caraccioli, A. Giarda, A. Lanzi, Padova, 2001, 208). Resta ferma la delimitazione della sfera applicativa della norma alla tutela delle imposte dirette e dell'imposta sul valore aggiunto: di qui l'irrilevanza penale dell'evasione dell'imposta regionale sulle attività produttive (Irap), non catalogabile tra le “imposte sui redditi” in senso tecnico in quanto caratterizzata da una base imponibile parametrata al sostenimento di taluni costi e non al possesso di redditi.

Dagli “elementi passivi fittizi” agli “elementi passivi inesistenti”

La dichiarazione presentata dal contribuente, per rilevare penalmente, deve essere non conforme a verità, ossia deve indicare elementi attivi inferiori a quelli effettivi od elementi passivi inesistenti. In base all'art. 1,lett.b),d.lgs.74/2000, identifica negli elementi attivi o passivi lecomponenti espresse in cifra che concorrono

in senso positivo o negativo alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini dell'applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto e le componenti che incidono sulla determinazione dell'imposta dovuta.

Di assoluta rilevanza è l'abbandono, nella aggettivazione degli elementi passivi, della nozione di fittizietà, sostituita da quella di inesistenza. L'innovazione si ricollega all'incertezza che da sempre ha caratterizzato il termine fittizio, posto che tale espressione poteva essere intesa come riferentesi solamente a ciò che non esiste in natura, ossia ciò che non è effettivamente venuto ad esistenza, o anche a componenti negativi di reddito non deducibile (in tema Perini, voce Reati tributari, in Dig. disc. pen., Torino, 2013, 496 e s.): con la riforma e con l'utilizzo del termine inesistenti ogni dubbio pare dover venir meno anche considerando come il nuovo comma 1-bis dell'art. 4 d.lgs.74 del 2000 – disponendo che ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali – dichiara esplicitamente l'atipicità, ai sensi dell'art. 4 d.lgs. 74/2000, di tutti i casi nei quali il contribuente attribuisca arbitrariamente il requisito dell'inerenza o, più in generale, della deducibilità ad un costo del tutto avulso dalla produzione del reddito o comunque considerato indeducibile dalle norme tributarie.

Nel perimetro applicativo dell'art. 4 d.lgs. 74/2000 continuerà, invece, a ricadere non solo l'omessa

annotazione di ricavi ma anche la cosiddetta sottofatturazione, ossia il rilascio di fatture o di altri documenti fiscali nei quali trova indicazione una parte soltanto del corrispettivo effettivamente conseguito dal contribuente. Ed infatti, nonostante l'ampliamento della fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici avutosi con la riforma, occorre rammentare che, ai sensi del novello comma 3 dell'art. 3 d.lgs.74/2000

, ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali.

Dunque, l'omessa annotazione di ricavi, il cosiddetto “nero”, fuoriesce espressamente dall'area applicativa della dichiarazione fraudolenta per rientrare, appunto, in quella della dichiarazione infedele, naturalmente ricorrendone tutti gli altri presupposti. E la stessa conclusione vale pure in presenza di fatture o altri documenti ideologicamente falsi in quanto recanti l'indicazione di componenti positivi di reddito o di ricavi rilevanti ai fini Iva in misura inferiore rispetto a quella effettiva (CAVALLINI, Osservazioni “di prima lettura” allo schema di decreto legislativo in materia tributaria, in Dir. pen. cont., 2015, 7).

Dichiarazione infedele e valutazioni: la rilevanza dell'indicazione dei “criteri concretamente applicati”

Con la riforma del 2000, in radicale contrasto con l'impostazione precedente, il legislatore aveva inteso attribuire rilevanza penale anche alle valutazioni mendaci compiute dal contribuente in sede di quantificazione della base imponibile. In particolare, l'art. 7 del d.lgs. 74/2000, prevedeva una soglia di punibilità che considerava irrilevante uno scostamento della valutazione non superiore al 10% dal presunto “valore vero” (evidentemente determinato dal giudice) che sarebbe scaturito dalla valutazione e per altro verso veniva stabilito che non davano luogo a fatti punibili a norma degli articoli 3 e 4 le rilevazioni e valutazioni estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicati fossero stati indicati nel bilancio.

La recente riforma, con l'art.14,d.lgs.158/2015, ha abrogato l'art.7d.lgs.74/2000 anche se i suoi contenuti sono stati trasfusi (ed anzi, per molti aspetti ampliati) nei commi 1-bis ed 1-ter dell'art. 4 d.lgs. 74/2000, poi modificati dal d.l. n. 124 del 2019. Ed infatti, il comma 1-bis dispone che ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1 non si tiene conto […] della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali […], mentre il comma 1- ter prevede che fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).

La norma, quindi, ricalca fedelmente quanto previsto dall'abrogato art. 7 d.lgs. 74/2000, continuando a contemplare una soglia di punibilità del 10% applicabile a tutte le valutazioni e, in ogni caso, permane la generalizzata esclusione della punibilità per le valutazioni compiute adottando criteri valutativi resi conoscibili all'Amministrazione finanziaria; trattasi di previsione di notevole rilievo sistematico, atteso che il legislatore sembra subordinare la rilevanza penale della condotta del contribuente alla concreta difficoltà, da parte dell'Amministrazione finanziaria, di accertare la “reale” entità della posta valutata, al di là del mero risultato finale al quale perviene il procedimento valutativo. Come detto, la norma risulta modificata con la recente riforma del 2019, che ha mantenuto ferma la irrilevanza della non corretta valutazione in bilancio, prevedendo, però, la esclusione dalla punibilità solo quando le valutazioni complessivamente (prima, la norma parlava di “singolarmente”) considerate differiscono da quelle corrette in misura inferiore al 10%.

Queste modifiche apportate dalla riforma all'art. 4 d.lgs. 74/2000 presentano anche alcune interessanti ricadute sulla materia del transfer pricing, pratica da tempo regolamentata attraverso, sostanzialmente, l'introduzione di obblighi di trasparenza a carico del contribuente, la cui osservanza comporta il venir meno dei profili sanzionatori amministrativi (Cfr. d.l. 31 maggio 2010, n. 78, che, con l'art. 26, ha introdotto nell'art.1 d.lgs. 471/1997 il comma 2-ter). La dottrina aveva esteso la valenza “esimente” di tali adempimenti fino ad abbracciare anche le fattispecie penali tributarie e, segnatamente, il delitto di dichiarazione infedele, ciò alla luce, in primo luogo, della contraddittorietà che altrimenti avrebbe caratterizzato un sistema sanzionatorio incline ad escludere, per un verso, che determinate condotte presentassero profili di offensività meritevoli di essere sanzionati in via amministrativa, salvo poi colpire le medesime condotte con sanzioni addirittura penali; inoltre, si argomentava dall'art. 7, comma 1, d.lgs. 74/2000 per constatare come l'osservanza degli obblighi di rilevazione e di confronto dei prezzi praticati, previsti all'uopo dalla disciplina tributaria, si risolvesse in quella informativa in ordine ai “criteri concretamente applicati” cui la norma penale tributaria faceva conseguire l'irrilevanza del fatto (per tutti, VALENTE - CARACCIOLI, Rischi penal-tributari potenzialmente configurabili nel “transfer pricing”, in Corr. trib., 2011, 2616 e ss.; IMPERATO - PERINI, Profili penali del transfer pricing, in AA.VV., Valore in dogana e transfer pricing, a cura di Mayr - Santacroce, Milano, 2014, 375 e ss.).

L'attuale riforma incide anche su questo profilo della materia penale tributaria, rafforzando le conclusioni alle quali la dottrina era già pervenuta. Per un verso, infatti, l'irrilevanza penale dei costi indeducibili, purché “reali”, introdotta dal nuovo comma 1-bis, consente di troncare sul nascere qualsiasi questione in ordine alla presenza di prezzi di acquisto eventualmente eccedenti il valore normale individuato in base alla normativa tributaria: in tali casi l'eccedenza di costo darebbe luogo ad una componente reddituale “reale” (per mantenere la stessa terminologia adottata dal legislatore) ma semplicemente indeducibile e, quindi, atipica ai sensi del delitto di dichiarazione infedele. Sul versante dei ricavi, invece, è la formulazione della disciplina inerente le valutazioni a risolvere qualsiasi questione. Infatti, come si è visto, diviene ora espressamente rilevante l'indicazione dei “criteri concretamente applicati” in qualsiasi documento avente rilevanza fiscale e non più solo nel bilancio.

L'elemento soggettivo del delitto di dichiarazione infedele e le soglie di punibilità

L'elemento soggettivo del delitto di dichiarazione infedele rimane quello del fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto – che, qualora i fatti siano commessi da chi agisce in qualità di amministratore, liquidatore, o rappresentante di società, enti o persone fisiche, deve essere inteso come comprensivo altresì del fine di consentire l'evasione alla società, all'ente o alla persona fisica, per conto della quale il soggetto agisce.

Ovviamente, conformemente ai principi generali, per la sussistenza del predetto elemento psicologico – da qualificarsi come dolo specifico – non deve necessariamente essere raggiunto l'obiettivo voluto per aversi l'integrazione della fattispecie che ci occupa.

A tale proposito, tuttavia, non sembra fuori luogo far notare come la correttezza di una tale conclusione - almeno riguardo alla fattispecie in esame - dipenda strettamente dalla natura che si vuole attribuire alle soglie di punibilità, in particolare, se in esse si ritenga di scorgere un elemento costitutivo del fatto oppure una condizione obiettiva di punibilità: solo nel primo caso, infatti, l'atteggiamento soggettivo del contribuente dovrebbe dirigersi verso il superamento di tali parametri economici.

Recentissime sentenze della Cassazione – adottate con riferimento alla possibilità di applicare le nuove disposizioni tributarie, più favorevoli perché più alte sono le soglie di punibilità, anche a fatti antecedenti all'entrata in vigore della riforma – sembrano ormai chiudere la porta al dibattito, giacché le predette soglie sono costantemente qualificate come elementi costitutivi dell'illecito (Cass.pen.,Sez.III,11novembre2015,n. 891; Cass. pen., Sez. III, 11 novembre 2015, n.48228,).

Quanto alle soglie di punibilità ne sono previste due – e, come in passato, solo il loro superamento congiunto comporta la rilevanza penale del fatto. La prima soglia, contenuta nella lett. a), prevede che la punibilità sussista quando l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centocinquantamila; la seconda, di cui alla lett. b), afferma la punibilità quando l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante l'indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro tre milioni. Prendendo le mosse dalla prima delle due soglie, si può notare, innanzitutto, come la sua entità sia stata significativamente innalzata, passando dai 50.000 euro previsti dal d.l. 13 agosto 2011, n. 138, all'attuale livello di 150.000 euro. La soglia prende in considerazione ognuna delle imposte evase, con la conseguente impossibilità di sommare l'evasione dell'Iva all'evasione delle imposte dirette; la nozione di imposta evasa è definita dall'art. 1, la cui lett. f) dispone che per «imposta evasa» si intende la differenza tra l'imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l'intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine.

A chiusura di tale previsione, la recente riforma ha aggiunto un inciso destinato a specificare che non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell'esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili. Ciò dovrebbe porre termine alla risalente questione sulla discussa rilevanza penale delle dichiarazioni lato sensu infedeli ma la cui falsità abbia come conseguenza non già una minore tassazione ma l'emersione di una perdita fiscale maggiore di quella che vi sarebbe comunque stata. Si pensi al contribuente che, in luogo di dichiarare una perdita fiscale di 1.000, grazie ad una dichiarazione infedele ne dichiari, invece, una di ammontare pari a 2.500.

Ebbene, a mente della novella, l'imposta “teorica” relativa alla maggiore perdita emergente (pari a 1.500 nell'esempio precedente) non assume rilevanza ai sensi della fattispecie in esame: dunque, il delitto non è integrato qualora il “vero” risultato del periodo d'imposta sia comunque negativo. Piuttosto, in siffatte situazioni, la rilevanza penale di simili fenomeni di artificiosa lievitazione della perdita fiscale potrebbe affiorare allorquando il contribuente dovesse utilizzare, ai sensi dell'art. 84 Tuir, la maggiore perdita in questione in periodi d'imposta successivi. In tale eventualità, infatti, il generico riferimento alle “componenti che incidono sulla determinazione dell'imposta dovuta” -introdotto dalla riforma in seno all'art. 1, lett. b), per meglio definire gli elementi attivi o passivi- consente di identificare una tale fallace maggior perdita, proveniente da esercizi precedenti, con un elemento passivo inesistente suscettibile di assumere rilevanza penale.

Si noti, comunque, come in situazioni di tal fatta debba essere particolarmente attento il vaglio dell'elemento soggettivo che dovrà sorreggere la condotta del soggetto dichiarante, atteso che il riporto a nuovo della perdita potrebbe avvenire ad opera di un amministratore diverso rispetto a quello in carica al momento dell'artificiosa formazione della perdita stessa. Sicché occorrerebbe verificare la consapevolezza del “nuovo” amministratore in ordine alle modalità illecite che hanno condotto all'emersione della perdita da questi inserita nella dichiarazione fiscale, a riduzione del reddito dell'esercizio.

È poi chiaro che una tale previsione, per la sua stessa struttura, si attaglia esclusivamente all'imposizione diretta, l'unica rispetto alla quale ha senso parlare di perdite dell'esercizio o di perdite pregresse.

La seconda delle soglie di punibilità previste prende in considerazione gli elementi attivi sottratti all'imposizione: dunque, in questo caso, si tratta di quantificare l'entità non dichiarata della base imponibile (non delle imposte). Il parametro in esame è, innanzitutto, di tipo percentuale: gli elementi attivi sottratti a tassazione devono superare il 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione; tuttavia, la soglia è comunque superata -al di là del dato percentuale – qualora detti elementi attivi sottratti a tassazione siano -in valore assoluto- superiori a tre milioni di euro.

Questioni di diritto intertemporale: la parziale abolitio criminis introdotta dalla nuova fattispecie

Ultima questione cui fare cenno attiene ai profili di diritto intertemporale innescati dalla riforma.

A tale riguardo, la nuova fattispecie di dichiarazione infedele, che scaturisce dall'opera di incisivo restyling svolta dal legislatore, appare speciale rispetto all'ipotesi previgente: i profili di innovazione introdotti, infatti, vanno nella direzione di ritagliare ulteriormente il fatto tipico, lasciando al di fuori dell'area applicativa della fattispecie alcune categorie di condotte che, al contrario, erano precedentemente oggetto di incriminazione. Nessun dubbio, quindi, in ordine alla continuità normativa che sussiste tra la “vecchia” fattispecie di dichiarazione infedele e quella consegnataci dalla riforma: i fatti rientranti nell'alveo dell'attuale delitto, dunque, continueranno ad assumere rilevanza penale anche se commessi prima dell'entrata in vigore della norma oggi vigente.

Di certo, la nuova ipotesi di dichiarazione infedele dà luogo ad un non trascurabile fenomeno di abolitio criminis che interessa tutti quei fatti puniti dalla precedente fattispecie ma destinati a rimanere atipici ai sensi della novella. Ciò avviene, con particolare evidenza, in tutti quei casi in cui si assiste ad un'evasione fiscale superiore a 50 mila euro ma non a 150 mila euro: l'innalzamento della soglia rende applicabile, in siffatte situazioni, la disciplina di cui all'art. 2, comma 2, c.p. E analoghe conclusioni comporta l'incremento da due a tre milioni di euro del tetto presente nella soglia di cui alla lett. b) del comma 1.

Ma la disciplina dell'abolitio criminis troverà applicazione anche per tutti quei fatti nei quali la condotta di evasione è stata attuata attraverso il ricorso, ad esempio, a costi indeducibili in quanto non inerenti o di entità tale da superare determinati livelli previsti dalla normativa tributaria (si pensi alla deducibilità degli interessi passivi, dei crediti ritenuti inesigibili, ecc.). Oppure, ancora, in situazioni di rinvio ad un successivo periodo d'imposta della tassazione di ricavi di competenza dell'esercizio.

Si tratta, in dettaglio, di tutte quelle forme di evasione fiscale che possono oggi essere ricondotte al comma 1-bis della norma in commento. Tutte ipotesi, queste, in precedenza potenzialmente rientranti nell'alveo dell'art. 4 d.lgs. 74/2000 ma, oggi, destinate a rimanere penalmente irrilevanti e rispetto alle quali, quindi, troverà applicazione il comma 2 dell'art. 2 c.p. laddove commesse prima dell'entrata in vigore dell'attuale riforma.

Le novità sanzionatorie introdotte con il d.l. n. 124 del 2019

In controtendenza rispetto alle scelte assunte dal legislatore nel 2015, che aveva mitigato il trattamento punitivo per il reato in parola, il legislatore con il d.l. n. 124 del 2019 ha aumentato la pena prevista che oggi va da un minimo di 2 anni ad un massimo di 4 anni e sei mesi, mentre viene ridotta la soglia di punibilità previste tanto con riferimento alla lettera a), ove la soglia di imposta evasa passa da 150.000 a 100.000 euro, quanto alla lettera b) della norma, ove la soglia degli elementi attivi sottratti all'imposizione è ridotta da tre milioni a due milioni di euro.

Rilevante la conseguenza processuale dell'innalzamento sanzionatorio, giacché ora i processi per tali illeciti dovranno passare per la celebrazione dell'udienza preliminare.

Sommario