Recesso da CCNL, clausola di ultrattività e condotta antisindacale

08 Novembre 2021

Non costituisce condotta antisindacale, ai sensi dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori, il comportamento del datore di lavoro il quale abbia sottoscritto un nuovo contratto collettivo, sostituendo il trattamento in precedenza applicato, frutto di accordo con alcune organizzazioni sindacali...
Massima

Non costituisce condotta antisindacale, ai sensi dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori, il comportamento del datore di lavoro il quale abbia sottoscritto un nuovo contratto collettivo, sostituendo il trattamento in precedenza applicato, frutto di accordo con alcune organizzazioni sindacali, con il trattamento concordato con altri sindacati, ed imponendo tale nuovo trattamento agli iscritti al sindacato non stipulante nonostante l'esplicito diniego espresso.

Il caso

Con ricorso ex art. 28, l. n. 300/1970, alcune organizzazioni sindacali adivano il Tribunale, sostenendo la natura antisindacale della condotta tenuta dalla società, la quale aveva disapplicato il contratto collettivo venuto in scadenza ed applicato un nuovo contratto collettivo stipulato da sindacati non rappresentativi ed estranei al modello di rappresentanza.

Il contratto collettivo dal quale la Società aveva comunicato la disdetta prevedeva una clausola di ultra vigenza sino alla sottoscrizione di un nuovo contratto collettivo.

La questione

Al contratto collettivo che prevede una clausola di ultra vigenza sino alla stipulazione di un nuovo contratto collettivo, può applicarsi il regime di libera recedibilità al quale sono soggetti i contratti collettivi a tempo indeterminato?

Le soluzioni giuridiche

Preliminarmente, il Tribunale di Roma afferma la non sussistenza della condotta antisindacale del datore di lavoro per aver sottoscritto un nuovo CCNL con sindacati diversi rispetto ai firmatari del precedente contratto. Infatti, sulla base dell'orientamento giurisprudenziale prevalente (cfr. Corte appello Milano, sez. lav., 7 aprile 2021, n. 351; Cass. 20 agosto 2019, n. 21537; Cass. 28 ottobre 2013, n. 24268), non sussiste un obbligo a carico del datore di lavoro di trattare e stipulare contratti collettivi con tutte le organizzazioni sindacali.

Invero, fermo restando l'intangibilità dei diritti già entrati definitivamente nel patrimonio dei lavoratori, rientra nell'autonomia negoziale datoriale non solo la libertà di trattare ma anche la libertà di scegliere la controparte contrattuale.

Ciò premesso, la sentenza in commento si sofferma sui limiti applicabili alla libertà di recesso, libertà regolata dai principi civilistici.

Per giurisprudenza consolidata (Cass. 7 novembre 2018, n. 28456; Cass. 19 aprile 2011, n. 8994), solo tutte le parti stipulanti, ossia le associazioni sindacali e datoriali, possono legittimamente recedere dal contratto collettivo in essere.

Pertanto, se il contratto collettivo prevede un termine di scadenza, non è consentito al datore di lavoro recedere dal contratto applicato anticipatamente.

Diversamente, nei contratti collettivi a tempo indeterminato il datore di lavoro può legittimamente recedere dal contratto, non potendo le parti essere per sempre vincolate da detto contratto “altrimenti vanificandosi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve essere parametrata su una realtà socio-economica in continua evoluzione” (Cass. 20 agosto 2019, n. 21537; Cass. 11 dicembre 2018, n. 31991; Cass. 28 ottobre 2013, n. 24268).

Tuttavia, laddove il contratto collettivo preveda una clausola di ultrattività, l'applicazione dei suddetti consolidati principi non è univoca.

Secondo l'orientamento giurisprudenziale recentemente prevalente, la clausola di ultrattività fino alla sottoscrizione di un nuovo CCNL, pur non indicando una data precisa, rappresentauna scadenza stabilita tra le parti; pertanto, non può ritenersi consentito il recesso unilaterale, trovando applicazione i principi applicabili ai contratti collettivi a tempo determinato. In particolare“poiché la "scadenza" del contratto non può che essere quella fissata specificamente e chiaramente dalle parti collettive, la previsione della perdurante vigenza fino alla nuova stipulazione ha il significato della previsione, mediante la clausola di ultrattività, di un termine di durata, benché indeterminato nel "quando", atteso che il contratto collettivo di diritto comune è regolato dalla libera volontà delle parti, che possono in tal modo regolare gli effetti del contratto scaduto quanto al termine di efficacia previsto nella prima parte della stessa norma” (Cass.12 febbraio 2021, n. 3672; Cass. 12 febbraio 2021, n. 3671).

Al suddetto orientamento ha aderito anche parte della giurisprudenza di merito, interpretando la clausola di ultrattività “nel senso che parti originariamente stipulanti abbiano inteso vincolarsi al contenuto del contratto sottoscritto fino alla nuova negoziazione e sottoscrizione, prevedendo espressamente un termine finale di efficacia. Ne discende che in tale ipotesi non trova applicazione il principio della libertà del recesso unilaterale, prevista soltanto per le ipotesi di mancata indicazione di un termine di scadenza del contratto collettivo di diritto comune” (Tribunale Asti, 4 giugno 2021).

Dal suddetto orientamento, si è invece discostato il Tribunale di Roma ritenendo applicabile al caso di specie, i principi giurisprudenziali relativi al recesso nei contratti collettivi a tempo indeterminato (Cass. 28 ottbre 2013, n. 24268). Ed infatti, nel caso di specie, è stato ritenuto che la clausola di ultrattività “non può integrare un vero e proprio termine di efficacia vincolante per le parti sia perché il termine è già presente nel precedente comma 1 (scadenza originaria del contratto) sia perché incompatibile, come già detto, con la natura e la funzione del contratto in genere e del contratto collettivo in particolare”.

Detta interpretazione, che continua ad essere prevalente in dottrina, richiama implicitamente la risalente giurisprudenza che aveva ritenuto inapplicabile la regola della ultrattività nel contratto collettivo venuto a scadenza e regolarmente disdetto (Cass. 9 maggio 2008, n. 11602). In tale contesto, la Suprema Corte – citando autorevole dottrina – aveva ritenuto la “la prorogatici ex lege del contratto collettivo a tempo determinato che sia stato regolarmente disdetto - ove un onere di disdetta sia contrattualmente stabilito (come è prassi generalizzata ma non giuridicamente necessaria)”, una “coartazione dell'autonomia collettiva”. Peraltro, in dottrina è stato ritenuto che il nuovo contratto collettivo - seppur stipulato con altre organizzazioni sindacali - potrebbe integrare la condizione prevista dalla clausola di ultravigenza (Carinci, De Luca Tamajo, Tosi, Treu, Diritto del lavoro, Diritto Sindacale, Utet, 2018, pag. 277).

Osservazioni

La sentenza in commento si pone in netto contrasto con l'ultimo orientamento della Suprema Corte (Cass. 12 febbraio 2021, n.3672) intervenuto peraltro pochi mesi prima della sentenza in commento, sul contratto collettivo dello stesso settore ed in merito ad una analoga fattispecie.

Sebbene tale discordanza possa apparentemente stupire, la decisione del Tribunale di Roma appare ragionevole.

Come precisato da autorevole dottrina (cfr. Sull'efficacia nel tempo del contratto scaduto e ultrattivo, A. Tursi, in Diritto delle Relazioni Industriali, fasc. 2, 2021, pag. 536), la clausola di ultra vigenza, caratterizzata da aleatorietà e imprevedibilità, non può rappresentare una vera e propria scadenza, in quanto rappresenta una condizione che potrebbe, astrattamente, non verificarsi.

Alla luce di quanto sopra, la sentenza in commento ha dunque ritenuto applicabile ai contratti vigenti sino alla sottoscrizione di un nuovo accordo, i principi giurisprudenziali in materia di recesso dal contratto collettivo a tempo indeterminato in conformità con la consolidata giurisprudenza in merito.

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