Protezione internazionale: le questioni interpretative derivanti dal Regolamento c.d. Dublino III alla Corte di Giustizia UE
16 Luglio 2021
Inquadramento
La Corte di cassazione e le sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE dei Tribunali di Roma, Firenze e Trieste hanno emesso quattro ordinanze di rinvio pregiudiziale (rispettivamente: ord. interlocutoria n. 08668.21 del 29 marzo 2021; ord. del 12 aprile 2021; ord. del 29 aprile 2021; ord. del 2 aprile 2021) alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, in relazione al Regolamento UE 2013/604 c.d. Dublino III (d'ora in avanti «Regolamento»), il cui scopo è quello di determinare lo Stato UE competente all'esame di una domanda di protezione internazionale. Il caso
Alcuni cittadini iracheni e afgani hanno richiesto protezione internazionale in Italia, a seguito del rigetto di analoga domanda in vari Stati UE (Slovenia, Germania, Svezia e Finlandia). L'Unità Dublino del Ministro dell'Interno, ai sensi dell'art. 3 d. lgs. 25/2008, ha disposto i decreti di trasferimento di questi soggetti in ciascuno degli Stati di presentazione della domanda originaria (i quali ne hanno accettato la ripresa in carico). Conseguentemente, i cittadini stranieri hanno presentato ricorso ai tribunali ordinari domandando l'annullamento, previa sospensione, dei trasferimenti ed hanno chiesto l'esame in Italia delle domande di protezione internazionale deducendo che, in caso di esecuzione del trasferimento presso lo Stato UE che ha respinto la prima domanda, un successivo rimpatrio nel paese di origine (c.d. rimpatrio a catena) costituirebbe una violazione del divieto di sottoposizione a tortura o pene o trattamenti inumani e degradanti (art. 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea – d'ora in avanti la « Carta»); o delle garanzie del diritto di asilo (art. 18); o del principio di non respingimento (art. 19); o del diritto ad un rimedio effettivo dinanzi a un giudice imparziale (art. 47). Il contrasto interpretativo nella giurisprudenza interna
Il motivo del rinvio pregiudiziale origina dal contrasto giurisprudenziale nazionale, da un lato, sugli artt. 4 e 5 del Regolamento sui diritti di informazione delle persone destinatarie di una procedura c.d. Dublino, dall'altro lato, sull'art. 17.1 del Regolamento, in base al quale ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale, anche se tale esame non gli compete, in base ai criteri stabiliti nel regolamento stesso. In relazione agli artt. 4 e 5 del Regolamento, un primo orientamento sanziona con la nullità, senza possibilità di alcuna sanatoria, il provvedimento di trasferimento adottato all'esito di un procedimento in cui non siano state rispettate le garanzie informative e partecipative di cui agli articoli in esame. Invece, una seconda tesi, formatasi in seno ad alcuni Tribunali di primo grado e sostenuta dal Tribunale di Trieste, ritiene che gli obblighi di informazione in questione siano strumentali al perseguimento degli obiettivi del Regolamento e non - invece - assoluti. Ne consegue che essi non rilevano in sé e per sé, ma solo in quanto abbiano in concreto determinato, ricadendo l'onere della prova sul ricorrente, una compressione delle garanzie previste a favore dello straniero o comunque un impedimento o una riduzione effettiva della sua possibilità di partecipare al procedimento di determinazione dello Stato competente a decidere la domanda. In relazione all'art. 17.1 del Regolamento, il Tribunale di Firenze ha richiamato i due orientamenti della giurisprudenza nazionale in contrasto (pag. 10 ss. ord. del 2 aprile 2021). Per una prima tesi, in sede di ricorso avverso una decisione di trasferimento emessa ai sensi dell'art. 18, par. 1, lett. d) del Regolamento, il giudice, anche attraverso l'esercizio della clausola discrezionale di cui all'art. 17 del Regolamento, deve sempre garantire il rispetto dei diritti assoluti sanciti nell'art. 3 della CEDU e nell'art. 4 della Carta anche con riferimento alle condotte espulsive dello «Stato intermedio». Qualora accerti il pericolo di violazione del principio di non refoulement nello Stato membro competente, l'organo giudiziario deve annullare il trasferimento e dichiarare la competenza dello Stato italiano in base all'art. 17.1 del Regolamento. Ciò anche ai sensi del divieto assoluto, ex art. 4 della Carta, di consentire agli Stati membri di ignorare i rischi concreti di trattamenti inumani o degradanti solo perché non derivanti da carenze nel sistema di asilo dello Stato membro competente. La giurisprudenza di merito (Trib. Milano, 14 ottobre 2020 emesso nell'ambito del procedimento n. 27034/2020, come indicato nel provvedimento del Trib. Firenze) perviene alle medesime conclusioni richiamando non l'art. 17.1 ma l'interpretazione evolutiva dell'art. 3.2 del Regolamento - resa dalla stessa Corte di Giustizia – che svincola il giudizio sul rischio di violazione dell'art. 4 della Carta dall'accertamento di carenze sistemiche nel Paese di destinazione. Il secondo orientamento sostiene invece che la clausola contenuta nell'art. 17 del Regolamento sarebbe espressione di un potere discrezionale mero appannaggio della Unità Dublino - l'Autorità amministrativa preposta alla determinazione dello Stato competente in base al Regolamento - sindacabile solo limitatamente alla procedura di determinazione dello Stato competente. Tale orientamento individua i rimedi esclusivamente nelle azioni proponibili davanti alla Corte EDU, avverso i provvedimenti dello Stato (indicato come competente) che siano contrari alle norme del Sistema Europeo comune di asilo o della Carta. Le domande dei quattro organi giudiziari
Le questioni oggetto di rimessione riguardano per la Corte di cassazione (par. 18 ss. ord. n. 8668.21 del 29 marzo 2021) ed il Tribunale di Trieste (par. 7 ss. ord. del 2 aprile 2021) la corretta interpretazione degli artt. 4 e 5 del Regolamento sui diritti di informazione delle persone destinatarie di una procedura Dublino, mentre per i Tribunali di Roma (par. 13 ss. ord. del 12 aprile 2021) e di Firenze (par. 4 e 5 ord. del 2 aprile 2021) l'art. 17.1 del Regolamento, in base al quale ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel regolamento stesso. La Cassazione ha rimesso alla CGUE la questione se l'art. 4 del Regolamento debba essere interpretato nel senso che con il ricorso in esame possa farsi valere la sola mancata consegna dell'opuscolo informativo disciplinata dall'art. 4.2 del Regolamento, da parte dello Stato che ha adottato il provvedimento di trasferimento. Inoltre, si è chiesta se l'art. 27 del Regolamento, letto in combinazione con il considerando 18 e il considerando 19 e con l'art. 4 del medesimo Regolamento, debba essere interpretato nel senso che il rimedio effettivo, in caso di accertata violazione degli obblighi previsti dall'art. 4, imponga al Giudice l'adozione di una pronuncia di annullamento della decisione di trasferimento o se, in caso di risposta negativa, gli imponga di verificare la rilevanza di tale violazione alla luce delle circostanze allegate dal ricorrente e consenta di confermare il decreto di trasferimento tutte le volte che non emergano ragioni per l'adozione di una decisione di trasferimento di contenuto diverso. Il Tribunale di Trieste ha chiesto alla Corte di Giustizia di chiarire quali siano le conseguenze giuridiche in ordine ai provvedimenti di trasferimento per ripresa in carico qualora lo Stato abbia omesso di fornire le informazioni previste dall'art. 4 del medesimo Regolamento e dall'art. 29 Regolamento (UE) 603/2013. In particolare, nel caso in cui sia stato attivato un rimedio pieno ed effettivo avverso la decisione di trasferimento, chiede se l'art. 27 del Regolamento debba essere interpretato nel senso che l'omessa consegna dell'opuscolo informativo previsto dall'art. 4.2 e 4.3 del Regolamento e di quello previsto all'art. 29 del Regolamento (UE) 603/2013 ad una persona che versi nelle condizioni descritte dall'art. 23.1 del Regolamento determina di per sé l'insanabile nullità del provvedimento di trasferimento (ed eventualmente anche la competenza a conoscere della domanda di protezione internazionale da parte dello Stato membro al quale la persona ha proposto la nuova domanda), oppure se è onere del ricorrente dimostrare in giudizio che, ove gli fosse stato consegnato l'opuscolo, il procedimento avrebbe avuto un esito diverso. Il Tribunale di Firenze ha demandato alla CGUE di pronunciarsi, in via principale, sulla questione se l'art. 17.1. del Regolamento vada interpretato nel senso che al giudice dello Stato membro, investito dell'impugnazione del provvedimento dell'Unità Dublino, sia consentito affermare la competenza dello Stato nazionale che dovrebbe eseguire il trasferimento, qualora accerti la sussistenza, nello Stato membro competente, del rischio di violazione del principio di non refoulement per respingimento del richiedente verso il proprio paese di origine, dove il richiedente sarebbe esposto a pericolo di morte o di trattamenti inumani e degradanti. In via subordinata, ha chiesto se l'art. 3.2 del Regolamento vada interpretato nel senso che sia consentito al giudice di affermare la competenza dello Stato tenuto ad eseguire il trasferimento qualora risulti accertata comunque la sussistenza nello Stato membro competente del rischio di violazione del principio di non refoulement e l'impossibilità di eseguire il trasferimento verso altro Stato designato in base ai criteri del Regolamento. Il Tribunale di Roma è partito dal presupposto che il Regolamento Dublino e le altre disposizioni del Diritto dell'Unione costituenti il Sistema europeo comune di asilo si basano sul principio di reciproca fiducia tra gli Stati membri, al fine di razionalizzare il trattamento delle domande d'asilo con certezza della determinazione dello Stato competente ad esaminare la domanda d'asilo evitando il «forum shopping» e che la tutela contro il refoulement, anche indiretto, fa parte degli obblighi che gli Stati membri hanno assunto con la ratifica della Convenzione di Ginevra. Quindi, il suddetto Tribunale ha domandato alla CGUE se questa tutela operi anche nelle relazioni tra gli Stati membri nel contesto della procedura di trasferimento: se, una volta stabilito che non vi siano carenze sistemiche, ai sensi dell'art. 3.2, situazioni di particolare difficoltà (anche transitoria e non “sistemica”) dello Stato membro di destinazione o condizioni individuali di particolare vulnerabilità del ricorrente, rientri nelle prerogative e nei compiti del giudice – investito di un ricorso ex art. 27 del Regolamento avverso un provvedimento di trasferimento – compiere una valutazione del rischio presente nel Paese di origine del richiedente asilo per garantire l'applicazione degli artt. 4 e 19 della Carta. A tale proposito il Tribunale evidenzia che, se si affermasse l'obbligo dello Stato membro che dispone il trasferimento di valutare il rischio di violazione degli artt. 4 e 19 della Carta in base a un diverso apprezzamento della domanda di protezione internazionale da parte dello Stato membro che per primo l'ha esaminata, si rischierebbe di inserire una ulteriore deroga ai criteri di determinazione della competenza oltre quella già prevista nell'art 3.2 del Regolamento. Pertanto, questo Tribunale si è chiesto se tale deroga possa essere affermata e debba trovare applicazione attraverso la clausola di cui all'art. 17.1, fermo restando il suo carattere discrezionale. Osservazioni
In attesa di un chiarimento da parte della CGUE, si svolgono le seguenti brevi considerazioni. Il richiamo nelle ordinanze alla necessità di interpretare le norme oggetto delle questioni pregiudiziali alla luce dei «considerando» del Regolamento (3: principio di non-refoulement; 4: su esigenza di chiarezza e praticità del meccanismo per determinare lo Stato membro competente per l'esame di una domanda di asilo; 5: esigenza di oggettività, equità, rapidità del meccanismo di determinazione; 17: principio di rilevanza dei motivi umanitari e di ricongiungimento familiare ai fini dell'esame di una domanda di protezione internazionale anche in deroga ai criteri stabiliti dal Regolamento; 18: principio del colloquio personale; 19: diritto ad un ricorso effettivo avverso le decisioni di trasferimento intra-UE; 32: rispetto degli obblighi derivanti dagli strumenti giuridici internazionali e dalla pertinente giurisprudenza della Corte EDU; 39: rispetto dei diritti fondamentali e dei principi riconosciuti dalla Carta, in particolare del diritto d'asilo garantito dall'art. 18 della Carta) e dell'art. 78 TFUE è finalizzato, rispettivamente, ad individuare la ratio e lo scopo del Regolamento e a ribadire la competenza dell'Unione allo sviluppo di una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento. L'attuazione di una politica comune appare di difficile realizzazione ove si consideri la diversa valutazione delle domande di asilo tra gli Stati membri, spesso causata dal differente apprezzamento della sicurezza dei Paesi d'origine. Ad esempio, solo alcuni Stati membri ritengono possibile applicare la c.d. internal flight alternative, ovvero individuare, nel Paese di origine, aree di ricollocamento o dove sia possibile un'alternativa di fuga. Tali divergenze incrinano la presunzione relativa di sicurezza e di equivalenza dei sistemi di asilo non solo perché è possibile l'applicazione di forme di protezione più favorevoli se non interferiscono con quelle disciplinate dal diritto dell'UE, ma anche per la complessa questione del rapporto tra principio del primato e diritti fondamentali sanciti nelle Costituzioni degli stati membri. In Italia esistono norme costituzionali sul diritto d'asilo che sfuggono al principio del primato del diritto dell'Unione. In questo contesto, solo l'interpretazione della clausola discrezionale consente il rispetto della norma costituzionale italiana che garantisce allo straniero che lo Stato non possa negare, in osservanza del divieto di refoulement, il diritto a veder esaminata la domanda di asilo nel suo contenuto - ex art. 10 comma 3 - più ampio rispetto alla sfera di azione della protezione internazionale di fonte UE. Il Tribunale di Firenze ha osservato che la Corte di giustizia, da ultimo con la sentenza del 14 maggio 2019, M, C-391/16, ha adottato una nozione inderogabile del divieto di respingimento secondo le disposizioni della Carta, insuscettibile di eccezioni anche nelle ipotesi in cui il soggetto sia considerato un pericolo per la comunità dello Stato in cui si trova. Come ha illustrato il Tribunale di Firenze, la natura discrezionale del potere attribuito al singolo Stato membro ai sensi dell'art. 17.1 del Regolamento, quale espressione di sovranità, non può costituire un limite al sindacato dell'autorità giurisdizionale interna, investita di un ricorso avverso la decisione di trasferimento, in quanto anch'essa organo di quello Stato, partecipe del sistema interno di garanzie volte ad assicurare la tutela ai diritti fondamentali della persona sanciti nell'art. 4 della Carta e dall'art. 10, comma 3, Cost. Dunque, si potrebbe ritenere che la discrezionalità operi solo sul piano esterno della ripartizione della competenza tra gli Stati membri, e non implichi anche un limite al controllo giurisdizionale nel rispetto del principio di non refoulement. Qualora, invece, dovesse escludersi il potere dell'autorità giurisdizionale, in sede di procedimento di riesame di una decisione di trasferimento ex art. 18.1 lett. d) del Regolamento (UE) 604/2013, di dichiarare la competenza dello Stato nazionale ai sensi dell'art. 17.1 del Regolamento, l'organo giudicante si chiede se possa giungersi alle medesime conseguenze, facendo applicazione esclusiva dell'art. 3.2, a tutela del principio di non refoulement, svincolando il giudizio sul rischio di violazione dell'art. 4 della Carta dall'accertamento di carenze sistemiche nel paese di destinazione, atteso il carattere assoluto del divieto di trattamenti inumani o degradanti, di cui il principio di non refoulement costituisce una componente fondamentale. Riferimenti
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