Infondata la questione di legittimità costituzionale della disciplina dell'incidente probatorio per l'audizione del minore che non sia vittima di reato
21 Giugno 2021
Massima
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 392, comma 1-bis, c.p.p., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., nella parte in cui prevede che, nei delitti ivi indicati, l'assunzione della testimonianza in sede di incidente probatorio, richiesta dal pubblico ministero o dalla persona offesa dal reato, debba riguardare il soggetto minorenne che non sia anche persona offesa dal reato.
Fonte: ilpenalista.it Il caso
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata, essendo stato investito della richiesta da parte del pubblico ministero di procedere con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di un minorenne persona offesa dal reato di cui all'art. 609-quater c.p. e di altro minore già escusso a sommarie informazioni testimoniali in quanto a conoscenza di circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 392, comma 1-bis, c.p.p.. Il dubbio riguarda la rispondenza a Costituzione della suddetta previsione in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost. nella parte in cui la stessa prevede che, nei procedimenti per i delitti ivi indicati, l'assunzione della testimonianza in sede di incidente probatorio debba riguardare il soggetto minorenne che non sia anche persona offesa dal reato. La questione
La questione su cui si è pronunciata la Consulta è relativa alla legittimità costituzionale della previsione di cui all'art. 392, comma 1-bis, c.p.p., che disciplina il cd. "incidente probatorio speciale" o “atipico”, detto anche “in deroga”, “incondizionato” o “liberalizzato”, in quanto svincolato dalle condizioni di attivabilità ordinariamente previste dalla norma. Infatti, nei casi tassativamente indicati, si realizza un'inversione dello schema stabilito ex lege per l'assunzione della prova testimoniale: l'incidente probatorio diventa la regola, e non più l'eccezione, nel caso in cui si debba procedere all'acquisizione del contributo dichiarativo del minore, sia esso vittima o mero testimone di quel determinato catalogo di delitti contro l'assistenza familiare ovvero contro la libertà individuale. Ebbene, a parere del rimettente non sarebbe da considerarsi legittima l'equiparazione operata dalla norma tra la figura della vittima di reato minore d'età e il mero testimone minorenne. Infatti, una tale estensione sottrarrebbe il teste alla ordinaria sede dibattimentale, senza che ciò possa trovare alcuna giustificazione né nella "mera veste" di testimone del minorenne, né nella gravità dei reati per i quali si procede, né, infine, nella necessità che questi venga tutelato a priori e indistintamente nel caso in cui non sia la persona offesa dal reato. L'irragionevolezza di una tale previsione risiederebbe, in particolare, nel fatto che l'anticipazione in sede predibattimentale della citata audizione testimoniale avverrebbe "a prescindere da ogni valutazione in concreto in ordine alla specificità del singolo caso, alla concreta prevedibilità o meno di possibili conseguenze traumatiche della loro audizione, alla esigenza o meno di anticipata audizione degli stessi". È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata manifestamente infondata. Infatti, l'ordinanza di rimessione muoverebbe da un erroneo presupposto interpretativo, consistente nell'asserito obbligo, per il giudice, di ammettere l'assunzione anticipata della testimonianza richiesta ai sensi della disposizione censurata. Al contrario, dalla ricostruzione del tessuto normativo in cui quest'ultima si inserisce si ricaverebbe che al giudice debba essere attribuito il potere di valutare discrezionalmente se ammettere la testimonianza del minorenne mero testimone e di stabilire le idonee modalità di assunzione, alla luce del bilanciamento che questi è chiamato ad operare tra le esigenze di tutela del minore ed il rispetto delle garanzie dell'indagato. Le soluzioni giuridiche
La Corte costituzionale, con la pronuncia in commento, pur rilevando come il dubbio sollevato dal rimettente muova da un presupposto non privo di plausibilità, dichiara non fondata la questione di legittimità sollevata. Da una parte, la questione prospettata si rileva ammissibile in quanto l'interpretazione della disposizione censurata secondo cui il giudice sarebbe sempre tenuto ad ammettere la testimonianza del minore in sede incidentale allorquando venga richiesta dal pubblico ministero, anche su sollecitazione della persona offesa, trova un effettivo riscontro nella giurisprudenza di legittimità. In questa sede, infatti, si sono da ultimo succedute alcune pronunce che hanno qualificato come abnorme il provvedimento con il quale il giudice aveva rigettato la richiesta di ammissione all'incidente probatorio presentata ai sensi dell'art. 392, comma 1-bis, c.p.p. (così, Cass. pen., sez. III, 26 luglio 2019, n. 34091 o anche Cass. pen., sez. III, 22 novembre 2019, n. 47572) e altre relative all'impugnabilità o meno del rigetto della richiesta di incidente probatorio (Cass. pen., sez. VI, 2 settembre 2020, n. 25996). Da un'altra parte, la questione viene comunque considerata non fondata poiché l'equiparazione che, almeno in linea di principio, l'art. 392, comma 1-bis, c.p.p. introduce tra il contributo testimoniale del minorenne persona offesa dal reato e quello del minorenne mero testimone non risulta affatto priva di giustificazione "poiché la presunzione di un'analoga condizione di vulnerabilità che avvince le due categorie di soggetti, per il fatto di essere chiamati a testimoniare su fatti legati all'intimità e connessi a violenze subite o alle quali si è assistito, è da ritenersi conforme a dati di esperienza generalizzati, riassumibili nella formula dell'id quod plerumque accidit". Inoltre, si tratta di una presunzione che non può ritenersi manifestamente irragionevole poiché risponde ad una scelta che non trascende la sfera di discrezionalità riservata al legislatore nella conformazione degli istituti processuali anche in materia penale. Nemmeno deporrebbero nel senso della violazione dei summenzionati canoni costituzionali il fatto che tale procedura incidentale rappresenti un'eccezione rispetto al principio di immediatezza tipico del giudizio penale, poiché l'assunzione anticipata della prova sarebbe compensata dal rispetto di particolari modalità di audizione del minore che tutelano, al contempo, tanto la libertà e dignità del testimone, quanto il sacrosanto diritto di difesa della persona sottoposta alle indagini attraverso il rispetto del principio del contraddittorio. In questa direzione, particolare importanza assume la statuizione contenuta nell'art. 398, comma 5-bis,c.p.p., la quale, nel prevedere la documentazione integrale con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva delle dichiarazioni testimoniali, rappresenta un'ulteriore forma di presidio dei diritti dell'indagato, scongiurando l'eventualità che i contenuti della testimonianza vengano documentati, in vista del loro utilizzo in dibattimento, nelle ordinarie forme solamente scritte. Infine, osservano i giudici della Consulta come la ragionevolezza dell'istituto eccezionale di cui si discute discenda anche dal fatto che al giudice spetta un ampio margine di flessibilità nel definire le modalità di escussione del testimone minorenne, in quanto dalla lettura del combinato disposto delle previsioni di cui agli artt. 398, comma 5-bis, e 498, commi 4 e 4-bis, c.p.p. emerge come costui possa graduare il livello di partecipazione delle parti, arrivando a garantire un contraddittorio pieno, con facoltà per il pubblico ministero e per il difensore di porre domande dirette al minorenne laddove il giudice ritenga che "l'esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste", ed evitando così l'adozione delle forme protette, allorquando, per esempio, il giudice ritenga che "né la condizione personale del minorenne mero testimone chiamato a deporre (magari perché prossimo alla maggiore età ...), né la delicatezza o scabrosità del suo contributo testimoniale giustifichino forme di audizione protetta, tali da comprimere legittime esigenze di contraddittorio con la difesa della persona sottoposta alle indagini". Tanto giustifica la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 392, comma 1-bis, c.p.p. in riferimento ad entrambi i parametri evocati dall'ordinanza di rimessione. Osservazioni
Il tema oggetto di trattazione da parte dei Giudici della Consulta appare di estrema delicatezza e rilevanza poiché si pone a cavallo tra due esigenze processuali entrambe meritevoli di protezione: da una parte, la tutela della giovane fonte, chiamata a rievocare nel contesto del procedimento penale fatti dolorosi di cui si presume sia stata vittima o testimone, e dall'altra le esigenze processuali di accertamento della verità, con il correlato diritto della persona sottoposta alle indagini ad avere un adeguato confronto con il proprio accusatore, secondo le logiche e i canoni del giusto processo. Ebbene, se la sede ordinariamente deputata all'assunzione delle dichiarazioni testimoniali è certamente quella dibattimentale, così non accade allorquando si debba procedere all'escussione di un soggetto minore d'età. Nel chiaro intento di consentire e favorire l'acquisizione del contributo conoscitivo del minore fin dalle prime battute del procedimento penale, già il legislatore del 1996 aveva previsto una peculiare ipotesi di incidente probatorio per l'assunzione della testimonianza del minore – allora infrasedicenne – anche in assenza dei requisiti di ammissibilità di cui all'art. 392, commi 1 e 2, c.p.p. allorquando si procedesse per particolari ipotesi delittuose. Così facendo, il legislatore interno aveva voluto conferire maggiore flessibilità ad un istituto che, data la collocazione temporale in una fase ancora embrionale del procedimento penale, si mostrava particolarmente efficace nel caso in cui la prova da assumere rischiasse di andare incontro ad una fisiologica deperibilità dovuta al trascorrere del tempo. D'altro canto, le acquisizioni scientifiche in materia hanno dimostrato come l'audizione del minore sia tanto più valida quanto più prossima ai fatti di sospetto abuso e quanto più concentrata in un unico momento. Peraltro, la scelta originariamente operata ha confermato, nel tempo, la sua validità, tanto che successivi interventi normativi hanno ulteriormente liberalizzato l'accesso all'istituto, operando su più fronti: da una parte, da un punto di vista oggettivo, ampliando il catalogo dei delitti in presenza dei quali è consentito l'accesso all'istituto; da un'altra parte, da un punto di vista soggettivo, estendendo la possibilità di assumere la testimonianza del soggetto genericamente “minorenne” e non più solo minore degli anni sedici, poi della “persona offesa maggiorenne” e, infine, come da ultimo operato con il d.lgs. n. 212/2015, della vittima che “versi in condizione di particolare vulnerabilità”, tra cui devono senz'altro considerarsi ricompresi i soggetti minori di età lesi da altre gravi fattispecie delittuose diverse rispetto a quelle contenute nel catalogo di cui alla norma in commento.
Ebbene, già da una mera disamina del tenore letterale della previsione della cui legittimità dubita il rimettente, si osserva come laddove venga utilizzato il termine “persona minorenne”, il legislatore abbia inteso porre un discrimine unicamente tra il soggetto che abbia un'età maggiore o inferiore degli anni diciotto. Ne consegue che l'elemento rilevante, capace di segnare lo spartiacque fra una testimonianza ammissibile o meno in sede incidentale, in presenza di una delle ipotesi delittuose tassativamente considerate, è dato proprio dall'età del dichiarante e non dal ruolo da questi rivestito rispetto ai fatti oggetto della narrazione. Si è osservato, infatti, come l'espressione utilizzata non sia volta ad individuare la sola figura del minore persona offesa dal reato, ma anche dell'eventuale testimone tout court di uno dei gravi delitti indicati dalla norma, le cui dichiarazioni devono essere assunte, in entrambi i casi, attraverso il mezzo probatorio della testimonianza. Con riferimento a tale interpretazione lata, si deve rilevare come, già in passato – allorquando la novella di cui alla l. n. 66/1996 aveva inteso riferirsi alla “persona minore degli anni sedici”, senza precisare se i soggetti coinvolti fossero le sole persone offese dal reato o anche i testimoni – fossero state avanzate alcune critiche dai primi commentatori della nuova disciplina, i quali avevano osservato come l'eccessiva ampiezza del dato normativo avrebbe consentito l'audizione del minore in sede incidentale su qualsiasi circostanza anche non direttamente collegata ai fatti oggetto di indagine e, in sostanza, si sarebbe andati ben oltre la ratio perseguita dal legislatore, risultando, invece, la deroga giustificabile solo con il riferimento all'assunzione della testimonianza della persona offesa dal reato.
Un tale assunto, tuttavia, non pare condivisibile per un duplice ordine di ragioni, di carattere logico e letterale. Da una parte, non vi è dubbio che l'esigenza di protezione della personalità ancora in fieri del minorenne, tale da giustificare l'assunzione anticipata della prova, sussista sia nel caso in cui il minore sia il titolare del bene giuridico offeso dalla norma incriminatrice violata, sia nella diversa evenienza in cui costui sia mero testimone dei fatti di particolare gravità indicati dalla stessa. In entrambi i casi, si pone, infatti, la primaria necessità di evitare che il trascorrere del tempo possa neutralizzare o minare la genuinità del contributo conoscitivo che gli stessi sono in grado di apportare per aver subito direttamente o per avere assistito ai fatti contestati nonché di tutelarne la fragile psicologia, di garantirne la riservatezza e, allo stesso tempo, di scongiurare il pericolo di condizionamento, spesso derivante proprio dall'ambiente familiare di provenienza. Né una diversa limitazione potrebbe essere inserita con riferimento al thema probandum oggetto della deposizione richiesta; infatti, ciò che rileva nel caso di audizione di un soggetto minorenne non è tanto il contenuto scabroso o nocivo del fatto narrato, tale da compromettere la dignità o la riservatezza del giovane teste, quanto la deperibilità del contributo medesimo, che prescinde dall'oggetto della narrazione, derivando, invece, come detto, dalla tenera età del dichiarante. Da altra parte, non può che osservarsi come l'estensione della possibilità di sentire il minore in incidente probatorio sia nel caso in cui costui sia persona offesa dal reato che in quello in cui sia mero testimone si desuma da un ulteriore dato di carattere letterale. Al proposito, è sufficiente riflettere sulla circostanza che il legislatore, laddove abbia inteso riferirsi alla sola persona offesa, lo abbia fatto esplicitamente: così, l'odierna dizione “testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne” non può essere interpretata diversamente se non nel senso di voler includere solo nella prima categoria gli eventuali testimoni, minori d'età, che non cumulino in sé anche la qualità di persone offese dal reato. Peraltro, come osservato dalla Corte costituzionale, strettamente correlate a quella censurata sono poi le disposizioni mediante le quali il legislatore ha disciplinato le modalità speciali di acquisizione della testimonianza del minore in sede incidentale. Nell'ottica di garantire l'espletamento di un incidente probatorio che risponda alle esigenze di tutela della fonte e di genuinità delle dichiarazioni rese dal testimone minore d'età, si stabilisce che sia il giudice ad assumere discrezionalmente la decisione non solo sull'an della procedura incidentale, ma anche sul quomodo. La norma di riferimento circa le forme e le modalità di espletamento dell'incidente probatorio in casi consimili è rappresentata dall'art. 398, comma 5-bis, c.p.p.,che prevede l'istituto dell'“audizione protetta”. A ben vedere, l'uso di modalità “protette” di assunzione della prova, sia che le stesse si riferiscano al luogo, al tempo, all'assistenza da parte di familiari o tecnici esperti, sia che si riferiscano, invece, a modalità concrete di procedere all'esame, come è stato rilevato dalla stessa Corte costituzionale (Corte Cost.n. 63/2005; v. anche Corte Cost.n. 529/2002), ‹‹non solo non contrasta con altre esigenze proprie del processo, ma, al contrario, concorre altresì ad assicurare la genuinità della prova medesima, suscettibile di essere pregiudicata ove si dovesse procedere ad assumere la testimonianza con le modalità ordinarie››. Nella medesima direzione operano, poi, anche le previsioni di cui agli artt. 498, commi 4 e ss. c.p.p., che, nel disciplinare varie modalità di audizione del testimone minorenne, applicabili in sede incidentale per il tramite del viatico di cui all'art. 401, comma 5, c.p.p., rispondono ad un'analoga esigenza di graduazione delle forme di protezione del giovane testimone. Così come, meritevole di menzione appare anche la disciplina di cui all'art. 190-bis, comma 1-bis, c.p.p. tutta tesa alla massima tutela della personalità del dichiarante, poiché costituisce uno sbarramento alla possibilità di nuove audizioni in sede dibattimentale in mancanza di determinati presupposti. Con essa, si perfeziona, nei fatti, quel ribaltamento delle regole generali in tema di formazione della prova, nel perseguimento dell'obiettivo di tutelare la serenità psicofisica del minore, limitando al massimo le occasioni di audizioni per lo stesso e cercando di scongiurare il pericolo di vittimizzazione che può derivare al giovane teste dall'impatto con l'ambiente giudiziario, permettendo, altresì, al contempo, al minore di liberarsi più rapidamente dalle conseguenze psicologiche dell'esperienza vissuta. Ebbene, proprio nel complesso apparato di previsioni normative poste a salvaguardia della duplice categoria di esigenze da tutelarsi in sede processuale riposa la ritenuta legittimità della norma oggetto di vaglio da parte del Giudice costituzionale. La deroga alla regola generale secondo cui la prova si assume in dibattimento nel contraddittorio tra le parti e che espande l'operatività dello strumento incidentale nel caso in cui si debba raccogliere la testimonianza di un soggetto minorenne è dovuta alla necessità di dare soddisfazione ad una serie di esigenze, tutte meritevoli di tutela. Da una parte, si è osservato che tale scelta, intervenendo in una fase ancora embrionale del procedimento, abbia risposto alla necessità di consentire l'acquisizione del contributo probatorio che il minore poteva offrire nell'immediatezza dei fatti, in modo da scongiurare il pericolo che lo stesso rimuovesse dalla memoria il ricordo degli episodi traumatici subiti. In tal senso, si è ritenuto lo strumento dell'incidente probatorio l'unico veramente capace di garantire un maggiore controllo sulla credibilità del teste ed attendibilità del narrato nel momento in cui la memoria non aveva ancora subito quelle deformazioni che tendono a verificarsi nelle delicate situazioni di questo tipo. Ancora, si è fatto notare come la scelta adottata sia, altresì, preordinata ad evitare che il giovane dichiarante, data la sua potenziale labilità psichica, possa subire dei condizionamenti da parte degli autori materiali del reato – che spesso sono gli stessi familiari – finalizzati ad impedirne la deposizione o a minarne la genuinità, inquinando, così, i risultati. Quindi, in un'ottica più squisitamente extra-processuale, ma volta alla tutela della dignità e riservatezza del minore – si è osservato, invece, come con tale previsione si sia voluto ridurre lo stress da esposizione al processo, evitando al soggetto coinvolto direttamente o indirettamente in procedimenti penali per reati di natura sessuale e similari il trauma della rievocazione dibattimentale di episodi carichi di implicazioni di natura psicologica negative. Da ultimo, deve del pari essere valorizzata l'esigenza di consentire, una volta cristallizzata la prova, l'estromissione del minore dal procedimento, affinché costui possa, grazie all'aiuto di uno psicoterapeuta o di un neuropsichiatra infantile, affrontare il percorso psicologico di ricostruzione dei legami affettivi e di rielaborazione dell'esperienza vissuta. Ebbene, in questa direzione, la tutela della libertà e della dignità del minorenne e, più in generale, della sua fragile personalità considerata ancora in fieri, conducono ad una presunzione di indifferibilità o di non ripetibilità del relativo contributo testimoniale. Dall'altro lato, è agevole notare come la disciplina incidentale consenta anche una maggiore tutela per l'acquisizione genuina della prova nell'interesse della persona sottoposta alle indagini preliminari, poiché costui avrà garantita la possibilità di accedere quanto prima all'escussione diretta della vittima di abuso sessuale che rappresenta senz'altro la principale fonte d'accusa. Questo aspetto, peraltro, lo si desume anche dalla norma di cui all'art. 393 comma 2-bis c.p.p. – introdotto sempre dalla l. n. 66/1996 – che, imponendo al pubblico ministero il deposito di tutti gli atti di indagine compiuti e consentendone la conoscenza alla persona sottoposta alle indagini e ai difensori delle parti ha inteso garantire nella maniera più ampia possibile il contraddittorio tra l'accusa e la difesa. In tal senso, come osservato dalla Consulta, l'anticipazione dell'assunzione della testimonianza del minore alla fase meramente incidentale è certamente volta anche a "garantire la genuinità della formazione della prova, atteso che l'assunzione di essa in un momento quanto più prossimo alla commissione del fatto costituisce anche una garanzia per l'imputato, poiché lo tutela dal rischio di deperimento dell'apporto cognitivo che contrassegna, in particolare, il mantenimento del ricordo del minore". Dunque, tutte le citate norme che governano le modalità protette di assunzione della prova dichiarativa del minore in sede incidentale e le differenti graduazioni dell'intervento giudiziale con la connessa possibilità di recuperare al processo forme di contraddittorio sempre più pieno con l'indagato giustificano il giudizio di infondatezza della questione di legittimità costituzionale così come sollevata. Il giudice gode, infatti, di un ampio margine di discrezionalità e flessibilità nel definire le modalità di escussione del minorenne, che vanno dalla possibilità di impiegare un contraddittorio pieno, con facoltà per le parti di porre domande dirette al testimone "quando l'esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste" alle forme contrassegnate da un grado via via crescente di protezione per il soggetto vulnerabile. Così, se è ben vero che la persona offesa viene presuntivamente equiparata al mero testimone minore d'età, ciò tuttavia non determina affatto una lesione dei diritti della difesa. Infatti, anche in un'eventuale audizione del mero testimone minorenne da espletarsi in incidente probatorio, il giudice potrà evitare il ricorso alle forme protette di cui all'art. 398, comma 5-bis, c.p.p. – le quali peraltro devono essere disposte solo quando "le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno" – o anche solo il ricorso alle forme dell'esame attutito di cui all'art. 498, comma 4, c.p.p., ripristinando il contraddittorio pieno con l'indagato. Riferimenti
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F. Tribisonna, L'ascolto del minore testimone o vittima di reato nel procedimento penale. Il difficile bilanciamento tra esigenze di acquisizione della prova e garanzie di tutela della giovane età, Padova, 2017. |