Liquidazione delle spese processuali in esito all'opposizione a esecuzione forzata

Francesco Bartolini
27 Dicembre 2021

Ai fini della liquidazione delle spese nei giudizi di opposizione all'espropriazione forzata, il valore della causa va stabilito, ai sensi dell'art. 17 c.p.c., in relazione al peso economico della controversia, determinato, per la fase successiva all'inizio dell'esecuzione, in base agli effetti economici dell'accoglimento o del rigetto dell'opposizione.
Massima

Ai fini della liquidazione delle spese nei giudizi di opposizione all'espropriazione forzata, il valore della causa va stabilito, ai sensi dell'art. 17 c.p.c., in relazione al peso economico della controversia, determinato, per la fase successiva all'inizio dell'esecuzione, in base agli effetti economici dell'accoglimento o del rigetto dell'opposizione.

Il caso

Nel dichiarare inammissibile l'appello proposto avverso la sentenza di rigetto dell'opposizione ad esecuzione forzata già iniziata, la Corte territoriale ha posto a carico dell'opponente le spese processuali unitamente alla condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96, terzo comma, c.p.c. La pronuncia ha enunciato in dettaglio i criteri osservati per la concreta liquidazione delle somme: il riferimento allo scaglione tariffario tra 52.000,00 e 1.000.000,00; un valore medio per lo studio della controversia; e i valori minimi per le attività processuali eseguite.

La questione

Il ricorrente ha formulato un unico motivo di gravame riferito al capo di sentenza avente ad oggetto la liquidazione delle spese processuali, impugnato per asserita violazione di legge (artt. 17 c.p.c. e 360, primo comma, n. 3). Il giudice di merito, si osserva, per determinare il valore della controversia ha preso in considerazione uno scaglione individuato erroneamente in eccesso, perché basato sulla condanna contenuta nel titolo esecutivo. Si sarebbe invece dovuto tener conto dello scaglione tariffario inferiore a quello utilizzato: lo scaglione, cioè, entro i cui più ridotti importi erano comprese le minor somme richieste con il precetto, poi pignorate a carico del terzo debitore e infine assegnate al creditore procedente.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha deciso in camera di consiglio a seguito di una valutazione di manifesta fondatezza del gravame. L'accoglimento del ricorso è derivato direttamente dal proposito, enunciato in motivazione, di voler dare continuità ai principi affermati con la decisione della sezione terza n. 1360/2014. La pronuncia richiamata aveva affermato: «Ai fini della liquidazione delle spese nei giudizi di opposizione all'espropriazione forzata, il valore della causa va determinato in relazione al peso economico delle controversie e dunque: a) per la fase precedente l'inizio dell'esecuzione, in base al valore del credito per cui si procede; b) per la fase successiva, in base agli effetti economici dell'accoglimento o del rigetto dell'opposizione; c) nel caso di opposizione all'intervento di un creditore, in base al solo credito vantato dall'interveniente; d) nel caso in cui non sia possibile determinare gli effetti economici dell'accoglimento o del rigetto dell'opposizione, in base al valore del bene esecutato; e) nel caso, infine, in cui l'opposizione riguardi un atto esecutivo che non riguardi direttamente il bene pignorato, ovvero il valore di quest'ultimo non sia determinabile, la causa va ritenuta di valore indeterminabile».

Una volta dichiarato di voler condividere questi principi, non è rimasto alla Corte decidente che prendere atto dell'erroneità della denunciata liquidazione di spese processuali. Non si sarebbe dovuto tener conto dell'elevato importo del titolo esecutivo (come effettuato dalla corte di merito), in quanto non era venuto in contestazione il diritto di credito del creditore procedente. La liquidazione doveva essere commisurata al peso economico dell'avvenuto rigetto dell'opposizione, proposta ad esecuzione intrapresa (ipotesi sub b, di cui alla pronuncia 1360/2014 citata). L'espropriazione iniziata aveva avuto ad oggetto somme notevolmente inferiori a quelle portate dal titolo esecutivo e dunque il minore importo delle somme precettate individuava il valore della causa per quanto riguardava le spese processuali da liquidare. Ne risultava congruo uno scaglione tariffario di riferimento diverso, e dai valori ridotti, rispetto a quello utilizzato dal giudice di merito (nel caso specifico lo scaglione appropriato era quello dei valori compresi tra 52.000,00 e 260.000,00 euro).

Da qui la cassazione della sentenza impugnata e il necessario rinvio finalizzato ad una nuova determinazione delle spese e della accessoria condanna per responsabilità aggravata.

Osservazioni

La Corte di cassazione ha richiamato una pronuncia significativa per il fatto di contenere l'elencazione di regole, in tema di liquidazione delle spese processuali, dettate al palese scopo di munire l'interprete di punti fermi cui attenersi nelle diverse situazioni offerte nei giudizi di opposizione all'espropriazione forzata. Con l'esplicito richiamo alla precedente decisione il supremo collegio ha inteso: da un lato, confermare un indirizzo ritenuto condivisibile; dall'altro, ribadire in una formulazione sintetica il risultato di decisioni andate nello stesso senso ma riferite, ciascuna, a separate porzioni della materia in esame.

Sul primo punto può ricordarsi che già Cass. civ., sez. III, n. 12354/2006 aveva anticipato la pronuncia in esame. Essa aveva infatti affermato che in tema di liquidazione delle spese del giudizio nelle cause di opposizione agli atti esecutivi, nel caso di espropriazione forzata, il valore della causa va determinato: con riferimento alla fase antecedente l'inizio dell'esecuzione, avendo riguardo al valore del credito per cui si procede; invece, con riferimento alla fase successiva all'inizio dell'esecuzione (fatta eccezione per l'ipotesi di opposizione concernente l'intervento di un creditore, nella quale si deve far riferimento al valore del solo credito per il quale l'intervento viene effettuato), avendo riguardo agli effetti economici dell'accoglimento o del rigetto dell'opposizione predetta; qualora, poi, non sia possibile applicare tale criterio di determinazione del valore, in quanto l'accoglimento od il rigetto non producano effetti economici ben identificabili, la causa va ritenuta di valore pari a quello del bene o dei beni oggetto dell'atto opposto. La sentenza citata aveva anche aggiunto una importante precisazione: in ogni caso, essa spiegava, il detto valore della causa non può essere ritenuto superiore né all'importo del credito totale per cui si procede, né al valore dei predetti effetti economici, né al valore del bene o dei beni oggetto dell'atto opposto.

Quanto alle decisioni su aspetti parziali della materia esaminata, può menzionarsi ad esempio Cass. civ., sez. III, n. 19488/2013, la quale aveva affermato che nei giudizi di opposizione, quando l'esecuzione forzata è già iniziata, il valore della causa è dato dal «credito per cui si procede», ai sensi dell'art. 17 c.p.c., e che il detto credito per cui si procede è dato dall'importo del credito di cui al precetto. Nello stesso senso si era pronunciata anche Cass. civ., sez. III, n. 9784/2009. In altra occasione si è specificato che il criterio di determinazione indicato dalla norma citata va inteso come riferito all'oggetto concreto dell'azione esercitata e, in termini economici, rapportato al «peso» della controversia in atto. Per questa ragione Cass. civ., sez. III, n. 16920/2018 aveva spiegato che nei giudizi di opposizione all'esecuzione il valore della controversia si determina in base all'importo indicato nell'atto di pignoramento e che non assume rilievo la circostanza che l'opposizione sia limitata ad una sola parte del credito azionato esecutivamente. I criteri così determinati sono stati utilizzati anche per ripartire la competenza per valore tra il giudice di pace e il tribunale: Cass. civ., n. 16920/2018; Cass. civ., sez. III, n. 13402/2000.

Diversa è la situazione se l'opposizione contesta il diritto del creditore procedente a richiedere la somma precettata, in tutto o in parte: in questo caso il valore della causa è determinato con riferimento all'intero ammontare del credito per cui si procede (Cass. civ., sez. III, n. 19488/2013; Cass. civ., sez. III, n. 9784/2009; Cass. civ., sez. III, n. 13402/2000; Cass. civ., sez. III, n. 9755/1998).

Un dettaglio di possibile interesse: con il controricorso la parte chiamata nel giudizio di legittimità ha obiettato che, pur da considerarsi, in ipotesi, erronea l'individuazione dello scaglione tariffario, in ogni caso la Corte di appello aveva contenuto la liquidazione in misura non superiore ai massimi dello scaglione di valore effettivamente applicabile. Pur sbagliato il principio (si intendeva affermare), in sostanza non sarebbe stato cagionato alcun danno. Il giudice di legittimità ha negato rilievo a questa obiezione in quanto la liquidazione operata violava comunque i parametri a cui era stata improntata la sua quantificazione: i valori medi dello scaglione di tariffa utilizzato, per le voci relative allo studio della controversia, e i valori minimi per quelle relative alla fase istruttoria e alla fase decisionale. In questo modo i conti, comunque, non tornavano.

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