Interrogatorio formale e processo con pluralità di parti: escluso il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente

06 Gennaio 2022

La questione in esame è la seguente: in un processo con pluralità di parti, le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale da una parte hanno valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente?
Massima

L'interrogatorio formale reso in un processo con pluralità di parti, essendo volto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli alla parte confitente e ad esclusivo favore del soggetto che si trova, rispetto ad essa, in posizione antitetica e contrastante, non può essere deferito, da una parte ad un'altra, su un punto dibattuto in quello stesso processo, tra il soggetto deferente ed un terzo soggetto, diverso dall'interrogando, non avendo valore confessorio le risposte, eventualmente affermative, dell'interrogato alle domande rivoltegli. Invero, la confessione giudiziale produce effetti nei confronti della parte che la fa e della parte che la provoca, ma non può acquisire il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente, in quanto costui non ha alcun potere di disposizione relativamente a situazioni giuridiche facenti capo ad altri, distinti soggetti del rapporto processuale e, se anche il giudice ha il potere di apprezzare liberamente la dichiarazione e trarne elementi indiziari di giudizio nei confronti delle altre parti, tali elementi non possono prevalere rispetto alle risultanze di prove dirette.

Il caso

In un giudizio per usucapione, il Tribunale accoglieva la domanda attorea di riconoscimento del diritto di proprietà per intervenuta usucapione nei confronti dei convenuti.

Proposto appello, il giudice di secondo grado accoglieva l'impugnazione evidenziando, tra gli altri motivi, che le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale da una parte in un processo con pluralità di parti non potevano assumere il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente.

Proposto ricorso in Cassazione, la Corte rigettava il ricorso confermando la statuizione del giudice di appello in merito al valore delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale da una parte in un processo con pluralità di parti.

La questione

La questione in esame è la seguente: in un processo con pluralità di parti, le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale da una parte hanno valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente?

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento ha offerto importanti chiarimenti sull'interrogatorio formale reso in un processo con pluralità di parti.

Come noto, rigorosa è la disciplina dell'interrogatorio formale di cui all'art. 230 c.p.c.

Si tratta di un mezzo di prova disponibile solamente dalla parte e finalizzato alla confessione, ex art. 228 c.c., la quale è costituita dalla dichiarazione di un fatto sfavorevole al dichiarante e favorevole all'altra parte (art. 2730 c.c.), intendendosi per tale fatto quello che, avuto riguardo all'oggetto della controversia ed ai termini della contestazione, è in concreto idoneo a produrre conseguenze giuridiche svantaggiose per colui che volontariamente e consapevolmente ne riconosce la verità.

Ciò premesso, la pronuncia in epigrafe consolida l'orientamento di legittimità - che può considerarsi ius receptum - a mente del quale l'interrogatorio formale reso in un processo con pluralità di parti, essendo volto a provocare la confessione di fatti sfavorevole alla pare confitente e ad esclusivo favore del soggetto che si trova rispetto ad essa in posizione antitetica e contrastante, non può essere deferito da una parte ad un'altra, su un punto dibattuto in quello stesso processo tra il soggetto deferente e un terzo soggetto, diverso dall'interrogando, non avendo valore confessorio le risposte, eventualmente affermative, dell'interrogato alle domande rivoltegli (Cass civ., n. 6072/1981).

La confessione giudiziale produce effetti nei confronti della parte che la fa e della parte che la provoca, ma non può acquisire il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente, in quanto costui non ha alcun potere di disposizione relativamente a situazioni giuridiche facenti capo ad altri, distinti soggetti del rapporto processuale (Cass. civ., n. 869/1995) e, se anche il giudice ha il potere di apprezzare liberamente la dichiarazione e trame elementi indiziari di giudizio nei confronti della altre parti, tali elementi non possono prevalere rispetto alle risultanze di prove dirette (Cass. civ., n. 20476/2016; Cass. civ., n. 20476/2015; Cass. civ., n. 4486/2011).

Invero, i fatti su cui l'interrogato è chiamato a rispondere devono essere obiettivi e non possono avere ad oggetto opinioni o giudizi. Proprio l'obiettività dei fatti sui cui vertono le dichiarazioni rese dalla parte, in sede di interrogatorio formale, rende la valutazione di tali dichiarazioni, ove sostenuta da motivazione congrua e logica, non censurabile in sede di legittimità. Con l'ovvia conseguenza che, se la parte riferisce fatti (a sè sfavorevoli), le sue dichiarazioni avranno valore confessorio. Un valore confessorio, quello dell'interrogatorio formale, che viene meno nei confronti dei soggetti diversi dal confitente (ossia da colui che rende l'interrogatorio).

Osservazioni

L'interrogatorio formale è una tipica prova costituenda, destinata cioè a formarsi nel processo e nel contraddittorio con la controparte. Con tutta probabilità, anzi, si tratta della prova affidata al contraddittorio per antonomasia, in quanto la sua funzione peculiare è rivolta a provocare la confessione giudiziale della controparte.

Tale inequivoca finalità emerge con evidenza dall'art. 228 c.p.c., secondo cui la confessione giudiziale è spontanea o provocata mediante interrogatorio formale.

Tale funzione spiega perché l'interrogatorio formale debba essere dedotto e formulato mediante articoli precisi su cui la parte è chiamata a rispondere (cfr. art. 230, comma 1 c.p.c.).

L'interrogatorio è un mezzo di prova con cui una parte costringe la controparte a pronunciarsi sui fatti allegati emettendo dichiarazioni sia pro se che contra se che potranno perciò valere sia come piena prova, sia come prova liberamente valutabile, sia come argomento di prova; pertanto l'interrogatorio potrà riguardare non solo i fatti rilevanti sfavorevoli all'interrogando e favorevoli al deducente ma anche fatti, comunque rilevanti ai fini del giudizio, volti a provocare dichiarazioni pro se o dei quali non si sappia se siano favorevoli all'interrogando o al deducente.

Poiché la confessione, come si deduce dall'art. 2740 c.c., è la dichiarazione che la parte fa in ordine alla verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla controparte, ben si comprende come gli articoli in cui l'interrogatorio consiste debbano vertere su circostanze fattuali e non su giudizi o su valutazioni e, ancora, come gli stessi debbano avere contenuto potenzialmente confessorio, cioè vertere su fatti costitutivi, impeditivi od estintivi dei diritti della parte dichiarante di cui si discute nello specifico processo in cui il mezzo di prova è dedotto.

La sentenza in commento valorizza la funzione dell'interrogatorio formale quale mezzo diretto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli al confitente e ad esclusivo favore del soggetto deferente.

L'interrogatorio può essere deferito (e quindi può essere chiamato a rispondere) solo a colui che dispone del diritto controverso, poiché solo costui può confessare qualcosa di sfavorevole a sé, ex art. 231 c.p.c.

Ciò spiega per qual motivo le ammissioni sfavorevoli contenute, ad esempio, negli scritti defensionali provenienti dal procuratore alle liti siano prive di valenza confessoria, dal momento che il mandato alle liti ex art. 83 c.p.c. non include il potere di disporre del diritto sostanziale controverso, che è invece requisito essenziale per potere rendere validamente una confessione ex art. 2731 c.c.

Da tale premessa ne deriva che in un rapporto processuale con pluralità di parti l'interrogatorio non può essere deferito, da una parte ad un'altra, su un punto che si dibatte, nel medesimo processo, fra il deferente e il terzo soggetto, non avendo valore confessorio le risposte, eventualmente affermative, fornite dell'interrogato. Invero, la confessione giudiziale produce effetti nei confronti della parte che la fa e della parte che la provoca, ma non può acquisire il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente, in quanto costui non ha alcun potere di disposizione relativamente a situazioni giuridiche facenti capo ad altri, distinti soggetti del rapporto processuale e, se anche il giudice ha il potere di apprezzare liberamente la dichiarazione e trarne elementi indiziari di giudizio nei confronti delle altre parti, tali elementi non possono prevalere rispetto alle risultanze di prove dirette.

In altri termini, la confessione produce effetti nei confronti delle sole parti interrogante ed interrogata, senza acquistare valore di prova legale nei confronti di persone diverse, non avendo il confitente alcun potere di disposizione relativamente a situazioni giuridiche che fanno capo ad altri.

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