Preesistenze concorrenti e prova controfattuale nella valutazione del danno biologico differenziale incrementativo in r.c.

Enzo Ronchi
24 Gennaio 2022

La Corte di Cassazione ha ripetutamente promosso la valutazione del danno biologico, in r.c., con il metodo del danno differenziale incrementativo (DDI), in persona non-integra nello stato anteriore, introdotto –con molte resistenze- da circa venti anni da una parte della Medicina Legale. Peraltro, valorizzato il danno biologico quale pregiudizio dinamico-relazionale, la S.C. ha evidenziato che ai fini applicativi del metodo, si tratta non tanto di procedere da una netta linea di demarcazione fra preesistenze concorrenti e coesistenti secondo risalente tradizione medico legale, quanto di confrontare le forzose rinunce nel danneggiato, prima e dopo il sinistro de quo con approccio controfattuale della causalità materiale, ponendo a confronto vittima reale con preesistenza nello stato anteriore, e vittima ipotetica sana prima dell'infortunio. Le forzose rinunce sono la variabile decisiva di cui il medico legale deve tener conto, ad evitare che si giunga a valutazioni aberranti che, a loro volta, portino poi a liquidazioni economiche non meno distorte e per di più disallineate rispetto alle stesse regole di giudizio della S.C.
Introduzione
La Corte di Cassazione ha ripetutamente promosso la valutazione del danno biologico, in r.c., con il metodo del danno differenziale incrementativo (DDI), in persona non-integra nello stato anteriore, introdotto –con molte resistenze- da circa venti anni da una parte della Medicina Legale. Peraltro, valorizzato il danno biologico quale pregiudizio dinamico-relazionale, la S.C. ha evidenziato che ai fini applicativi del metodo, si tratta non tanto di procedere da una netta linea di demarcazione fra preesistenze concorrenti e coesistenti secondo risalente tradizione medico legale, quanto di confrontare le forzose rinunce nel danneggiato, prima e dopo il sinistro de quo con approccio controfattuale della causalità materiale, ponendo a confronto vittima reale con preesistenza nello stato anteriore, e vittima ipotetica sana prima dell'infortunio. Le forzose rinunce sono la variabile decisiva di cui il medico legale deve tener conto, ad evitare che si giunga a valutazioni aberranti che, a loro volta, portino poi a liquidazioni economiche non meno distorte e per di più disallineate rispetto alle stesse regole di giudizio della S.C.

Si propone il presente ulteriore studio del problema, certamente fra i più complessi e controversi in ambito medico-legale; dando così seguito a recenti e preziosi contributi - su questa stessa rivista - di Enrico Pedoja (6 luglio 2021, Criticità interpretative medico-legali delle recenti sentenze della Cassazione sul danno morale e danno differenziale) e di Enrico Pizzorno (7 ottobre 2021, Sul concetto di concorrenza e coesistenza di danno).

A beneficio del lettore che in passato non vi abbia prestato particolare attenzione, si ricorda anzitutto in sede di sintetiche premesse, che qui non si intende dire del danno differenziale-INAIL, cioè del quid pluris rispetto all'indennizzo previdenziale che l'infortunato sul lavoro ha diritto di richiedere al responsabile civile per ottenere il giusto e completo risarcimento a fronte della minore liquidazione già ottenuta dall'INAIL; e si intende piuttosto tornare sull'argomento della valutazione medico-legale del danno biologico determinato da menomazione permanente aggravata da preesistenza nello stesso distretto anatomo-funzionale.

Ancora qualche premessa per consentire a chiunque di arrivare subito al cuore della problematica.

Secondo i Criteri Applicativi della Tabella delle Menomazioni all'Integrità Psicofisica comprese fra 1 e 9 punti di Invalidità (di cui al

D.M. 3 luglio 2003

), nel caso in cui la menomazione de quo interessi organi o apparati già sede di patologie od esiti di patologie (cosiddette preesistenze concorrenti), le indicazioni poste dalla tabella stessa vanno modificate (in aumento o diminuzione) a seconda dell'effettiva incidenza delle preesistenze rispetto ai valori medi. Negli stessi sostanziali termini sono espressi i criteri applicativi della tabella delle menomazioni fra 10 e 100 punti elaborata alla Commissione Ministeriale istituita con DM 26 maggio 2004, ben nota alla comunità scientifica medico-legale e tuttavia non ancora formalmente validata con intervento del Legislatore.

Esprimendosi in siffatti termini, peraltro, per un'altra volta il Legislatore ha lasciato il mondo medico-legale “in mezzo al guado”: si concede “carta bianca” al medico-legale per aumentare o diminuire, in tali fattispecie, le indicazioni percentuali della tabella? È proponibile una diversa metodologia di valutazione tecnica?

Un esempio pratico potrebbe risultare stringente e di più facile comprensione per il lettore.

Una persona affetta da postumi, già di per sé invalidanti, di pregressa poliomielite infantile all'arto inferiore di sinistra, nel sinistro de quo riporta frattura alla caviglia destra che esita, in forma permanente, con anchilosi a 90° dell'articolazione stessa: menomazione convenzionalmente e concordemente stimata nei barèmes medico- legali di corrente uso, al 12%. È evidente che trattasi di lesione (la frattura di caviglia destra) che ha insistito sull'organo della deambulazione già in precedenza colpito dalla menomazione poliomielitica all'arto controlaterale; e la concorrenza delle due menomazioni condiziona, nella persona, più negative disfunzionalità, maggiori ricadute negative e forzose rinunce nel fare quotidiano (danno biologico dinamico-relazionale), rispetto a quanto sarebbe derivato a soggetto sano nello stato anteriore, per la stessa anchilosi di caviglia destra.

E ora si viene al dunque.

Per quanto previsto dal Legislatore e sopra richiamato, attese le maggiori, negative ricadute nel fare quotidiano, il danneggiato con preesistenza concorrente nello stato anteriore, dovrà beneficiare di un maggiore risarcimento (nel seguito si proporranno altri casi ad esempio).

Ovviamente il contributo valutativo del medico-legale nella finalità del più giusto risarcimento, è irrinunciabile e lo stesso può offrire due soluzioni:

1) Consegna una CTU in cui l'anchilosi della caviglia destra viene valutata non al 12% ma, ad esempio, al 17% (i primi diciassette punti nella tabella di conversione monetaria) seguendo un criterio di “equità medico legale”.

2) Consegna una CTU in cui stabilisce (sempre ad esempio) che la menomazione complessiva attuale (che tiene conto anche della preesistenza concorrente) ha valore del 35%; che la pregressa menomazione (esiti di poliomielite) presentava valore del 25%; e si esprime, pertanto, in termini di danno biologico differenziale del 10%, incrementativo dal preesistente 25% all'attuale 35%.

Le sentenze della Cassazione

È evidente che la soluzione di cui al punto 2) porterebbe il Giudice verso una somma risarcitoria sensibilmente superiore; e tuttavia vedremo come nella quotidianità, contrassegnata ormai in questo preciso ambito da prevalente casistica derivante da “responsabilità medica” (e non certo, come sopra, da casi di poliomielite in esiti), la stessa soluzione può tradursi anche in liquidazioni economiche inferiori: ma tant'è, ciò che conta è cercare di arrivare al più giusto approdo risarcitorio.


Nella quotidiana pratica medico-legale, la soluzione di cui al punto 2) ha guadagnato progressivamente terreno negli ultimi 20 anni; e tuttavia la comunità scientifica resta notevolmente divisa.

Diversamente, si direbbe che non lo sia la Suprema Corte che, attualmente, risulta schierata a favore del danno biologico differenziale incrementativo (nel seguito DDI). Al proposito qui si menzionano Cass. Civ., sez. III, 26 marzo 2014, n. 6341; Cass civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28986; Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28990; Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 2020, n. 514; Cass. civ., sez III, 21 agosto 2020, n. 17555; e più recentemente anche Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2021, n. 27265: sentenze che danno continuità alle regole di giudizio affermate in particolare nella n. 28986/2019 (relatore dott. Marco Rossetti) sulla quale inevitabilmente si tornerà nel seguito, considerate le ampie motivazioni addotte, di sicuro interesse anche per il medico-legale.

Il mondo medico-legale resta tuttavia diviso ciononostante, come risulta dai contributi (già menzionati in sede introduttiva) dei colleghi Enrico Pedoja ed Enrico Pizzorno; e come anche in epoca anteriore già aveva motivato in senso contrario L. Mastroroberto (in Ronchi E., Mastroroberto L., Genovese U., Guida alla valutazione medico-legale dell'invalidità permanente, in responsabilità civile e nell'assicurazione privata contro gli infortuni e le malattie, con contributo medico-legale per la quantificazione della sofferenza morale e del danno da perdita di chances, Giuffrè Editore, Milano, II edizione, 2015).

Va bene evidenziato, a questo punto, che le argomentazioni medicolegali contro il DDI sono tutt'altro che inconsistenti e certamente meritano una attenta ponderazione.

In argomento, le regole di giudizio poste attualmente dalla S.C. (più sopra richiamate), sono improntate ai principi dettati da Cass. civ., sez. III, dell'11 novembre 2019 n. 28986, secondo i quali (per quanto di specifico interesse medico-legale):

1) Di eventuali preesistenze si deve tener conto nella liquidazione del risarcimento, non nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente, il quale va determinato sempre e comunque in base alla invalidità concreta e complessiva riscontrata in corpore, senza innalzamenti o riduzioni, i quali si tradurrebbero in una attività liquidativa esulante dai compiti dell'ausiliario medico-legale.

2) Di eventuali preesistenze si deve tener conto al momento della liquidazione, monetizzando l'invalidità accertata e quella ipotizzabile in caso di assenza dell'illecito, e sottraendo l'una dall'altra entità.

Concetti ribaditi nelle conclusioni della sentenza (vedasi 1.8.5) che richiamano il medico legale ad attenersi alle seguenti, precise regole di giudizio tecnico:

1) Valutare, innanzitutto, il grado di invalidità permanente obiettivo e complessivo presentato dalla vittima, senza alcuna variazione in aumento o in diminuzione della misura standard suggerita dai barèmes medico legali, e senza applicazione di alcuna formula proporzionale.

2) Quantificare in punti percentuali il grado di invalidità permanente della vittima prima dell'infortunio e fornire al Giudice queste due indicazioni.

La contrarietà di parte della Medicina Legale

Tali orientamenti della Suprema Corte hanno non poco scontentato quella parte della comunità scientifica medico legale che, tutt'ora, esprime la sua contrarietà, evidenziando le criticità che di seguito si vanno ad esporre e commentare.

I “contrari” ritengono che il sistema medico legale di valutazione del DDI in r.c., non rispetti “la regola delle regole” secondo la quale esso dovrebbe essere applicato non solo “quando conviene ad un parte” (si percepisce una punta polemica) ma sempre e comunque, come di fatto non avviene in quanto:

a) la linea di confine fra concorrenza e coesistenza è troppo spesso evanescente, invisibile;

b) non viene applicato nel danno biologico temporaneo;

c) comporterebbe un “assurdo valutativo” laddove si fosse in presenza non solo di menomazioni concorrenti ma, ad un tempo, anche di altri postumi derivanti da lesione subita pure nel sinistro de quo e tuttavia estranei, per collocazione anatomo-funzionale, alla concorrenza in termini.

Affermano, inoltre che:

d) il sistema del DDI porrebbe a carico del danneggiante anche parte della patologia preesistente che in nessun modo può essergli addebitata;

e) e che lo stesso si dovrebbe applicare anche nella valutazione della sofferenza soggettiva interiore e dell'eventuale pregiudizio in attività dinamico-relazionali personali (artt. 138, comma 3, e 139, comma 3, d.lgs n. 209/2005), non comuni a tutti.

E tutto ciò produrrebbe altre, rilevanti criticità.

Quella della sostanziale invisibilità del confine fra menomazioni coesistenti e concorrenti (punto a), è certamente la criticità più sentita dal medico legale che voglia accostarsi alla problematica con onestà intellettuale e, pertanto, merita particolare attenzione.

Pizzorno, dando seguito a sostanziose argomentazioni di Autori sopra citati e premesso che la Medicina Legale ha natura scientifica, evidenzia tuttavia come sia “impossibile fornire un parametro percentuale di compromissione dell'integrità psicofisica della persona basato su una forte evidenza scientifica”, come anche riconosciuto nelle Guide dell'American Medical Association; e, nel cuore della problematica, afferma che “Ogni soggetto è un sistema complesso, una rete in cui numerosi agenti parallelamente agiscono e reagiscono al comportamento di altri agenti; il comportamento dello stesso deriva dalla competizione e dalla cooperazione di numerosi e diversi sistemi e dai risultati di un enorme numero di eventi che si verificano ed interagiscono contemporaneamente”. L'Autore chiarisce il suo pensiero richiamando anche un articolo del Gramignani secondo il quale “Il concetto di concorso o sinergia è da intendersi non già ristretto alle sole menomazioni interessanti lo stesso sistema organo-funzionale, bensì esteso anche a quelle interessanti sistemi diversi purché vicendevolmente influenzantisi”; edanche più chiara è la esemplificazione portata da Pizzorno: “Si pensi, ancora, all'amputazione dell'arto superiore dominate che si verifichi però in un soggetto paraplegico e costretto in carrozzina. Si può facilmente comprendere l'esito disastroso della nuova menomazione rispetto allo stato anteriore. Ciò che prima la persona poteva fare - guidare l'auto, svolgere determinati lavori, attendere alla cura della propria persona - risulta oggi impedito (anche far muovere la sua carrozzina ad auto-spinta: ndr). Eppure, si tratta di lesioni che attingono organi differenti, aventi diverse funzioni, però non esiste persona che non comprenda immediatamente come la perdita di quell'arto modifichi enormemente la capacità di vita di quel soggetto. E quindi è evidente come le due menomazioni concorrano pur interessando distretti differenti”.

Neppure difettano in chiarezza le conclusioni di Pizzorno: “È possibile quindi comprendere come la possibilità di valutare precisamente la concorrenza o coesistenza di un danno sia un'illusione oltre che l'ennesima finzione che si realizza nella valutazione del danno alla persona. Se alcune finzioni sono necessarie ed imprescindibili ai fini di un'uniformità di valutazioni, quali ad esempio la tabellazione delle menomazioni … o la descrizione percentuale di menomazioni che in realtà hanno infinite dimensioni, questa, però, non pare necessaria e sembra esclusivamente funzionale a sorreggere una teoria di valutazione del danno che non considera il soggetto nelle condizioni precise in cui si trova quando patisce una riduzione della propria capacità psico-fisica; essa consegue, inoltre, l'effetto paradossale di risarcire di più – in proporzione – chi patisce piccole menomazioni (si pensi al caso della menomazione del gomito in articolazione già menomata) e meno, anche molto, soggetti già notevolmente menomati che subiscono un'ulteriore menomazione”.

Va da sé che, dicendo di quell'effetto paradossale, secondo il quale finisce con l'essere risarcita anche molto meno la persona con grande preesistenza invalidante, l'Autore pensava, appunto, al caso esemplificato del paraplegico nello stato anteriore (80%) il quale, avendo subito l'amputazione di un arto superiore nel sinistro de quo, si vede risarcito il danno con differenziale del 10% (dall'80 al 90%) in luogo del 60% che gli spetterebbe per quella perdita anatomica.

Preesistenze concorrenti e prova controfattuale

Ma un'attenta lettura della già richiamata sentenza Rossetti n. 28986/2019, fa comprendere che “le cose non stanno così”; e che, per un'altra volta, la Medicina Legale deve leggere attentamente il Diritto e ponderarne, anche in senso critico, gli argomenti (per non dire che i migliori risultati potrebbero arrivare dalla “reciprocità”…).

Di fatto, nella diatriba fra medici legali favorevoli e contrari al DDI, si vedono i primi impegnati nello sforzo di dare una separazione tranchante fra preesistenze concorrenti e coesistenti che consenta una “legittimazione”del metodo; ed i secondi concentrati nell'evidenziare - a ragione - come la linea di confine fra le stesse sia evanescente, anzi inesistente, laddove si voglia avere un approccio rigorosamente scientifico e rifiutare l'ennesimo ricorso a convenzioni in ambito “danno alla persona”.

Ma ad entrambi i contendenti la S.C. sembra ora ricordare che dal ginepraio se ne esce dando applicazione a quella prova controfattuale cui regolarmente la Medicina Legale ricorre nel quotidiano studio della causalità materiale e che risulta fondamentale nell'esame della causalità giuridica di cui alla sentenza in discorso.

Seguiamo la n. 28986/2019 e, di pari passo, rileviamone i capisaldi.

“Sono la menomazione e le forzose rinunce da essa indotte a rappresentare il vero e proprio danno in senso giuridico. Perché quest'ultimo possa essere risarcito, dovranno dunque accertarsi due nessi di causa: il primo tra condotta lesiva e lesione; il secondo tra lesione e conseguenze dannose” (in 1.3 ed 1.4: nesso di causalità, rispettivamente materiale e giuridica).

Vien qui spontaneo accostarvi l'insegnamento di A. Cazzaniga, Maestro di Medicina Legale nella Scuola milanese, che già nel 1928 così riconosceva i determinanti del danno: causa lesiva>lesione> menomazione; essendo il danno, la conseguenza economicamente valutabile della menomazione.

Funzione della causalità giuridica è “delimitare l'area del danno risarcibile” (1.4.2).

La causalità giuridica (1.6) va accertata con criterio controfattuale: “vale a dire stabilendo cosa sarebbe accaduto se l'infortunio non si fosse verificato”. E potranno darsi due eventualità: “o le forzose rinunce patite dalla vittima in conseguenza del fatto illecito sarebbero state identiche, quand'anche la vittima fosse stata sana prima dell'infortunio; oppure quelle conseguenze sono state amplificate dalla menomazione preesistente”. “Poiché si tratta di accertare un nesso di causalità giuridica, quel che rileva è il giudizio controfattuale, e dunque lo stabilire … quali sarebbero state le conseguenze dell'illecito, in assenza della patologia preesistente. Se tali conseguenze possono teoricamente ritenersi pari sia per la vittima reale, sia per una ipotetica vittima perfettamente sana prima dell'infortunio, dovrà concludersi che non vi è alcun nesso di causa tra preesistenze e postumi, i quali andranno perciò valutati e quantificati come se a patirli fosse stata una persona sana. In tal caso, pertanto, sul piano medico legale il grado di invalidità permanente sofferto dalla vittima andrà determinato senza aprioristiche riduzioni, ma apprezzando l'effettiva incidenza dei postumi sulle capacità, idoneità ed abilità possedute dalla vittima prima dell'infortunio”.

E poco sopra: “Pertanto non solo la liquidazione del risarcimento, ma anche, prima ancora, la determinazione del grado percentuale di invalidità permanente sofferto da persona già menomata, quando lo stato anteriore della vittima non abbia inciso in alcun modo sui postumi concretamente prodotti dal secondo infortunio, va determinato come se a patire le conseguenze fosse stata una persona sana, in virtù della inesistenza di causalità giuridica fra stato anteriore e postumi”.

Ciò premesso, torniamo al caso tipico di cui sopra, richiamando l'esempio proposto da Pizzorno: Si pensi, ancora, all'amputazione dell'arto superiore dominate che si verifichi però in un soggetto paraplegico e costretto in carrozzina. Si può facilmente comprendere l'esito disastroso della nuova menomazione rispetto allo stato anteriore. Ciò che prima la persona poteva fare - guidare l'auto, svolgere determinati lavori, attendere alla cura della propria persona- risulta oggi impedito”.

Ciò a dire che, pur trattandosi di lesioni che attingono organi differenti, in realtà non sono coesitenti ma concorrenti, tale per cui, seguendo il sistema del DDI (contrastato dall'Autore stesso), alla persona non andrebbe risarcito il valore di danno biologico del 60% per la perdita dell'arto superiore, ma un più modesto DDI del 10% calcolato dall'80% (la preesistente paraplegia) al 90% pari al “lordo attuale”.

Ma evitando “avvitamenti senza fine” nel distinguo fra preesistenze coesistenti e concorrenti, il caso potrebbe essere adeguatamente risolto attraverso esame controfattuale della causalità materiale, ponendo a confronto vittima reale con paraplegia nello stato anteriore, e vittima ipotetica sana prima dell'infortunio de quo.

La vittima ipotetica avrebbe le stesse forzose rinunce, gli stessi sostanziali impedimenti di quella reale (guidare l'auto, svolgere determinati lavori, attendere alla cura della propria persona, ecc.; anche manovrare una carrozzina ad auto-spinta ove si volesse cimentare). Ne deriva che nella vittima reale i postumi andranno perciò valutati e quantificati come se a patirli fosse stata una persona sana, cioè al 60%. Sarebbe così scongiurato “l'effetto paradossale di risarcire di … meno, anche molto, soggetti già notevolmente menomati che subiscono un'ulteriore menomazione”: nessuna penalizzazione per i casi di macro-danno pregresso.

Di regola, quanto sopra si verifica nel caso di preesistenze coesistenti.

Il Giudice della n. 28986/2019, tratta esplicitamente anche delle concorrenti (1.8.2) ed espone le ragioni tecnico-giuridiche secondo cui sono da ritenere erronee “le opinioni secondo cui delle preesistenze concorrenti debba tenersi conto variando, attraverso calcoli e conteggi più o meno sofisticati il grado di invalidità permanente obiettivamente accertato in corpore, e che al giudice non resti altro da fare che convertire in denaro tale percentuale ”: è qui evidente la censura verso la metodologia valutativa medico legale “tradizionale” di cui si è detto, che porta il CTU a consegnare un elaborato peritale in cui l'anchilosi della caviglia destra viene valutata non al 12% ma al 17% seguendo un criterio di “equità medico legale”.

Invero, come si è ricordato in sede introduttiva, il Legislatore, nei Criteri Applicativi della Tabella delle Menomazioni all'Integrità Psicofisica comprese fra 1 e 9 punti di Invalidità (

D.M. 3 luglio 2003

), prevede espressamente che nel caso in cui la menomazione de quo interessi organi o apparati già sede di patologie od esiti di patologie (cosiddette preesistenze concorrenti), le indicazioni poste dalla tabella stessa possano essere modificate (in aumento o diminuzione) a seconda dell'effettiva incidenza delle preesistenze rispetto ai valori medi tabellati; e tuttavia, secondo lo stesso Giudice (1.8.4) si tratta di regola “che, se rettamente intesa -come è doveroso- alla luce dei princìpi generali del diritto civile, null'altro significa se non che, quando si deve stimare il grado percentuale di invalidità permanente sofferto da persona già invalida prima del sinistro, deve tenersi conto delle rinunce complessive cui questa sarà soggetta, senza pretendere di dividere l'essere umano in porzioni anteriori e posteriori al sinistro”.

Fondamentale risulta poi il caposaldo di cui al punto 1.8.5 già menzionato più sopra e che va qui ribadito: “In conclusione, l'accertamento del danno alla salute in presenza di postumi permanenti anteriori all'infortunio, i quali siano in rapporto di concorrenza con i danni permanenti causati da quest'ultimo, richiede al medico legale di valutare innanzitutto il grado di invalidità permanente obiettivo e complessivo presentato dalla vittima, senza alcuna variazione in aumento od in diminuzione della misura standard suggerita dai barèmes medico legali, e senza applicazione di alcuna formula proporzionale. Gli richiederà poi … di quantificare in punti percentuali, il grado di invalidità permanente della vittima prima dell'infortunio, e fornire al giudice queste due indicazioni”.

Ma il medico legale, filtrando analiticamente le preesistenze per decidere se abbiano eventualmente amplificato le conseguenze dannose del sinistro de quo (1.9.3), deve tener ben presente che (1.3) “sono la menomazione e le forzose rinunce da essa indotte a rappresentare il vero e proprio danno in senso giuridico”.

Le forzose rinunce sono la variabile decisiva di cui si deve tener conto, ad evitare che si giunga a valutazioni medico legali aberranti in termini di DDI che, a loro volta, portino poi a liquidazioni economiche non meno distorte e per di più disallineate rispetto alle stesse regole di giudizio della S.C.

Tuttavia è ora necessario aprire una parentesi, a premessa di quanto si dirà oltre ed a beneficio di chiarezza espositiva.

La forzosa rinuncia (ancora 1.3) è “la perdita … della capacità di continuare a svolgere anche una soltanto delle attività svolte dalla vittima primadell'infortunio”. In altre parole, essa si identifica nel danno biologico il quale, secondo codice delle assicurazioni private, è (sarebbe) sostanzialmente pregiudizio dinamico-relazionale (“lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”).

In termini perentori così è ribadito nella nota Ordinanza “decalogo” (n. 7513/2018): “La lesione della salute risarcibile in null'altro consiste … che nella compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane tutte, nessuna esclusa: dal fare, all'essere, all'apparire. Non, dunque, che il danno alla salute comprenda pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno dinamico-relazionale”.

Ma una tanto rigida qualificazione del danno biologico per sola sussistenza di pregiudizio dinamico-relazionale, si scontra palesemente sia con la realtà delle menomazioni di cui alla tabella delle c.d. micro-permanenti allegata al

D.M. 3 luglio 2003

, sia con la quotidiana realtà giudiziale ed extragiudiziale derivante dalle lesioni di lieve entità che, di fatto, sono comunque liquidate ex lege, pur essendo sostanzialmente solo danno alla integrità fisica-anatomica e non avendo apprezzabili, negative ricadute dinamico-relazionali.

Si propongono di seguito pochi esempi estraibili dalla tabella di legge sulle micro-permanenti (fra i numerosi possibili): esiti consolidati di frattura composta di tre-quattro coste; esiti di frattura consolidata di tibia; esito cicatriziale da ustione ad una coscia. Tuttavia, a ben vedere, sembra comprensibile che ognuno di noi abbia “a cuore” la propria tibia, le proprie coste, la cute, che dopo quanto subito non corrispondono più a quelle in naturale dotazione e sono invece interessate da callo osseo o cicatrice tegumentaria, sia pure in assenza di apprezzabili ricadute disfunzionali. In fin dei conti, si tratta di piccoli risarcimenti per lesioni di lieve entità da cui possono anche non derivare forzose rinunce: il tennista con buoni esiti di frattura tibiale, torna alla sua passione sportiva più di prima.La cosa poi risulta di macroscopica evidenza in caso di perdita anatomica monolaterale in certi organi pari/gemelli dove il superstite “normale” garantisce la funzione e concede alla vittima una vita sostanzialmente esente da pregiudizio dinamico-relazionale. La menzionata tabella di legge, ad esempio, prevede un valore oscillante dal 5 all'8% per la perdita di un testicolo in età post-puberale o di un ovaio in età fertile: organi che ci stanno non di meno “a cuore”. Ma se le cose stessero come vorrebbe l'Ordinanza “decalogo”, neppure avrebbe ragione d'essere la stima (nell'ambito delle macro-permanenti) del 10% per la perdita della milza o del 15% per la perdita di un rene con organo superstite integro e la Medicina Legale dovrebbe “buttare alle ortiche” non pochi studi e confronti congressuali.

Sia consentito tornare alla utile reciprocità di studio fra Diritto e Medicina Legale.

Dunque, la identità danno biologico=pregiudizio dinamico-relazionale, non può essere tanto rigorosa (come non lo è nel quotidiano), una sorta di inviolabile sancta santorum: e da ciò si deve trarre indicazione anche per una più corretta applicazione medico legale del DDI.

D'altro canto, la sentenza in esame, come sopra ricordato, offrendo più corretta interpretazione dei criteri applicativi della tabella medico legale di legge, dice che “quando si deve stimare il grado percentuale di invalidità permanente sofferto da persona già invalida prima del sinistro, deve tenersi conto delle rinunce complessive cui questa sarà soggetta”.

Ed un'attenta ponderazione di tale variabile nell'ambito del ragionamento controfattuale, ad avviso dello scrivente deve guidare il medico legale nel decidere se la menomazione preesistente cagiona amplificazione delle conseguenze dannose, cioè delle forzose rinunce, e se sia pertanto proponibile una valutazione in DDI. Alcuni esempi pratici potrebbero essere utili per dare chiarezza alla cosa.

  • Lesione al nervo femorale in corso di impianto protesico d'anca. Le forzose rinuncedate dalla protesi avrebbero comportato, ad es., danno biologico del 20% e sono ora amplificate (rispetto al soggetto sano nello stato anteriore) a causa delle conseguenze dell'errore chirurgico, con danno lordo del 30%. Pertanto DDI dal 20 al 30%.
  • Anchilosi per esiti di frattura di caviglia (12% in soggetto integro nello stato anteriore) in preesistente paraplegia di valore 80%. Corretto valutare DDI solo se comprovato incremento delle forzose rinunce. Ad es.: per abbandono di progetto di esoscheletro > DDI dall'80 all'83%.
  • Paraplegico nello stato anteriore che nel sinistro de quo subisce amputazione di alluce (in sé 6% secondo D.M. 3 luglio 2003). Se non sono provate aggiuntive forzose rinunce > danno biologico dell'1-2% per mero pregiudizio anatomico, senza DDI.
  • Impianto di protesi d'anca che si infetta per r.c. ospedaliera. Rimozione della protesi e successivo re-impianto con buon risultato ma con allungamento della cicatrice chirurgica ed esito di maggiori cruentazioni dei tessuti. Nessuna aggiuntiva forzosa rinuncia. Mero danno anatomico stimabile al 2-3%. Improponibile DDI dal 20% (per protesi) al 22-23%.
  • Invalido civile al 100% per oligofrenia da sindrome di Down che subisce lesione cranio-encefalica. Rivalutare con criteri di r.c. la preesistenza (es. 80%) e procedere con DDI dall'80 al 90% ancorché la invalidità permanente in esito a quella lesione cranio-encefalica avrebbe valore del 30% in soggetto integro nello stato anteriore.
    • Stato anteriore con protesi all'anca dx e sin. Nel fatto de quo: impianto protesico al ginocchio sin > infezione ospedaliera trascurata > amputazione di arto inferiore sin. Le forzose rinunce aggiuntive comportano DDI dal preesistente 30% al 70% lordo. Con metodo tradizionale, danno permanente al 60%.

Quanto argomentato fino ad ora, ad avviso dello scrivente vale anche a proposito della criticità segnalata dai “contrari” e più sopra indicata al punto c).

Si ponga il caso di persona con esiti di poliomielite infantile all'arto inferiore dx che nel sinistro de quo subisca frattura al terzo medio di gamba sinistra ed anche frattura ad un polso. Sarebbe paradossale, inaccettabile, essi affermano, che si valuti la menomazione deambulatoria, in concorrenza, come DDI (es. dal 25% preesistente al 33% attuale) e, separatamente, con metodo tradizionale gli esiti di frattura di polso, mera coesistenza (ad es. 5% con valore economico nei primi cinque punti).

Ma le regole della sentenza Rossetti prescindono dal distinguo “concorrenze/coesistenze” che sempre è stato una costante nella trattatistica medico legale (vi ha contribuito anche lo scrivente). Chiedono, piuttosto, che si vadano ad esprimere percentualmente le forzose rinunce di cui allo stato anteriore e quelle complessive, lorde, attuali, fornendo i due dati tecnici ed avuto riguardo al ragionamento controfattuale, cioè avendo ipotizzato anche una vittima teorica, sana prima del sinistro: di qui, DDI dal 25% preesistente, all'attuale complessivo del 38% (e va da sé che i numeri sono qui portati ad esempio, con sola finalità di chiarezza).

Da notare che certamente non a caso la sentenza in esame aggiunge (1.9.5): “Non ha pregio il rilievo secondo cui l'applicazione rigida di tale criterio potrebbe condurre ad esiti iniqui o paradossali. Infatti, dal momento che si versa pur sempre in tema di liquidazioni equitative ex art. 1226 c.c., sarà sempre possibile per il giudice di merito aumentare e ridurre il risultato finale del calcolo liquidatorio, ove lo impongano le circostanze del caso concreto”. E ciò a proposito della criticità segnalata dai “contrari” al punto d) di cui sopra: ma si è anche evidenziato essere vero l'esatto contrario (liquidazioni inferiori) in molti casi di danno iatrogeno.

È ora auspicabile che si ricredano coloro che giudicano professione facile quella del medico legale: ma pure il Giudice (anche meglio) deve saper fare la sua parte.

Resta da dire a proposito di DDI versus danno biologico temporaneo e versus sofferenza soggettiva interiore (SSI) ed eventuale pregiudizio in attività dinamico-relazionali personali (punti b ed e).

Circa il contributo tecnico che può dare il medico legale ai fini della stima economica della SSI e di pregiudizi eventuali di cui agli artt. 138, comma 3, e 139, comma 3, d.lgs n. 209/2005, nulla cambia laddove si debba procedere con DDI, atteso che si tratterebbe comunque di indicazioni meramente descrittive, preliminarmente filtrate da valutazioni di ordine eziologico.

Correttamente, i “contrari” tengono a sottolineare che nella forma temporanea e permanente, il danno biologico non possa che essere ontologicamente eguale, variando solo la “intensità di lesione”; e pertanto si domandano perché, laddove si tratti di “concorrenza” che porti all'applicazione del DDI, nel calcolo dei periodi di inabilità temporanea non si tenga conto della preesistenza e la si riconosca comunque anche nella forma assoluta.

Per un'altra volta, ciò che guasta il ragionamento medico legale è il (pedante?) distinguo “concorrenza/coesistenza” di cui invece si libera nella n. 28986/2019, che ne fa piuttosto una questione di “forzose rinunce e prova controfattuale”.

Nel punto 1.8.3, ponendo ad esempio il caso di persona con preesistente anchilosi di un ginocchio che a causa del nuovo sinistro presenti poi un'anchilosi anche all'altro, la sentenza dice: “Egli avrà dunque una validità ante-sinistro (il ‘suo' 100%) non comparabile con quella degli altri individui, ed è rispetto a tale concreta validità, e non a calcoli astratti, che andrà determinata l'effettiva incidenza del danno alla salute.
È, infatti, l'entità delle concrete rinunce indotte dalla menomazione che determina l'entità del danno, e tale entità può rivelarsi nei singoli casi assai cospicua anche per una persona già affetta da gravi invalidità se, nonostante queste, il danneggiato riusciva comunque a dedicarsi ad attività per lui gratificanti, ed alle quali abbia dovuto rinunciare a causa del secondo infortunio”.

L'argomento è trattato in sentenza, a proposito della invalidità permanente; e quella della temporanea nemmeno è stato sfiorato dallo stesso Giudice.

Vale tuttavia, ad avviso dello scrivente, anche per il danno biologico temporaneo, tale per cui di una persona paraplegica nello stato anteriore che finisca ricoverata in un momento successivo per una frattura di gamba, si dirà che nel periodo di degenza ha avuto forzose rinunce, rispetto al pre-sinistro, atte a configurare totale incapacità: come, allo stesso modo, in via controfattuale, a parità di nuova lesione avrebbe avuto la teorica vittima sana nello stato anteriore.

Conclusioni

Il sistema del danno differenziale incrementativo in r.c., da oltre vent'anni introdotto da una parte della Medicina Legale, è ora promosso dalla Suprema Corte, la quale, peraltro, ne ha pure corretto i criteri applicativi, tale per cui allo stato esso sembra utilizzabile nel quotidiano in assenza di criticità rilevanti.

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