Nomina del coordinatore genitoriale in caso di conflittualità coniugale
02 Luglio 2021
Il quadro di riferimento
La condivisione dell'affido della prole nell'ambito della crisi familiare, quando si accompagna ad una forte conflittualità tra i genitori, ha palesato l'insufficienza degli strumenti propri del processo civile in tale delicato settore della giurisdizione. La giurisprudenza della Corte di cassazione è consolidata nell'affermare che la conflittualità non è di per sé ostativa all'applicazione dell'affidamento condiviso (Cass. civ., sez. I, 3 dicembre 2012, n. 21591; Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2014, n. 7477). Tuttavia, al tempo stesso, la Suprema Corte ha ritenuto che l'affido condiviso è fondato sul «pieno consenso di gestione», id est sulla condivisione delle scelte (Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1777). Tale impostazione entra quindi in crisi nel momento in cui, una volta concluso il processo in sede di cognizione si passa all'attuazione dell'affido condiviso, l'incapacità dei genitori di trovare quel pieno consenso di gestione (che l'affidamento condiviso richiede) genera innumerevoli ricorsi ex art. 709-ter c.p.c. ovvero richieste di modifica delle condizioni di affidamento. La questione è stata trattata anche dalla giurisprudenza sovranazionale: nelle plurime condanne che la Corte EDU ha comminato all'Italia per violazione dell'art. 8 CEDU, si rimarca il dovere dello Stato di predisporre un adeguato sistema di misure idonee a garantire il diritto di visita del genitore non convivente - solitamente il padre - con la prole minorenne. La Corte di Strasburgo, in particolare, censura il mancato ricorso all'applicazione di sanzioni, nonché il mancato il ricorso alla mediazione o comunque a strumenti idonei a facilitare la collaborazione tra le parti (Corte EDU, 2 novembre 2010, Piazzi c. Italia; Corte EDU, 29 gennaio 2013, Lombardo c. Italia; Corte EDU, 17 dicembre 2013, Santilli c. Italia; Corte EDU, 15 settembre 2016, Giorgioni c. Italia). La Corte europea dei diritti dell'uomo (cfr. anche CEDU, 4 maggio 2017, n. 66396, I. c. Italia) ha quindi affermato che uno degli elementi fondamentali del diritto alla vita familiare è rappresentato dalla reciproca presenza, dalla continuità e dalla stabilità di relazione tra i genitori e i figli ed ha sollecitato l'Italia nel senso della necessità di predisporre ogni misura atta a garantire l'effettività di tale rapporto, sicché la relativa conservazione rispetto ad entrambi i genitori si presume rispondente all'interesse del minore. In tali ambiti di riflessione e di critica trova fondamento la coordinazione genitoriale, istituto che di recente ha trovato ingresso anche in Italia attraverso le pronunce di vari giudici di merito ma alla cui diffusione ostano alcuni elementi di criticità. Origini della coordinazione genitoriale
La coordinazione genitoriale è un istituto giuridico di conio giurisprudenziale, importato dall'esperienza degli ordinamenti statunitensi (Parenting Coordination) in cui si è affermato sin dagli anni '80, pur con le difficoltà derivanti, nelle prime fasi, dalla mancanza di regole definite a livello pratico ed a livello etico. Dal 2005, ha potuto fondarsi sulle linee guida di Association of Family and Conciliation Courts (AFCC), frutto del lavoro svolto a livello interdisciplinare e internazionale, alle quali si sono ispirati quei Tribunali che, in maniera innovativa, hanno inteso adottare tale strumento. In particolare, la Association of familiy and Conciliation Courts ha approvato una serie di linee guida sulla coordinazione genitoriale che, pur non avendo né potendo avere alcuna vincolatività per l'interprete in quanto prive di valenza normativa, costituiscono un importante supporto anche nel nostro sistema per gli Uffici Giudiziari che hanno inteso introdurre tale istituto, adattandolo alla realtà giuridica e sociale italiana. Tale figura nasce, pertanto, dall'esperienza socio-culturale americana che condivide con quella degli altri paesi occidentali le criticità proprie dei sistemi in cui viene privilegiato il regime dell'affido condiviso. Funzione del coordinatore genitoriale
La coordinazione ha il compito di prevenire, in ipotesi di conflittualità coniugale esasperata, un ricorso inutile e logorante ad ulteriori iniziative giudiziarie in punto di responsabilità genitoriale. Tale finalità si apprezza maggiormente nelle ipotesi in cui il coordinatore genitoriale venga nominato dopo la definizione del processo, quando è già stato adottato un piano genitoriale, ma non è esclusa neppure quanto tale strumento sia introdotto in pendenza della lite, essendo noto che la conflittualità genitoriale è idonea ad ingenerare frequenti richieste di revisione ed impugnazioni dei provvedimenti provvisori emessi nel corso dei procedimenti di famiglia. L'istituto in esame persegue quindi obiettivi deflattivi, disincentivando il ricorso al processo, con vantaggi decisamente superiori e più stabili nell'ampia sfera degli interessi familiari che non possono trovare reale spazio di ascolto all'interno dei modelli processuali tradizionali. A differenza della mediazione che, accompagnando le coppie per periodi di tempo limitati, non è in grado di intervenire quando le difficoltà relazionali sono persistenti, il coordinatore è volto a sostenere per un lasso di tempo significativo le coppie altamente conflittuali. Il coordinatore genitoriale ha la funzione di «esperto facilitatore» e deve essere scelto tra professionisti dotati di adeguate competenze nella gestione dei conflitti familiari e nella comprensione delle dinamiche evolutive nonché in ambito giuridico. I compiti del coordinatore genitoriale mutuano da un incarico di natura privata che lo distingue da ulteriori soggetti dei quali il nostro ordinamento dispone per monitorare il rispetto dei provvedimenti relativi all'affidamento e agli aspetti personali dei rapporti tra i genitori e la prole, quali i Servizi Sociali, dislocati su tutto il territorio e spesso incaricati con funzioni di ausilio e monitoraggio dell'ottemperanza dei provvedimenti giudiziali. La sua nomina può radicarsi nel perimetro dell'art. 337-ter,, comma 2, c.c., il quale espressamente prevede sia che il «giudice prende atto, se non contrari all'interesse dei figli degli accordi tra i genitori», sia che il medesimo «adotti ogni altro provvedimento relativo alla prole». In questo ambito deve quindi ammettersi sia che i genitori possano, responsabilmente, consapevolmente e volontariamente decidere di affidarsi ad un coordinatore genitoriale per il superamento degli aspetti critici del proprio conflitto, sia che il giudice - in autonomia o prendendo atto della scelta dei genitori - nomini un coordinatore genitoriale perché - su incarico dei genitori - li coadiuvi per il superamento degli aspetti critici della loro relazione che di fatto impediscono una corretta gestione della responsabilità condivisa e causano serio pregiudizio per i figli. In tal caso i genitori non delegano a terzi la responsabilità genitoriale (delega che i genitori non potrebbero mai determinare) ma delegano a un professionista terzo, formato alla gestione del conflitto, l'individuazione delle modalità necessarie per l'attuazione di un piano genitoriale concordato o determinato giudizialmente, accompagnando i genitori verso una gestione in autonomia della responsabilità genitoriale. Compete al giudice, peraltro, eventualmente individuare e dettare nel proprio provvedimento il perimetro degli interventi e degli obiettivi del piano genitoriale che i genitori concorderanno - sottoscrivendo un apposito contratto - con il coordinatore genitoriale (cfr. Trib. Catania, 16 dicembre 2019). Non vi sarà, in altri termini, una nomina diretta del giudice al coordinatore (scelta del giudice del coordinatore genitoriale), ma una nomina su specifico accordo delle parti. In effetti «Deve al riguardo precisarsi che con riferimento agli interventi di sostegno alla genitorialità (parent training, mediazione familiare o il ricorso al c.d. coordinatore genitoriale), trattandosi di interventi sui genitori, il Collegio può esclusivamente invitare le parti all'avvio di tali percorsi, non potendo nondimeno imporre tali ausilii, richiedendo gli stessi una partecipazione su base volontaria per la proficua riuscita dell'intervento, che, in tutta evidenza, non può essere frutto di una eterodeterminazione giudiziale, ma di cui l'autorità giudiziaria non potrà che rilevarne gli esiti» (Trib. Roma, sent., 7 maggio 2020, n. 6964). Pertanto il carattere privato dell'incarico refluisce sulla nomina del coordinatore in quanto il Tribunale non potrà certamente imporre d'autorità l'affiancamento alla coppia genitoriale di soggetti nei quali pure riveste fiducia e ritiene competenti, in quanto ciò sarebbe fortemente limitativo nella sfera della libertà degli interessati, rispetto alle cui modalità di gestione del rapporto genitoriale il ruolo del coordinatore si rivelerà estremamente pregante. Nel caso di genitori in crisi, favorevoli a conseguire l'ausilio del coordinatore, esso potrà essere individuato all'esito di un apposita istruttoria deformalizzata tendente ad accertare la presenza, in un ambito di professionisti formati appositamente, di un soggetto apprezzato dalle parti, rispetto al quale possa formarsi un accordo che sarà posto alla base di uno specifico mandato formulato dal giudice. Posto che lo svolgimento dell'incarico presuppone un significativo dispendio di tempo e di risorse professionali, il coordinatore dovrà essere retribuito dalle parti; infatti il suo compenso «[…] non può rientrare nell'ambito del patrocinio a spese dello Stato, ai sensi art. 131 del d.P.R. 115/2002. Tuttavia, detti costi ben possono essere qualificati come spese straordinarie che possono essere ripartite tra i coniugi in proporzione ai rispettivi redditi e condizioni economiche» (Trib. Mantova, sez. I, sent., 5 maggio 2017). Quanto alla sua durata, deve ritenersi necessaria la fissazione di un termine così da evitare che le parti siano vincolate senza limiti a ricorrere all'ausilio di un terzo: nel caso fosse necessario proseguire nel supporto alla coppia genitoriale, l'originario termine potrà essere prorogato. Sotto il profilo della competenza, è certo che lo svolgimento dei compiti di coordinazione presupponga un'adeguata formazione che dovrà in particolare incentrarsi nel campo psicologico, relazionale, con competenze in ambito giuridico, nella comprensione delle dinamiche dell'età evolutiva e del conflitto parentale. I compiti del coordinatore
Il coordinatore genitoriale deve, come si è detto, affiancare i genitori nella gestione della relazione con il minore e nell'assunzione delle scelte fondamentali che lo riguardano. Tale incarico comprende una serie ampia di compiti gestori concreti, organizzativi e decisionali sebbene nella nostra realtà giudiziaria non sempre veri e propri compiti decisionali siano stati attribuiti al professionista incaricato da parte dei Tribunali che hanno fatto ricorso a tale istituto, essendo difficile immaginare che possa essere demandata ad un soggetto diverso dal giudice l'assunzione di determinazioni che concernono la crisi della famiglia: piuttosto, si è ritenuto che compiti decisionali potessero giustificarsi nell'ambito di specifici e limitati ambiti di intervento, individuati dall'autorità giudiziaria al momento della nomina. Pertanto si ritiene opportuno che, quando dotato di poteri decisionali, il perimetro di intervento del professionista sia delineato, per quanto possibile, attraverso l'attribuzione di compiti specifici, come previsto dai giudici di merito. Di seguito una breve disamina di alcune pronunce di merito. In un caso di separazione ad elevato tasso di conflittualità (nel quale le risultanze processuali avevano posto in evidenza il concreto rischio di gravi pregiudizi per la crescita della figlia minore della coppia) il giudice di merito (Trib. Milano, sez. IX, sent., 29 luglio 2016) ha stabilito nel provvedimento conclusivo del giudizio l'inserimento nella famiglia disgregata della figura del coordinatore genitoriale. A tale soggetto, terzo rispetto alla coppia, sono stati affidati dal Tribunale una pluralità di compiti predefiniti, di supporto dei genitori nella gestione dell'affidamento condiviso; di aiuto agli stessi nel reperimento delle più opportune soluzioni relativamente alle future scelte della minore e in parte anche di sorveglianza e di mantenimento di un coordinamento con l'autorità giudiziaria. La finalità quindi di tale nomina è quella, nel complesso, di facilitare la risoluzione di future ed eventuali dispute tra i genitori, riducendo nel contempo il ricorso ad azioni giudiziarie. Con riguardo ad una causa di separazione generata dalla scoperta di una relazione extraconiugale il Trib. Mantova, sez. I, sent., 5 maggio 2017, in conformità con quanto suggerito dal CTU, ha disposto che l'andamento dei rapporti familiari dovesse essere monitorato da una figura esterna, c.d. coordinatore genitoriale o educatore professionale. Al coordinatore genitoriale il giudice lombardo ha attribuito il compito: 1) di monitorare l'andamento dei rapporti genitori/figli, fornendo le opportune indicazioni eventualmente correttive dei comportamenti disfunzionali dei genitori, intervenendo a sostegno di essi in funzione di mediazione; 2) di coadiuvare i genitori nelle scelte formative dei figli, vigilando in particolare sulla osservanza del calendario delle visite previsto per il padre ed assumendo al riguardo le opportune decisioni (nell'interesse dei figli) in caso di disaccordo; 3) di redigere relazione informativa sull'attività svolta, da trasmettere al Giudice Tutelare. Di recente il Trib. Roma, sent., 4 maggio 2018 ha, all'interno del più ampio progetto della Coordinazione Genitoriale, ammesso come ausiliario del CTU il pedagogista di prossimità con funzioni di coordinatore genitoriale. Infine secondo la recentissima pronuncia del Trib. Pavia, 16 aprile 2020 «compito del coordinatore genitoriale è quello di favorire la comunicazione tra le parti nell'interesse dei figli. Qualora vi siano situazioni di contrasto insuperabile, il coordinatore deve dare proprie indicazioni nell'interesse dei minori, che le parti sono tenute a recepire. In difetto di adesione di una parte alle indicazioni del coordinatore, l'altra parte può chiedere, ex art. 709-ter c.p.c. , al giudice di adottare i provvedimenti conseguenti». Conseguenze del fallimento del ricorso al coordinatore
La mancata collaborazione con il coordinatore genitoriale o il mancato assenso alla scelte attuate dallo stesso non possono ritenersi condotte prive di effetti sul piano processuale. È certo, infatti, che l'avvenuto assenso alla nomina del coordinatore non possa considerarsi impeditivo di un rinnovato ricorso al Tribunale poiché, diversamente opinando, si vanificherebbe il diritto di accesso alla giustizia, costituzionalmente garantito dall'art. 24 della Costituzione. Si è dell'idea che eventuali iniziative dei genitori volte a disattendere le indicazioni contenute nel piano genitoriale, la cui attuazione il coordinatore ha il compito di curare in sintonia con la coppia, possano essere sanzionate attraverso il ricorso alle misure di cui all'art. 709-ter c.p.c.. che trovano applicazione in caso di «gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento». Nei casi di proposizione di una nuova domanda giudiziale fondata sul dissenso o sulla mancata condivisione delle indicazioni provenienti dal coordinatore, alla eventuale soccombenza potrà conseguire anche l'affermazione della responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c. (Danovi) i cui presupposti sono rappresentati dalla infondatezza della domanda giudiziale e dall'utilizzo di strumenti processuali in maniera contrastante rispetto al canone della normale prudenza (Cass. civ., ord., n. 26151/2017). In conclusione
Alla luce di quanto esposto si è visto che la figura del coordinatore genitoriale non può essere imposta dal Tribunale alle parti. Pertanto la tipologia del conflitto a cui si rivolge sembrerebbe richiedere necessariamente una base volontaria su cui strutturare l'intervento di coordinazione genitoriale, ossia fondata su una spontanea adesione al procedimento. Nell'applicazione pratica, quindi, il coordinamento genitoriale risente del vuoto normativo che a tutt'oggi espone l'applicazione del metodo a forti criticità. Riferimenti
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