Accesso al rito abbreviato precluso per i reati puniti con l'ergastolo: la questione alla Consulta
29 Luglio 2020
Non è manifestamente infondata ed è rilevante nel giudizio a quo la questione di legittimità costituzionale – per contrasto con i principi di uguaglianza, di presunzione di non colpevolezza e di ragionevole durata del processo - relativa alla novella legislativa che impedisce l'accesso al rito abbreviato nei processi aventi ad oggetto reati puniti con la pena dell'ergastolo.
Così ha stabilito il Tribunale di Piacenza, con ordinanza del 16 luglio 2020.
No all'abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo: la scelta rigorista per soddisfare l'opinione pubblica. Mai come in questi tempi il diritto penale si è prestato a placare gli umori delle folle, specialmente se le richieste a furor di popolo sono a base di severità-intransigenza-rigore punitivo. Sulla scia di questo filone, poco più di un anno fa si è pensato bene di porre uno sbarramento all'accesso al rito abbreviato qualora l'imputazione formulata dal P.M. contenga un reato punito con la pena dell'ergastolo. Una certa parte dell'elettorato, più o meno amplificata nei media, ha dimostrato tutto il proprio disappunto nell'accettare l'idea che, nei processi per i delitti più efferati, l'imputato potesse sfuggire alla pena perpetua semplicemente scegliendo il rito abbreviato. Il legislatore ha assecondato questa istanza, et voilà: richiesta di rito a prova contratta inammissibile se il tenore dell'imputazione prevede edittalmente la pena del carcere a vita. C'è, poi, un contorto sistema di recupero della riduzione premiale se – successivamente – ci si dovesse avvedere che, in realtà, il fatto contestato non era correttamente inquadrato nella norma incriminatrice inizialmente individuata. Ad un attento esame, la disciplina introdotta per placare gli animi degli scontenti dalla troppa mitezza del nostro sistema sanzionatorio ha generato più di un dubbio, così come si desume dalla censura di costituzionalità già sollevata a novembre 2019 dal GUP di La Spezia, tutt'ora in attesa di decisione. A questa si aggiunge l'odierna questione di costituzionalità, sollevata dal GUP presso il Tribunale di Piacenza.
Precludere l'accesso al rito abbreviato contrasta con la presunzione di non colpevolezza. Alla base della modifica normativa, secondo il giudice remittente, vi è un equivoco di fondo: al legislatore della novella deve essere sfuggito che la richiesta del rito abbreviato si può giustificare non soltanto sulla consapevolezza dell'imminenza di una decisione di condanna, ma anche sulla percezione esattamente opposta della consistenza del materiale investigativo. In altri temini, si va incontro all'abbreviato sia quando si è sicuri di essere condannati – e ci si vuole accaparrare il “premio” in termini di riduzione della pena – sia quando si è consapevoli che le lacune investigative non potranno mai essere colmate e, conseguentemente, ci si attende un verdetto assolutorio. Ciò premesso, impedire l'accesso al rito abbreviato se il reato contestato prevede la pena perpetua equivale ad escludere – secondo il giudice a quo - che l'imputato per i reati che la contemplano si presuma innocente.
La violazione del principio della ragionevole durata del processo. Questa possibile violazione del richiamato principio costituzionale è molto più intuitiva della precedente: il rito a prova contratta, oltre al beneficio premiale sul piano sanzionatorio, persegue lo scopo deflattivo attraverso la riduzione dei tempi processuali. Ciò ancor di più nei processi per gravissimi delitti che, normalmente, richiedono la competenza della Corte d'Assise (nell'ordinanza di rimessione si pone l'accento anche sul rilievo che nei piccoli centri giudiziari le sezioni di Corte di Assise non sono previste, e vanno allestite ad hoc).
La possibile lesione del principio di uguaglianza e ragionevolezza. A fare la differenza, in termini di percorribilità della strada del rito abbreviato è, per lo più, il gioco delle aggravanti: l'omicidio aggravato dall'essere stato commesso in danno del coniuge prevede l'ergastolo – si cita questo esempio nell'ordinanza, che viene emessa proprio nel contesto di un procedimento per questo reato – mentre se l'aggravante si rivelasse non correttamente contestata (perchè, sempre nell'ordinanza, si dovesse scoprire che imputato e vittima erano, in realtà, divorziati) si dovrebbe attivare, all'esito del dibattimento, il complicato meccanismo del “recupero” dello sconto di pena previsto per il rito abbreviato al quale non si è potuto accedere nei tempi processualmente previsti. Ecco che, a questo proposito, la scelta legislativa di affidare al P.M. il potere assoluto di condizionare la scelta del rito, secondo il giudice a quo, appare del tutto irragionevole. La parola, adesso, passa alla Consulta: vedremo se la discrezionalità del legislatore, certamente sacra ed inviolabile anche quando è tesa a soddisfare le istanze di una precisa fetta dell'elettorato, è stata correttamente esercitata. Oppure se nel diritto penale moderno debbano essere privilegiate, rispetto alle componenti afflittive della pena, quelle rieducative da garantisi attraverso l'effettività di un trattamento penale congruo ma intensamente diretto al recupero sociale del reo. |