Corrispondenza del detenuto
23 Settembre 2020
Inquadramento
L'attività di corrispondenza, sia essa telefonica o epistolare, così come i colloqui visivi costituiscono elementi significativi del trattamento penitenziario e trovano fondamento nel diritto del detenuto di mantenere tanto le relazioni personali quanto un residuo legame con il contesto sociale di appartenenza. Costituendo il principale strumento di contatto con la società libera, essi sono funzionali anche a circoscrivere il più possibile le ripercussioni della detenzione su persone estranee al reato (CORSO). I parametri normativi di riferimento – artt. 18 ord.pen. e 37 ss. reg. esec. – disegnano una disciplina rispettosa della rilevanza costituzionale dei diritti coinvolti, assunto che le persone recluse rimangono titolari di tutte le posizioni giuridiche soggettive riconosciute ai liberi, ad eccezione di quelle che non siano oggettivamente incompatibili con lo status detentionis [cfr. Corte Cost., 24 giugno (dep. 28 luglio) 1993, n. 349]. Il concetto di corrispondenza, che trova menzione nella rubrica dell'art. 18 o.p., comprende latu sensu:
Peraltro, deve sin da subito sottolinearsi che il diritto alla fruizione della corrispondenza non è subordinata alla gravità del reato commesso ovvero alla fattiva partecipazione al trattamento rieducativo. Persino in occasione di esecuzione della più grave sanzione disciplinare, ossia l'esclusione dalle attività in comune (art. 39, co. 1, n. 5 ord. pen.), il rinnovato art. 73 reg. esec. prevede implicitamente la possibilità di dare continuità ai contatti coi familiari, con ciò rivedendo profondamente la previsione del previgente regolamento. Un approccio non superficiale, inoltre, richiede di prendere in considerazione anche i moniti enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU con riferimento all'art. 8 CEDU (Rispetto alla vita privata e familiare).
AD ESEMPIO, i giudici di Strasburgo hanno censurato il regime applicato ad un detenuto che prevedeva un colloquio – sottoposto a controllo uditivo e visivo del personale di custodia - con i familiari ogni sei mesi (Corte EDU, 23 febbraio 2012, Trosin c. Ucraina). Da ultimo, meritano considerazione le Regole penitenziarie europee – Raccomandazione (2006)2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, da ultimo aggiornata in data 1 luglio 2020 – che, all'art. 24, stabiliscono che “i detenuti devono essere autorizzati a comunicare il più frequente possibile – per lettera, telefono o altri mezzi di comunicazione – con la famiglia, con terze persone e con i rappresentanti di organismi esterni, e a ricevere visite da dette persone”; “ogni restrizione o sorveglianza delle comunicazioni e delle visite […] deve comunque garantire un contatto minimo accettabile” e “le modalità delle visite devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali”. Corrispondenza epistolare
La corrispondenza epistolare costituisce uno strumento molto utilizzato dalla popolazione detenuta. Per questo motivo, la legge, contrariamente ai colloqui e alle telefonate, non prevede un numero massimo di lettere che il detenuto può inviare o ricevere, né una restrizione generale in relazione ai soggetti con cui è possibile istaurare scambi epistolari. Anzi, per consentire al detenuto un migliore esercizio di tale diritto, si prevede che l'amministrazione ponga a disposizione di coloro che ne siano sprovvisti, gli oggetti di cancelleria e i francobolli necessari per la corrispondenza (art. 18 co. 5 ord. pen.). Per la consegna dei pacchi sono invece previste restrizioni che, in linea generale, riguardano il numero mensile e i limiti di peso, nonché il loro contenuto che deve essere costituito unicamente da generi di abbigliamento, o, eventualmente, anche da generi alimentari di consumo comune, purchè facilmente controllabili (art. 14 co. 6 reg. esec.). Le limitazioni e i controlli alla corrispondenza epistolare, in ossequio ai principi di libertà e segretezza riconosciuti dall'art. 15 Cost., esigono che il legislatore penitenziario specifichi in quali casi, con quali modalità e per quanto tempo si possano adottare provvedimenti ristrettivi. Deve essere inoltre garantita al detenuto che vi è sottoposto una tutela giurisdizionale. Questa materia è stata “ridisegnata” in modo organico e dettagliato dalla l. 95/2004 che ha introdotto l'art. 18-ter o.p. che, per l'appunto, precisa i gradi delle limitazioni, i presupposti, i tempi, le autorità competenti e i meccanismi di tutela giurisdizionale. Le restrizioni inerenti all'invio e alla ricezione della corrispondenza possono consistere, in ordine crescente di intrusività, in: a) un controllo materiale della busta senza lettura dello scritto in essa contenuto; b) un controllo con lettura del contenuto ed eventuale trattenimento (il c.d. visto di censura); c) blocco dell'invio e della ricezione della corrispondenza. Nel primo caso, il controllo ha lo scopo di evitare che all'interno della busta siano celati oggetti non consentiti. L'apertura delle buste deve avvenire in presenza dell'interessato e l'ispezione deve essere effettuata con modalità tali da garantire che il contenuto della missiva non sia letto (co. 7). Il secondo tipo di controllo prevede la lettura della missiva ad opera del personale di polizia penitenziaria. Se il contenuto può pregiudicare una delle esigenze indicate nell'art. 18-ter co. 1, o anche soltanto se il linguaggio utilizzato è criptico o sono presenti segni dal significato indecifrabile, la corrispondenza non viene né consegnata, né inoltrata, e il condannato viene informato dell'avvenuto trattenimento. Il terzo tipo di limitazioni consiste nell'inibizione totale o parziale (ad es. nei confronti di un determinato destinatario) della facoltà di spedire o ricevere corrispondenza. I motivi per cui possono essere adottati i provvedimenti descritti sono: a) esigenze attinenti alle indagini in corso; b) esigenze investigative attinenti alla ricerca di altre notizie di reato; c) esigenze di prevenzione di reati; d) ragioni di sicurezza e di ordine dell'istituto. Il co. 3, ai fini dell'adozione del provvedimento, stabilisce competenze diversificate in base alla posizione giuridica del detenuto: magistrato di sorveglianza per i condannati e gli internati; giudice che procede per gli indagati e gli imputati. Il provvedimento giudiziale ha una durata circoscritta, cioè fino a sei mesi; in seguito, sempre che permangano le ragioni che sono state alla base del primo provvedimento, possono essere disposte ulteriori proroghe della durata massima di tre mesi. Avverso il provvedimento motivato che dispone la limitazione della corrispondenza è ammesso il reclamo da parte del detenuto o del difensore. Relativamente a tale reclamo è competente il tribunale di sorveglianza, se il provvedimento è stato emesso dal magistrato di sorveglianza, oppure, laddove si tratti di verificare la fondatezza del reclamo di un imputato, il tribunale nel cui circondario ha sede il giudice che si è già pronunciato (art. 18-ter co. 6). Il rito da seguire è quello previsto dall'art. 14-ter o.p., integrato, per quanto non diversamente disposto, dall'art. 666 c.p.p. Avverso l'ordinanza pronunciata all'esito del reclamo è ammesso il ricorso per cassazione (art. 666 co. 6 c.p.p.). Va, infine, ricordato che, ai sensi dell'art. 18-ter co. 2, le limitazioni e i controlli non possono essere disposti nei confronti delle missive indirizzate dal detenuto a determinati soggetti (c.d. corrispondenza protetta): quelle indirizzate ai componenti dell'ufficio difensivo elencati nel co. 5 dell'art. 103 c.p.p. – a condizione che il detenuto indichi sulla busta la dicitura «corrispondenza per ragioni di giustizia» e il numero del procedimento a cui la lettera si riferisce -, all'autorità giudiziaria, ai membri del Parlamento, alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui l'interessato è cittadino e agli organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell'uomo di cui l'Italia fa parte. Si prevede, inoltre, che non possa essere assoggettata a visto di censura – purchè sulla busta chiusa sia apposta la dicitura «riservata» - la corrispondenza inviata alle autorità indicate nell'art. 35 ord. pen., vale a dire a quelle che integrano la rosa dei destinatari del c.d. “reclamo generico”. Corrispondenza telefonica
Per quanto riguarda la corrispondenza telefonica, occorre distinguere a seconda che si tratti di telefonate dall'esterno per il detenuto o di telefonate del detenuto per l'esterno. Le prime sono in pratica escluse, in quanto a norma dell'art. 39 co. 10 reg. esec., l'interessato avrà soltanto notizia del nominativo della persona che ha chiamato. Nel caso in cui, però, la chiamata provenga da congiunto o convivente anch'esso detenuto, si dà corso alla conversazione, «purchè entrambi siano stati regolarmente autorizzati» (art. 39 co. 10 reg. esec.). Per quanto riguarda, invece, le telefonate del detenuto verso l'esterno, sono ammesse con i congiunti o conviventi, ovvero, qualora ricorrano ragionevoli e verificati motivi, con persone diverse, una volta alla settimana per la durata di dieci minuti (art. 39 co. 1 reg. esec.). La disciplina è più favorevole per i minori (due o tre chiamate, ciascuna della durata di venti minuti), più severa per i detenuti per uno dei reati di cui all'art. 4-bis co. 1 (due chiamate al mese, della durata massima di dieci minuti, solo verso utenze fisse) e raggiunge il massimo rigore rispetto ai soggetti sottoposti al regime di cui all'art. 41-bis (una telefonata al mese – alle condizioni previste dal co. 2-qauter lett. b – che può avere come destinazione solo la struttura carceraria più vicina alla residenza dei familiari, nella quale costoro devono recarsi per conferire con il congiunto). Anche il rispetto della riservatezza della conversazione è diverso in ragione della categoria di appartenenza del detenuto: le telefonate del detenuto comune possono essere registrate ed ascoltate soltanto con l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria indicata dall'art. 18-ter; quelle dei detenuti per uno dei reati di cui all'art. 4-bis sono sempre registrate e i relativi files sono posti a disposizione dell'autorità giudiziaria; quelle dei detenuti ex art. 41-bis sono sempre non solo registrate, ma anche ascoltate in tempo reale. Sono consentite telefonate straordinarie: in caso di rientro del detenuto dal permesso o di un suo trasferimento; in circostanze di particolare rilevanza; se la telefonata intercorre con prole di età inferiore a dieci anni (art. 39 co. 2 e 3 reg. esec.). Il detenuto che intenda effettuare una conversazione telefonica deve rivolgere un'istanza scritta all'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione – nei confronti del condannato provvede il direttore -, indicando il numero richiesto e le persone con cui vuole parlare. Nei casi previsti dall'art. 39 co. 2 e 3 reg. esec. la richiesta deve essere motivata. L'autorizzazione concessa è efficace fino a che non intervenga la revoca o fino a che sussistono i motivi indicati. Quanto alle modalità operative, l'evoluzione tecnologica ha reso in gran parte obsolete le previsioni di cui all'art. 39 co. 6 reg. esec., dato che attualmente nella maggior parte delle sezioni detentive sono installati apparecchi telefonici utilizzati dai detenuti in autonomia, attraverso tessere elettroniche in cui sono stati precedentemente inseriti i numeri di telefono autorizzati.
Colloqui visivi
La regolamentazione dei colloqui (art. 18 o.p., a cui va aggiunto l'art. 37 reg. esec.) va esaminata prendendo in considerazione quali sono gli interlocutori (familiari, altre persone, difensore, garante dei diritti dei detenuti, autorità investigative), dato che il tipo di rapporto esistente col detenuto influisce sulla ragion d'essere del colloquio, e, in secondo luogo, la forma di comunicazione (colloquio visivo, telefonico o tramite programmi di videochiamata): a) i familiari del detenuto, ricomprendenti il coniuge, la persona che conviveva stabilmente con lui prima della carcerazione o che a lui era legata da unione civile, e tutti coloro che vantano un rapporto di parentela o affinità entro il quarto grado, determinato ai sensi degli artt. 74-18 c.c. Il co. 4 dell'art. 18 prevede che debba essere accordato «particolare favore» ai colloqui con i familiari. Tale particolare favore si riflette sulla configurazione del colloquio con i familiari alla stregua di un diritto soggettivo del detenuto, nel senso che l'autorità competente a decidere sull'autorizzazione ha un limitatissimo potere di negarla. Inoltre, solo per i colloqui con i congiunti e i conviventi è consentita la comunicazione via Skype e valgono le facilitazioni previste dall'art. 37 co. 10 reg. esec. Infine, grazie ad una innovazione da ricondurre al d.lgs. 123/2018, viene precisato che i locali destinati ai colloqui con i familiari «favoriscono, ove possibile, una dimensione riservata del colloquio e sono collocati preferibilmente in prossimità dell'ingresso dell'istituto». b) le altre persone, vale a dire quanti, al di fuori della cerchia familiare, sono legati al detenuto da rapporti affettivi (ad esempio, la fidanzata non convivente) o di amicizia, oppure coloro che il detenuto ha necessità di incontrare per il compimento di atti giuridici. Per tutti costoro l'autorizzazione viene concessa «quando ricorrono ragionevoli motivi» (art. 37 reg. esec.). I detenuti e gli internati usufruiscono di sei colloqui al mese, comprensivi di quelli con i familiari e di quelli con altre persone. Il numero dei colloqui diminuisce progressivamente per gli appartenenti alla criminalità organizzata, tant'è che i detenuti per uno dei delitti previsti dall'art. 4-bis co. 1 possono usufruire di un massimo di quattro colloqui al mese, mentre i sottoposti al regime di cui all'art. 41-bis ne hanno a disposizione uno solo. I co. 9 e 10 dell'art. 37 reg. esec. prevedono sia la possibilità di raddoppiare la durata di un singolo colloquio (quando i familiari risiedono in un comune diverso da quello in cui ha sede l'istituto, se nella settimana precedente il detenuto non ha fruito di alcun colloquio e se le esigenze e l'organizzazione dell'istituto lo consentono), sia la concessione di colloqui straordinari, oltre quelli previsti (se il detenuto è gravemente infermo, o quando il colloquio si svolge con prole di età inferiore a dieci anni, ovvero quando ricorrono particolari circostanze, come potrebbero essere le festività natalizia). Analogamente, in caso di colloqui con i familiari si può derogare alla regola secondo cui il numero degli interlocutori non può essere superiore a tre. Per quanto concerne le modalità esecutive, i giorni e gli orari in cui si svolgono i colloqui, così come le modalità di prenotazione, sono indicati nel regolamento interno dell'istituto. Il colloquio del detenuto con i familiari e le altre persone è preceduto dai necessari adempimenti di sicurezza espletati dalla polizia penitenziaria (perquisizione personale del detenuto e identificazione dei familiari o altre persone). Il colloquio può avere luogo anche in appositi locali o spazi all'aperto (c.d. aree verdi). Se non ci sono particolari ragioni di sicurezza o sanitarie, il colloquio avviene senza vetro divisorio. Per rispetto della privacy degli interlocutori, il colloquio è soggetto unicamente a controllo visivo da parte della polizia penitenziaria. c) il difensore, per il quale il colloquio costituisce un canale particolarmente idoneo a dare concretezza ad un diritto definito «inviolabile» dall'art. 24 co. 2 Cost. Ed infatti i colloqui in esame è garantito non solo all'imputato in vinculis ma anche al condannato. Proprio perché espressone di un diritto inviolabile, i colloqui con il difensore possono svolgersi in qualsiasi giorno, non hanno un limite numerico mensile (né sono computati nel numero complessivo previsto dall'art. 37 reg. esec.) e vengono effettuati in appositi locali in cui è garantita la riservatezza. d) i Garanti dei diritti del detenuto. Il colloquio con tali organismi rappresenta un diritto per il detenuto e, data la sua diversa funzione rispetto agli incontri con i familiari, non è computabile ai fine del raggiungimento del limite quantitativo massimo.
Focus. I colloqui intimi
Il tema dell'affettività del detenuto e delle relative modalità (quantomeno sublimate) di estrinsecazione degli impulsi affettivi e sessuali è stato oggetto di attenzione sia da parte della dottrina che della giurisprudenza. In questo senso, merita di essere segnalata un'interessante pronuncia della Corte Costituzionale. La Consulta, infatti, con sentenza 19 dicembre 2012 n. 301, è stata chiamata a valutare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma secondo, ord. pen., in relazione agli artt. 2,3, 27 comma terzo, 29 e 31 Cost., nella parte in cui prevede il controllo da parte del personale di polizia penitenziaria durante le visite del coniuge o del convivente more uxorio. Come accennato, la quaestio legitimitatis avanzata dal Magistrato di Sorveglianza di Firenze si inserisce nel dibattito afferente alle modalità di esplicazione della vita sessuale del detenuto, che viene contestualizzata dal giudice a quo come variante del diritto alla salute, intesa come benessere psico-fisico del soggetto. Come prevedibile, la Corte ha dichiarato l'inammissibilità della questione sulla base di due aspetti:
Tanto premesso, la dottrina, volgendo uno sguardo alle più avanguardiste soluzioni di taluni Stati membri dell'Unione, propone da tempo al legislatore l'adozione dei cd. permessi d'amore oppure la predisposizione di appositi locali all'interno del complesso carcerario, con una contestuale regolamentazione delle ipotesi nelle quali consentire i contatti a scopo sessuale. A livello sovranazionale, infine, si rammenta che l'art. 24 §4 reg. pen. eur. stabilisce che le modalità delle visite devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali. In questo senso, anche il Consiglio d'Europa ha auspicato l'autorizzazione di visite familiari di lunga durata, anche sulla base della motivazione secondo cui visite coniugali brevi e controllate possono avere un effetto umiliante per entrambi i componenti della coppia. La stampa e gli altri mezzi di informazione
Un altro mezzo con cui il detenuto può continuare a coltivare la propria relazione col mondo extramurario è rappresentato dall'accesso ai mezzi di comunicazione di massa (stampa, televisione e radio). La legge sull'ordinamento penitenziario, in questo senso, sancisce che le persone private della libertà possano tenere presso di sé i libri, i quotidiani e i periodici in libera vendita all'esterno (art. 18, co. 6, ord. pen.). Come acutamente osservato in dottrina, la ratio della disposizione è garantire una libera circolazione delle pubblicazioni, indipendentemente da una loro commercializzazione. Ne deriva che possono fare ingresso in carcere anche degli scritti distribuiti gratuitamente (SACCOMANI). Le esigenze di sicurezza presenti all'interno dell'istituto di pena legittimano, sotto la locuzione di “esigenze di ordine e spazio”, limitazioni al diritto in parola attinenti anche alle modalità di ricezione dei beni dall'esterno. In particolare, il Magistrato di Sorveglianza di Vercelli, con ordinanza del 26 giugno 2005, ha confermato la legittimità della previsione dei limiti quantitativi alle pubblicazioni che ogni detenuto può custodire in quanto rispondente a ragioni di sicurezza dell'ambiente carcerario. Ancora, questa volta con riguardo ai detenuti ristretti al regime di cui all'art. 41-bis ord. pen., la giurisprudenza di merito ha considerato legittimo il provvedimento con cui la direzione del carcere impone al detenuto l'acquisto di libri o periodici tramite specifici canali e, nondimeno, predispone limiti all'accumulo dei testi in cella; motivazione, questa, che poggia sui presupposti di prevenire qualsiasi contatto tra il sottoposto al carcere duro e l'organizzazione criminale di appartenenza nonché di mancata lesione dei diritti allo studio o all'informazione del detenuto. Sotto quest'ultimo punto di vista, il quarto comma dell'art. 44 reg. esec. sancisce il diritto, per i detenuti e gli internati iscritti ad un corso universitario, di conservare nella propria camera di pernottamento e degli altri locali di studio “i libri e le pubblicazioni e tutti gli strumenti didattici necessari al loro studio”. Sempre per motivi di studio curriculare (e non dunque per mere aspirazioni di approfondimento culturale), il direttore può ammettere l'utilizzo, anche nella cella personale, di personal computer privati della possibilità di connessione, lettori di nastri e compact disc portatili. L'ordinamento penitenziario, da ultimo, consente ai soggetti in espiazione di pena intramuraria di avvalersi di altri mezzi di informazione, sia di proprietà dell'Amministrazione (il riferimento corre a radio, cinema e televisione) sia di proprietà personale dei ristretti (si pensi agli apparecchi radio di cui all'art. 40 reg. esec.). Aspetti processuali
Come si è avuto modo di accennare, la Legge 8 aprile 2004 n. 95, recependo i moniti della Cassazione e della Corte europea dei diritti dell'uomo, ha introdotto un'adeguata giurisdizionalizzazione della tutela – sebbene di grado inferiore rispetto a quella prevista dall'art. 35-bis ord. pen. – volta a rimuovere le eventuali lesioni del diritto di corrispondenza del detenuto (cfr. art. 14-ter ord. pen.). Legittimati a proporre reclamo sono sia l'interessato (con atto ricevuto dal direttore dell'istituto e quindi trasmesso all'Autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 123 c.p.p.) sia il suo avvocato. L'impugnazione deve essere presentata nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento di diniego. In senso critico, è stato peraltro evidenziato che la mancata previsione di un obbligo di informativa del contenuto motivo dei provvedimenti ex art. 18-ter ord. pen. rende alquanto nebulosa la possibilità di individuare con esattezza il dies a quo di decorrenza del termine per proporre reclamo. In ogni caso, la giurisprudenza prevalente, suffragata da pronunce di legittimità, richiede che l'impugnazione sia specificatamente motivata, a pena di inammissibilità. Il reclamo va rivolto al Tribunale di Sorveglianza laddove ad essere contestata è una decisione del Magistrato di Sorveglianza; negli altri casi, invece, la competenza è del Tribunale nel cui circondario ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento. L'udienza viene svolta con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore, mentre non è prevista la partecipazione personale del detenuto interessato. Il terzo comma dell'art. 14-ter ord. pen. assegna comunque a quest'ultimo, così come all'Amministrazione penitenziaria, la possibilità di presentare memorie. I giudici di sorveglianza devono depositare l'ordinanza di decisione entro il termine (ordinatorio) di dieci giorni. Lo stesso termine, infine, è previsto per impugnare la decisione innanzi la Corte di Cassazione. Casistica
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