Il caso fortuito che esclude la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c.

Giovanni Gea
22 Gennaio 2021

Nel caso di danno cagionato da cose in custodia, è sufficiente ad escludere la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. la dimostrazione della condotta colposa del danneggiato ovvero occorre, altresì, la prova del caso fortuito predicabile allorché detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno?
Massima

In ambito di responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c., nel caso di caduta di pedone in una buca stradale non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima - la quale potrà invece assumere rilevanza, ai fini della riduzione o dell'esclusione del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, comma 1 o 2, c.c. - richiedendosi, per l'integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno.

Il caso

Una pedone, caduta a terra a causa di un avvallamento presente sul vialetto del cimitero, non segnalato né tempestivamente visibile per la presenza di persone che, in quel momento, la precedevano, conveniva in giudizio il Comune per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'incidente.

Il Tribunale rigettava la domanda e la Corte di Appello confermava la sentenza impugnata osservando che doveva escludersi che l'anomalia del fondo stradale, avente dimensioni di circa due metri di lunghezza e venti centimetri di profondità, non fosse tempestivamente avvistabile e, dunque, prevenibile ed evitabile da parte della danneggiata e che il comportamento colposo della stessa, integrando il caso fortuito che interrompe il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno, escludeva la responsabilità del Comune.

Avverso la sentenza della Corte d'Appello, la danneggiata ricorreva in Cassazione.

La questione

Nel caso di danno cagionato da cose in custodia, è sufficiente ad escludere la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. la dimostrazione della condotta colposa del danneggiato ovvero occorre, altresì, la prova del caso fortuito predicabile allorché detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, accoglie il ricorso della danneggiata e cassa con rinvio la decisione della Corte d'Appello per aver fatto malgoverno del principio, più volte espresso in sede di legittimità, secondo cui la mera condotta colposa del danneggiato da cose in custodia non è da sola sufficiente ad integrare il caso fortuito essendo, altresì, necessaria la dimostrazione che detta condotta presenti anche i requisiti della non prevedibilità e non prevenibilità da parte del custode tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno.

Ad avviso della S.C., la condotta della vittima del danno causato da cose in custodia può, infatti, escludere la responsabilità del custode solo ove sia “colposa ed imprevedibile”, ossia quando essa, “rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo”, giacché l'idoneità ad interrompere il nesso causale può essere riconosciuta solo ad un fattore estraneo avente carattere di “imprevedibilità ed eccezionalità” il che può avvenire “quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale” (Cass. Civ., Sez. VI,ordinanza 3/4/2019, n. 9315; Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 1/2/2018, n. 2480; Cass. Civile, Sez. III, ordinanza 31/10/2017, n. 25837; Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 28/7/2017, n. 18753; Cass. Civ., Sez. III, 18/9/2015, n. 18317; Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 12/5/2015, n. 9547; Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 5/2/2013, n. 2660).

Pertanto, ove il danno consegua alla interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l'agire umano, non basta ad escludere il nesso causale fra la cosa e il danno la condotta colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità che valgano a determinare una definitiva cesura nella serie causale riconducibile alla cosa.

Ed, invero, la eterogeneità tra i concetti di "negligenza della vittima" e di "imprevedibilità della sua condotta” da parte del custode ha per conseguenza che, una volta accertata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima del danno da cose in custodia, ciò non basta di per sé ad escludere la responsabilità del custode che è esclusa solo dal “caso fortuito” ossia da un evento che “praevideri non potest” (Cass. Civile, Sez. III, ordinanza 31/10/2017, n. 25837).

Conseguentemente, l'esclusione della responsabilità del custode, che invoca il caso fortuito eccependo la condotta colposa del danneggiato, esige un duplice positivo accertamento e, cioè, sia che la vittima abbia tenuto una condotta negligente e sia che quella condotta non fosse prevedibile e prevenibile poiché la mera disattenzione del danneggiato non necessariamente integra il caso fortuito per i fini di cui all'art. 2051 c.c. dovendo il custode, per superare la presunzione di colpa posta a proprio carico, dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 27/6/2016, n. 13222).

E, la condotta della vittima di un danno da cose in custodia può dirsi “imprevedibile” ed “imprevenibile” quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata; stabilire, poi, se una certa condotta della vittima di un danno arrecato da cose affidate alla custodia altrui sia prevedibile o meno è un giudizio di fatto e, come tale, riservato al giudice di merito il quale non può astenersi dal compierlo, limitandosi a prendere in esame soltanto la natura colposa della condotta della vittima.

Nel caso specifico della caduta di pedone in una buca stradale, non può evidentemente sostenersi che la stessa sia “imprevedibile” - rientrando nel notorio che la buca possa determinare la caduta del passante -, ed “imprevenibile” - sussistendo, di norma, la possibilità di rimuovere la buca o, almeno, di segnalarla adeguatamente -, sicché deve, allora, ritenersi che il mero rilievo di una condotta colposa del danneggiato non sia idoneo a interrompere il nesso causale che è manifestamente insito nel fatto stesso che la caduta sia originata dalla “prevedibile e prevenibile” interazione fra la condizione pericolosa della cosa e l'agire umano.

Ciò non significa, tuttavia, che la condotta colposa della vittima – ancorché inidonea ad integrare il caso fortuito - non possa rivestire rilevanza ai fini risarcitori ma ciò deve avvenire sotto il diverso profilo dell'accertamento del concorso colposo del danneggiato, valutabile ai sensi dell'art. 1227 c.c., sia nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (art. 1227, comma 1, c.c.), sia nel senso della negazione del risarcimento per i danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (art. 1227, comma 2, c.c.), fatta salva, nel secondo caso, la necessità di un'espressa eccezione da parte del custode.

Nella caso di specie, la Corte di merito non ha fatto corretta applicazione dei principi sottesi alla norma di cui all'art. 2051 c.c. avendo ritenuto assorbente, ai fini dell'integrazione del caso fortuito, il mero accertamento della condotta colposa della danneggiata senza, nel contempo, accertare se detta condotta presentasse anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno ovvero potesse ritenersi un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale.

La S.C. cassa, pertanto, la sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale che dovrà procedere a nuovo esame della vicenda alla luce dei principi e delle considerazioni di cui sopra.

Osservazioni

L'art. 2051 c.c., secondo la tesi prevalente in dottrina e dominante nella giurisprudenza di legittimità, prevede un'ipotesi di “responsabilità oggettiva” il cui unico presupposto è l'esistenza di un effettivo potere fisico che implica il governo e l'uso della cosa che ha cagionato il danno essendo del tutto irrilevante la condotta, più o meno diligente, del custode nell'esercizio della vigilanza sulla stessa sicché, a suo carico, vi è solo la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità mediante la dimostrazione positiva del “caso fortuito”, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, ivi compreso il fatto dello stesso danneggiato o del terzo, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 29/7/2016, n. 15761).

Pertanto, una volta che il danneggiato ha assolto all'onere sullo stesso gravante di provare l'esistenza di un collegamento tra la cosa in custodia ed il danno subito, dimostrando che l'evento dannoso si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa che, direttamente o indirettamente, ha svolto un ruolo attivo nella produzione del danno, incomberà, poi, al custode, per liberarsi dalla sua “oggettiva” responsabilità, o negare la riferibilità causale dell'evento dannoso alla cosa dimostrando l'inesistenza del nesso causale, onde escludere in radice l'operatività della norma, ovvero fornire la prova positiva del caso fortuito dimostrando l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, imprevedibile ed inevitabile, che, inserendosi nel decorso causale, abbia interrotto il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno.

Tale fattore estraneo può essere costituito anche dal fatto dello stesso danneggiato con la conseguenza che, nel caso in cui l'evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla sua condotta, perché non solo colposa ma, anche, imprevedibile, si verifica un'ipotesi di caso fortuito tale da liberare il custode dalla responsabilità ex art. 2051 c.c., atteso che detta condotta interrompe il nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno.

Pertanto, affinché si possa ritenere provato il caso fortuito, atto ad escludere integralmente la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c., è necessaria un'accurata disamina del ruolo della condotta del danneggiato onde accertare se la stessa sia stata, in relazione al concreto contesto, sia colposa, perché negligente, distratta, imperita, imprudente, e sia imprevedibile da parte del custode, perché sconsiderata, abnorme, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata, estranea al novero delle possibilità fattuali, del tutto impropria in rapporto alla struttura ed alla destinazione o funzione della cosa.

Infatti, l'imprevedibilità della condotta del danneggiato, dotata di impulso causale autonomo idoneo a cagionare da solo il danno e, dunque, ad escluderne la derivazione diretta dalla cosa in custodia, va intesa come obiettiva inverosimiglianza dal punto di vista probabilistico o della causalità adeguata (o regolarità causale) ossia come sensibile deviazione dalla frequenza statistica accettata come “normale”, “ricorrente” e “ragionevole” in relazione alle natura della cosa ed alle modalità che in concreto e normalmente ne caratterizzano la fruizione (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 24/2/2011 n. 4476).

In mancanza di tale prova a carico del custode, la condotta colposa del danneggiato, una volta accertata la sussistenza del nesso causale tra la cosa ed il danno, sarà valutabile ai sensi dell'art. 1227 c.c., applicabile anche alla responsabilità extracontrattuale in virtù del richiamo di cui all'art. 2056 c.c., con possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (comma 1), ovvero con possibile negazione del risarcimento per i danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (comma 2), fatta salva, in quest'ultimo caso, la necessità di un'espressa eccezione da parte del custode trattandosi di un'eccezione in senso stretto non rilevabile d'ufficio.

Infatti, se, da un lato, il custode si presume responsabile ex art. 2051 c.c. dei danni riconducibili alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura ed alla conformazione stessa della cosa custodita e delle sue pertinenze, dall'altro, su tale responsabilità ben può influire la condotta della vittima, la quale, tuttavia, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove possa qualificarsi come “imprevedibile” - da intendersi da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata) -, perché estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, salvo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso nella causazione dell'evento, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c. essendo la disattenzione sempre prevedibile come evenienza (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 29/7/2016, n. 15761).

Elide, allora, il nesso di causalità tra la cosa in custodia e l'evento dannoso soltanto una condotta colposa della vittima che rivesta, anche, il carattere di una oggettiva imprevedibilità tale da poterla ritenere “eccezionale”, cioè manifestamente estranea ad una sequenza causale “ordinaria” o "normale" che corrisponde allo sviluppo potenzialmente possibile in un dato contesto secondo l'id quod plerumque accidit, ed autonomamente idonea a produrre l'evento escludendo fattori causali concorrenti (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 14/10/2011, n. 21286).

Sarà, dunque, compito del giudice di merito indagare non solo se la condotta concretamente tenuta dalla vittima da cose in custodia sia stata, nel caso concreto, negligente perché difforme da quella che avrebbe tenuto una persona di normale avvedutezza secondo lo schema di cui all'art. 1176 c.c., ma, altresì, se detta condotta fosse prevedibile o meno ossia se il custode, valutando con giudizio ex ante, potesse “ragionevolmente” attendersi una condotta negligente da parte dell'utente delle cose affidate alla sua custodia.

Ciò, in quanto, la eterogeneità tra i concetti di “negligenza della vittima” e di “imprevedibilità della sua condotta da parte del custode” ha per conseguenza che, comunque, anche laddove sia accertata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima del danno da cose in custodia, ciò non basta, di per sé, ad escludere la responsabilità del custode essendo, altresì, necessaria la prova del “caso fortuito” (evento che “praevideri non potest”) ossia che quella condotta colposa non fosse prevedibile perché eccezionale, anormale, inverosimile, irrazionale, improbabile, inconsueta ed inattesa da una persona sensata o avveduta.

Corrisponde, del resto, anche a buon senso ritenere che il mero fatto colposo del danneggiato, benché possa concorrere nella produzione dell'evento dannoso, non essendovi ragione di escludere, con riferimento all'art. 2051 c.c., l'applicabilità dell'art. 1227, comma 1, c.c., non costituisca un'esimente per il custode sia perché un comportamento disattento dell'utente non è astrattamente ascrivibile al novero dell'imprevedibile e sia perché, diversamente, si giungerebbe al paradosso che, quanto più il custode di una strada la mantenga in una situazione di incuria e di dissesto, tanto più lo stesso vada esente da responsabilità, riversando solo sull'utente tutte le conseguenze dannose del dissesto stradale; il che non è certo conforme alla ratio dell'art. 2051 c.c.

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