Linee Guida ANAC sull'in house: il Consiglio di Stato “sospende il giudizio” in attesa di approfondimenti

01 Dicembre 2021

Il Consiglio di Stato ha sospeso la richiesta di parere avanzata dall'ANAC in relazione allo schema di Linee Guida sull'obbligo motivazionale imposto dall'art. 192 comma 2 del D.Lgs. 50/2016 per gli affidamenti in house, invitando l'Autorità a procedere a un “ulteriore approfondimento” sull'evoluzione del contesto in cui si inserisce l'intervento, focalizzando l'attenzione sull'attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e sulla prospettata riforma strutturale del Codice dei Contratti.
Premessa

Il Consiglio di Stato è intervenuto (parere n. 1614/2021 del 7 ottobre 2021) sullo schema di Linee Guida predisposte dall'ANAC recanti «Indicazioni in materia di affidamenti in house di contratti aventi ad oggetto lavori, servizi o forniture disponibili sul mercato in regime di concorrenza ai sensi dell'articolo 192, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50 e s.m.i.».

Nella richiesta di parere l'Autorità Nazionale Anticorruzione chiarisce che le Linee Guida – adottate ai sensi dell'art. 213 comma 2 del D.Lgs. 50/2016 – mirano a definire le coordinate per la formulazione della motivazione richiesta dall'art. 192, comma 2, del Codice appalti nel caso di affidamento diretto a soggetti in house.

L'Autorità, pertanto, intende fornire indicazioni operative che permettano di orientare l'azione amministrativa delle stazioni appaltanti in maniera conforme alla disciplina positiva e uniforme, anche attraverso la diffusione di best-practice.

La definizione del contenuto delle Linee Guida è il risultato di un'ampia fase di confronto con gli operatori del mercato, che ha visto la partecipazione attiva -attraverso osservazioni e commenti- di amministrazioni, società pubbliche, associazioni di categorie e soggetti privati, nonché delle Autorità indipendenti di settore (AGCM, ARERA e ART).

La natura delle Linee Guida

Il Consiglio di Stato, in via preliminare, chiarisce (nuovamente) che le Linee Guida predisposte ai sensi dell'art. 213 del D.Lgs. 50/2016 si configurano come “strumenti di regolazione flessibile”. Partendo da detto presupposto, dunque, le Linee Guida sono “un atto privo di efficacia normativa vincolante, che nasce da un'iniziativa discrezionale dell'Autorità, rispetto al quale il parere” del “Consiglio di Stato ha dunque natura solo facoltativa”.

A tal proposito, è opportuno richiamare il parere reso sempre dal Consiglio sullo schema del Codice dei contratti pubblici (parere n. 855 del 1 aprile 2016) nell'ambito del quale viene affrontato il “delicato tema della natura giuridica della c.d. soft law”, individuando tre tipologie di Linee Guida.

In particolare, nella categoria in esame si annoverano “i decreti ministeriali contenenti le linee guida adottate su proposta dell'ANAC, e sottoposti a parere delle commissioni parlamentari” che sono equiparati a veri e propri regolamenti, soggetti all'iter procedimentale definito dall'art. 17 della L. 400/1988. Vi sono, poi, le “Linee Guida ‘vincolanti' dell'ANAC” che il Consiglio di Stato non considera regolamenti ma “atti di regolazione di un'Autorità indipendente”: ciò impone che “devono seguire alcune garanzie procedimentali minime: consultazione pubblica, metodi di analisi e di verifica di impatto della regolazione, metodologie di qualità della regolazione, compresa la codificazione, adeguata pubblicità e pubblicazione, se del caso parere (facoltativo) del Consiglio di Stato”. La terza tipologia è rappresentata dalle Linee Guida non vincolanti dell'ANAC che hanno “un valore di indirizzo a fini di orientamento dei comportamenti di stazioni appaltanti e operatori economici”.

L'in house nella giurisprudenza più recente

La tematica della natura giuridica delle società in house è stata per lungo tempo dibattuta in dottrina e giurisprudenza. Tuttavia, l'orientamento consolidato pressoché unanime – sia nella giurisprudenza civile che amministrativa – ha qualificato il soggetto in house, in termini di longa manus delle amministrazioni controllanti, in cui non sono rintracciabili soggetti giuridici ad essa esterni e da questa autonomi. Da ciò consegue che il rapporto che intercorre tra l'ente affidante e l'organismo in house si qualifica come intersoggettivo e non intraorganico.

Anche nel parere in esame il Consiglio di Stato, richiamando alcune delle sue pronunce più recenti in materia (ex multis Cons. St., sent. Sez. I, 3 agosto 2021 n. 1374, sent., Sez. I, 7 maggio 2019, n. 1389, sent. Sez. III, 25 febbraio 2020, n. 1385), ribadisce che la società in house èequiparabile ad un “ufficio interno” dell'ente pubblico che l'ha costituita, sicché non sussiste tra l'ente e la società un rapporto di alterità sostanziale, ma solo formale, ed è questa caratteristica l'unica a giustificare l'affidamento diretto, senza previa gara, di un appalto o di una concessione”.

Viene, poi, fatto il punto sull'art. 192 del D.Lgs. 50/2016 attraverso due recenti sentente, una della Corte di Giustizia dell'UE (CGUE) e l'altra della Corte di Cassazione. In particolare, la Corte di Lussemburgo (ordinanza 6 febbraio 2020, cause C-89/19, C-90/19, C-91/19– Rieco s.p.a.) in sede di rinvio pregiudiziale proposto dal Consiglio di Stato ha precisato che non è in contrasto con il diritto europeo (e, più in dettaglio, con l'art. 12, par. 3, della direttiva 2014/24/UE) l'art. 192 del Codice dei contratti pubblici, il quale “subordina la conclusione di un'operazione interna, denominata anche «contratto in house», all'impossibilità di procedere all'aggiudicazione di un appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione, da parte dell'amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso all'operazione interna”. In sostanza, le direttive europee del c.d. pacchetto appalti/concessioni – continua il Consiglio di Stato – demandano “allo Stato membro la definizione di un punto di equilibrio tra i due valori da bilanciare (quello della libera autorganizzazione delle pubbliche amministrazioni con quello della concorrenza e del mercato), senza fornire indicazioni più concrete e specifiche”.

Anche la Corte Costituzionale si è recentemente espressa sull'art. 192 del Codice appalti a seguito della sollecitazione del TAR Liguria (ordinanza 15 novembre 2018, n. 866) che ha invocato l'eccesso di delega e il mancato rispetto del divieto di goldplating con riferimento al comma 2 della suddetta disposizione del D.Lgs. 50/2016. I giudici costituzionali – ritenendo non fondata la questione di costituzionalità sollevata – precisano che la ratio del divieto di goldplating inserito come “criterio direttivo nella legge delega n. 11 del 2016, è quella di impedire l'introduzione, in via legislativa, di oneri amministrativi e tecnici, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa comunitaria, che riducano la concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini, mentre è evidente che la norma censurata si rivolge all'amministrazione e segue una direttrice proconcorrenziale, in quanto è volta ad allargare il ricorso al mercato”.

Ciò posto, la sentenza in esame evidenzia che le condizioni imposte dal comma 2 dell'art. 192 del D.Lgs. 5072016 per l'affidamento diretto “si risolvono in una restrizione delle ipotesi in cui è consentito il ricorso alla gestione in house del servizio e, quindi, della possibilità di derogare alla regola comunitaria concorrenziale dell'affidamento del servizio stesso mediante gara pubblica. Ciò comporta, evidentemente, un'applicazione più estesa di detta regola comunitaria, quale conseguenza di una precisa scelta del legislatore italiano. Tale scelta, proprio perché reca una disciplina pro concorrenziale più rigorosa rispetto a quanto richiesto dal diritto comunitario, non è da questo imposta – e, dunque, non è costituzionalmente obbligata, ai sensi del primo comma dell'art. 117 Cost., come sostenuto dallo Stato –, ma neppure si pone in contrasto (…) con la (…) normativa comunitaria, che, in quanto diretta a favorire l'assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri. È infatti innegabile l'esistenza di un “margine di apprezzamento” del legislatore nazionale rispetto a princìpi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall'ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza “nel” mercato e “per” il mercato”.

I più recenti interventi in materia: il D.L. 77/2021 e l'attuazione del PNRR

La tematica dell'in house è tornata all'attenzione del legislatore anche nell'ambito dell'attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e resilienza (PNRR), messo in campo per favorire la ripresa economica dopo l'emergenza pandemica. Infatti, il D.L. 31 maggio 2021, n. 77 (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 29 luglio 2021, n. 108) - che istituisce la struttura di governance demandata a “gestire” la realizzazione del Piano e prevede anche in tema di appalti una serie di semplificazioni della macchina amministrativa strumentali a una più celere attuazione dello stesso - dedica una particolare attenzione al fenomeno dell'in house.

Più in dettaglio – come precisa anche il Consiglio di Stato nel parere oggetto di analisi – l'art. 10 del D.L. 77/2021 ha ampliato l'area applicativa del ricorso all'in house providing, autorizzandole stazioni appaltanti - al fine disostenere la definizione e l'avvio delle procedure di affidamento ed accelerare l'attuazione degli investimenti pubblici, in particolare di quelli previsti dal PNRR e dai cicli di programmazione nazionale e dell'Unione europea 2014-2020 e 2021-2027” - ad avvalersi (mediante la stipula di apposite convenzioni) “del supporto tecnico-operativo di società in house qualificate ai sensi dell'articolo 38 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”.

L'attuazione di detta disposizione implicherà, quindi, anche la concreta implementazione del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti (disciplinato dall'art. 38 del Codice dei contratti, che, tuttavia, ad oggi risulta non operativo) il quale introduce un meccanismo di accreditamento «scalare» che abilita le stazioni appaltanti alle funzioni di public procurement in base alle strutture, competenze, capacità di gestione delle procedure di acquisto.

Il comma 3 dell'art. 10 del D.L. 77/2021 introduce una disciplina ad hoc della motivazione prevista dall'art. 192 comma 2 del Codice per il ricorso alla formula dell'in house in deroga al mercato. Più in dettaglio, la motivazione del provvedimento di affidamento diretto – nel testo legislativo risultante dalla conversione in legge – deve dar “conto dei vantaggi, rispetto al ricorso al mercato, derivanti dal risparmio di tempo e di risorse economiche, mediante comparazione degli standard di riferimento della società Consip S.p.A. e delle centrali di committenza regionali”.

Il legislatore del D.L. 77/2021 pone, dunque, a beneficio delle amministrazioni, dei precisi elementi di riferimento per determinare i vantaggi dell'affidamento diretto, limitando conseguentemente la possibilità di scelte discrezionali. Invero, la scelta di introdurre, l'obbligo per la stazione appaltante di riscontrare i vantaggi che legittimano il “ricorso” all'in house procedendo alla comparazione degli standard di riferimento di Consip S.p.A e delle centrali di committenza regionali deriva dalle indicazioni fornite dalla giurisprudenza amministrativa in tema di valutazione della congruità economica dell'offerta del soggetto in house, che evidenziano la necessità di analizzare il caso concreto e tener conto di dati comparabili, desumibili anche dai costi medi praticati da altri operatori privati o società pubbliche (Cons. St., sez. V, 16 novembre 2018, n. 6456).

Gli obiettivi delle Linee Guida

L'ANAC, nel contesto normativo e giurisprudenziale sopra sinteticamente richiamato, ha optato per la predisposizione delle Linee Guida in esame al fine di garantire un'applicazione non soltanto formale dell'art. 192 del Codice dei contratti, proponendo soluzioni interpretative estensive rispetto al dato letterale, che fossero comunque in linea con la ratio della disposizione”.

In particolare, l'Autorità si propone di:

1) estendere l'ambito applicativo della predetta disposizione ai contratti di lavori e di forniture;

2) attribuire al termine «concorrenza» un significato atecnico, inglobando anche le prestazioni che sono svolte in modo alternativo sul mercato, dunque, vi rientrano anche i casi in cui vi sia una concorrenza per il mercato o nel mercato;

3) escludere dall'applicazione della norma le prestazioni che non sono al momento disponibili sul mercato e non potranno esserlo in futuro,

4) anticipare la pubblicazione della motivazione rispetto al provvedimento di affidamento.

I suddetti obiettivi, in termini più generali, tendono ad ampliare l'ambito “applicativo dell'obbligo istruttorio e motivazionale”, con conseguente potenziale restrizione delle ipotesi in cui è possibile procedere legittimamente all'affidamento diretto.

La necessità di procedere in tal senso – come precisato nella relazione AIR che accompagna lo schema di Linee Guida – nasce dalla considerazione della forte diffusione degli affidamenti senza ricorso alla gara effettuati soprattutto dagli enti territoriali in favore delle proprie società partecipate.

A sostegno di detta argomentazione l'ANAC cita le risultanze della Relazione 2021 della Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, dalla quale emerge che sono stati rilevati circa 11.300 affidamenti a società controllate, di cui la maggior parte riguardanti Comuni e il settore dei servizi pubblici locali. La Corte dei Conti, inoltre, rileva che solo il 5% di questi è avvenuto con gara. Più in dettaglio, su 18.251 commesse, che impegnano annualmente circa 11 miliardi di euro, gli affidamenti diretti costituiscono il 64% pari a quasi l'80%, degli impegni di spesa. Ad analoghe considerazioni conducono i dati del Ministero dello Sviluppo economico dai quali emerge che tra il 2017 e il 2020 gli affidamenti diretti dei servizi pubblici risultano circa il 50%.

Al considerevole ricorso alla gestione in house, si affianca – prosegue ancora l'Autorità- l'analisi compiuta su alcune delle motivazioni predisposte dalle Amministrazioni in caso di affidamento diretto “dalle quali è emerso che le relazioni si dilungano molto sulla sussistenza dei requisiti dell'in house, ma sono, invece, molto sintetiche nella parte dedicata alla motivazione del mancato ricorso al mercato, dove vengono frequentemente utilizzate formule di stile che denotano l'assenza di una valutazione concreta”. Ciò, a parere dell'ANAC, si porrebbe in contrasto con la ratio dell'art. 192 comma 2 del Codice dei contratti che come precisato dalla Corte Costituzionale nella già citata sentenza 100/2020 “è espressione di una linea restrittiva del ricorso all'affidamento diretto che è costante nel nostro ordinamento da oltre dieci anni, e che costituisce la risposta all'abuso di tale istituto da parte delle amministrazioni nazionali e locali”.

La posizione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, preso atto del fatto che Le Linee Guida proposte dall'ANAC “si inseriscono in un contesto giuridico e istituzionale molto dinamico, soprattutto sotto la spinta urgente dello sviluppo e dell'attuazione del PNRR, del Piano nazionale per gli investimenti complementari e del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima, ma anche, più in generale, sotto la spinta della ripresa economica seguente alla pandemia da Covid-19”, sospende la pronuncia del parere richiesto dall'ANAC.

Infatti, il Consiglio di Stato precisa che il fenomeno dell'in house providing è al centro delle attenzioni del governo e del legislatore, con conseguente probabilità di intervento sull'attuale disciplina, in particolare con riguardo “alle esigenze di semplificazione e di rafforzamento della capacity building degli apparati amministrativi (chiamati a uno sforzo straordinario e aggiuntivo di efficienza ed efficacia realizzativa per l'attuazione del PNRR, degli interventi inclusi nel fondo complementare, nonché di tutte le altre, numerosissime opere pubbliche urgenti)”.

Questo è testimoniato dall'art. 10 del D.L. 77/2021 che per il Consiglio di Stato sembrerebbe “incrociarsi esplicitamente con l'intervento in esame (il quale però non pare tenerne conto, neanche negli atti di accompagnamento)”.

In termini più generali anche il panorama normativo dell'intera materia dei contratti pubblici risulta in continua evoluzione, come dimostrano le diverse riforme che si sono susseguite dal 2019 (operate con D.L. 31/2019, D.L 76/2020 e da ultimo con D.L. 77/2021), tutte accomunate dalle medesime finalità di semplificazione e accelerazione delle procedure.

Ancor di più nel momento attuale, in cui si stanno gettando le basi per la ripresa economico-sociale dopo la pandemia da Covid-19, la disciplina delle modalità di approvvigionamento pubblico riveste un ruolo centrale. Infatti, l'attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza potrebbe rappresentare – prosegue il Consiglio di Stato - la chiave di volta per favorire “un recupero dello storico deficit di capacità realizzativa delle opere pubbliche e di spesa degli investimenti pubblici, anche comunitari, che affligge non da ieri il Paese”.

In quest'ottica il settore del public procurement rappresenta uno snodo fondamentale “per una ripresa durevole e sostenibile dell'economia, in una fase nella quale le politiche espansive di bilancio, anche a livello europeo, offrono un'opportunità straordinaria di rilancio economico attraverso forti investimenti pubblici”.

Il parere fa, inoltre, notare che accanto agli interventi d'urgenza si colloca un intervento strutturale sulla disciplina del settore – inserito tra le riforme previste nel PNRR – che si sta attuando attraverso “il disegno di legge AS 2330 di Delega al Governo in materia di contratti pubblici, presentato dal Governo al Senato in data 21 luglio 2021”, il quale mira, tra l'altro, ad “assicurare il perseguimento di obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee mediante l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse”.

Partendo dalle predette considerazioni il Consiglio di Stato ritiene “verosimile che tale riforma modifichi ulteriormente, e in tempi ravvicinati, le prassi amministrative che ci si propone di cambiare con lo schema in oggetto, rinvenendo magari ancora un altro, diverso punto di equilibrio tra le esigenze di speditezza, celerità, efficienza ed efficacia operativa delle pubbliche amministrazioni nella realizzazione degli investimenti pubblici e le esigenze di promozione del mercato e della concorrenza, nonché di garanzia della trasparenza e imparzialità dell'azione amministrativa, assume, pertanto, in questo preciso momento storico, un rilievo del tutto strategico e centrale”.

Chiarito lo stato dell'arte della materia e le sue possibili evoluzioni, l'organo consultivo inviata l'ANAC a tener in considerazione, nella messa a punto e/o riassetto dello stato dell'in house, di due diversi profili. In particolare, “de iure condito, l'approvazione delle linee guida deve comunque tener conto delle implicazioni della lex specialis prima menzionata (art. 10, d.l. n. 77/21), nonché del possibile impatto delle nuove prassi sugli effetti attesi dalla legge”, Mentre “de iure condendo, si dovrebbe valutare adeguatamente l'opportunità di emanare le linee guida in esame pur nella eventualità di una possibile, prossima modifica del quadrolegislativo con la riforma in itinere del codice dei contratti o con un altro degli interventi normativi strumentali all'attuazione del PNRR”.

Nel caso in cui l'Autorità scelga di perseguire la strada della predisposizione delle Linee Guida dovrebbe “considerare l'impatto ‘in concreto', sull'operatività delle amministrazioni, della successione ravvicinata nel tempo di tali interventi, a diverso livello (quello, proposto, con linee guida non vincolanti – ma di sicuro impatto – e quelli di rango legislativo, con delega o decreto-legge) e della conseguente esigenza di assicurare comunque stabilità, chiarezza e uniformità del quadro applicativo”.

A tal proposito, al fine di indirizzare l'attività dell'ANAC, viene precisato che in assenza di interventi (normativi e non) il quadro del fenomeno dell'in house appare stabilizzato nell'interpretazione giurisprudenziale, come emerge anche dai recenti interventi della CGUE e della Corte Costituzionale, che hanno confermato il vigente regime giuridico e non hanno evidenziato profili critici tali da indurre all'introduzione di indirizzi non normativi ampliativi del campo applicativo dell'obbligo motivazionale.

Pertanto, il Consiglio di Stato ritiene che l'intervento mediante Linee Guida “non appare ‘imposto' da fonti esterne né dalla giurisprudenza” quindi, prima di procedere alla valutazione nel merito della portata e dei contenuti “occorre verificare l'eventualità di un possibile incrocio di interventi, normativi e non, e la loro compatibilità”.

Alla luce di ciò, viene richiesto all'Autorità un ulteriore approfondimento sui profili di impatto operativo, nel contesto di attuazione del PNRR, “acquisendo eventualmente anche l'avviso sulle prossime prospettive de iure condendo del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e della Presidenza del consiglio dei ministri – Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi”.

In conclusione

La scelta del Consiglio di Stato di sospendere la valutazione della bozza di Linee Guida in attesa degli ulteriori approfondimenti richiesti è dovuta alla necessità di tenere in considerazione il quadro in cui si inserisce la disciplina dell'in house, ovvero la fase di ripresa economica del Paese anche attraverso l'attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che mira, tra l'altro, ad una riforma strutturale della materia dei contratti pubblici.

Infatti, il PNRR inserisce le “Riforme abilitanti” (ovvero le riforme funzionali a garantire l'attuazione del Piano e rimuovere gli ostacoli amministrativi, regolatori e procedurali) la “riscrittura” della disciplina dei contratti pubblici precisando che “semplificazione delle norme in materia di appalti pubblici e concessioni è obiettivo essenziale per l'efficiente realizzazione delle infrastrutture e per il rilancio dell'attività edilizia: entrambi aspetti essenziali per la ripresa a seguito della diffusione del contagio da Covid-19”.

L'idea dell'esecutivo è quella di “recepire le norme delle tre direttive UE (2014/23, 24 e 25), integrandole esclusivamente nelle parti che non siano self executing e ordinandole in una nuova disciplina più snella rispetto a quella vigente, che riduca al massimo le regole che vanno oltre quelle richieste dalla normativa europea, anche sulla base di una comparazione con la normativa adottata in altri Stati membri dell'Unione europea”. Quanto alle modalità di attuazione nel PNRR viene precisato che “si interverrà con legge delega, il cui disegno di legge sarà sottoposto al Parlamento entro il 2021. I decreti legislativi saranno adottati nei nove mesi successivi all'approvazione della legge delega”.

Pertanto, l'intervento legislativo in tema di in house già compiuto dal D.L. 77/2021 sembra essere destinato a non restare l'unico, atteso che una modifica ad ampio raggio del Codice dei Contratti potrebbe incidere, direttamente o indirettamente, sulla tematica de qua.

Queste considerazioni, hanno spinto il Consiglio di Stato a “sospendere il giudizio” sulla bozza di Linee Guida proprio per consentire all'ANAC di rendere allineato il contento delle stesse al contesto fluido che caratterizza la materia, al fine di non ingenerare stratificazioni normative non del tutto coerenti ovvero complicazioni eccessive per le Amministrazioni che intendono procedere ad affidamenti diretti.

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