Sanzioni tributarie e abuso della personalità giuridica
21 Dicembre 2021
Massima
La riferibilità esclusiva della sanzione tributaria alla persona giuridica prevista dall'art. 7, comma 1, d.l. n. 269/2003, opera soltanto quando la persona fisica che ha realizzato la violazione abbia agito nell'interesse ed a vantaggio della persona giuridica, ma non anche quando la società costituisca un mero schermo costituito artificiosamente e la persona fisica abbia operato nel proprio esclusivo interesse. Il caso
Con la sentenza in commento, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha esaminato il problema dell'applicabilità delle sanzioni tributarie amministrative a carico dell'amministratore di fatto di una società di capitali. Nonostante l'argomento non sia nuovo alla giurisprudenza, la pronuncia in commento riveste interesse, offrendo lo spunto per alcune riflessioni sull'indirizzo giurisprudenziale nel cui solco si colloca pienamente anche la CTP milanese. Pur nella sua gravità, la fattispecie concreta esaminata dalla Commissione è assai semplice. Dalla narrativa della sentenza si evince come alcuni soggetti avessero posto in essere una tipica “frode carosello” finalizzata ad evadere l'Iva, tramite la costituzione di “una catena di società dominate, in modo inconfutabile” da detti soggetti; il ruolo di “missing trader” indispensabile per porre in atto lo schema fraudolento di cui si tratta veniva svolto da una società a responsabilità limitata destinata ad assumere “il ruolo di “parafulmine” caricandosi per intero dell'evasione Iva”, che era formalmente amministrata da una “testa di legno professionale” (così, con le stesse parole della CTP), dietro la quale si celavano gli ideatori della frode. Nel contesto appena descritto, l'Amministrazione Finanziaria procedeva all'accertamento delle imposte evase a carico della società a responsabilità limitata e, contemporaneamente, all'irrogazione delle relative sanzioni a carico delle persone fisiche promotrici della frode, quali amministratori di fatto delle società coinvolte ed effettivi beneficiari del maccanismo fraudolento contestato. La questio iuris portata all'attenzione dei Giudici di merito milanesi, dunque, consiste nella sanzionabilità dell'amministratore di fatto di una società di capitali nei cui confronti sia contestata un'evasione d'imposta.
Le questioni giuridiche
Per inquadrare meglio la questione esaminata nella pronuncia in commento, sono opportune alcune considerazioni di carattere preliminare in ordine ai criteri di imputazione delle sanzioni tributarie amministrative. In occasione della riforma della materia degli anni 1996-1997, il legislatore optò come noto per l'introduzione di un regime di impronta “sostanzialmente penalistica”, nell'ambito del quale anche la sanzione amministrativa fosse caratterizzata dalla natura afflittiva tipica di quella penale. Tra i principi propri dell'ordinamento penalistico che, nelle originarie intenzioni del legislatore, avrebbero dovuto conformare anche il sistema sanzionatorio tributario non penale vi è quello della personalità il quale, nella sua accezione più tradizionale, impone la necessaria riferibilità dell'illecito e della conseguente sanzione alla sola persona fisica autrice della violazione; in sostanza, la sanzione tributaria non penale avrebbe dovuto colpire soltanto la persona fisica che fosse stata capace di intendere e di volere e che avesse materialmente posto in essere la condotta illecita, con dolo o colpa. Tale principio era (ed è tuttora) espresso dall'art. 2, comma 2, d.lgs. n. 472/1997, in virtù del quale “La sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione”. Con riguardo ad illeciti tributari commessi nell'interesse delle società (e, più in generale, degli enti), l'applicazione del principio di personalità avrebbe implicato una necessaria distinzione tra la posizione del contribuente (la società), estraneo alle conseguenze dell'illecito, e quella del trasgressore, nei cui soli confronti avrebbe invece dovuto indirizzarsi la risposta sanzionatoria prevista dalla legge. Già l'originario impianto normativo, invero, conteneva alcuni elementi di ambiguità, prevedendo da un lato la responsabilità della società per l'adempimento della sanzione amministrativa e, dall'altro, un limite al diritto del terzo responsabile (cioè la società) di agire in regresso nei confronti dell'autore materiale della violazione. Nel quadro appena tracciato è venuto tuttavia ad inserirsi l'art. 7, comma 1, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in l. 24 novembre 2003, n. 326, il quale dispone testualmente che “Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente e a carico della persona giuridica”. La disposizione appena citata, come si vede, è intervenuta in modo molto netto sulla questione dell'imputazione delle sanzioni tributarie non penali “relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica”, sovvertendo completamente la regola che avrebbe dovuto trarsi dall'applicazione del principio di personalità ancora solennemente enunciato dall'art. 2, comma,2 d.lgs. n. 472/1997. Per effetto della novella del 2003, infatti, è venuta meno qualunque responsabilità delle persone fisiche agenti per le sanzioni conseguenti a violazioni commesse nell'interesse di persone giuridiche.
Le soluzioni giuridiche
Data la formulazione dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 269/2003, la regola che se ne trae non sembra poter subire alcuna eccezione, nemmeno nell'ipotesi in cui la violazione di cui si tratta sia stata commessa da un soggetto qualificabile come amministratore di fatto della società personificata. Invero, il rinvio operato dal terzo comma dell'art. 7, d.lgs. n. 269/2003 (“Nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, si applicano in quanto compatibili”) alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 472/1997, ha fornito lo spunto all'Amministrazione Finanziaria per sostenere che l'amministratore di fatto della società personificata potesse essere reso destinatario della sanzione insieme alla stessa società, a titolo di concorso nell'illecito ex art. 9, d.lgs. n. 472/1997 (in forza del quale “Quando più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta. Tuttavia, quando la violazione consiste nell'omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti, è irrogata una sola sanzione e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il diritto di regresso”); secondo tale tesi, infatti, “la disposizione [cioè l'art. 7, d.lgs. n. 269/2003; n.d.a.] mira ad escludere dalla sanzione i legali rappresentanti e gli amministratori legittimi della società, nonché i dipendenti della stessa, in quanto organi dell'ente, ma non può essere certo letta come “scudo” per chi, come gli amministratori di fatto, “agisce nell'ombra”” (così, nel ripercorrere la doglianza proposta dalla difesa erariale, Cass., sez. V, ord. 25 ottobre 2017, n. 25284). La giurisprudenza, però, ha respinto tale ricostruzione, rilevando da un lato come l'art. 7, primo comma, d.l. n. 269/2003 non operi nessun distinguo a seconda che l'ente personificato sia o meno gestito da un amministratore di fatto e, dall'altro, che una diversa soluzione non può essere desunta dalla norma in tema di concorso di persone nella violazione, risultando quest'ultima incompatibile con la novella del 2003 (in tal senso, Cass., sez. V, ord. 25 ottobre 2017, n. 25284; Cass., sez. V, sent. 7 novembre 2018, n. 28331). A tale ultimo riguardo, occorre aggiungere che l'art. 7, comma 1, d.l. n. 269/2003 non opera alcuna distinzione nemmeno tra l'ipotesi in cui la violazione sia commessa da una sola persona fisica e quella in cui sia compiuta da più persone fisiche in concorso tra loro, disponendo in ogni caso l'imputazione soggettiva della sanzione alla sola società personificata. Non dovrebbe pertanto essere attributo alcun rilievo all'eventualità che la violazione sia commessa con il concorrente apporto causale di un soggetto in capo al quale possa essere riconosciuta la qualifica di amministratore di fatto.
Osservazioni
Si è detto supra che la regola enunciata dall'art. 7, comma 1, d.l. n. 269/2003 non sembra soffrire alcuna eccezione. Nella sua assolutezza, però, tale assunto non è del tutto corretto. Secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, infatti, l'estromissione della persona fisica agente da ogni responsabilità sanzionatoria connessa alla violazione relativa al rapporto fiscale facente capo ad un società personificata presuppone, pur sempre, che tale persona fisica abbia agito nell'interesse ed a beneficio della società rappresentata o amministrata; ed infatti, secondo la Cassazione, “solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l'autore materiale della violazione ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico(società dotata di personalità giuridica) quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore” (così, Cass., sez. V, ord. 9 maggio 2019, n. 12334). Tale considerazione porta la stessa giurisprudenza ad escludere che la regola di cui all'art. 7, primo comma, d.l. n. 269/2003 possa operare anche a vantaggio dell'amministratore (anche di fatto) di società personificate che abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, “utilizzando l'ente con personalità giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio”; in questi casi, dunque, “viene meno la ratio che giustifica l'applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 7, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell'illecito” (così, ancora, Cass., sez. V, ord. 9 maggio 2019, n. 12334; conformi, Cass., sez. V, sent. 22 novembre 2021, n. 36037; Cass., sez. V, sent. 24 novembre 2021, n. 36510; Cass., sez. VI-5, ord. 28 gennaio 2020, n. 1904; Cass., sez. VI-5, ord. 18 aprile 2019, n. 19075; Cass., sez. V; sent. 7 novembre 2018, n. 28331; Cass., sez. V, sent. 8 marzo 2017, n. 5924; Cass., sez. V, sent. 28 agosto 2013, n. 19716). La sentenza della CTP di Milano qui commentata richiama e condivide proprio tale orientamento. La costruzione argomentativa accolta dalla Cassazione (e recepita dalla CTP di Milano) si fonda sulla valorizzazione del principio del beneficio che è alla base dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 269/2003; l'ente personificato viene infatti onerato del pagamento delle sanzioni tributarie proprio perché trae beneficio dalla commissione delle violazioni da parte del soggetto che ne assume l'amministrazione. È dunque coerente ritenere che, laddove l'amministratore abbia agito nel suo personale interesse e non a beneficio dell'ente, proprio nei suoi confronti debba indirizzarsi la reazione sanzionatoria prevista dall'ordinamento. In definitiva, in presenza di una scissione tra la persona giuridica ed il soggetto beneficiario della violazione fiscale commessa per il tramite dello “schermo societario” proprio al fine di godere di una sostanziale impunità, occorre coerentemente indirizzare la misura sanzionatoria contro tale secondo soggetto, onde non vanificare la funzione preventiva ed afflittiva della sanzione medesima. Quanto ai presupposti al ricorrere dei quali il principio sancito dalla Cassazione è destinato ad operare concretamente, nelle pronunce sopra citate i Giudici di legittimità fanno riferimento alla natura fittizia della persona giuridica, ed al suo essere “costituita artificiosamente”, nell'interesse esclusivo della persona fisica agente. Ancorché non esplicitato testualmente, il senso di tali indicazioni appare chiaro: l'art. 7, comma 1, d.l. n. 269/2003 non può operare, in definitiva, quando la costituzione della società personificata sia finalizzata soltanto alla preordinazione di uno “schermo o paravento” ideato per sottrarre l'autore sostanziale della violazione tributaria delle conseguenze sanzionatorie che, in mancanza di tale artificio, lo avrebbero colpito. È evidente che la concreta sussistenza di tali condizioni deve essere valutata cum grano salis, alla luce dello specifico contesto fattuale nel quale si inserisce la commissione dell'illecito; per tornare al caso esaminato dalla CTP di Milano, sembra altrettanto chiaro che, nel caso di specie, tali presupposti sussistessero pienamente. Secondo la CTP, infatti, l'Ufficio ha allegato un quadro fattuale “sufficientemente chiaro per consentire di assegnare un ruolo di puro prestanome all'Amministratore Unico, nonché intestatario dell'intero capitale sociale” della s.r.l. e, “nel contempo considerare amministratori effettivi” i soggetti destinatari dell'irrogazione delle sanzioni, i quali “assumono il ruolo di beneficiari effettivi della frode carosello, risultando pacifico che l'evasione IVA consumata dalla […] si è riverberata sulla loro società […] nell'ambito di uno schema fraudolento che vede coinvolta anche la società austriaca […], anch'essa posseduta dagli odierni ricorrenti”. La decisione di confermare l'irrogazione delle sanzioni a carico di tali soggetti, dunque, oltre che conforme all'indirizzo giurisprudenziale richiamato nella decisione e coerente con la ratio alla base di tale indirizzo, appare anche rispondente alla fattispecie concreta esaminata dalla Commissione milanese.
Conclusioni
Chiariti i presupposti (ed i limiti) della sanzionabilità della persona fisica che abbia preordinato un utilizzo “artificioso” della persona giuridica al fine di sottrarsi alle conseguenze degli illeciti commessi a proprio personale vantaggio, si pone un dubbio di carattere più generale. Dalla casistica giurisprudenziale richiamata in precedenza e dalla stessa sentenza della CTP di Milano qui in commento sembra emergere una prassi dell'Amministrazione Finanziaria volta ad imputare agli “amministratori di fatto” soltanto la responsabilità per le sanzioni relative agli illeciti commessi, ferma restando l'imputazione dell'obbligazione tributaria propriamente detta nei soli confronti della società di capitali. Occorre allora chiedersi se il soggetto agente dietro lo “schermo” fornito dalla società, oltre che il destinatario della sanzione correlata al compimento della violazione contestata, non possa (o non debba) considerarsi più propriamente quale soggetto passivo dell'imposta. Detto in altri termini, se si riconosce che la persona giuridica rappresenta un mero “paravento” dietro al quale si cela l'attività posta in essere dalla persona fisica a suo diretto ed esclusivo vantaggio, potrebbe conseguentemente ritenersi che l'ente non realizza nemmeno il presupposto d'imposta, riferibile invece direttamente alla persona fisica; quest'ultimo dunque, più che come amministratore di fatto, dovrebbe essere chiamato a rispondere quale “vero” contribuente, non soltanto delle sanzioni ma anche e prioritariamente dell'imposta. Nel sistema dell'imposizione diretta, una simile responsabilità potrebbe agevolmente fondarsi sulla norma in tema di interposizione nel possesso dei redditi ex art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600/1973 che, per pacifica giurisprudenza di Cassazione, non opera alcuna distinzione tra interposizione fittizia ed interposizione reale. Fuori dall'ambito di applicazione di tale disciplina, invece, la questione si presenta più dubbia. Occorre infatti considerare che, nelle situazioni quali quella esaminata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, non si tratta della simulazione di singole operazioni, ma della costituzione di una società di capitali preordinata al compimento di un'attività complessivamente fraudolenta. Ciò induce a dubitare della praticabilità di un “superamento” radicale della personalità giuridica ai fini impositivi, anche in considerazione della pacifica impossibilità di configurare la simulazione del contratto costitutivo di una società di capitali (in tal senso, da ultimo, Cass., sez. V, sent. 24 novembre 2021, n. 36392, da cui altri precedenti) e, soprattutto, del peculiare meccanismo applicativo dell'Iva, nel cui ambito l'art. 21, comma 7, d.P.R. n. 633/1972 prevede che il soggetto emittente la fattura sia obbligato al versamento dell'imposta anche in caso di operazioni in tutto o in parte inesistenti. Non è un caso, d'altronde, che l'indirizzo giurisprudenziale volto a riconoscere la sanzionabilità dell'amministratore di fatto di una società costituita in maniera artificiosa sia maturato proprio con riguardo a casi di evasione dell'Iva, il cui riscontro consente all'Amministrazione di richiedere il versamento dell'imposta al soggetto che ha emesso le fatture e di contestare la detrazione al destinatario dei beni o servizi (illecitamente) fatturati. Anche in questo settore, invece, il contrasto all'abuso della personalità giuridica può trovare un più solido fondamento proprio sul piano sanzionatorio; ai fini sanzionatori, infatti, non si tratta di postulare il superamento della personalità giuridica della società, ma soltanto di recuperare l'applicazione del principio di personalità che era già alla base dell'apparato punitivo amministrativo e che, ove non derogato dall'art. 7, comma 1, d.l. n. 269/2003, avrebbe di per sé consentito l'applicazione della sanzione alla persona fisica agente quale amministratore della società. |