Notifica a mezzo PEC: quante copie dell'atto deve ricevere il difensore domiciliatario dell'imputato?

12 Febbraio 2021

Nel caso di notifica a mezzo PEC, quante copie dell'atto deve ricevere il difensore domiciliatario dell'imputato ai fini del perfezionamento della notificazione?

Nel caso di notifica a mezzo PEC, quante copie dell'atto deve ricevere il difensore domiciliatario dell'imputato?

L'art. 16 comma 4 del d. l. n. 179/2012, prevedendo la possibilità del ricorso alla PEC nel procedimento penale per l'atto indirizzato a «persona diversa dall'imputato», intende sottrarre a questa modalità soltanto la notifica effettuata direttamente alla persona fisica dell'imputato. Esulano dal divieto, pertanto, le notifiche eseguite al difensore, ancorché nell'interesse dell'imputato, come quella compiuta, mediante invio al difensore, tramite posta elettronica certificata, dell'atto diretto all'imputato, ai sensi dell'art. 157 comma 8-bis c.p.p. (Cass. pen., n. 40907/2016) ovvero quella eseguita ex art. 161 comma 4 c.p.p. (Cass. pen., n. 16622/2016). Il divieto di notifica tramite PEC all'imputato contemplato dalla norma citata, dunque, deve interpretarsi in modo restrittivo e considerarsi limitato al solo caso in cui la notifica sia effettuata alla persona fisica dell'imputato.

Nel caso in cui il difensore sia anche domiciliatario dell'imputato, ai fini del perfezionamento della notificazione, basta l'invio di una sola copia dell'atto e non di tante copie dello stesso, quanti sono i destinatari. Il destinatario, infatti, può duplicare l'atto ricevuto quante volte vuole e, comunque, secondo le effettive necessità di comunicazione.

Nel caso in cui la comunicazione o notificazione sia eseguita per mezzo della posta elettronica certificata, infatti, non può non tenersi conto delle caratteristiche proprie del mezzo di trasmissione utilizzato, che risultano del tutto peculiari rispetto alla tradizionale notificazione tramite ufficiale giudiziario e finanche a quella eseguita tramite fax. Infatti, a differenza di altri mezzi di notificazione, la posta elettronica certificata mette nella definitiva disponibilità del destinatario la copia informatica dell'atto notificato, potendo il destinatario prendere in ogni tempo visione dell'atto mediante la consultazione del proprio sistema informatico di posta elettronica, stamparlo quante volta voglia, inviarlo a terzi un numero indefinito di volte, senza alcun aggravio di attività o costi. In sostanza, la necessità di procedere alla consegna al soggetto che riceve la notificazione di tante copie quanti sono i destinatari dell'atto appare logicamente incompatibile quando si proceda alla notificazione o alla comunicazione tramite PEC, poiché è lo stesso sistema tecnologico che consente al destinatario di riprodurre il numero necessario di copie dell'atto ricevuto (Cass. pen., n. 8887/2019).

Appare necessario, tuttavia, che la cancelleria che compie l'adempimento precisi che la notificazione al difensore è eseguita in proprio e anche nella qualità di domiciliatario dell'imputato (Cass. pen., n. 48275/2017; Cass. pen, sez. 1, 29 gennaio 2018, n. 12309; Cass. pen, sez. III, 21 giugno 2018, n. 43626).

Sul punto, peraltro, un orientamento giurisprudenziale sembra adombrare che tale specifica precisazione occorra nel solo caso in cui il difensore non sia a conoscenza dell'elezione di domicilio, essendo stato osservato che, fuori da questa ipotesi, quest'ultimo, «allorquando riceve l'atto in formato elettronico tramite PEC, risulta già a conoscenza della ridetta qualità (cioè della veste di domiciliatario) in ragione del rapporto che intrattiene con il patrocinato, sia esso di fiducia o d'ufficio, sicché deve ritenersi legittimamente eseguita la notificazione anche senza l'invio di più copie quanti sono i destinatari» (Cass. pen., n.12309/2018).

In conclusione, in tema di notificazione al difensore mediante posta elettronica certificata, l'invio dell'atto da notificare in un'unica copia al difensore, sia in tale qualità, sia in quanto domiciliatario dell'imputato non dà luogo a nullità (Cass. pen., sez. II, 17 gennaio 2019, n.8887; Cass. pen., sez. I, 29 gennaio 2018, n. 12309).

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