La riqualificazione dell'addebito nel quadro delle intercettazioni

Giulio Corato
05 Agosto 2021

In tema di intercettazioni, il principio affermato dalla sentenza "Cavallo" in forza del quale l'utilizzabilità delle intercettazioni per un reato diverso, connesso con quello per il quale l'autorizzazione è stata concessa è subordinata alla condizione che il nuovo reato rientri nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge, non si applica ai casi in cui lo stesso fatto-reato per il quale l'autorizzazione è stata concessa sia diversamente qualificato in seguito alle risultanze delle captazioni...
Massima

In tema di intercettazioni, il principio affermato dalla sentenza Sez. Un. "Cavallo" in forza del quale l'utilizzabilità delle intercettazioni per un reato diverso, connesso con quello per il quale l'autorizzazione è stata concessa è subordinata alla condizione che il nuovo reato rientri nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge, non si applica ai casi in cui lo stesso fatto-reato per il quale l'autorizzazione è stata concessa sia diversamente qualificato in seguito alle risultanze delle captazioni.

In motivazione la Corte ha spiegato che in tale evenienza non vi è elusione del divieto di cui all'art. 270 c.p.p., atteso che l'addebito si modifica per motivi sopravvenuti fisiologici, legati alla naturale evoluzione del procedimento, ciò che presuppone che la qualificazione giuridica fosse coerente con le risultanze investigative al momento in cui l'autorizzazione è stata concessa.

Il caso

Quanto deciso dalla Suprema Corte ha riguardo all'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari - da parte della Sezione Riesame del Tribunale di Milano, a fronte di appello del P.M. - nei confronti di persona gravemente indiziata di fatti corruttivi e di abuso d'ufficio.

In sede di prime cure il GIP, in ordine ai capi oggetto di gravame, aveva escluso l'utilizzabilità di talune intercettazioni sul presupposto che le stesse erano state autorizzate per il reato di corruzione e non potevano dunque essere utilizzate in relazione agli ipotizzati reati di abuso di ufficio.

Nessun dubbio sussisteva circa il fatto che le intercettazioni fossero state disposte nell'ambito di un unico procedimento e che i fatti sottoposti al GIP in sede di richiesta di autorizzazione alle operazioni di intercettazione fossero esattamente gli stessi, diversamente qualificati in abuso d'ufficio.

Dinanzi all'applicazione della misura cautelare da parte della Sezione Riesame del Tribunale il Difensore dell'indagato proponeva ricorso deducendo violazione di legge.

Le sezioni unite Cavallo e la fattispecie concreta

La sentenza in commento risulta affrontare in via preliminare il tema relativo al se ed in che limiti il richiamo alla sentenza delle Sezioni Unite possa ritenersi rilevante nel caso di specie.

Deve ricordarsi dunque che l'oggetto della sentenza delle Sezioni Unite n. 51/2019, Cavallo, attiene all'ipotesi in cui, rispetto al fatto-reato oggetto dell'autorizzazione originaria, emergano fatti di reato diversied ulteriori per effetto delle captazioni eseguite.

In tale contesto le Sezioni Unite hanno fissato le condizioni necessarie ad utilizzare i risultati al fine di provare il fatto-reato diverso ed ulteriore rispetto a quello oggetto di autorizzazione stabilendo che “in tema di intercettazioni, il divieto di cui all'art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza – non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 c.p.p., a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata ab origine disposta, sempre che rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266 c.p.p.

In tale quadro la questione esaminata dalla sentenza in commento riguarda il se i principi affermati dalla sentenza Cavallo, nella parte in cui si richiede che anche l'ulteriore e diverso reato - connesso con quello per cui l'autorizzazione è stata disposta - sia a sua volta autorizzabile si applichi anche ai casi in cui non via sia, a ben vedere, un altro reato che si aggiunge a quello per cui si procede ma si tratti dello stesso fatto di reato sin dall'inizio autorizzato, seppur diversamente qualificato in seguito alle risultanze delle captazioni.

La Corte richiama quindi – sul presupposto della persistente validità anche a fronte della Sentenza Cavallo – la costante giurisprudenza circa l'irrilevanza del mutamento dell'addebito a fronte in particolare della valorizzazione della verifica c.d. statica da parte del Giudice, id est quella da collocare al momento genetico dell'intercettazione, ovvero in quelli successivi di autorizzazione di proroghe, della sussistenza del rispetto dei presupposti previsti dalla legge e, in particolare, della esistenza di gravi indizi di reato.

La Corte di Cassazione ha infatti in più occasioni ritenuto utilizzabili i risultati delle operazioni disposte in riferimento ad un titolo di reato per il quale le stesse sono consentite, anche quando vi sia stata una successiva diversa qualificazione giuridica del fatto (Cass. pen., Sez. I, n. 12749/2021; Cass. pen., Sez. I, n. 24163/2010; Cass. pen., Sez. VI, n. 50072/2009).

A fronte di tale costante diritto pretorio la Corte ritiene di dover ulteriormente specificare il principio portandolo dunque a conseguenze ulteriori (vd. punto 5 della sentenza in commento).

La giurisprudenza di legittimità – si specifica – ha in più occasioni affermato, in tema di intercettazioni telefoniche, che la motivazione dei decreti autorizzativi, nel chiarire le ragioni della sussistenza dei presupposti che legittimano il ricorso a detto intrusivo mezzo di ricerca della prova, deve necessariamente spiegare i motivi che impongono l'intercettazione di una determinata utenza telefonica che fa capo ad una specifica persona, indicando la base indiziaria del reato per il quale si procede ed il collegamento con l'indagine in corso e la persona che si intende intercettare, affinché possa esserne verificata, alla luce del complessivo contenuto informativo e argomentativo del provvedimento, l'adeguatezza del mezzo rispetto alla funzione di garanzia prescritta dall'art. 15, comma 2, Cost. (cfr. Cass. pen., Sez. VI, n. 36874/2017; Cass. pen., Sez. VI, n. 12722/2009; Cass. pen., Sez. V, n. 1407/2016).

Si tratta di una verifica che deve essere compiuta nel momento in cui la captazione è richiesta e autorizzata, non rilevando, ai fini dell'utilizzabilità dei risultati delle attività di intercettazione, la circostanza che all'esito delle indagini, l'originaria ipotesi accusatoria non sia stata confermata.

La motivazione del provvedimento autorizzativo assolve ad una ineliminabile funzione di garanzia perché, attraverso essa, deve essere esplicitato il collegamento tra l'indagine e la persona le cui comunicazioni si intendono intercettare e, più in generale, la sussistenza dei presupposti che legittimano l'adozione del mezzo di ricerca della prova.

Ciò che è indispensabile, in ossequio ai canoni di proporzione e ragionevolezza a fronte della forza intrusiva del mezzo usato e, anzitutto, che la qualificazione, pure provvisoria, del fatto risulti ancorata a sufficienti, sicuri ed obiettivi elementi indiziari che ne sorreggano, per un verso, la corretta formulazione da parte del pubblico ministero e, per altro verso, la successiva, rigorosa, verifica dei presupposti da parte del Giudice chiamato ad autorizzare le relative operazioni intercettative; fermo restando il sindacato di legittimità della Corte di Cassazione in ordine all'effettiva sussistenza di tali presupposti (cfr. sul punto Cass. pen., Sez. Un., n. 26889/2016).

In tale orizzonte problematico – a giudizio della Corte – in caso di modifica, a seguito delle captazioni, della qualificazione giuridica del fatto di reato autorizzato in altro reato non autorizzabile, l'inutilizzabilità opera solo se i presupposti per disporre il mezzo di ricerca della prova mancassero già al momento in cui il procedimento autorizzativo si è compiuto e perfezionato attraverso il controllo del giudice.

I risultati della captazione correttamente autorizzata restano invece immuni rispetto al successivo sviluppo fisiologico del procedimento, atteso che in tal caso non rileva la sopravvenuta mancanza del presupposto legittimante per effetto della riqualificazione del fatto autorizzato.

Esiste una forte esigenza di contemperamento tra la necessità di non ritenere inutilizzabili i risultati delle intercettazioni in presenza di un fatto storico rimasto sostanzialmente immutato rispetto a quello autorizzato ma solo non completamente riscontrato per effetto di fisiologici mutamenti emersi proprio a seguito degli esiti della intercettazione, e quella di evitare abusi, che potrebbero configurarsi con il ricorso pretestuosi alla descrizione di un fatto-reato autorizzabile alfine di aggirare i limiti legali stabiliti dagli artt. 266 e 267 c.p.p.

Si tratta di situazioni in cui, come detto, assume centrale rilievo il controllo del giudice al momento dell'autorizzazione del mezzo di ricerca della prova.

La questione - continua la Corte - non riguarda tanto le ipotesi in cui la divergenza tra fatto di reato per cui si chiede autorizzazione ad intercettare ed il fatto emergente dalle risultanze investigative si manifesti già al momento in cui l'intercettazione è richiesta, atteso che in tal caso il giudice è tenuto a non autorizzare l'intercettazione se non vi sia rigorosa conformità tra ciò che si richiede e le risultanze delle indagini: ciò impedisce la elusione delle regole poste dal legislatore e delle garanzie dei diritti.

La situazione è diversa nei casi in cui la elusione non è configurabile perché vi è corrispondenza tra quanto si richiede e ciò che emerge dalle indagini in ordine al fatto reato per cui si procede, ma l'addebito si modifica per motivi sopravvenuti fisiologici, legati cioè alla naturale evoluzione del procedimento che può determinare una modifica del fatto storico e della sua qualificazione.

In tali casi la fattispecie non è patologica, considerando la provvisorietà dell'addebito, la fluidità degli elementi raccolti, la loro possibile modificazione; ciò che rileva è che al momento in cui viene disposta la intercettazione vi siano i presupposti previsti dalla legge.

Una verifica da parte del Giudice che investe l'accertamento della conformità di ciò che si richiede rispetto agli atti al fine di verificare se fin dall'inizio emerga la diversità storica del fatto ovvero sia seriamente prospettabile una differente qualificazione giuridica del fatto, più corretta sotto il profilo della sussunzione nella fattispecie.

La Corte risulta dunque aver annullato l'ordinanza del Tribunale mandando allo stesso ai fini della verifica dell'identità dei fatti oggetto di contestazione rispetto a quelli per i quali il Giudice autorizzò nonché se ed in quali limiti il Giudice verificò la conformità della richiesta di intercettazione con le risultanze delle indagini e dunque la esistenza dei presupposti legittimanti le captazioni per il reato di corruzione.

In conclusione

La sentenza in commento si presta, a sommesso avviso dello scrivente, a plurimi ordini di considerazioni.

La Suprema Corte risulta confermare integralmente, pur nel nuovo quadro pretorio e legislativo, una giurisprudenza tradizionale e consolidata, relativa dunque all'utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni pur a fronte di riqualificazione dell'addebito originario in reato che non consentirebbe le stesse (cfr. Cass. pen.,Sez. I, n. 12749/2021; Cass. pen., Sez. I, n. 24163/2010; Cass. pen., Sez. VI, n. 50072/2009).

Se appare indubbia la condivisibilità sostanziale dell'arresto non appare di converso perspicuo l'apparato argomentativo utilizzato dalla Suprema Corte, a sommesso avviso dello scrivente prigioniero delle contrapposte esigenze di rendere da un lato estremo ossequio al precedente Cavallo e, dall'altro, di sottrarre in definitiva la re giudicanda dalle influenze dello stesso (vd. in particolare § 7.3).

Ciò che appare aver dunque determinato un'argomentazione non del tutto agevolmente fruibile – specie ove si consideri la sua funzione nomofilattica – e suscettibile di recare in concreto incertezze applicative.

La pronuncia appare estremamente concentrata in ordine a problematiche di vera e propria interpretazione del precedente giudiziario a scapito, a sommesso avviso dello scrivente, di più lineari argomenti suscettibili di indicare, con maggior precisione, la massima operativa.

Se nell'odierno sistema giuridico il diritto giurisprudenziale costituisce certamente un quid imprescindibile ai fini della comprensione giuridica, non pare fuori luogo un atteggiamento deontologico capace di riportare, al centro discorso giuridico, i testi legislativi, come già indicato da Ludovico Muratori secoli orsono.

Pare significativo come alcuni ordinamenti a noi molto vicini vietino sostanzialmente l'argomento ab exemplo, il ricorso al precedente, invero ritenuto suscettibile di spostare surrettiziamente il baricentro del discorso dal piano della legge a quello dell'interpretazione della sentenza, con tutte le inevitabili conseguenze che ne derivano in termini di chiarezza e specie ove si tratti di statuizioni miranti ad uniformare il panorama giuridico.

Nel quadro di un'ampia ricostruzione e condivisione dell'arresto a S.U. Cavallo, la sentenza che si annota risulta poi, di fatto e in ultima analisi, stabilire la non pertinenza della stessa.

Con maggior vigore appare tuttavia da evidenziarsi tale non pertinenza.

Se deve certamente riconoscersi alla complessiva argomentazione delle Sezioni Unite l'idoneità a sollevare dubbi anche in ordine alla fattispecie analizzata dalla Corte nell'ambito della pronuncia in commento, non pare dubbio che le problematiche ex art. 270 c.p.p. abbiano riguardo ad un vero e proprio quid novi emergente dalle intercettazioni, ulteriori reati in concreto privi di una valutazione a monte.

Ciò che costituisce l'essenziale tratto differenziale rispetto alla fattispecie analizzata dalla Corte nell'ambito della pronuncia in commento, caratterizzata dall'assoluta identità dei fatti poi oggetto di valutazione giuridica di diverso segno.

Non pare un caso che Cass. pen., Sez. VI, n. 50072/2009, a suo tempo chiamata risolvere la medesima questione sottoposta alla Corte nella sentenza che si annota, abbia ritenuto non perfettamente centrate al tema le problematiche ex art. 270 c.p.p., di cui si è poi si sono indubitabilmente occupate le Sezioni Unite (vd. Cass., cit., § 7).

Se così è e sgombrato dunque il campo dalle inevitabili suggestioni dell'autorevole precedente delle Sezioni Unite, ai fini della risoluzione della questione appare maggiormente condivisibile l'apparato argomentativo di cui a Cass. pen., Sez. VI,n. 50072/2009, che risulta affrontare la problematica sul piano formale dell'inutilizzabilità, statuendo l'insussistenza di parametro legislativo idonea a determinare tale patologia in relazione ad intercettazioni comunque legittimamente disposte, a nulla dunque rilevando le diagnosi giuridiche divergenti in ordine al fatto di reato.

L'art. 271 c.p.p. ricollega invero l'inutilizzabilità delle intercettazioni all'evenienza che queste “siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge” o “non siano state osservate le disposizioni previste dagli artt. 267 e 268 commi 1 e 3”, così facendo sicuro riferimento al momento genetico dell'attività captatoria e dunque all'ipotesi di reato apprezzata nel momento in cui si autorizza tale attività.

L'arresto in esame appare poi certamente condivisibile nella valorizzazione in chiave garantista del ruolo del Giudice per le indagini preliminari in uno dei momenti più delicati delle relative funzioni, id est l'autorizzazione alle operazioni di intercettazione richieste dal P.M.

Non sussiste dubbio circa la correttezza dell'accento posto su tale preciso momento procedurale, evidente luogo di bilanciamento tra le opposte esigenze costituzionali dell'accertamento dei reati e della riservatezza delle comunicazioni.

Nel confermare tuttavia la detta giurisprudenza la sentenza appare poi introdurre dell'ulteriore piano di valutazione circa la fisiologia o la patologia insita nel mutamento della qualificazione giuridica avutasi e con ciò demandando al rinvio la valutazione del “se ed in quali limiti il Giudice verificò la conformità della richiesta di intercettazione con le risultanze delle indagini e dunque la esistenza dei presupposti legittimanti le captazioni per il reato di corruzione.

Trattasi di valutazione a giudizio di chi scrive da ben delineare, risultando suscettibile di introdurre incertezze applicative.

Pare a allo scrivente come il porsi di un Giudice, ormai a conoscenza di tutti gli elementi della vicenda, nell'ottica del Collega a suo tempo chiamato ad autorizzare le intercettazioni e considerando gli elementi noti solo in quel preciso momento, costituisca valutazione più facile a dirsi che a farsi, specie ove si tratti di apprezzare la complessità delle condotte.

In questi termini, deve precisarsi a giudizio di chi scrive, con la più risalente giurisprudenza, che una statuizione di inutilizzabilità appare possibile solo ove l'errore originario del Giudice risulti evidente ed incontrovertibile, sulla base degli argomenti investigativi portati illo tempore a conoscenza dello stesso e tenuto conto della inevitabile fluidità delle ipotesi criminose in un momento normalmente posto alle prime battute dell'attività investigativa. Senza contare come le oscillazioni delle qualificazioni giuridiche costituiscano evenienza di per sé fisiologica nella vita del diritto, inidonea a segnalare univocamente un errore del primo Giudice.

Per quanto si riconosca la rigidità di tale argine al successivo sindacato giudiziale, lo stesso appare anzitutto comunque aderente al significato storico del comma 1 dell'art. 266 c.p.p., evidentemente da riferirsi all'ipotesi di reato apprezzata nel momento in cui si dispone l'attività.

In tale quadro, ogni più approfondita valutazione – per quanto chiaramente ispirata dalla commendevole finalità di verificare il bilanciamento operato dal Giudice – appare allo scrivente suscettibile di essere contaminata dal senno di poi e di determinare dunque incertezze applicative e disparità di trattamento in punto utilizzabilità dei risultati.

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