Ascolto del minore in sede di separazione: il giudice deve motivare la decisione di non disporre l'ascolto diretto
31 Agosto 2018
Massima
Nel giudizio di separazione tra coniugi, l'audizione del minore infradodicenne capace di discernimento costituisce adempimento previsto a pena di nullità ove si assumano provvedimenti che lo riguardano. Ciò comporta che il giudice deve motivare le ragioni per cui ritiene il minore infradodicenne incapace di discernimento, se decide di non disporne l'ascolto, così come deve motivare perché ritiene l'ascolto effettuato nel corso delle indagini peritali idoneo a sostituire un ascolto diretto ovvero un ascolto demandato a un esperto al di fuori del contesto relativo allo svolgimento di un incarico peritale. Tale motivazione appare, in generale, tanto più necessaria quanto più l'età del minore si approssima a quella di dodici anni oltre la quale subentra l'obbligo legale dell'ascolto. Il caso
La decisione che qui si commenta trae origine dal ricorso per cassazione proposto dalla Sig.ra F.S. avverso la sentenza della Corte d'Appello di Roma, emessa in data 16 marzo 2016 e pubblicata in data 25 marzo 2016, con la quale il giudice di secondo grado era stato chiamato a decidere in merito alla domanda della ricorrente di disporre l'affidamento condiviso della figlia con contestuale fissazione della residenza principale della stessa presso di sé. La questione
La questione principale affrontata dalla decisione in commento riguarda il delicato tema dell'ascolto del minore nell'ambito del giudizio di separazione tra i coniugi. L'ascolto, inteso quale forma di partecipazione al procedimento da parte del minore, costituisce un contributo all'iter decisionale nel senso che, attraverso tale strumento, il minore partecipa al percorso della propria tutela, finalità, questa, considerata preponderante nelle decisioni in tema di affidamento a seguito della crisi di coppia. Le soluzioni giuridiche
La Cassazione afferma, in linea con l'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, anche a Sezioni Unite (Cass., S.U., n. 22238/2009), che l'audizione dei minori, già prevista nell'art. 12 Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardano, ai sensi dell'art. 6 Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la l. n. 77/2003, nonché degli artt. 315-bis (introdotto dalla legge n. 219/2012), 336-bis e 337-octies c.c. (inseriti dal d.lgs. n. 154/2013, che ha altresì abrogato l'art. 155-sexies c.c.). Ne consegue che l'ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse (cfr. ex plurimis, Cass. n. 11687/2013; Cass. n. 19202/2014; Cass. n. 6129/2015). Ad ogni modo, secondo la Suprema Corte, tale prioritario rilievo non determina l'obbligo del giudice di conformarsi alle indicazioni del minore in ordine al modo di condurre la propria esistenza, potendo la valutazione complessiva del suo superiore interesse condurre a discostarsi da esse. È tuttavia, ineludibile una puntuale giustificazione della decisione assunta in contrasto con le dichiarazioni del minore sia sotto il profilo della capacità effettiva di discernimento anche in correlazione con l'intensità del conflitto genitoriale e la sua influenza o condizionamento della volontà espressa nell'audizione, sia sotto il profilo del richiamato preminente interesse (cfr. Cass. n. 13241/2011). Ancora, occorre sottolineare che l'audizione del minore infradodicenne presuppone (anche) che lo stesso sia capace di discernimento in relazione alla sua età e al grado di maturità. Il riscontro di tale capacità è devoluto al libero e prudente apprezzamento del giudice e non necessita di specifico accertamento positivo d'indole tecnica specialistica, anticipato rispetto al tempo dell'audizione. Tale capacità, peraltro, non può essere esclusa con mero riferimento al dato anagrafico del minore, se esso non sia di per sé solo univocamente indicativo in tale senso, mentre può presumersi in genere ricorrente, anche considerati temi e funzione dell'audizione, quando si tratti di minori per età soggetti a obblighi scolastici e, quindi, normalmente in grado di comprendere l'oggetto del loro ascolto e di esprimersi consapevolmente (sul punto v. Cass. n. 752/2015). Osservazioni
Il diritto del minore all'ascolto nelle procedure che lo riguardano costituisce principio sovranazionale, riconosciuto, innanzitutto, dalla Convenzione di New York sui diritti del Fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, e meglio esplicitato dalla Convenzione di Strasburgo sull'esercizio dei diritti del Fanciullo del 25 gennaio 1996, ratificata in Italia con legge del 20 marzo 2003 n. 77, cui si è ispirata la l. 8 febbraio 2006 n. 54 (legge sull'affidamento condiviso), con la quale è stato introdotto l'art. 155-sexies c.c.. In tali Convenzioni si stabilisce, tra l'altro, il diritto del fanciullo, capace di discernimento, di esprimere la propria opinione su ciò che lo riguarda e il diritto di essere ascoltato «in ogni procedura giuridica o amministrativa che lo concerne». L'importanza dell'ascolto è stata, peraltro, ribadita nel Regolamento n. 2201/2003 (art. 23 lett. b), Reg. n. 2201/2003) che subordina il riconoscimento dei provvedimenti sulla responsabilità genitoriale da parte degli Stati aderenti alla possibilità concessa al minore di essere ascoltato nelle procedure che lo riguardano, pena l'inutilizzabilità delle decisioni nell'ambito dello spazio Europeo. Nell'ordinamento italiano il diritto del minore ad esprimersi trova le sue radici nei principi contenuti all'art. 2 Cost. (quale affermazione dell'espressione della più generale dignità umana) ed in quelli sanciti agli artt. 29 e 30 Cost. concernenti le relazioni familiari e la tutela della filiazione. Prima dell'entrata in vigore della legge n. 54/2006 sull'affidamento condiviso, l'audizione dei figli minori era prevista dall'art. 4 l. div.. Tuttavia si trattava di una “possibilità” ossia di una facoltà del giudice che veniva esercitata solo ove strettamente necessario. Ebbene, in forza dei principi enunciati dalle sopramenzionate convenzioni internazionali, il legislatore si è adeguato a quanto nelle stesse statuito, prevedendo che il minore ha diritto ad essere ascoltato nei procedimenti che lo riguardano, previa informazione sul procedimento e sulla rilevanza ed utilizzo delle sue dichiarazioni. Un primo passo in tal senso si è avuto con la già citata l. n. 54/2006 con la quale è stato introdotto l'art. 155-sexies c.c. (norma oggi trasfusa, ad opera del d.lgs. n. 154/2013, nell'art. 337-octies c.c., che è rimasto inalterato nella prima parte del comma 1). Il primo comma della norma da ultimo citata disponeva che il giudice, prima della assunzione dei provvedimenti provvisori ed urgenti ex art. 155 c.c., potesse assumere mezzi di prova d'ufficio o su istanza di parte; aggiungeva che il giudice “disponesse” l'audizione del figlio minore che avesse compiuto dodici anni o di età inferiore se capace di discernimento. Sia la dottrina che la giurisprudenza erano concordi nell'affermare che, in forza del disposto normativo, l'ascolto del minore non rappresentava una facoltà del giudice, ma un vero e proprio obbligo, stante l'espressione utilizzata “dispone l'audizione” in luogo di “può disporre l'audizione”. Di tutta evidenza risultava, quindi, la nullità delle decisioni emesse in assenza di un preventivo ascolto del minore, soprattutto in quei casi in cui l'audizione era stata richiesta da una o entrambe le parti (Cass., S.U., 21 ottobre 2009, n. 22238). Anche la giurisprudenza sovranazionale ha confermato tale obbligo (vedi sul punto, Corte Giust. UE, 22 ottobre 2010, n. 491/2010) al quale poteva derogarsi solo nei casi in cui lo stesso fosse considerato irrilevante, ininfluente o contrario all'interesse del minore (principio, questo, oggi recepito nell'art. 337-octies c.c.). Quanto evidenziato sinora ha trovato ulteriore conferma con l'introduzione dell'art. 315-bis c.c. per mezzo della l. n. 219/2012, il quale, al comma 3, prevede che il minore che abbia compiuto i dodici anni, nonché il minore di età inferiore ove capace di discernimento, ha il diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. In tal modo, quindi, l'ascolto del minore è stato esteso ad ogni procedimento che coinvolge la prole minorenne, a prescindere dall'oggetto del procedimento stesso. È possibile, pertanto, affermare la valenza generale della norma da ultimo citata, nonché il suo ambito di applicazione trasversale, la stessa trovando applicazione anche nei casi in cui l'ascolto del minore non sia espressamente previsto, ancorché si controverta dei suoi diritti e dei suoi interessi. Di rilevante importanza è la formulazione letterale della norma che, a differenza dell'art. 155-sexies c.c. nel quale si enuncia il dovere da parte del giudice di disporre “l'audizione” del minore, parla espressamente di “ascolto” del minore. Ebbene, la diversità dei termini utilizzati sottende una diversità di significato rilevante. Il termine “audizione”, invero, richiama l'idea di un atto processuale finalizzato alla raccolta di informazioni utili ed utilizzabili evidenziando, quindi, l'aspetto tecnico – processuale; al contrario, l' “ascolto” è attività finalizzata a prestare attenzione alle esigenze del minore, alle sue idee e all'interesse di partecipazione che questi ha nella vicenda che vede coinvolti i propri genitori, anche semplicemente osservando il comportamento non verbale del minore o addirittura il silenzio. L'ascolto, quindi, non può essere definito come mezzo istruttorio in quanto attraverso esso si realizza il diritto del minore a far sentire la propria voce, consentendo al giudice di conoscere il destinatario delle proprie decisioni e di modificarle, tenendo conto delle opinioni del minore (A. Macrillò, I diritti del minore e la tutela giurisdizionale, Rimini, 2015, 202). Ad ogni modo, occorre dar conto anche di quella parte della dottrina che, facendo leva sul fatto che dall'ascolto il giudice possa trarre anche elementi utili per la formazione del proprio convincimento in ordine a fatti rilevanti per la causa (si pensi alle modalità di rapporti tra genitori e figli nelle cause di separazione), sostiene che l'audizione del minore costituisca un mezzo istruttorio fondamentale e non uno strumento per garantire al minore la partecipazione ai giudizi ai quali è interessato (V. Tommaseo, La Cassazione sull'audizione del minore come atto istruttorio necessario, in Fam. e Dir., 10/2007, 886). Affinché l'ascolto possa rivestire il significato che ad esso si intende riconnettere, occorre che il minore ascoltato sia capace di discernimento. Si è ritenuto, in via generale, che un siffatto discernimento consegua al compimento di dodici anni, salvi i casi in cui emerga che il minore di età anche inferiore sia comunque sufficientemente maturo da poter utilmente essere ascoltato. Da quanto detto emerge con tutta evidenza la differenza con il concetto di maturità; invero, mentre il concetto di maturità viene correlato alla capacità del minore di comprendere il significato anche morale dei propri atti delittuosi ed autodeterminarsi, il concetto di discernimento dovrà essere ancorato ai vissuti ed ai bisogni affettivi ed emotivi del minore ed alla sua capacità di comprenderli e di rappresentarli. Dall'attuale quadro normativo si evince, peraltro, che dall'intervista al minore si possa prescindere nei casi di “manifesta superfluità”. Nella relazione illustrativa del d.lgs. n. 154/2013 la manifesta superfluità è stata intesa quale «specificazione della clausola più ampia del contrasto con l'interesse del minore, perché è di immediata percezione che un ascolto superfluo, perché vertente su circostanze acclarate o non contestate, possa ritenersi dannoso per la serenità e l'equilibrio del minore». Sul piano pratico potrebbe ritenersi non necessario l'ascolto del minore per manifesta superfluità nei casi in cui: il minore è già stato ascoltato, i genitori hanno raggiunto un accordo pienamente rispettoso della bigenitorialità, il minore non è concretamente parte sostanziale del processo, il minore si rifiuta di essere ascoltato, il procedimento deve essere definito in rito, le circostanze sono state acclarate o non sono contestate. Come già anticipato, dalla lettura degli artt. 337-octies e 336-bis c.c. traspare l'obbligatorietà generale da parte del giudice all'ascolto del minore, salvo nei casi espressamente previsti ossia in caso di separazione consensuale, di accordo sulle condizioni di affidamento dei figli e di contrasto con l'interesse del minore o manifesta superfluità. Ad ogni modo, la legge riconosce al giudice un'ampia libertà di decidere se procedere o meno all'ascolto del minore, in quanto la valutazione della capacità di discernimento del minore, del contrasto dell'ascolto con il suo interesse e la manifesta superfluità dell'audizione sono comunque soggette ad un'ampia discrezionalità del giudice stesso. Prima della riforma della filiazione la modalità di ascolto del minore poteva avvenire a discrezione del giudice in modo diretto, ovvero in modo indiretto attraverso l'ausilio di un consulente tecnico, ovvero di uno psicologo del servizio pubblico, che trasmettesse relazione scritta al giudice. Con l'introduzione degli artt. 336-bis e 337-octies c.c. per mezzo del d.lgs. n. 154/2013 il legislatore sembra far prevalere l'ascolto diretto da parte del giudice rispetto a quello indiretto. Nell'audizione diretta è il giudicante ad effettuare l'ascolto del minore, il quale, prima dell'audizione, deve essere adeguatamente informato sul procedimento e sulle sue conseguenze. Tale tipo di ascolto, come specificato anche dalla decisione che qui si commenta, si differenzia dalla consulenza tecnica in quanto permette al giudice di vedere personalmente il minore e di poter avere un rapporto diretto con lo stesso. Al contrario la consulenza, se pur si avvale di un ascolto diretto del minore da parte di uno specialista, si sostanzia in una indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali in primo luogo la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio, ma che, tuttavia, non dà spazio, all'interno del procedimento, alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda. Il nuovo art. 336-bis c.c. prevede espressamente che l'ascolto del minore sia condotto dal presidente del tribunale o da giudice da questi delegato «anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari»: dal testo della norma emerge con tutta evidenza che non è più possibile per il giudice delegare a terzi l'ascolto del minore senza parteciparvi personalmente (per approfondimenti sulle modalità di ascolto del minore v. G. Cassano, A. I. Natali, M. G. Ruo, Casi di affidamento ingiusto, conflitti familiari e tutela del minore, Rimini, 2015, 100 e ss.). Ad ogni modo, si rileva che, nonostante la riforma abbia stabilito alcune regole estremamente importanti volte alla regolamentazione dell'ascolto del minore, l'attività del legislatore non può dirsi esaustiva. Sotto questo profilo, in dottrina (A. Macrillò, cit.), si è osservato che la l. n. 219/2012 rappresenta un punto di partenza. Sono sorte perplessità legate alla scelta dello strumento della delega legislativa (cfr. art. 2, lett. i), l. n. 219/2012) per materie così importanti e delicate come quella in questione, che dovrebbero formare oggetto, piuttosto, del dibattito e del confronto parlamentare, anche e soprattutto in ragione del fatto che, nello specifico, la delega è tutt'altro che dettagliata, essendosi limitata a stabilire solo che l'emanando decreto legislativo debba prevedere espressamente che all'ascolto del minore, nell'ambito di procedimenti giurisdizionali, debba provvedere il presidente del tribunale o il giudice delegato. Nulla viene specificato, tuttavia, sulla pur necessaria specializzazione in materia dei magistrati e degli ausiliari che devono procedere all'ascolto del minore, anche in ragione della mancanza della componente onoraria, attualmente presente presso il Tribunale per i Minorenni, e della devoluzione di alcune competenze, prima appannaggio di quest'ultimo, in favore del Tribunale ordinario, per effetto della nuova formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c.. L'assenza della componente onoraria e del contributo delle scienze psico-sociali appare di per sé contraria alla tutela del miglior interesse del minore, e ciò in quanto i magistrati onorari sono in possesso di competenze ed esperienza specifica nelle materie concernenti le relazioni familiari e le problematiche dell'età evolutive. L'ascolto del minore è un momento determinante per la vita dello stesso e dei suoi genitori sia nei procedimenti civili minorili (adozione e potestà genitoriale, salve le attribuzioni di competenza al Tribunale ordinario previste dal nuovo art. 38 disp. att. c.c.) sia nei procedimenti di separazione e di divorzio che in quelli relativi all'affidamento ed al mantenimento dei figli di genitori non coniugati, oggi di competenza del Tribunale ordinario. In assenza di norme processuali che regolamentino in modo unitario ed uniforme le modalità dell'ascolto, da realizzarsi senza ledere in alcun modo il benessere del minore, occorre prendere in considerazione le tecniche di ascolto suggerite dalla prassi e dai numerosi Protocolli di intesa tra la magistratura ed il foro. A tal riguardo risultano particolarmente importanti i Protocolli redatti a Milano e Roma, i quali, pur senza assumere alcuna valenza precettiva, codificano prassi virtuose, per far sì che l'audizione nel processo costituisca per il minore un'effettiva opportunità di esprimere propri bisogni e desideri. I vari Protocolli individuano come obbligatoria l'audizione del minore che abbia compiuto i dodici anni, salvo che ne derivi un pregiudizio, nei soli procedimenti contenziosi, con riferimento esclusivo alle questioni relative all'affidamento e al diritto di visita del minore. Ai fini della valutazione della capacità di discernimento, si prevede di regola la delega ad un esperto, che possa orientare il giudice sulla opportunità dell'ascolto. In alcuni casi, ed in particolare per i minori infradodicenni, sono dettate regole ben precise sulle modalità dell'ascolto: è svolto, generalmente, in un locale idoneo a porte chiuse, anche diverso dall'aula d'udienza, e fuori dell'orario scolastico, garantendo massima riservatezza e tranquillità, ad ora prestabilita, evitando al minore inutili tempi di attesa; alcuni Protocolli prevedono che all'ascolto assistano i difensori dei genitori ed eventuali consulenti di parte; altri, come il Protocollo di Milano, prevedono invece l'assenza dei difensori e l'eventuale presenza dei genitori ove richiesta dal minore o la presenza di un curatore speciale, se nominato dal giudice. È contemplata, altresì, la preventiva informazione al minore sui motivi del coinvolgimento e sui possibili esiti possibili del procedimento, con la precisazione che è un suo diritto essere ascoltato. Di regola viene garantito sia il contraddittorio anticipato che posticipato. E infatti, in una apposita udienza, o comunque in un momento anteriore all'ascolto, il giudice invita le parti a focalizzare le tematiche sulle quali il minore dovrà essere ascoltato, definendo le modalità di ascolto, in modo che possa essere individuata una procedura il più possibile condivisa e adattata alla peculiarità del caso specifico. Viene stabilita anche la forma in cui deve essere documentato l'ascolto, secondo alcuni Protocolli (come quello di Milano o di Vicenza) mediante una verbalizzazione sommaria, secondo altri (come quello di Roma, di Venezia, di Varese), mediante la verbalizzazione integrale e fedele dell'audizione, possibilmente video o audio-registrata, riportando anche le manifestazioni non verbali del minore. Successivamente all'audizione, viene garantito un contraddittorio posticipato delle parti, mettendo tempestivamente a disposizione dei relativi difensori la documentazione del contenuto dell'audizione e a ciascuna parte va riconosciuto il diritto di formulare deduzioni, osservazioni e richieste istruttorie al riguardo. Infine, ci si è interrogati in merito alle conseguenze giuridiche del mancato ascolto del minore. L'esigenza di ascoltare il minore, nella duplice previsione, obbligatoria per gli ultradodicenni e facoltativa per gli infradodicenni, costituisce una costante volta a conferire rilievo alla personalità e alla volontà del minore in relazione a provvedimenti che trovano la loro ragion d'essere nell'interesse dello stesso. Tali provvedimenti, pertanto, non vanno stabili a priori, sulla base di un generico criterio di adeguatezza, ma devono essere rapportati alle reali esigenze prospettate dal caso concreto, che non possono non emergere da un diretto colloquio con l'interessato. Di conseguenza, laddove non sia stata presa in considerazione l'opinione del minore perché questi non è stato sentito, il contenuto della decisione risulta automaticamente viziato, salvo i casi espressamente previsti dalla legge. Si deve ritenere, invero, che i provvedimenti presi in assenza di un colloquio diretto con il minore non possono essere stati presi nel suo interesse. La giurisprudenza è costante nel ritenere che costituisce violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo il mancato ascolto del minore che non sia sorretto da espressa motivazione sull'assenza di discernimento che ne può giustificare l'omissione, in quanto il minore è portatore di interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore, in sede di affidamento e diritto di visita e, per tale profilo, è qualificabile come parte in senso sostanziale (cfr. Cass., civ., n. 21662/2012). Inoltre, come ricordato sopra, in forza dell'art. 15, comma 2, lett. b), Reg. n. 1347/2000, un provvedimento del giudice nazionale, emanato in assenza dell'ascolto del minore, potrebbe non trovare riconoscimento e ed esecuzione a livello internazionale. Tale norma, in tema di riconoscimento delle sentenze in materia matrimoniale, statuisce che se la decisione è stata pronunciata senza che il figlio minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato, le disposizioni relative alla potestà in materia matrimoniale non sono riconosciute dalla Stato richiesto. Ebbene, quanto appena chiarito risulta estremamente utile al fine di una migliore comprensione della decisione che qui si commenta. Nel caso di specie, la Cassazione, in applicazione dei principi più volte richiamati dalla giurisprudenza con riferimento alla valorizzazione sostanziale del punto di vista del minore nei procedimenti che lo riguardano, ha sottolineato l'importanza della chiara volontà espressa dalla figlia di convivere con la madre e con la sorella ai fini della decisione che la concerne. La Corte sottolinea come, in casi di tal fatta, sia necessaria una rigorosa verifica della contrarietà all'interesse del minore, come condizione necessaria per disattendere le valutazioni e le aspirazioni espresse dallo stesso nel corso dell'ascolto. Verifica, questa, non compiuta nel caso di specie. Invero, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di appello, i giudici di legittimità concludono nel senso che la conflittualità delle parti in causa non può costituire, di per sé, una giustificazione idonea a far ritenere prevalente l'interesse della minore al mantenimento dello status quo. Pertanto, in forza di tali affermazioni, la Corte accoglie il ricorso e rinvia alla Corte di appello di Roma affinché, partendo proprio dall'ascolto della minore e prendendo in considerazione il contesto dei due nuclei familiari, l'idoneità genitoriale nonché la sua esigenza primaria alla conservazione del legame e alla condivisione di vita con la sorella, proceda ad una nuova verifica su quale sia la residenza della minore maggiormente rispondente al suo interesse. Aa. Vv., L'affidamento dei figli nella separazione e nel divorzio, Milano, 2013. M. C. Campagnoli, L'ascolto del minore, Giuffrè, 2013. E. Ceccarelli, L'ascolto dei minori nei procedimenti di separazione e divorzio, in www.minoriefamiglia.it. M. A. Ianniccelli, L'ascolto del minore nei procedimenti di separazione personale tra i coniugi, in Fam. Pers. Succ., 3/2009, 250. M. G. Ruo, Il curatore del minore, Rimini, 2014. |