Il principio di non discriminazione applicato al calcolo del comporto del lavoratore disabile

Isabella Seghezzi
02 Settembre 2021

La previsione di un periodo di comporto uguale per i lavoratori disabili e per quelli normodotati costituisce un'ipotesi di discriminazione indiretta, trattandosi di una disposizione apparentemente neutra, che tuttavia introduce una disparità di trattamento a danno dei soggetti disabili, i quali sono statisticamente più soggetti, rispetto ad altri lavoratori, ad assenze per malattia collegate alle patologie invalidanti.
Massima

La previsione di un periodo di comporto uguale per i lavoratori disabili e per quelli normodotati costituisce un'ipotesi di discriminazione indiretta, trattandosi di una disposizione apparentemente neutra, che tuttavia introduce una disparità di trattamento a danno dei soggetti disabili, i quali sono statisticamente più soggetti, rispetto ad altri lavoratori, ad assenze per malattia collegate alle patologie invalidanti.

Il caso

Il lavoratore ricorre in giudizio impugnando il licenziamento per superamento del periodo di comporto irrogatogli dalla Società sostenendo la tesi in base alla quale la previsione di un periodo di comporto, nell'ambito della contrattazione collettiva nazionale di riferimento, che non distingua i lavoratori disabili, più facilmente soggetti ad assenze per malattia collegate alle patologie invalidanti di cui sono affetti, e quelli normo dotati costituisce un'ipotesi di discriminazione indiretta.

La questione

La questione che il Giudice è chiamato ad affrontare attiene la contestata legittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto perché discriminatorio nei confronti del lavoratore disabile.

Il rapporto di lavoro si è svolto ed esaurito nel periodo di ultra-vigenza, pattuito dalle parti sociali, del CCNL Agenzie Somministrazione di Lavoro del 27 febbraio 2014, in vigore dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2016.

Il licenziamento è stato irrogato in data 12 settembre 2019, poco tempo prima della sottoscrizione e dell'entrata in vigore del nuovo CCNL Agenzie Somministrazione di Lavoro, sottoscritto il 15 ottobre 2019, avente come data di inizio validità il 1° gennaio 2019 e scadenza il 31 dicembre 2019.

Ed infatti, il periodo di comporto era stato calcolato dall'azienda sulla base delle disposizioni di cui al CCNL Agenzie Somministrazione di Lavoro del 27 febbraio 2014 in base al quale “per i soggetti con disabilità, destinatari delle previsioni contenute nell'articolo 3 comma 3 della legge 104/92, i permessi per cura sono esclusi dal computo dei periodo di malattia”; mentre, il lavoratore chiedeva l'applicazione del nuovo testo contrattuale, la cui disciplina, in ordine al calcolo del comporto, esclude espressamente anche “le giornate di assenza per terapie salvavita e trattamenti oncologici e per malattie ingravescenti”.

La soluzione del giudice

Pur statuendo che il CCNL Agenzie Somministrazione di Lavoro del 15 ottobre 2019 non potesse essere applicato retroattivamente a situazioni già esaurite sotto la vigenza del precedente contratto collettivo, il Tribunale di Verona ha dichiarato la nullità del licenziamento perché discriminatorio; ciò, poiché i contenuti normativi di cui al CCNL Agenzie Somministrazione di Lavoro del 27 febbraio 2014 sono stati valutati non sufficientemente adeguati ad escludere il rischio di un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai lavoratori portatori di handicap.

In particolare, alla luce dei principi nazionali e sovranazionali, il Giudice di prime cure ha ritenuto che l'applicazione generalizzata della disciplina di cui al CCNL Agenzie Somministrazione di Lavoro del 27 febbraio 2014, senza la previsione di accorgimenti a tutela delle persone disabili, creasse una discriminazione indiretta, a sfavore dei lavoratori affetti da disabilità.

Osservazioni

La parola handicap è stata mutuata dal linguaggio sportivo; invero, il termine era frequentemente utilizzato nel mondo delle corse ippiche: ai cavalli migliori veniva appesa una zavorra per metterli in condizione di parità con i meno dotati.

Nel Dictionnaire de la langue francàise (1877) si riporta l'episodio di una gara dove gli handicap erano così ben calcolati che i cavalli corsero per ben quattro volte senza riuscire a distanziarsi. Al termine della competizione fu dichiarato vincitore il concorrente più handicappato, e cioè il più appesantito.

In tale accezione storica, l'handicap perseguiva la finalità di pareggiare le probabilità dei concorrenti, equilibrando i pesi in modo che il cavallo peggiore avesse tante probabilità di vincere la corsa quante ne aveva il migliore.

Se è vero che “con un handicap ben congegnato tutti i concorrenti hanno le stesse possibilità di vittoria” (cfr. C. Hanau, Handicap, in Dig. Disc. Pubbl., VIII, Torino, 1993, p.67), per quanto riguarda invece la vita di relazione comunitaria, l'obiettivo paritario di uguali opportunità e condizioni di lavoro, non si realizza attraverso la penalizzazione dei “superdotati”, bensì attraverso adeguate ed efficienti misure di sostegno per le persone svantaggiate.

Sempre riguardo alla nozione di handicap, la giurisprudenza di legittimità (Cassazione n. 23338 del 2018; Cassazione n. 6798 del 2018; Cassazione n. 17867 del 2016) abbraccia l'interpretazione consolidata della Corte di Giustizia Europea che, ai sensi della direttiva comunitaria, definisce la nozione di handicap quale “limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione dell'interessato alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori”.

Al riguardo, è opportuno precisare che, se tale nozione è –di fatto– sovrapponibile a quella contenuta all'art. 3, comma 1, della Legge n. 104 del 5 febbraio 1992, in base alla quale “E' persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”; la stessa non va confusa con quella utilizzata ai (soli) fini dell'accertamento di handicap grave, che si ricava dal successivo comma III. Quest'ultima disposizione richiede, infatti, l'elemento aggiuntivo della presenza necessaria di “un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, determina determinano una serie di tutele e di interventi specifici aggiuntivi”.

Più nello specifico, la Direttiva comunitaria n. 2000/78/CE del 27 novembre 2000 recepita, a livello nazionale, dal D.lgs. n. 216 del 9 luglio 2003, disciplina un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

L'accento, dal punto di vista strettamente giuridico, è posto sulle conseguenze negative che si sostanziano nelle disuguaglianze in ambito lavorativo che minano il principio della pari dignità sociale. Le ipotesi possono essere diverse: nel caso di discriminazione diretta è la condotta, il comportamento tenuto, che determina la disparità di trattamento; mentre, nel caso di discriminazione indiretta, la disparità vietata è l'effetto di un atto, di un patto di una disposizione di una prassi in sé legittima, di un comportamento, corretto in astratto, ma che –in quanto destinato a produrre i suoi effetti nei confronti di un soggetto con particolari caratteristiche– determina invece una situazione di disparità sanzionata dall'ordinamento (cfr. Tribunale di Bologna, sezione lavoro, 31 dicembre 2020).

Nel caso in esame, la disposizione “apparentemente neutra” da cui deriva la discriminazione del ricorrente è legata alla disciplina contrattuale del comporto, e cioè quel periodo di tempo stabilito dalla legge nel quale vi è l'impossibilità della prestazione di lavoro a causa di impedimenti del lavoratore. La finalità connessa è la conservazione del posto di lavoro per un tempo “congruo”, indicato dalla contrattazione collettiva, superato il quale il datore di lavoro può procedere con il recesso.

La disciplina del comporto –diversamente declinata nei CCNL applicati in ciascun settore– segue regole e meccanismi di funzionamento differenti, che, in ogni caso, dovrebbero contenere clausole ad hoc relative ai lavoratori disabili, proprio perché, in considerazione delle loro patologie invalidanti, facilmente matureranno più giorni di malattia rispetto ai colleghi, incorrendo nel maggiore rischio di licenziamento.

Il CCNL Agenzie di Somministrazione di Lavoro del 15 ottobre 2019, a differenza del precedente contratto collettivo del 2014, aggiunge una espressa previsione in forza alla quale sono escluse dal calcolo del periodo di comporto le assenze per malattie ingravescenti.

E' opportuno, infine, precisare che, affinchè sussista l'elemento discriminatorio fondante l'illegittimità della condotta – e, conseguentemente, nel caso specifico, del licenziamento – non è richiesto che il comportamento datoriale sia intenzionalmente discriminatorio, poichè il principio di non discriminazione opera oggettivamente, a prescindere dalla buona fede o dall'intenzionalità del datore di lavoro di porre in essere un comportamento illecito.

Del resto, il sistema normativo–più recentemente rivisitato nel D.gs. 14 settembre 2015, n. 151˗ prevede che il datore di lavoro sia parte attiva nel sistema di inclusione dei soggetti disabili, individuando ed incentivando di buone pratiche che favoriscano l'effettiva equiparazione dei lavoratori con handicap.

Cfr. I. Seghezzi, Computo delle assenze per congedo parentale nel calcolo del premio di risultato e discriminazione in ragione dello status di genitore.