L'analisi di comparabilità delle funzioni e delle caratteristiche dei prodotti è fondamentale per la normativa sui prezzi di trasferimento
04 Febbraio 2022
Massima
Secondo la Corte di Cassazione, l'Agenzia delle Entrate, per effettuare delle rettifiche ai fini della normativa sul transfer pricing, deve procedere, oltre che all'analisi di similarità delle caratteristiche dei prodotti presi a campione, anche all'analisi funzionale, dando rilievo alla funzione economica ricoperta dall'impresa concorrente i cui prezzi siano stati presi a campione, con particolare riferimento ai rischi assunti, sia dalla contribuente, sia dall'impresa i cui prodotti sono presi a campione, quale presupposto della comparabilità delle operazioni. Il caso
Con ordinanza del 10 agosto 2021, n. 22539, la Corte di Cassazione ha stabilito che, relativamente alla normativa sul transfer pricing, è necessario che l'Ufficio effettui delle verifiche di comparabilità, che riguardano, sia le funzioni, sia i prodotti, dei soggetti presi a riferimento. In particolare, l'Agenzia delle Entrate deve procedere ad effettuare una valutazione della funzione economica svolta dall'impresa concorrente dell'impresa e compararla con quella della società accertata. Inoltre, deve verificare le caratteristiche dei prodotti e accertare se sono simili. Pertanto, qualora manchi, sia la similarità dei prodotti oggetto di comparazione (con riguardo alle caratteristiche fisiche e di commercializzazione del bene, alla qualità e alla affidabilità), sia la comparabilità della funzione economica svolta dall'impresa concorrente (i cui prodotti sono stati presi a riferimento) rispetto alla ricorrente, diverse essendo le strutture organizzative dell'impresa presa a campione rispetto alla società contribuente, la rettifica erariale deve essere annullata. La questione
È necessario, a questo punto, ricordare che la disciplina dei prezzi di trasferimento in Italia è contenuta nel comma 7, art. 110, d.P.R. n. 917/1986 e recentemente ha subito delle modifiche (Per un maggiore approfondimento su questo argomento, si rinvia alla Circolare Assonime n. 17 del 2017. Anche la Circolare della Guardia di Finanza n.1 del 2018 si è occupata delle modifiche normative alla normativa in esame). Tale norma, rubricata "Norme generali sulle valutazioni", disponeva, nella versione precedente a quella attuale ed in vigore all'epoca dei fatti della causa in esame, che: "I componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o indirettamente, controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva un aumento del reddito; la stessa disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma soltanto in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri [...]. La presente disposizione si applica anche per i beni ceduti e i servizi prestati da società non residenti nel territorio dello Stato per conto delle quali l'impresa esplica attività di vendita e di collocamento di materie prime o merci o di fabbricazione o lavorazione di prodotti". Con l'art. 59, comma 1, D.L. 24 aprile 2017, n. 50, è stato modificato il comma 7 dell'art. 110, il quale ora prevede che le maggiori componenti di reddito sono determinate con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili. Con il decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze del 14 maggio 2018, sono state fornite le linee guida per l'applicazione della nuova normativa in materia di transfer pricing.
Come previsto dall'ordinanza in esame, che si è occupata di una rettifica relativa ad un periodo precedente a quello di entrata in vigore della nuova normativa, il suddetto decreto non sarebbe applicabile nel caso di specie ma risulterebbe valorizzabile ulteriormente in termini di interpretazione evolutiva al fine di ritenere che l'art. 9 TUIR, comma 3, (non più aggiornato), non costituisca, secondo l'interpretazione di questa Corte, esclusivo perimetro di individuazione della metodologia di ricostruzione del "valore normale", inteso quale prezzo praticabile dall'impresa residente in condizione di libera concorrenza e in circostanze comparabili (come, del resto, risultante dalla lettera dell'attuale formulazione dell'art. 110 TUIR, comma 7). La problematica della comparabilità è tratta dall'art. 3 di tale Decreto. In particolare, in tale disposizione viene specificato che, tra le transazioni prese a riferimento, non ci devono essere differenze significative, che possono incidere sui prezzi delle transazioni analizzate o su altri indicatori finanziari; ma qualora si dovessero constatare alcune diversità, si dovrà procedere ad effettuare delle opportune rettifiche. Inoltre, per determinare se due operazioni sono comparabili è necessario fare riferimento ad alcuni fattori rilevanti, quali:
Pertanto, da tale decreto si evince che il concetto di “prezzo giusto”, definito legislativamente, si uniforma al principio di libera concorrenza consigliato in via primaria dall'OCSE per la determinazione della congruità del prezzo di trasferimento. In breve, tale valore deve essere uguale o similare a quello che sarebbe stato pattuito per transazioni assimilabili da terze imprese indipendenti.
A questo punto è necessario ricordare che, al fine di verificare la correttezza della determinazione dei prezzi di trasferimento, sono stati elaborati alcuni criteri: i metodi basati sulla transazione (quello del confronto del prezzo, quello del costo maggiorato e quello del prezzo di rivendita) e i metodi basati sugli utili (quello della ripartizione dei profitti globali, quello della comparazione dei profitti, quello della redditività del capitale investito). Quasi tutti tali metodi sono stati richiamati dall'art. 4 del Decreto ministeriale in commento, il quale esprime una preferenza per il metodo del confronto del prezzo, stabilendo, però, che, in caso di maggiore affidabilità nelle analisi delle transazioni, è possibile per il contribuente utilizzare anche un criterio diverso da quelli elencati. In ogni caso, il Decreto conferma di fatto un principio fondamentale, ovvero che l'analisi dei prezzi di trasferimento si deve basare su elementi comparabili. Infatti, viene sancito che, qualsiasi sia il metodo utilizzato, compreso quelli basati sugli utili, è necessario che le transazioni prese a riferimento siano confrontabili. In caso contrario, la comparabilità dei prezzi non è possibile. La soluzione giuridica
Del resto, come chiarito dalla stessa Agenzia delle Entrate in provvedimenti precedenti a quello del 2018, l'analisi della comparabilità è l'elemento essenziale del modo di procedere, valide per ogni modalità di controllo adottata. In particolare, tale analisi, secondo l'Amministrazione finanziaria deve avere per oggetto:
Pertanto, secondo l'Agenzia delle Entrate l'analisi deve essere basata su elementi comparabili, altrimenti non è possibile effettuare le eventuali rettifiche. L'analisi di comparabilità è richiesta anche dalla bozza di Circolare che contiene i chiarimenti in tema di documentazione idonea a consentire il riscontro della conformità al principio di libera concorrenza dei prezzi di trasferimento praticati – (articolo 1, comma 6, e articolo 2, comma 4-ter, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471) Si ricorda che il Ministero delle finanze ha fornito utili indicazioni sul fenomeno del “transfer pricing” nelle ormai datate C.M. n. 32/9/2267 del 22 settembre 1980 e n. 42/12/1587 del 12 dicembre 1981. Successivamente sono stati emessi il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 29 settembre 2010,prot. n. 2010/137654, la Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 58/E del 15 dicembre 2010, e la Circolare delle Dogane n. 16/D del 6 novembre 2015. Anche la Circolare della Guardia di Finanza n.1 del 2018 si è occupata delle modifiche normative alla normativa in esame. A questo punto, è necessario rilevare che tali principi sono coerenti con altre sentenze di giudici di merito, i quali hanno sostenuto che l'analisi effettuata dall'Agenzia delle Entrate, per rettificare i prezzi, non si era basata su elementi comparabili e, quindi, le relative contestazioni che dovevano considerarsi infondate (cfr. Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza del 18 dicembre 2017, n. 7038/17, e Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza del 18 aprile 2017, n. 2961). In caso contrario, vi sarebbe una violazione della normativa contenuta nell'art. 110, comma 7, del TUIR.
Tali considerazioni valgono anche nel caso in cui le attività esercitate dalle società prese a confronto siano comprese nello stesso codice ATECO (cfr. Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza numero 3165/34/15 del 9 luglio 2015.). Inoltre, tale tesi non cambierebbe neppure quanto vengono utilizzati metodi alternativi a quelli tradizionali, quale quello del TNMM (cfr. Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con la sentenza n. 3115/6/20 del 29 dicembre 2020, Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la sentenza n. 539/1/16 del 28 gennaio 2016, e Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la sentenza n. 4904/25/16, del 7 luglio 2016). Sulla necessità della comparabilità delle transazioni, si espressa, infine, anche la Corte di Cassazione (Con la sentenza n. 15282 del 21 luglio 2015) che ha accolto i motivi del ricorso di un contribuente, il quale aveva impugnato una sentenza di una CTR, stabilendo che i giudici di secondo grado non avevano basato la propria decisione su un'analisi delle differenze Osservazioni
L'ordinanza della Suprema Corte in commento è importante, in quanto conferma la tesi secondo la quale incombe sull'Amministrazione finanziaria fornire un convincente supporto probatorio, quantomeno sulla verosomiglianza dell'inosservanza della normativa di riferimento. In caso contrario, l'accertamento si risolverebbe, come è successo nella controversia in oggetto, in un inammissibile enunciato locutorio. Pertanto, l'amministrazione finanziaria ha l'onere di confrontarsi con le varie metodologie di accertamento prese in esame dal contribuente e verificarle, ai fine di superare il dato contrattuale (e testuale) del prezzo praticato nella transazione infragruppo, scegliendo il metodo più appropriato al caso concreto e, così, assolvendo all'onere della prova circa l'applicazione del valore di comparazione più adeguato.
Ove l'Ufficio, ad esempio, intenda accedere al metodo del confronto del prezzo, deve procedere, oltre che all'analisi di similarità delle caratteristiche dei prodotti presi a campione, anche all'analisi funzionale, dando rilievo alla funzione economica ricoperta dall'impresa concorrente i cui prezzi siano stati presi a campione, con particolare riferimento ai rischi assunti sia dalla contribuente, sia dall'impresa i cui prodotti sono presi a campione, quale presupposto della comparabilità delle operazioni Nell'ipotesi, invece, in cui l'Ufficio intenda utilizzare (ovvero escludere) il metodo alternativo del prezzo di rivendita (utile in caso di operazioni di commercializzazione), l'Ufficio dovrà sottrarre dal prezzo di rivendita praticato a una impresa indipendente terza (avuto riguardo, quindi, al prezzo finale di collocazione sul mercato) i margini lordi dei vari intermediari della intera catena distributiva, a ritroso praticati dalle imprese del gruppo, destinati alta copertura dei costi di vendita e di gestione, nonchè considerando i beni utilizzati e i rischi assunti. |