Termini per il pagamento del saldo del prezzo: prevalenza di quello indicato dal g.e. nell'ordinanza di vendita

Giulio Cicalese
Giulio Cicalese
10 Febbraio 2022

La Suprema Corte, col chiaro (e non sempre condivisibile) intento di esaltare il ruolo dell'ordinanza di vendita come lex specialis del subprocedimento di vendita forzata, ha ammesso che essa possa derogare alle disposizioni di cui all'art. 574, commi 1 e 3, c.p.c. sui termini per il versamento del prezzo di aggiudicazione.
Massima

Nell'ambito di un subprocedimento di espropriazione immobiliare, il termine perentorio per il versamento del saldo da parte dell'aggiudicatario del bene è quello stabilito dal giudice con l'ordinanza di vendita; ne deriva, in questa ipotesi, che la mancata comparizione dello stesso aggiudicatario alla pubblica udienza fissata per l'esame delle offerte non impone di comunicargliene l'esito e non giustifica una dilazione del termine in questione; al contrario, il diverso termine fissato dal medesimo giudice con il decreto previsto dall'art. 574, comma 1, c.p.c. trova applicazione solo qualora la menzionata ordinanza non contenga indicazioni al riguardo.

Il caso

L'aggiudicatario di un immobile oggetto di espropriazione proponeva opposizione ex art. 617 c.p.c. contro l'ordinanza con la quale il g.e. l'aveva dichiarato decaduto a norma dell'art. 587 c.p.c. per non aver versato il prezzo offerto nel termine fissato.

Il tribunale di Trani rigettava l'opposizione; avverso tale decisione l'aggiudicatario proponeva ricorso straordinario per Cassazione.

La questione

L'aggiudicatario decaduto, il quale non aveva partecipato all'udienza per l'esame delle offerte, deduceva a sostegno della propria opposizione di non aver ricevuto la comunicazione del decreto ex art. 574, comma 1, c.p.c. e, di conseguenza, di esser stato dichiarato decaduto senza che fossero mai effettivamente decorsi i termini per il versamento del prezzo.

Il Tribunale, nel rigettare l'opposizione, affermava che i predetti termini andassero computati a partire dall'udienza per la deliberazione sulle offerte, avendo il g.e. già implicitamente derogato allo schema dell'art. 574, comma 1, c.p.c. per aver stabilito in sede di ordinanza di vendita che il prezzo andasse versato entro il «termine indicato in offerta (o, in mancanza, entro 90 giorni dall'aggiudicazione)».

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, investita delle medesime questioni di diritto già esaminate dal Tribunale, conferma gli esiti interpretativi raggiunti in quella sede.

In particolare, essa ha affermato che il g.e., nell'emettere l'ordinanza di vendita - vera e propria lex specialis del subprocedimento di vendita forzata immobiliare -, ha il potere di derogare all'ordinaria disciplina del computo dei termini per il versamento del prezzo decorrenti dalla comunicazione del decreto ex art. 574 c.p.c.

L'anzidetto approdo ermeneutico si basa su due ragioni: in primo luogo, con l'ordinanza ex art. 569 c.p.c. il g.e. stabilisce condizioni di vendita che, essendo ab initio conoscibili da tutti i potenziali aggiudicatari, potranno esser seguite per tutto il procedimento senza alcun pregiudizio per questi ultimi pur quando siano derogatorie alla disciplina codicistica; secondariamente, lo schema previsto dall'art. 574, commi 1 e 3, c.p.c. non sarebbe dotato di alcun elemento di imperatività, per cui il g.e. potrebbe discostarsene senza incorrere in alcun vizio di illegittimità dell'ordinanza di vendita.

Osservazioni

Lo snodo centrale della sentenza in commento è costituito dall'argomentazione secondo la quale l'art. 574, comma 1,1° periodo e 3° comma c.p.c. trova applicazione nell'esclusiva circostanza in cui l'ordinanza di vendita nulla abbia disposto in merito al termine per il saldo del prezzo ed alla relativa decorrenza.

Osservando più da vicino i passaggi logici seguiti dalla Suprema Corte, però, alcuni aspetti non appaiono del tutto convincenti: innanzitutto, è bene ricordare che, nel caso di specie, l'ordinanza ex art. 569 c.p.c., con la quale il g.e. già di norma «stabilisce il termine, non superiore a centoventi giorni dall'aggiudicazione, entro il quale il prezzo dev'essere depositato», prevedeva che il saldo del prezzo dovesse esser depositato nel «termine indicato in offerta (o, in mancanza, entro 90 giorni dall'aggiudicazione)».

La Corte di cassazione ha interpretato la predetta ordinanza ricavandone che il g.e., attraverso di essa, abbia inteso fissare anche i criteri per la decorrenza del termine per il versamento del prezzo, individuando il relativo dies a quo nell'udienza durante la quale è pronunciato il decreto di aggiudicazione e, per tale ragione, ha dedotto la disapplicazione dell'art. 574 c.p.c.

A ben vedere, però, tale approdo non sembra tener conto degli effettivi rapporti intercorrenti tra gli artt. 569 e 574 c.p.c.: entrambe le norme fanno riferimento alla fissazione, da parte del g.e., di un termine (che la giurisprudenza di legittimità qualifica come perentorio: cfr. Cass. civ., nn. 11171/2015 e 32136/2019) entro il quale l'aggiudicatario deve provvedere al versamento delle somme da lui offerte per l'acquisto del bene staggito; dalla lettura delle citate disposizioni si evince che l'elemento distintivo tra di esse consta del fatto che il giudice, all'esito dell'udienza fissata per l'esame delle offerte, deve altresì emettere un decreto con il quale stabilisce i modi e (soprattutto) i termini per l'adempimento dell'aggiudicatario, decorrenti dal momento della comunicazione del provvedimento stesso per cui, «se il prezzo non è versato a norma del decreto di cui al primo comma», andrà dichiarata la decadenza dell'aggiudicatario.

Dunque, non è ben chiaro comprendere come un'ordinanza di vendita, che si sia limitata a stabilire il termine per il versamento del prezzo, possa derogare all'impianto normativo dell'art. 574 c.p.c., fissando la decorrenza di tale termine dal momento della pronuncia in udienza e non dalla comunicazione del provvedimento di aggiudicazione.

Ed infatti, ciò che effettivamente rileva dell'ordinanza ex art. 569 c.p.c. va rinvenuto nella fissazione di un termine di massimo di 90 giorni per il versamento del saldo giacché, quand'anche nulla fosse stato disposto relativamente al termine indicato dall'offerente, quest'ultimo ne sarebbe comunque stato vincolato (essendo egli tra l'altro obbligato a specificarlo, a norma dell'art. 571 c.p.c.); inoltre, stando all'art. 573, comma 3, c.p.c., in presenza di più offerte, la migliore dev'essere individuata anche tenendo conto del termine per il versamento in essa riportato.

È quindi evidente che le rationes sottese alle norme poc'anzi citate si estrinsechino proprio nel momento in cui il g.e., esaminata la miglior offerta, ne traspone il contenuto nel decreto pronunciato ex art. 574 c.p.c., i cui effetti per l'aggiudicatario decorrono a partire dalla comunicazione dello stesso.

Nel caso di specie, il modo in cui l'ordinanza di vendita ha disposto relativamente alla quantificazione del termine per il versamento non sembra quindi sufficiente a derogare al modello appena descritto, non potendosi invece ricondurre il dies a quo del predetto termine all'udienza fissata per l'esame delle offerte e la delibera sulle stesse; la Suprema Corte, al contrario, ha ritenuto che questa dovesse essere la soluzione ermeneutica da preferire e ha pertanto affermato che l'aggiudicatario non avesse alcun diritto di ricevere comunicazioni al di fuori dell'udienza qualora non vi avesse partecipato: in tale circostanza, infatti, egli avrebbe finito per ottenere un vantaggio indebito rispetto agli altri offerenti che avessero viceversa preso parte all'udienza e che, avendo in quella sede avuto notizia degli esiti della deliberazione sulle offerte, avrebbero avuto un termine per il versamento decorrente a partire da quel momento.

Per la sentenza che qui si commenta, inoltre, mediante l'ordinanza di vendita, il g.e. può derogare all'impianto dell'art. 574, comma 1, c.p.c. poiché mancante del presupposto dell'imperatività: in sostanza, il meccanismo predisposto dalla citata norma fungerebbe da mero indirizzo procedurale, per cui ove un'ordinanza di vendita ne superi integralmente la portata prescrittiva essa sarebbe del tutto legittima.

Il percorso attraverso il quale la Corte di Cassazione arriva ad affermare i citati principî trae indubbiamente spunto da alcuni suoi precedenti, all'interno dei quali si è affermato che l'ordinanza di vendita, il cui contenuto fosse antinomico rispetto ad altre disposizioni codicistiche in materia di vendita forzata, può comunque fungere da lex specialis del subprocedimento de quo qualora non venga tempestivamente impugnata ex art. 617 c.p.c. (cfr. Cass. civ., nn. 9255/2015, 32136/2019).

Questo filone interpretativo si basa su due fondamentali argomentazioni: in primo luogo, secondo una tesi tradizionale, nel sistema esecutivo non ci si potrebbe dolere della nullità riflessa di un atto se non in sede di opposizione dell'atto che ne è inficiato – ovvero, qualora ciò sia stato impossibile, in sede di opposizione all'atto immediatamente successivo – così che, se non è prontamente fatta valere la nullità dell'ordinanza di vendita, non è possibile impugnare poi gli ulteriori atti esecutivi che si siano conformati al suo contenuto precettivo (cfr. già Cass. civ., n. 1141/1975); in seconda istanza, poi, una volta decorso inutilmente il termine per la proposizione dell'opposizione agli atti, si genererebbe un incondizionato affidamento da parte della platea dei potenziali aggiudicatari in merito all'immutabilità, alla trasparenza ed alla coerenza delle condizioni della vendita, mentre la possibilità di modifica successiva delle stesse senza dubbio comporterebbe l'alterazione delle determinazioni di ciascun potenziale offerente in merito alla partecipazione alla gara.

Com'è facile intuire, tali rilievi si fondano sull'esigenza di garantire la più corretta funzionalizzazione del subprocedimento di espropriazione immobiliare affinché esso, stimolando la partecipazione di un più vasto pubblico di offerenti, raggiunga proficuamente il suo scopo ultimo, e cioè la piena soddisfazione del creditore con il minor sacrificio possibile per il debitore.

Sembra dunque che la III Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, abbia inteso sottolineare ancora una volta la necessità dell'immutabilità delle condizioni di vendita con il precipuo scopo di salvaguardare l'affidamento della platea dei potenziali aggiudicatari; si tratta, infatti, di un'esigenza profondamente avvertita da giudici di legittimità, anche se chi scrive ritiene che la sua salvaguardia debba passare anche attraverso il rispetto e la tutela delle forme predisposte dal legislatore che, pur non essendo sempre perfette, costituiscono il riferimento principale per ogni operatore che si intenda affacciare ad una vendita forzata.

Riferimenti
  • Auletta, La riforma dell'esecuzione forzata immobiliare, con particolare riferimento ai contenuti dell'ordinanza di vendita ed alla disciplina della presentazione e valutazione delle offerte: una prima lettura, in Riv. esec. forz., 2016, II, 205;
  • Conforti, La decadenza dell'aggiudicatario nell'espropriazione immobiliare, in Riv. esec. forz., 2021, II, 290;
  • Farina, Note (minime) sul sistema dei controlli degli atti del processo esecutivo, in Riv. esec. forz., 2018, III, 476.