Presunzione di innocenza: le nuove regole in ottemperanza alla direttiva (UE) 2016/343

Gian Marco Baccari
30 Novembre 2021

Sia pure in ritardo rispetto al termine indicato nell'atto europeo da recepire (1° aprile 2018), con il d.lgs. 8 novembre 2021 n. 188 (in G.U. 29 novembre 2021, Suppl. ord. n. 40) il Governo italiano in carica ha dato attuazione alla direttiva 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio UE, vocata al rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto dell'imputato di presenziare al processo penale. Tale direttiva, come noto, si inserisce in un ampio quadro di indicazioni sovranazionali riguardanti i rapporti tra istituzioni giudiziarie e media...
Premessa

Sia pure in ritardo rispetto al termine indicato nell'atto europeo da recepire (1° aprile 2018), con il d.lgs. 8 novembre 2021 n. 188 (in G.U. 29 novembre 2021, Suppl. ord. n. 40) il Governo italiano in carica ha dato attuazione alla direttiva 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio UE, vocata al rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto dell'imputato di presenziare al processo penale. Tale direttiva, come noto, si inserisce in un ampio quadro di indicazioni sovranazionali riguardanti i rapporti tra istituzioni giudiziarie e media (cfr. le seguenti Raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa agli Stati membri: Rec(2000)19 e Rec(2012)11 sul ruolo del pubblico ministero – rispettivamente – nel sistema di giustizia penale e al di fuori di esso; Rec(2003)13 sulla diffusione delle informazioni attraverso i media in relazione ai procedimenti penali; Rec(2010)12, “Giudici: indipendenza, efficacia e responsabilità”; Rec(2011)7 relativa ad una nuova nozione di media).

Il dettato del decreto legislativo n. 188 del 2021, in alcuni passaggi di difficile interpretazione, pecca nel complesso per eccessiva “timidezza”. Il provvedimento governativo risente, invero, sia della spiccata cautela che già affligge l'atto di matrice europea (al riguardo, v. D. FANCIULLO, Il principio della presunzione di innocenza ed i suoi corollari alla luce della direttiva (UE) 2016/343: un'occasione mancata? in Studi sull'integrazione europea, 2016, 557 ss.); sia dei contrasti sorti tra le forze politiche, e non solo, in ordine all'individuazione del “migliore” bilanciamento possibile tra le opposte esigenze, attinenti - da un lato - al diritto di cronaca giudiziaria e - dall'altro - ai diversi diritti spettanti all'imputato. Mancano del tutto, inoltre, norme di matrice garantista indirizzate agli organi di informazione: è facile prevedere, quindi, che il così detto “processo penale mediatico” continuerà a produrre i guasti denunciati negli ultimi decenni da più parti.

Ciononostante le nuove regole segnano un importante passo in avanti, sul terreno giuridico e su quello culturale, verso una più piena affermazione del valore positivo insito nella presunzione di innocenza, ancora oggi misconosciuto dall'opinione pubblica anche a causa dell'atteggiamento di stampo “giustizialista” tenuto troppe volte dai media.

Le comunicazioni verso l'esterno: a) il divieto per le “autorità pubbliche” di anticipare giudizi di colpevolezza

L'oggetto del provvedimento è chiarito dall'art. 1 del d.lgs. n. 188/2021 nonché dalla Relazione illustrativa ove si legge che, alla luce delle osservazioni della Commissione europea, «vengono dettate le sole disposizioni necessarie a garantire una più precisa e completa conformità alle previsioni» dei soli articoli 4, 5 e 10 della direttiva (UE) 2016/343. Quest'ultima, peraltro, limita il proprio raggio applicativo alle sole persone fisiche e non anche a quelle giuridiche: si afferma, infatti, in alcuni considerando che, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia, i diritti derivanti dalla presunzione di innocenza non sorgono in capo alle persone giuridiche allo stesso modo rispetto a quanto accade per le persone fisiche (considerando n. 13), motivo per cui appare prematuro legiferare a livello di Unione sulla presunzione di innocenza con riferimento alle persone giuridiche (considerando n. 14).

Quanto all'ambito “temporale” delle garanzie predisposte, il dies ad quem è fissato nella definitività della decisione in ossequio al dettato costituzionale, che impone di non considerare l'imputato colpevole «sino alla condanna definitiva» (art. 27 secondo comma Cost.), anche se nella direttiva il medesimo momento finale è indicato in quello nel quale risulti «legalmente provata la colpevolezza dell'imputato».

Entro tale cornice il decreto delegato interviene con alcune disposizioni che incidono su piani diversi.

Il primo riguarda le “esternazioni” delle Autorità.

Più in dettaglio, l'art. 2 del d.lgs. n. 188/2021 pone in capo alle «autorità pubbliche» - espressione ripresa in modo letterale dall'art. 4 della direttiva - il divieto di indicare come colpevole la persona sottoposta alle indagini o l'imputato, fin quando il processo penale non si sia concluso con una decisione di condanna irrevocabile. Merita ricordare che, in base al considerando n. 18, devono «considerarsi lesive della presunzione di innocenza le dichiarazioni che per le modalità ed il contesto di divulgazione delle informazioni» siano idonee «a dare l'impressione della colpevolezza dell'interessato prima che questa sia legalmente provata».

La schiera dei destinatari del divieto è molto estesa, abbracciando non soltanto le autorità giudiziarie, di polizia e le altre autorità preposte all'applicazione della legge, ma anche qualsiasi «altra autorità pubblica», quali Ministri e altri funzionari pubblici, come esemplifica il considerando n. 17 dell'atto di matrice europea. Sul punto è evidente l'influenza della giurisprudenza di Strasburgo, che ha ritenuto violata la presunzione di innocenza nel caso di dichiarazioni colpevoliste rese da un pubblico ufficiale (CEDU sent. 10 ottobre 2000, Daktaras v. Lituania, ricorso 42095/98; sent. 29 maggio 2002, Shuvalov v. Estonia, ricorso 14942/09), da agenti ed alti ufficiali di polizia (CEDU, sent. 6 novembre 2012, Maksim Petrov v. Russia, ricorso 23185/03; sent. 12 gennaio 2012, Dovzhenko v. Ukraine, ricorso 36650/03), da un Procuratore (CEDU, sent. 22 aprile 2010, Fatullayev v. Azerbaijan, ricorso 40984/07; sent. 8 ottobre 2013, Musolmani v. Albania, ricorso 29864/03), ma anche da Ministri del Governo e dal Primo Ministro (CEDU, sentenza 20 dicembre 2011, G.V.P. v. Romania, ricorso 20899/03; sent. 24 maggio 2011, Konstas c. Grecia, ricorso 53466/07) o dal Presidente dell'Assemblea parlamentare (CEDU, sent. 26 marzo 2002, Butkevicius v. Lithuania, ricorso 48297/99).

Al fine di garantire un “ricorso effettivo” - in ottemperanza all'art. 10 della direttiva - l'art. 2 del d.lgs. n. 188/2021 prevede, in caso di violazione del divieto in questione, due rimedi proponibili su istanza dell'interessato. Il primo consiste nel diritto di richiedere la rettifica alla stessa autorità pubblica autrice dell'esternazione lesiva della presunzione di innocenza; l'autorità, se ritiene fondata l'istanza, deve provvedere immediatamente e comunque entro quarantotto ore dalla ricezione della richiesta (art. 2 commi 2 e 3). Il rimedio, con tutta evidenza, si ispira al diritto di rettifica già disciplinato dal nostro ordinamento con riferimento alle notizie diffuse dai mezzi di informazione (art. 8 della L. n. 47 del 1948, contenente le disposizioni sulla stampa, e art. 32-quinquies del D.Lgs. n. 177 del 2005, relativo al servizio radiotelevisivo).

In caso di accoglimento dell'istanza, la rettifica deve essere pubblicizzata «con le medesime modalità della dichiarazione o, se ciò non è possibile, con modalità idonee a garantire il medesimo rilievo e grado di diffusione della dichiarazione oggetto di rettifica» (art. 2 comma 4 del d.lgs. n. 188/2021).

Qualora tali modalità non vengano rispettate ovvero l'istanza di rettifica non sia accolta, è previsto un secondo rimedio, a carattere eventuale dunque, di natura giurisdizionale. L'interessato, infatti, potrà adire il tribunale, formulando un ricorso ex art. 700 c.p.c. affinché sia ordinata la pubblicazione della rettifica secondo le suddette modalità. Non è specificato, però, a chi debba essere presentato il ricorso in parola; inoltre, non è contemplata alcuna regola particolare quando il giudice territorialmente competente in ordine a questa speciale procedura d'urgenza ex art. 700 c.p.c. appartenga ad un ufficio ricompreso nel medesimo distretto in cui svolge le proprie funzioni l'autorità giudiziaria che avrebbe reso dichiarazioni lesive della presunzione di innocenza (per questi rilievi v. Parere del CSM sullo schema di d.lgs. deliberato il 3 novembre scorso, p. 7, ove si sottolineano le delicate problematiche, anche di natura ordinamentale, che potranno scaturire).

In caso di esternazioni colpevoliste delle “autorità pubbliche” è in ogni caso fatta salva l'applicazione di sanzioni penali e disciplinari nonché l'obbligo di risarcimento del danno (art. 2 comma 2 del d.lgs. n. 188/2021). Ebbene, quando la dichiarazione lesiva della presunzione di innocenza provenga da una autorità giudiziaria, l'interprete avrà il non facile compito di coordinare la disposizione in parola con il quadro disciplinare delineato dal d.lgs. n. 109/2006 e con la normativa sulla responsabilità civile dei magistrati contenuta nella legge n. 117 del 1988, così come modificata con la legge n. 18/2015.

Benché non sia stato riprodotto il contenuto del considerando n. 17, nel quale si fa salvo «il diritto nazionale in materia di immunità», ci sembra che tale immunità continui ad operare in favore di coloro che, nell'esercizio delle rispettive funzioni, godono della insindacabilità delle opinioni espresse (come i parlamentari e come i componenti del C.S.M. exart. 32-bis della l. n. 195 del 1958).

(Segue). b) le comunicazioni ufficiali delle autorità inquirenti ai media sui procedimenti penali in corso

L'art. 3 del provvedimento governativo in esame apporta alcune rilevanti modifiche all'art. 5 del d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 106, dedicato al delicato tema dei rapporti tra le Procure della Repubblica con gli organi di informazione.

Ferma restando la centralità in questo ambito della figura del Procuratore della Repubblica, viene ora meno quel principio di libertà nell'an e nel quomodo delle comunicazioni verso l'esterno che ha caratterizzato la disciplina del 2006. Si è previsto, invero, che la diffusione di notizie riguardanti i procedimenti penali possa aver luogo soltanto in due casi, e cioè quando a) sia «strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini»; b) ricorrano «altre ragioni di interesse pubblico», che devono essere «specifiche» (art. 5 comma 2-bisd.lgs. n. 106 del 2006). La novella ricalca il testo della direttiva europea in base alla quale «le informazioni relative a procedimenti penali determinati possono comunque essere rilasciate dalle autorità pubbliche solo se ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all'indagine penale o per l'interesse pubblico» (art. 4 par. 3, direttiva 2016/343).

In merito alla condizione della stretta necessità per la prosecuzione delle indagini si è portato l'esempio «della divulgazione di notizie diretta a vagliare la reazione di una o più persone soggette ad intercettazione, ovvero a sollecitare la collaborazione ed il rilascio di informazioni da parte di una comunità ove un fatto reato si è verificato» (cfr. Parere C.S.M., cit., p. 11, ove si sottolinea la necessità del coordinamento tra il Procuratore e il sostituto assegnatario del caso, onde evitare “passi falsi” sul buon esito delle indagini).

Quanto all'altra condizione delle rilevanti ragioni di interesse pubblico, si tratta in realtà di valutazioni rimesse al prudente apprezzamento del Procuratore, che terrà conto della rilevanza dei fatti da accertare e della qualifica pubblica dei soggetti coinvolti dalle inchieste. Sotto questo profilo, dunque, non sembra cambiato granché. Eppure non sono mancate voci fortemente contrarie a queste nuove forme di irrigidimento dei contatti ufficiali tra Procure e media: sino al punto di paventare «il rischio delle informazioni sotto banco fornite dalle parti che, di volta in volta, possano avervi interesse» (così G. AMATO, I paletti rischiano di favorire informazioni sotto banco, in NT+Diritto, Il Sole24Ore, 22 novembre 2021).

Maggiori novità si registrano sul fronte del quomodo delle comunicazioni “istituzionali” tra le autorità inquirenti e i media. Invero, si è imposto che le informazioni dovranno avvenire esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure mediante conferenze stampa; queste ultime però solo quando i fatti oggetto del procedimento penale rivestano una «particolare rilevanza pubblica». La press conference dovrà essere disposta dal Procuratore con un atto motivato, indicando le «specifiche ragioni di pubblico interesse» legittimatrici (nuovo art. 5, comma 3-bisd.lgs. n. 106 del 2006). Pertanto, la modalità ordinaria di comunicazione delle notizie da parte degli uffici requirenti diventa da ora in poi il comunicato scritto; il ricorso alla conferenza stampa è concepito come eccezionale, in quanto limitato ai soli casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti. In tal modo si è voluto circoscrivere la sovraesposizione mediatica degli inquirenti ai soli casi in cui ciò sia davvero giustificato, ossia quando sussista una specifica ragione di interesse pubblico.

Sono poi previste anche regole dal sapore “didascalico” che attengono al contenuto concreto delle comunicazioni. Le informazioni riguardanti le inchieste penali, da un lato, dovranno essere diffuse ponendo in luce «la fase in cui il procedimento pende». L'intenzione è lodevole, perché si vuole evidenziare la “fluidità” dell'ipotesi accusatoria, ma lo scopo è difficile da raggiungere all'atto pratico, tenuto conto del grado di sensibilità giuridica dell'opinione pubblica.

Dall'altro lato, nel dare le notizie le autorità inquirenti dovranno attenersi ad una stretta “continenza espressiva”, rispettando il canone della presentazione della persona indagata o imputata come non colpevole fino alla decisione definitiva di condanna (art. 5 comma 2-bis d.lgs. n. 106 del 2006). Sul punto le Linee Guida elaborate dal C.S.M. nel 2018 sono ancora più esplicite, sottolineando la necessità di evitare «ogni rappresentazione delle indagini idonea a determinare nel pubblico la convinzione della colpevolezza delle persone indagate» nonché la diffusione di notizie ed immagini potenzialmente lesive della dignità e riservatezza degli imputati (cfr. Linee-guida per l'organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta informazione istituzionale, sulle quali si veda G. Canzio, Un'efficace strategia comunicativa degli uffici giudiziari vs. il processo mediatico, in Dir. pen. proc., 2018, 1537 ss.).

Nel decreto in commento, inoltre, è fatto divieto nei comunicati e nelle conferenze stampa «di assegnare ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza» (art. 5 comma 3-ter d.lgs. n. 106 del 2006).

Peraltro, negli stessi casi visti sopra, i rapporti con gli organi di informazione potranno essere tenuti - nel rispetto delle medesime regole e con le stesse modalità (comunicati o conferenze stampa) - anche dagli ufficiali di polizia giudiziaria, purché siano autorizzati dal Procuratore con atto motivato (nuovo comma 3-bis dell'articolo 5 d.lgs. 106/2006).

Tutto ciò significa che, nonostante l'indubbio passo in avanti realizzato con il d.lgs. n. 188 del 2021, anche in futuro potremo assistere durante le indagini a conferenze stampa in cui gli inquirenti sbandierano i nomi di arrestati, magari proiettando filmati, esibendo pacchetti di stupefacenti o le armi sequestrate, in totale assenza di contraddittorio (per simili notazioni cfr. C. VALENTINI, La presunzione d'innocenza nella direttiva n. 216/343/UE: per aspera ad astra, in Proc. pen. giust., 2016, 197).

Sull'osservanza di queste nuove regole è chiamato a vigilare il procuratore generale presso la Corte di appello, evidentemente nella prospettiva di attivare i controlli disciplinari in caso di eventuali comportamenti riottosi (art. 6 del d.lgs. 106/2006, come modificato dall'art. 3 comma 2 del d.lgs. 188/2021). Giova qui rammentare le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 109/2006 che, all'art. 2, lettera u), include fra gli illeciti disciplinari commessi nell'esercizio delle funzioni, «la divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere indebitamente i diritti altrui» e, alla lettera v), le «pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino i soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione, ovvero trattati e non definiti [...] quando sono dirette a ledere indebitamente diritti altrui nonché la violazione del divieto di cui all'articolo 5, comma 2, del d.lgs. n. 109/2006».

Nessun rimedio specifico, viceversa, è concesso all'interessato, al quale si sarebbe potuto quanto meno consentire in modo espresso di segnalare allo stesso procuratore generale le violazioni di questa sorta di mini codice di condotta del “buon inquirente” nei rapporti con i media. Ne consegue che, in caso di comunicati stampa delle forze di polizia o delle procure contenenti dichiarazioni lesive della presunzione di innocenza, l'interessato potrà proporre l'istanza di rettifica all'autorità pubblica ai sensi dell'art. 2, comma 2 del Decreto in commento, in modo da ottenere un nuovo comunicato “riparatore”, pubblicizzato con le stesse modalità del primo. Resta più difficile pensare che, nell'ipotesi di una dichiarazione colpevolista rilasciata durante una conferenza stampa, l'autorità inquirente convochi di nuovo una press conference riparatrice; in casi del genere più probabilmente la resipiscenza sarà contenuta in un comunicato scritto, benché con esso non si riuscirebbe certo a garantire «il medesimo rilievo e grado di diffusione della dichiarazione oggetto di verifica» richiesto dal comma 4 dell'art. 2 del d.lgs. 188/2021.

Redazione degli atti dell'autorità giudiziaria e tutela della presunzione di innocenza

L'art. 4 del decreto legislativo interviene anche in vario modo sull'ordito del codice di procedura penale.

La principale innovazione è costituita dall'inserimento nelle disposizioni generali sugli atti del procedimento di un nuovo articolo 115-bis c.p.p., intitolato Garanzia della presunzione di innocenza (art. 4 comma 1 lett. a) del d.lgs. 188/2021). Si tratta di una norma di difficile interpretazione, probabilmente perché riproduce in modo troppo fedele le espressioni utilizzate nella direttiva all'art. 4, par. 1, secondo periodo e nel considerando n. 16.

Più in dettaglio, nella disposizione di nuovo conio si stabilisce che i provvedimenti giudiziari, salve le eccezioni espressamente indicate, non devono contenere giudizi anticipati sulla colpevolezza dell'imputato fin quando non sia intervenuta una decisione di condanna definitiva (nuovo art. 115-bis comma 1 c.p.p.). Tale regola non si applica alle decisioni in merito alla responsabilità penale dell'imputato e neppure agli atti del pubblico ministero «volti a dimostrare la colpevolezza della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato». Se la prima eccezione non pone particolari problemi interpretativi, la seconda dà luogo a maggiori incertezze. È chiaro che il pubblico ministero possa fare riferimento alla colpevolezza dell'imputato nell'atto con cui esercita l'azione penale (es. richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, eccetera), nell'impugnazione della sentenza assolutoria o nella requisitoria. Qualche titubanza viene, viceversa, pensando ad esempio all'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 c.p.p., che contiene sì la “bozza” dell'imputazione, ma si tratta di un atto con funzione di garanzia. Analoghe incertezze riguardano altri atti del pubblico ministero come, ad esempio, la richiesta di incidente probatorio o di ammissione di una prova.

La terza eccezione al divieto generale presenta un carattere meno perentorio. Nel secondo comma dell'art. 115-bis c.p.p., infatti, viene previsto un principio di stretta “continenza” dei richiami alla reità dell'indagato o dell'imputato per tutti quei «provvedimenti dell'autorità giudiziaria» che, pur non decidendo sulla responsabilità dell'accusato, presuppongono comunque «la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza». L'enunciato è talmente impreciso e poco tecnico da generare un certo senso di smarrimento. Sta di fatto che, rispetto a questa ulteriore categoria di atti, l'autorità giudiziaria dovrà limitarsi «alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l'adozione del provvedimento» (art. 115-bis comma 2 c.p.p.).

Sia pure con qualche incertezza, il secondo comma dell'art. 115-bis c.p.p. sembra riferirsi alle ordinanze de libertate, ma anche alle richieste di applicazione delle misure cautelari. In concreto sarà molto complicato per il magistrato esaltare il quadro di gravità indiziaria, esclusivamente al fine di dimostrare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura, ma senza scadere in un giudizio anticipato di colpevolezza dell'imputato.

Sono poi previsti rimedi per l'ipotesi di inosservanza di questo nuovo “codice lessicale” al quale i magistrati dovranno attenersi nella redazione dei provvedimenti giudiziari.

Più in dettaglio, in caso di violazione del divieto «di cui al comma 1» dell'art. 115-bis c.p.p., l'interessato ha il diritto di richiedere la correzione del «provvedimento», a pena di decadenza, nei dieci giorni successivi alla conoscenza di esso (comma 3). L'inedita procedura di correzione è espressamente prevista come rimedio alla violazione delle disposizioni di cui al «comma 1» e non anche di quelle contenute nel capoverso successivo. Di conseguenza, qualora il magistrato ecceda i limiti della continenza nell'ordinanza de libertate - peraltro pubblicabile ai sensi dell'art. 114 comma 2 c.p.p. - il novello rimedio non sembrerebbe trovare spazio: salvo ritenere che le ordinanze cautelari rientrino nell'alveo tanto del secondo quanto del primo comma della norma de qua e siano, quindi, sempre suscettibili di “correzione” (v. P. FERRUA, La direttiva europea sulla presunzione di innocenza e i provvedimenti cautelari, in ilPenalista, 27 ottobre 2021).

Sull'istanza di correzione provvede, entro 48 ore dal suo deposito, il giudice che procede, con un decreto motivato; nel corso della fase preprocessuale è competente il giudice per le indagini preliminari (art. 115-bis comma 4 c.p.p.).

Recependo le indicazioni contenute nei Pareri espressi dalle Commissioni parlamentari, alle parti e al pubblico ministero è consentito proporre opposizione al presidente del tribunale o della corte di cui fa parte il giudice che si è pronunciato sull'istanza di correzione: il giudice dell'opposizione deciderà «con decreto, senza formalità di procedura». Sono fatti salvi i casi di incompatibilità, ricorrenti ad esempio quando lo stesso presidente dell'ufficio ha adottato la decisione sulla istanza di correzione in parola. In simili ipotesi troveranno applicazione le disposizioni di cui all'articolo 36, comma 4 c.p.p.: vale a dire che la questione sarà trattata innanzi al presidente della corte di appello o della corte di cassazione.

Nuovi margini di applicabilità per la riparazione per ingiusta detenzione

L'occasione dell'attuazione della direttiva 2016/343 - che dedica alcuni articoli alla tutela del diritto al silenzio dell'imputato - è parsa propizia in sede di Commissione parlamentare per intervenire anche sulla disciplina della riparazione per l'ingiusta detenzione di cui all'articolo 314 c.p.p. (art. 4 comma 1 lett. b), del d.lgs. n. 188/2021).

Invero, in base all'art. 7 comma 5 della direttiva 2016/343/UE, «l'esercizio da parte degli indagati e imputati del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi non può essere utilizzato contro di loro e non è considerato quale prova che essi abbiano commesso il reato ascritto loro». Ciò ha indotto ad aggiungere nel primo comma dell'art. 314 c.p.p. una nuova proposizione, in cui si prevede che «[l]'esercizio da parte dell'imputato della facoltà di cui all'articolo 64, comma 3, lettera b), non incide sul diritto alla riparazione di cui al primo periodo».

La modifica è volta a “disinnescare” quel consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale l'esercizio della facoltà di non rispondere da parte dell'indagato, in sede di interrogatorio, può costituire una causa ostativa alla concessione della riparazione per ingiusta detenzione (così, di recente, Cass., 18 dicembre 2020, Gallo, Ced Cass. n. 280082; Cass., 30 maggio 2018, Stamatopoulou, ivi, n. 273744; in precedenza Cass. 29 novembre 2011, Messina e altro, ivi, n. 251325).

Il rafforzamento del divieto di pubblicazione degli atti coperti da segreto

Sempre al fine di adeguare l'ordinamento all'atto di matrice europea, il Governo ha effettuato altri due innesti all'interno del codice di procedura penale.

In base all'articolo 4, paragrafo 3, della direttiva, l'obbligo di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli «non impedisce alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all'indagine penale o per l'interesse pubblico».

Come noto, il nostro codice di rito stabilisce che gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto, fino a quando «l'imputato non ne possa avere conoscenza» e comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari (art. 329 comma 1c.p.p.). Degli atti coperti da segreto è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, o anche solo del loro contenuto, «con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione» (art. 114 comma 1 c.p.p.). Degli atti non più coperti dal segreto investigativo è consentita la pubblicazione del ‘contenuto' (art. 114 comma 7 c.p.p.). Rispetto a questa disciplina del segreto e della pubblicazione degli atti del procedimento è previsto un regime derogatorio, che consente, tra l'altro, la pubblicazione di singoli atti o parti di essi in ossequio ad esigenze legate alla prosecuzione delle indagini (art. 329 comma 2).

Il legislatore delegato, nell'assecondare lo spirito della direttiva 2016/343, ha voluto richiamare il pubblico ministero in ordine all'eccezionalità del potere in questione. Si è, quindi, specificato che la desecretazione con conseguente pubblicazione totale o parziale di atti d'ora in poi sarà possibile soltanto quando sia «strettamente necessaria» per la prosecuzione delle indagini.

Le maggiori tutele previste per il diritto dell'imputato ad assistere all'udienza in stato di libertà

L'art. 5 della direttiva impone agli Stati membri di adottare «le misure appropriate per garantire che gli indagati e imputati non siano presentati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica»: queste ultime sono, comunque, consentite purché siano «necessarie per ragioni legate al caso di specie, in relazione alla sicurezza o al fine di impedire che gli indagati o imputati fuggano o entrino in contatto con terzi».

Il nostro codice di rito stabilisce che «l'imputato assiste all'udienza libero nella persona, anche se detenuto, salvo che in questo caso siano necessarie cautele per prevenire il pericolo di fuga o di violenza» (art. 474 c.p.p.). Sotto questo profilo l'esposizione nelle aule di giustizia dell'imputato sottoposto a misure di coercizione, come la permanenza in apposite “gabbie”, si pone in chiara tensione con il principio di presunzione di innocenza (in argomento, cfr. PAULESU, La presunzione di non colpevolezza dell'imputato, Torino, 2009, 173 ss.).

Il legislatore delegato, andando oltre le prescrizioni dell'atto sovranazionale, ha ritenuto giusto aggiungere un nuovo comma 1-bis all'art. 474 c.p.p.: in esso si afferma che, al ricorrere dei pericoli contemplati, le misure di “contenimento” della libertà dell'imputato saranno disposte dal giudice con un'apposita ordinanza, dopo aver sentito le parti. In tal caso resta comunque garantito «il diritto dell'imputato e del difensore di consultarsi riservatamente», anche «attraverso l'impiego di strumenti tecnici idonei», laddove disponibili (art. 4, comma 1, lett. d, del d.lgs. 188/2021). Invero, l'art. 146 disp. att. c.p.p. già stabilisce che l'imputato sieda al fianco dei propri difensori, salvo che ricorrano esigenze di cautela. La modifica, dunque, è funzionale a garantire che le misure restrittive volte a prevenire il pericolo di fuga o di violenza non costituiscano un ostacolo al diritto dell'imputato di consultare il proprio difensore riservatamente, anche attraverso l'impiego di strumenti tecnici ove disponibili.

La rilevazione, l'analisi e la trasmissione dei dati statistici

Nel penultimo articolo prima della clausola di invarianza finanziaria, il legislatore delegato ha individuato in modo opportuno nel Ministero della giustizia l'autorità incaricata della rilevazione, dell'analisi e alla trasmissione alla Commissione europea dei dati di cui all'articolo 11 della direttiva, nei quali – in conformità al considerando n. 46 – sono stati espressamente inclusi quelli relativi al numero e all'esito dei procedimenti anche disciplinari connessi alla violazione degli articoli 2, 3 e 4 del decreto e dei procedimenti sospesi per irreperibilità dell'imputato ovvero nei confronti di imputati latitanti, nonché dei procedimenti per rescissione del giudicato ai sensi dell'articolo 629-bis c.p.p. (art. 5 del d.lgs. 188/2021).

Guida all'approfondimento

A. Balsamo-S. Recchione, Il difficile bilanciamento tra libertà di informazione e tutela del segreto istruttorio: la valorizzazione del parametro della concreta offensività nel nuovo orientamento della Corte europea, in Cass. pen., 2007, n. 12, p. 4796;

L. Camaldo, Presunzione di innocenza e diritto di partecipare al giudizio: due garanzie fondamentali del giusto processo in un'unica direttiva dell'Unione europea, in www.penalecontemporaneo.it;

G. Caneschi, Processo penale mediatico e presunzione di innocenza: verso un'estensione della garanzia?, in Archivio penale web, 29 ottobre 2021;

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