La teleologica complanarità delle domande

02 Dicembre 2020

La pronuncia in commento, in relazione al rito ordinario di cognizione, esamina la questione dei presupposti di ammissibilità, oggettivi e temporali, della nuova domanda proposta dall'attore nel corso del giudizio e, quindi, della differenza tra domanda “nuova” e domanda “modificata”, in base agli approdi ermeneutici della recente giurisprudenza di legittimità.
Massima

Nel processo civile di cognizione, ciò che rende ammissibile l'introduzione in giudizio, oltre la barriera preclusiva segnata dall'udienza ex art. 183 c.p.c., di un diritto diverso da quello originariamente fatto valere è il carattere della teleologica "complanarità", nel senso che tale nuovo diritto deve attenere alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, correre tra le stesse parti, tendere alla realizzazione, almeno in parte, dell'utilità finale già avuta di mira dalla parte con la sua iniziativa giudiziale (salva la differenza tecnica di petitum mediato) e rivelarsi, di conseguenza, incompatibile con il diritto originariamente dedotto in giudizio.

Il caso

La curatela del fallimento di Tizio proponeva domanda di inefficacia ex art. 44 l.fall. del pagamento di € 72.696,47 eseguito da Caio nei confronti del fallito, nonché, nella prima memoria istruttoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., domanda subordinata di adempimento contrattuale per lo stesso importo e per la medesima vicenda fattuale.

Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere rigettava la prima domanda, perché non provata, e dichiarava inammissibile la seconda, in quanto tardivamente proposta oltre la prima udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c.

La Corte d'appello di Napoli accoglieva il gravame proposto dalla curatela fallimentare, reputando tempestiva la domanda subordinata di adempimento contrattuale, alla luce dei principi affermati dalla più recente giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite.

Avverso tale sentenza Caio proponeva ricorso per cassazione, deducendo, tra l'altro, l'erronea applicazione dell'art. 183, commi 5 e 6, c.p.c., in tema di modifica della domanda, posto che la corte di merito aveva ritenuto ammissibile la domanda subordinata di adempimento contrattuale, sebbene questa fosse totalmente nuova per causa petendi rispetto a quella originaria ex art. 44 l.f. proposta dalla curatela fallimentare.

La questione

La pronuncia in commento, in relazione al rito ordinario di cognizione, esamina la questione dei presupposti di ammissibilità, oggettivi e temporali, della nuova domanda proposta dall'attore nel corso del giudizio e, quindi, della differenza tra domanda “nuova” e domanda “modificata”, in base agli approdi ermeneutici della recente giurisprudenza di legittimità.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nel ritenere infondato il motivo di ricorso, ha richiamato l'evoluzione giurisprudenziale che il concetto di “domanda modificata” ha subito nell'ultimo quinquennio, a partire dalla nota sentenza di Cass. civ., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310, con cui si è innovativamente (rispetto al precedente orientamento riconducibile a Cass. civ., Sez. Un., 5 marzo 1996, n. 1731) sostenuto che la modificazione della domanda, ammessa ex art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, per ciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali.

In particolare, le Sezioni Unite erano state chiamate, in ragione della discrasia giurisprudenziale registratasi sul punto, a stabilire se - ove l'attore avesse chiesto con l'atto di citazione una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. sulla base di una scrittura privata da lui qualificata come preliminare di vendita immobiliare - costituisse domanda nuova o mera “emendatio libelli” la richiesta di una pronuncia dichiarativa dell'avvenuto trasferimento della proprietà del medesimo immobile, oggetto del contratto (diversamente) qualificato come contratto definitivo di compravendita.

Il nuovo intervento compositivo si era reso necessario in considerazione, soprattutto, dei mutamenti del quadro normativo di riferimento ad opera del legislatore - anche costituzionale - e dei corrispondenti mutamenti nella giurisprudenza di legittimità, soprattutto a Sezioni Unite (pur se non specificamente riferibili alla problematica predetta e riguardanti, in una prospettiva più generale, non solo la disciplina dei “nova” nel processo ma anche le problematiche collegate, ad esempio quelle relative all'ambito ed ai limiti del rilievo officioso nel processo dispositivo, soprattutto in tema di patologie negoziali, e quelle “proiettive” correlate all'ombra lunga del giudicato implicito), “nella consapevolezza che l'esegesi della normativa processuale deve sempre salvaguardare la coerenza circolare del sistema e che l'intervento nomofilattico compositivo è necessario quante volte occorra riportare a sintesi univoca e manifesta il tormentato processo di adeguamento dell'ermeneutica giuridica al contesto legislativo e culturale in trasformazione”.

Le Sezioni Unite, nel risolvere la questione, erano pervenute alle seguenti conclusioni, richiamate nella pronuncia in commento: a)la modifica della domanda iniziale può riguardare anche gli elementi identificativi oggettivi della stessa, a condizione che essa si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l'atto introduttivo o comunque sia a questa collegata, e tale regola è ricavabile da tutte le indicazioni contenute nel codice di rito in relazione alle ipotesi di connessione a vario titolo e, in particolare, al rapporto di connessione per “alternatività”o “per incompatibilità”;b)una siffatta interpretazione risulta maggiormente rispettosa dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, posto che, non solo non incide negativamente sulla durata del processo nel quale la modificazione interviene, ma determina, anzi, una indubbia incidenza positiva più in generale sui tempi della giustizia, in quanto è idonea a favorire una soluzione della complessiva vicenda sostanziale ed esistenziale portata dinanzi al giudice in un unico contesto, invece di determinare la potenziale proliferazione dei processi; c)la concentrazione favorita da tale interpretazione risulta, inoltre, maggiormente rispettosa della stabilità delle decisioni giudiziarie, anche in relazione alla limitazione del rischio di giudicati contrastanti, nonché della effettività della tutela assicurata, sempre messa in pericolo da pronunce meramente formalistiche; d)una simile interpretazione, infine, non determina alcuna “sorpresa”per la controparte né mortifica le sue potenzialità difensive, in quanto l'eventuale modifica avviene sempre in riferimento ed in connessione alla medesima vicenda sostanziale in relazione alla quale la parte è stata chiamata in giudizio ed a tale parte è, in ogni caso, assegnato un congruo termine per potersi difendere e controdedurre anche sul piano probatorio.

Alla luce di tali osservazioni, le Sezioni Unite, nell'indicata pronuncia del 2015, hanno ritenuto ammissibile la modifica, nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., dell'originaria domanda formulata ex art. 2932 c.c. con quella di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo.

Tale orientamento è stato generalmente seguito dalla giurisprudenza successiva ed applicato anche al di fuori dell'ambito contrattuale.

Nel 2018 le Sezioni Unite, con la sentenza 13 settembre 2018, n. 22404, hanno ampliato i limiti dello “ius variandi”, in quanto - chiamate a pronunciarsi sulla questione se, nel giudizio promosso nei confronti di una Pubblica Amministrazione per l'adempimento di un'obbligazione contrattuale, la parte potesse, con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., modificare la propria domanda in una richiesta di indennizzo per arricchimento senza causa - hanno statuito che «Nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta».

In sostanza, la sentenza n. 22404 del 2018 ha ritenuto di dare continuità alla pronuncia n. 12310/2015 che, superando in senso evolutivo il criterio della valutazione relativa alla invarianza degli elementi oggettivi (petitum e causa petendi) della domanda, aveva spostato l'attenzione dell'interprete sull'inerenza delle domande alla medesima vicenda sostanziale sottoposta all'esame del giudice.
Pertanto, poiché la domanda di adempimento contrattuale e la domanda di ingiustificato arricchimento si riferiscono alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, intesa come unica vicenda in fatto che delinea un interesse sostanziale, attengono al medesimo bene della vita, tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di natura patrimoniale, e sono legate da un rapporto di connessione “di incompatibilità”, non solo logica, ma normativamente prevista (atteso il carattere sussidiario dell'azione ex art. 2041 c.c. sancito dall'art. 2042 c.c.), tale rapporto giustifica ancor di più il ricorso al simultaneus processus.

Tenendo conto dei principi affermati nelle predette sentenze delle Sezioni Unite, la Suprema Corte, nella pronuncia in commento, ha concluso che ciò che rende ammissibile l'introduzione in giudizio, oltre la barriera preclusiva segnata dall'udienza ex art. 183 c.p.c., di un diritto diverso da quello originariamente fatto valere è il carattere della teleologica "complanarità", nel senso che tale nuovo diritto deve attenere alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, correre tra le stesse parti, tendere alla realizzazione, almeno in parte, dell'utilità finale già avuta di mira dalla parte con la sua iniziativa giudiziale (salva la differenza tecnica di petitum mediato) e rivelarsi, di conseguenza, incompatibile con il diritto originariamente dedotto in giudizio.

Applicando tali conclusioni al caso in esame, appare corretta, secondo la Cassazione, la statuizione operata dalla Corte d'appello in ordine all'ammissibilità della domanda subordinata di adempimento contrattuale, atteso che entrambe le domande formulate dalla curatela fallimentare (ossia, in via principale, la richiesta di accertamento della inefficacia, ex art. 44 l.fall., di un pagamento, perché non dovuto, al fine di ottenerne la ripetizione; in subordine, nella prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., l'accertamento della sussistenza di un obbligazione contrattuale e del conseguente suo inadempimento da parte del soggetto obbligato): a)si riferiscono, indubbiamente, alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, intesa come unica vicenda in fatto che delinea un interesse sostanziale; b)sono attinenti al medesimo bene della vita (il pagamento della somma di € 72.696,47), tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di contenuto patrimoniale (benché, nell'una, come conseguenza della inefficacia di un pagamento se effettuato, e, nell'altra, come corrispettivo di una prestazione svolta); c) sono legate da un evidente rapporto di connessione “di incompatibilità”logica, che, ancor di più, giustifica il ricorso al simultaneus processus.

Osservazioni

Com'è noto, nella prima udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c., l'attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, nonchè chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, ai sensi degli artt. 106 e 269, comma 3, c.p.c., se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto.

In particolare, l'art. 183, comma 5, c.p.c. consente all'attore di proporre una nuova domanda (cd. reconventio reconventionis) purchè questa sia conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni (da intendersi in senso stretto) proposte dal convenuto, introducenti una situazione ulteriore rispetto a quella individuata con la citazione (Cass. civ., n. 9880/2016; Cass. civ., n. 25409/2013), e non attribuisce, invece, la facoltà di proporre domande nuove che l'attore avrebbe potuto proporre con la citazione (Cass. civ., n. 498/2017). In altri termini, la nuova domanda o la nuova eccezione dell'attore devono presentarsi come consequenziali, e quindi configurarsi come una controiniziativa necessaria per replicare all'eccezione o domanda del convenuto (Cass. civ., n. 15211/2018). Ad. es., il creditore, che agisce nei confronti del fideiussore per sentire dichiarare la validità ed efficacia del contratto di garanzia, qualora il convenuto eccepisca che la garanzia contrattuale non è operativa per mancato pagamento del premio dovuto dal debitore garantito, può chiedere alla prima udienza di trattazione il risarcimento del danno conseguente alla lesione del ragionevole affidamento sull'efficacia della fideiussione (Cass. civ., n. 2038/2010).

Al di fuori delle predette ipotesi, nella prima udienza, nonché nella prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., le parti possono solo precisare e modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate. In particolare, per quanto attiene alla differenza tra emendatio libelli (modifica della domanda) e mutatio libelli (mutamento della domanda), in giurisprudenza si è, ad es., ritenuta ammissibile la richiesta di risarcimento per equivalente allorché sia stato inizialmente richiesto il risarcimento in forma specifica (Cass. civ., n. 12168/2017), mentre invece integra domanda nuova la proposizione di una domanda di risoluzione per inadempimento dopo aver chiesto nell'atto introduttivo il solo risarcimento del danno (Cass. civ., n. 17144/2006) o la riduzione del prezzo (Cass. civ., n. 4248/2010).

La giurisprudenza ormai consolidata ritiene, inoltre, che la questione della novità della domanda risulti del tutto sottratta alla disponibilità delle parti, essendo diretta ad evitare ampliamenti del thema decidendum, e dunque posta a tutela non solo dell'interesse di parte ma anche dell'interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo, con la conseguenza che la stessa è rilevabile d'ufficio dal giudice a prescindere dal consenso manifestato dalla controparte (Cass. civ., n. 24040/2019; Cass. civ., n. 13769/2017; Cass. civ., n. 7214/2013).

La pronuncia in commento si inserisce nell'ampio dibattito sul rapporto tra mutatio ed emendatio libelli.

In proposito, va rammentato, come già rilevato, che è ammissibile, nella prima udienza di trattazione oppure nella prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., solo la precisazione o modificazione della domanda introduttiva formulata dall'attore.

«Precisare» vuol dire soltanto esplicitare, senza mutare i fatti principali allegati, quanto già contenuto nelle precedenti difese. La precisazione delle domande e delle eccezioni consiste essenzialmente nell'allegazione dei fatti secondari (ad es., si precisa che l'immobile di cui si è chiesto il rilascio comprende anche un certo locale prima non menzionato). «Modificare» significa, invece, introdurre nuovi fatti storici principali, ed è attività consentita purché non porti al mutamento del diritto dedotto in giudizio. Non è sempre agevole stabilire quando la precisazione/modificazione (emendatio libelli) superi il livello oltre il quale diviene mutamento (mutatio libelli), di per sé vietato (se non alla prima udienza di trattazione e nell'ipotesi in cui la nuova domanda – cd. reconventio reconventionis - dipenda dall'attività compiuta dal convenuto).

Secondo l'insegnamento tradizionale, si ha una nuova domanda quando viene cambiato anche solo uno degli elementi costitutivi oggettivi della stessa, ossia il petitum o la causa petendi (Cass. civ., n. 18688/2007), mentre, ad es., la diversa quantificazione o specificazione della pretesa, fermi i fatti costitutivi, rappresenta una mera emendatio libelli (Cass. civ., n. 9266/2010), così come la diversa interpretazione o qualificazione giuridica del medesimo fatto costitutivo del diritto (Cass. civ., n. 11763/1990). In particolare, per quanto attiene alla causa petendi, rileva la distinzione tra diritti autodeterminati (es. diritti reali), in relazione ai quali è possibile allegare in giudizio una diversa fattispecie costitutiva (ad es., è possibile dedurre inizialmente un acquisto a titolo originario della proprietà e, in seguito, un acquisto del medesimo diritto a titolo derivativo, senza con ciò mutare la causa petendi: Cass. civ., n. 29231/2019; Cass. civ., n. 24483/2017; Cass. civ., n. 3192/2003), e diritti eterodeterminati (es. diritti di credito), per i quali l'indicazione di un nuovo fatto costitutivo equivale a formulazione di una nuova domanda.

Prima del “revirement” del 2015, era, quindi, ius receptum che la “emendatio libelli” fosse ravvisabile quando non si incideva nè sulla causa petendi (ma solo sull'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto), nè sul petitum (se non nel senso di meglio quantificarlo per renderlo idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere). Al contrario, era assolutamente inammissibile quella modificazione della domanda che si risolvesse in una mutatio libelli, ricorrente quando si avanzava una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima, così ponendo al giudice un nuovo tema d'indagine e spostando i termini della controversia. E ciò in quanto, al di fuori della reconventio reconventionis che nasca dalle difese del convenuto, l'attore, al più tardi con la prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., può solo precisare e modificare le domande già formulate con l'atto introduttivo.

Tale conclusione, apparentemente univoca nell'affermazione teorica della distinzione tra mutatio ed emendatio, ha generato nella pratica una situazione ben più complessa, atteso che, non di rado, pur non contravvenendo espressamente al descritto principio, si è giunti a ritenere sostanzialmente ammissibili anche domande che presentavano invece mutamenti in ordine ai suddetti elementi modificativi (ad esempio, la modifica della iniziale domanda di risoluzione del contratto per inadempimento con l'aggiunta di una domanda subordinata di adempimento del contratto, ritenuta una emendatio libelli).
Le Sezioni Unite hanno, pertanto, voluto operare, con la sentenza n. 12310/15, una rivisitazione di tale impostazione, e, finendo per attenuare la distinzione tra emendatio e mutatio libelli, hanno sostenuto, in un'ottica di economia processuale, che la modificazione della domanda ammessa a norma dell'art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che, per ciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali, atteso che la domanda modificata sostituisce la domanda iniziale e non si aggiunge ad essa, interviene nella fase iniziale del giudizio e non comporta tempi superiori a quelli già preventivati dal medesimo art. 183 c.p.c. Inoltre, il convenuto, sapendo che una simile modifica potrebbe intervenire, non si trova rispetto ad essa come dinanzi alla domanda iniziale e, comunque, ha a disposizione un congruo termine per potersi difendere e controdedurre anche sul piano probatorio.

Alla luce di tali nuovi principi, si è ritenuta ammissibile la modifica, nel primo termine ex art. 183 comma 6 c.p.c., della iniziale domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento del già avvenuto effetto traslativo (Cass. civ., Sez. Un., n. 12310/2015; nonché le successive, conformi, Cass. civ., n. 23131/2015, Cass. civ., n. 816/2016, Cass. civ., n. 4322/2019, Cass. civ., n. 14369/2019).

I risultati ermeneutici così raggiunti risultano, secondo le Sezioni Unite, in completa consonanza sia con l'esigenza - ripetutamente perseguita nel codice di rito, talora anche attraverso modifiche della disciplina sulla competenza - di realizzare, al fine di una maggiore economia processuale ed una migliore giustizia sostanziale, la concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale (basti pensare alle disposizioni codicistiche in tema di connessione e riunione dei procedimenti), sia, più in generale, con i valori funzionali del processo come via via enucleati, nel corso degli ultimi anni, dalla dottrina e dalla giurisprudenza - soprattutto a Sezioni Unite - di legittimità.

In sintesi, secondo il nuovo orientamento inaugurato nel 2015, non può esservi mutamento della domanda allorquando restino immutate le parti nonchè il bene della vita in relazione al quale è richiesta tutela, pur in presenza di un ipotetico concorso di norme, legali o convenzionali, a presidio dell'unico diritto azionato (Cass. civ., n. 9333/2016), sicché rientra nella emendatio, ad es.:

a) il mutamento della domanda risarcitoria a titolo contrattuale in domanda risarcitoria a titolo di responsabilità aquiliana, se basata sulla medesima vicenda sostanziale (Cass. civ., n. 22540/2018);

b) nell'azione risarcitoria esperita nei confronti del proprietario di un'unità condominiale (nella specie, per danni conseguenti a perdite idriche provenienti da tubazioni), la successiva deduzione della qualità di condomino del convenuto (Cass. civ., n. 9692/2020);

c) la modificazione dell'originaria domanda risarcitoria, formulata da un investitore nei confronti dell'intermediario finanziario, in quella di risoluzione per inadempimento, tenuto conto che entrambe le richieste riguardavano la stessa operazione di compravendita titoli ed erano fondate sull'allegazione dei medesimi comportamenti inadempienti dell'intermediario (Cass. civ., n. 13091/2018);

d) la modificazione dell'originaria domanda di accertamento della nullità di un contratto di intermediazione finanziaria o di acquisto di strumenti finanziari in domanda di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, ove, in particolare, non siano mutati gli elementi di fatto introdotti in giudizio (Cass. civ., n. 3254/2018; Cass. civ., n. 816/2016);

e) la mera indicazione di ulteriori vizi della cosa appaltata rispetto a quelli indicati in citazione, permanendo un chiaro e stabile collegamento con la questione concreta oggetto del contendere (Cass. civ., n. 14815/2018);

f) la modifica in corso di causa della domanda originaria, anche in tema di diritti cd. eterodeterminati, mediante l'allegazione di un diverso fatto costitutivo, che ne comporti la sostituzione con una nuova domanda ad essa alternativa (Cass. civ., n. 18956/2017);

g) il mutamento quantitativo della domanda riconvenzionale proposta dall'opponente a decreto ingiuntivo e riconnessa all'intervenuta rescissione del contratto rispetto alla precedente domanda di risoluzione, trovando la richiesta del riconoscimento di un maggiore importo fondamento nella medesima situazione sostanziale dedotta in giudizio con l'atto introduttivo (Cass. civ., n. 26782/2016);

h) la modifica dell'originaria domanda di responsabilità ex art. 2043 c.c. in quella ex art. 2050 c.c., presupponendo tali domande un unico fatto costitutivo, la causazione del danno, ed un elemento reciprocamente specializzante, dato dal criterio d'imputazione alternativo che, in un caso, è la colpa, e, nell'altro, lo svolgimento di un'attività pericolosa (Cass. civ., n. 10513/2017).

Invece, in un giudizio di revocazione ordinaria di un atto di disposizione patrimoniale, la S.C. ha ritenuto non ammissibile la sostituzione dell'originaria domanda tesa a conseguire la declaratoria di inefficacia dell'atto di cessione di un credito avente titolo negoziale, con altro di natura risarcitoria derivante da illecito aquiliano, tenuto conto che il credito su cui l'attrice mirava a basare la proposta azione revocatoria era non solo diverso per titolo da quello originario, ma anche connotato da un incerto collegamento con la vicenda già posta all'esame dell'adito giudice (Cass. civ., n. 14369/2019).

In base a tale nuovo indirizzo interpretativo, quindi, il “discrimen” tra domanda nuova – inammissibile, se non sia “conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni del convenuto” e se non formulata entro la prima udienza ex art. 183 c.p.c.e domanda modificata va rinvenuto nel carattere ampliativo del thema decidendum che presentano le domande nuove rispetto invece al carattere sostitutivo della modifica, nel senso che la domanda “nuova” si aggiunge a quella originariamente formulata, mentre la domanda “modificata” si sostituisce a quella originaria (Cass. civ., n. 16807/2018), non essendo invece ricavabile dalle norme processuali alcuna differenza quanto alla possibilità di variazione degli elementi identificativi fondamentali (causa petendi, petitum), egualmente consentita ad entrambe le domande (Cass. civ., n. 29619/2017).

Opinando diversamente, e dunque persistendo nel seguire l'orientamento giurisprudenziale tradizionale, si costringerebbe «la parte che abbia meglio messo a fuoco il proprio interesse e i propri intendimenti in relazione ad una determinata vicenda sostanziale - eventualmente anche grazie allo sviluppo dell'udienza di comparizione - a rinunciare alla domanda già proposta per proporne una nuova in un altro processo, in contrasto con i principi di conservazione degli atti e di economia processuale, ovvero a continuare il processo perseguendo un risultato non perfettamente rispondente ai propri desideri ed interessi, per poi eventualmente proporre una nuova domanda (con indubbio spreco di attività e risorse) dinanzi ad un altro giudice il quale dovrà conoscere della medesima vicenda, sia pure sotto aspetti in parte dissimili».

La dottrina che ha condiviso il nuovo orientamento pretorio ha coniato la significativa espressione di “domande complanari” (Consolo C., Le S.U. aprono alle domande “complanari”: ammissibili in primo grado ancorchè (chiaramente e irriducibilmente) diverse da quella originaria cui si cumuleranno, in Corr. giur., 2015, 7, 968 ss.) per indicare le domande tra loro “alternative”, e quindi concorrenti, fondate sulla medesima vicenda sostanziale, ossia sull'identità dell'episodio socio-economico di fondo, da cui origina un concorso di pretese con un unico petitum oppure con diversi petita conseguenti a diverse qualificazioni della causa petendi.

Non si dubita, tuttavia, che detta modificazione della domanda, qualora avvenga dopo la scadenza del termine ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., risulti inevitabilmente inammissibile, e che, qualora formulata per la prima volta in appello, costituisca un novum anch'esso inammissibile, perché vietato dall'art. 345, comma 1, c.p.c. (Cass. civ., n. 27566/2017).

Sennonchè, operando un ulteriore passo in avanti, le Sezioni Unite (Cass. civ., n. 22404/2018) hanno, più recentemente, statuito che, nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale, è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. (tradizionalmente considerata domanda “nuova”, rispetto a quella contrattuale, per diversità sia del petitum che della causa petendi) se formulata, in via subordinata (e, quindi, non necessariamente in sostituzione di quella originaria di adempimento contrattuale), con la prima memoria istruttoria di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta.

È stato così completato il regime di proponibilità della domanda “complanare”, superando qualche incertezza riconducibile al precedente arresto del 2015, con cui le Sezioni Unite avevano ritenuto ammissibile la domanda alternativa solo se formulata, nel limite temporale di cui alla prima memoria istruttoria, in sostituzione di quella originariamente proposta, da intendersi così implicitamente rinunciata.

Alla luce delle ulteriori precisazioni fornite nel 2018, nelle successive, conformi, pronunce di legittimità si è ritenuta ammissibile la modificazione dell'originaria domanda di pagamento di canoni di locazione in quella di indennità di occupazionesine titulo”, proposta in via subordinata a seguito dell'eccezione di nullità del contratto ad opera del convenuto (Cass. civ., n. 4322/2019), mentre è stata reputata domanda nuova ed ulteriore, rispetto a quella originaria di mero accertamento della natura locatizia del contratto, la richiesta declaratoria di illegittimità dell'avvenuta estromissione dai locali con conseguente loro riconsegna (Cass. civ., n. 31078/2019).

In definitiva, allo stato, la domanda “complanare” non deve necessariamente sostituirsi a quella originaria, ma può ad essa cumularsi, sia pure in via subordinata al mancato accoglimento della prima, atteso che - come si legge nella pronuncia della Suprema Corte in commento - ciò che rende ammissibile l'introduzione in giudizio da parte dell'attore di un diritto diverso da quello originariamente fatto valere, oltre la barriera preclusiva segnata dall'udienza ex art. 183 c.p.c. (e che, quindi, consente di distinguere la domanda che tale diritto deduce dalla reconventio reconventionis di cui al comma 5 del medesimo art. 183 c.p.c.), è il carattere della teleologica “complanarità”, dovendo pertanto tale diritto attenere alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, correre tra le stesse parti, tendere alla realizzazione (almeno in parte) dell'utilità finale già avuta di mira con l'originaria domanda (salva la differenza tecnica di petitum mediato) e rivelarsi, di conseguenza, incompatibile con il diritto per primo azionato.

Tutti tali requisiti sono stati riconosciuti sussistenti nel caso concreto sottoposto al vaglio della Suprema Corte nella pronuncia in esame, che ha così confermato la decisione impugnata, che, in un giudizio promosso per la declaratoria di inefficacia di alcuni pagamenti ex art. 44 l.fall., aveva ritenuto ammissibile l'ulteriore domanda di adempimento formulata dall'attore, in via gradata, nella prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c.

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