Crisi d'impresa
IlFallimentarista

La prova della crisi non evitabile può escludere il reato di omesso versamento IVA

27 Aprile 2021

La situazione d'illiquidità non imputabile al contribuente può escludere la responsabilità penale in relazione all'omesso versamento del tributo IVA ex art. 10 ter  D.Lgs. 74/2000?

La situazione d'illiquidità non imputabile al contribuente può escludere la responsabilità penale in relazione all'omesso versamento del tributo IVA ex art. 10 ter D.Lgs. 74/2000?

Caso pratico - Il Tribunale di Chieti condannava il legale rappresentante di una società di capitali ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000 per non aver versato nei termini di legge il tributo IVA risultante dalla dichiarazione annuale con riferimento ad un importo superiore ad euro duecentocinquantamila.

La Corte d'Appello di L'Aquila, nel confermare l'illiceità della condotta dell'amministratore, rideterminava la pena, eliminandone il beneficio della sospensione condizionale, così come già riconosciuta nel procedimento di primo grado.

L'imputato proponeva ricorso per cassazione, deducendo come la Corte territoriale avesse erroneamente ritenuto non sussistente il rilevato duplice profilo della forza maggiore e della mancanza di dolo.

Secondo i giudici di seconde cure, la mancata riscossione dei canoni di locazione dovuti dai conduttori degli immobili di proprietà della contribuente non avrebbe assunto alcuna efficacia scriminante, né - tanto meno - avrebbe fatto venir meno l'elemento psicologico del reato.

Il tributo IVA dovuto in base alla dichiarazione sarebbe stato integralmente incamerato dalla società, per quanto fosse risultato, dalla testimonianza del proprio consulente fiscale, che le somme fatturate dalla contribuente non sarebbero state materialmente confluite nelle casse aziendali.

D'altra parte, la Corte non avrebbe attribuito la dovuta rilevanza alla documentazione prodotta dalla parte in atti, dalla quale potevano chiaramente desumersi una serie di ulteriori fattori negativi, imprevedibili ed inevitabili, che andavano a sommarsi ai mancati incassi dei canoni.

Oltretutto, l'imputato aveva cercato di fronteggiare la progressiva contrazione dei ricavi predisponendo, per conto della società, un piano di ristrutturazione con le banche le quali, però, avrebbero poi violato l'accordo destinando le somme disponibili aziendali alla copertura di proprie pregresse situazioni creditorie.

La Corte di Sezione, con la sentenza in commento, ha preliminarmente ricordato come con riferimento al reato ex art. 10-terD.Lgs. n. 74/2000, il dissesto possa assumere rilevanza quale causa di forza maggiore ove l'impresa dimostri che le difficoltà aziendali non erano fronteggiabili tramite il ricorso ad apposite procedure di regolazione della crisi, da valutarsi nel concreto.

Secondo il Collegio, l'imprenditore ha l'onere di provare, da una parte, di aver posto in essere tutte le misure idonee a reperire la liquidità necessaria per adempiere l'obbligazione fiscale; dall'altra, che il mancato successo delle iniziative intraprese trova causa e ragione in circostanze non direttamente imputabili al contribuente.

È dunque onere del soggetto passivo dimostrare come l'omesso versamento del tributo IVA sia dipeso dal mancato incasso delle somme fatturate, stante l'altrui inadempimento, allegando altresì i motivi che abbiano indotto l'impresa ad emettere le fatture prima dell'incasso dei corrispettivi maturati in conformità alle previsioni contrattuali.

Secondo la Suprema Corte, nel caso in esame, il contribuente non si era limitato ad enunciare le difficoltà aziendali, ma aveva anche prodotto elementi che avrebbero potuto (recte, dovuto) indurre i giudici territoriali a valutare le dimensioni e le ragioni della crisi, nonché la idoneità degli interventi posti in essere dal debitore ai fini della gestione delle difficoltà d'impresa.

La Cassazione ha dato atto come la Corte territoriale si sia limitata a rilevare che il tributo IVA dovesse esser versato dal contribuente per il solo fatto che il relativo debito risultava dalla dichiarazione annuale, indipendentemente dalla precarietà degli equilibri finanziari aziendali.

Al contrario - ha ritenuto il Collegio -, nella fattispecie i giudici territoriali avrebbero dovuto attribuire rilevanza alla testimonianza del consulente della società il quale, oltre a confermare le ragioni “endogene” della crisi, aveva anche dato conto dell'esistenza di numerosi crediti inesigibili.

Allo stesso tempo, nell'ambito dei giudizi di merito doveva essere accertata l'effettiva portata della crisi aziendale, assumendo rilevanza ai fini della valutazione della condotta omissiva le iniziative intraprese dal contribuente, peraltro con prestazione di garanzie personali, fra cui il ricorso al concordato (cui seguì il fallimento) ed i tentativi di conciliazione con le banche.

Il tutto - secondo la Suprema Corte - avrebbe dovuto “essere preso in considerazione, quanto meno allo scopo di valutare la sussistenza di una reale impossibilità di superare la crisi, non imputabile all'imputato stesso”.

La Cassazione ha così annullato la sentenza di seconde cure, rinviando il procedimento alla Corte territoriale affinché proceda ad un nuovo giudizio, prendendo in considerazione gli elementi di prova prodotti dal contribuente in relazione all'esistenza, alle cause ed alle conseguenze della crisi aziendale.

Spiegazioni e conclusioni - La riforma della legislazione penal-tributaria, attuata con D.Lgs.74/2000, ha limitato le ipotesi delittuose già previste dalla L. 516/1982 (cd. “manette agli evasori”), circoscrivendo la rilevanza penale alle sole condotte caratterizzate da fraudolenza.

Con riferimento alle ipotesi di mancato versamento dei tributi, il legislatore della riforma ha richiesto - in confronto alla normativa precedente, più penalizzante nella prospettiva del contribuente - un quid pluris rispetto alla mera condotta omissiva.

Il mancato versamento del tributo IVA exart. 10-ter D.Lgs. 74/2000 è punito a titolo di dolo generico: per la commissione del reato, rileva la coscienza di non versare il debito erariale dovuto con riferimento al periodo d'imposta in base alla dichiarazione.

Il reato è dunque integrato con il mero compimento della condotta omissiva (consapevolezza dell'illecito), non essendo richiesta, quale elemento costitutivo della fattispecie delittuosa, la volontarietà e/o la intenzionalità nella violazione del precetto.

Secondo parte della dottrina, il contribuente è tenuto ad accantonare ai fini di cui sopra le somme necessarie a versare nei termini di legge il tributo IVA addebitato al committente (G.L. Soana, Crisi di liquidità del contribuente e omesso versamento di ritenute certificate e di IVA, in www.penalecontemporaneo.it).

Il “disvalore” penale della condotta omissiva risiederebbe, così, nella indebita appropriazione di somme altrui da parte del contribuente.

Secondo altro orientamento, il disvalore della condotta consiste nella omissione “in sé” e, dunque, nel mancato versamento del tributo entro i termini previsti dalla norma penale (I. Caraccioli, Riflessioni sui reati di omissione propria e sulle cause di non punibilità suscitate dalle Sezioni Unite della Cassazione, in Riv. dir. trib., 2013, II, 258 ss.).

Per molto tempo, la Corte di cassazione ha negato la rilevanza della crisi aziendale quale esimente della responsabilità penale: il contribuente è tenuto a gestire le proprie risorse in modo da provvedere ad adempiere l'obbligazione nei termini di legge, al di là di ogni possibile difficoltà economica, ove anche riconducibile a cause esogene.

In questo senso, la Cassazione ha rilevato che le somme “incassate a titolo di IVA sono destinate ad essere versate all'Erario, e non sono nella libera disponibilità del contribuente, che dovrebbe, invece, accantonarle, se non provvede al versamento periodico mensile o trimestrale” (Cass. Pen., Sez. III, 15 marzo 2013, n. 12268).

La Corte è poi andata attenuando la propria posizione in tema di valutazione della condotta omissiva, peraltro in un quadro di progressivo mutamento della giurisprudenza di merito, nell'ottica di un tendenziale maggior “garantismo” nella prospettiva del contribuente.

Il Supremo Collegio, a partire dal 2013, ha così fatto segnalare alcune “aperture” volte ad attribuire peculiare rilevanza alla situazione di carenza di liquidità per motivi non imputabili all'imprenditore.

E ciò ricorrendo sia all'elemento della insussistenza del profilo soggettivo del reato (assenza di consapevolezza), sia alla causa esimente legata alla forza maggiore, dunque considerando come non integrato il presupposto di causalità fra condotta (omissiva) ed evento.

La situazione di illiquidità “indotta” può dunque assumere rilevanza ai fini dell'esclusione della responsabilità penale, sempreché l'imputato dia conto di “indicazioni specifiche e concrete, atte a ravvisare una reale impossibilità incolpevole all'adempimento” (Cass. Pen., Sez. Un., 28 marzo 2013, n. 37424).

La Cassazione, con una serie di successive pronunzie, ha confermato l'esclusione della responsabilità dei reati ex D.Lgs. n. 74/2000, puntualizzando come il giudice territoriale, nell'apprezzamento del caso concreto, possa rilevare circostanze idonee a ritenere non integrato e/o non punibile il mancato adempimento dell'obbligazione tributaria.

Quanto sopra, a condizione che il debitore assolva “gli oneri di allegazione e prova che, per quanto attiene alla crisi di liquidità, devono investire non solo l'aspetto circa la non imputabilità al soggetto tenuto al pagamento dell'imposta della crisi, che avrebbe improvvisamente investito l'azienda, ma anche che detta crisi non possa essere stata adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso da parte dell'imprenditore ad idonee misure da valutarsi in concreto” (così, Cass. Pen., Sez. III, 4 febbraio 2014, n. 5467).

Peraltro, come anche ricordato dalla Suprema Corte con la sentenza qui annotata, la prova circa la mancata commissione del reato deve investire non solo l'aspetto della sussistenza della crisi aziendale, ma anche la circostanza che la stessa non era altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto (in questo senso, Cass. Pen.,Sez. III, 15 maggio 2014, n. 20266).

Il contribuente, in conclusione, deve dimostrare di non avere potuto reperire, per cause indipendenti dalla propria volontà, le risorse finanziarie necessarie ai fini del puntuale adempimento dell'obbligazione tributaria, avendo egli posto in essere ogni possibile azione e/o iniziativa nella particolare prospettiva della risoluzione della crisi d'impresa, adoperandosi anche attraverso l'impiego del proprio patrimonio personale.

Normativa e giurisprudenza

  • Art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000
  • Cass. Pen., Sez. III, 21 marzo 2019, n. 23796
  • Cass. Pen., Sez. III, 13 novembre 2018, n. 12906
  • Cass. Pen.,Sez. III, 5 maggio 2017, n. 29253
  • Cass. Pen.,Sez. III, 15 maggio 2014, n. 20266
  • Cass. Pen., Sez. un., 28 marzo 2013, n. 37424
  • Cass. Pen., Sez. III, 15 marzo 2013, n. 12268

Per approfondire

  • L. Gambi, Mancato versamento di tributi: la crisi di liquidità può escludere la responsabilità penale, in www.ilpenalista.it
  • I. Caraccioli, Riflessioni sui reati di omissione propria e sulle cause di non punibilità suscitate dalle Sezioni Unite della Cassazione, in Riv. dir. trib., 2013, II
  • E. Musco - F. Ardito, Diritto penale tributario, Bologna, 2016
  • G.L: Soana, Crisi di liquidità del contribuente e omesso versamento di ritenute certificate e di IVA, in www.penalecontemporaneo.it

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