Per il diritto UE ferie e permessi maturano anche se al dipendente è stato impedito di lavorare
10 Marzo 2021
Il lasso temporale compreso tra la data del licenziamento – poi dichiarato illegittimo con pronuncia giudiziale – e la data della reintegrazione della lavoratrice nel proprio posto di lavoro deve essere assimilato ad un periodo di effettivo lavoro ai fini della determinazione del diritto alle ferie, alle cd. festività soppresse ed ai permessi annuali.
Questa la decisione depositata ieri dalla Corte di Cassazione Sezione Lavoro, che si è pronunciata sulla vicenda in esame dopo aver sollevato questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.
Gli antefatti. La controversia prende le mosse da una serie di precedenti cause intentate da una lavoratrice nei confronti del datore di lavoro: per quanto di rilievo, infatti, occorre tener conto che la stessa era stata licenziata due volte (nel 2002 e nel 2003) e che detti recessi erano stati ritenuti illegittimi – con conseguente ordine di reintegrazione – con pronunce passate in giudicato. Un terzo recesso (del 2010), invece, non consta essere stato impugnato.
Nelle more di tali giudizi, la dipendente ha ottenuto due diversi decreti ingiuntivi, con i quali il datore di lavoro è stato condannato al pagamento di importi a titolo di indennità sostitutiva di ferie e permessi per festività soppresse maturati e non goduti riferiti agli anni 2003 e 2004.
Le fasi di merito. A seguito di distinte opposizioni, il Tribunale di Roma ha emesso due sentenze con cui ha revocato le ingiunzioni, condannando, nel solo caso riferito all'anno 2003, il datore a corrispondere le indennità solo limitatamente alla data antecedente al secondo licenziamento, poi dichiarato illegittimo.
Anche la Corte di Appello, dopo aver riunito i gravami della lavoratrice, ha rigettato le sue doglianze, affermando che l'indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi, che in ipotesi di licenziamento illegittimo sarebbero maturate tra l'atto di recesso e la reintegrazione, non spettavano, essendo gli istituti essenzialmente e necessariamente legati al mancato riposo, non ravvisabile nel caso di specie, non avendo la dipendente prestato alcuna attività lavorativa.
Il ricorso in Cassazione. La lavoratrice si è, quindi, rivolta alla Corte di legittimità, affidando, inizialmente, le sue doglianze a ben cinque motivi di ricorso.
La Cassazione ha preliminarmente sospeso il giudizio, sollevando questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, affinché quest'ultima si pronunciasse circa la compatibilità dell'art. 7 della Direttiva 2003/88 e dell'art. 31 punto 2 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea con il diritto interno.
La Corte di Lussemburgo ha statuito per l'incompatibilità del diritto interno con il diritto UE, affermando come il diritto a ferie e permessi annuali retribuiti sia principio del diritto sociale dell'Unione e non possa essere interpretato in maniera restrittiva.
La limitazione del thema decidendum. Riassumendo il giudizio dinnanzi alla Corte di Cassazione, la lavoratrice ha perimetrato l'oggetto di causa alla richiesta delle somme - non riconosciute dalla Corte di Appello – maturate nel periodo intercorrente tra il secondo licenziamento (dichiarato illegittimo) e la reintegrazione.
Le affermazioni della Corte di legittimità. La Cassazione, in ragione di tale precisazione, ha dichiarato l'inammissibilità di quattro dei cinque motivi di ricorso, ritenendo, invece, fondata la doglianza sull'aspetto ancora controverso, adeguandosi alle statuizioni della Corte di Giustizia.
La Corte di Lussemburgo, infatti, ha affermato che la Direttiva 2003/88/CE va interpretata nel senso che osta ad una giurisprudenza nazionale secondo cui un lavoratore illegittimamente licenziato - e successivamente reintegrato con pronuncia giudiziale – non avrebbe diritto a ferie annuali retribuite/indennità sostitutiva per il periodo compreso tra la data del licenziamento e quella della reintegrazione, per il sol fatto che lo stesso, nel corso di detto periodo, non abbia effettivamente reso alcuna prestazione in favore del datore di lavoro.
Il Giudice sovranazionale, nello specifico, ha rammentato che:
- il diritto alle ferie annuali retribuite è principio del diritto sociale dell'Unione e risulta altresì cristallizzato nella Carta, che, giusta il disposto del TUE, ha assunto medesimo valore giuridico dei Trattati; - il diritto alle ferie annuali retribuite non può essere interpretato in senso restrittivo; - il diritto ad un'indennità sostitutiva non è sottoposto dalla Direttiva 88/2003 ad alcuna condizione diversa dalla cessazione del rapporto lavorativo ed al mancato godimento di tutte le ferie cui si aveva diritto alla data di cessazione del rapporto medesimo.
La ratio sottesa all'istituto delle ferie, infatti, è non solo quella di consentire al lavoratore di recuperare le proprie energie psico – fisiche rispetto all'esecuzione dei compiti dedotti in contratto, ma anche quella de beneficiare di un periodo di ricreazione e distensione: se l'esercizio del diritto alla ferie è stato impedito dal datore di lavoro in forza di un recesso - poi dichiarato illegittimo, quindi, al lavoratore spetterà un'indennità sostitutiva, che lo Stato Membro non potrà precludere, non essendogli consentito dalla Direttiva già menzionata.
Il caso concreto. La Corte di Cassazione, pertanto, in accoglimento del ricorso, ha cassato la pronuncia di appello, rinviando la decisione alla Corte di secondo grado in diversa composizione, dal momento che spetterebbe alla lavoratrice l'indennità sostitutiva di ferie e permessi non goduti, con riferimento al lasso temporale intercorrente tra il licenziamento e la successiva reintegra, disposta in ottemperanza a pronuncia giudiziale. |