Separazione e divorzio: udienza presidenziale

Caterina Costabile
25 Febbraio 2022

I procedimenti di separazione personale e di declaratoria della cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio sono entrambi caratterizzati da un comune modello procedimentale che prevede, prima dell'inizio della fase di cognizione piena e di quella istruttoria, una comparizione personale dei coniugi separandi o divorziandi innanzi al presidente
Inquadramento

*Valida per i procedimenti instaurati fino al 28.02.2023, fare riferimento per i successivi a: Procedimento: la prima udienza

I procedimenti di separazione personale e di declaratoria della cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio sono entrambi caratterizzati da un comune modello procedimentale che prevede, prima dell'inizio della fase di cognizione piena e di quella istruttoria, una comparizione personale dei coniugi separandi o divorziandi innanzi al presidente, quanto a dire innanzi a giudice monocratico al quale sono attribuiti particolari poteri e doveri. Storicamente, nel modello proprio della separazione, la funzione di detta udienza preliminare è stata individuata nel necessario tentativo di conciliazione dei coniugi, cioè nella verifica della sussistenza di margini per il superamento della crisi relazionale che aveva condotto all'instaurazione del procedimento, in ragione di un insito disvalore a quel tempo attribuito all'istituto stesso della separazione e della necessità, sentita dall'ordinamento, di preservare l'unità familiare attraverso l'intervento di un giudice (il presidente del tribunale, appunto) dotato di riconosciuta autorevolezza. Il legislatore del 1970 ha recepito, in seno alla normativa speciale del divorzio, l'articolazione del modulo della separazione prevedendo che anche in tale sede sia il presidente, dopo avere sentito i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, a espletare un tentativo di conciliazione che, se di esito positivo, porta alla redazione del processo verbale di conciliazione, con consequenziale definizione del procedimento. Pur in presenza dell'identico utilizzo del termine conciliazione, nel caso del giudizio divorzile potrà trattarsi solo di riconciliazione, atteso che i coniugi (fatti salvi i pochi e tassativi casi previsti dall'art. 3, comma 1, l. div. che non richiedono una precedente separazione) vivono separati legalmente in base a un titolo che può essere posto nel nulla e perdere efficacia solo in conseguenza del verificarsi di quanto previsto dall'art. 157 c.c..

Nel procedimento di separazione

La funzione processuale dell'udienza presidenziale è quella di consentire l'adozione, con ordinanza, dei provvedimenti provvisori e urgenti nell'interesse dei coniugi e, in particolare, della prole; dopo le relative statuizioni il processo viene rimesso, per l'udienza di cui agli artt. 180 e 183 c.p.c., al giudice istruttore designato per il corso ulteriore che prevede il deposito della memoria integrativa da parte del ricorrente e della comparsa di costituzione del coniuge convenuto, atti che comportano la formulazione delle rispettive domande di merito e, quindi, l'individuazione del petitum, con consequenziale operatività delle preclusioni di legge quanto a eccezioni e domande nuove nonché riconvenzionali.

La funzione sostanziale deve, invece, essere individuata nella preliminare verifica dell'indisponibilità dei coniugi alla conciliazione (che comporta l'estinzione del processo) o anche solo al raggiungimento di un accordo complessivo, da trasfondere in un verbale di separazione consensuale ex art. 711 c.p.c.: si tratta, dunque, di un passaggio di natura preliminare destinato, nel caso di fallimento del tentativo di conciliazione nella sua più ampia e diversificata accezione, attraverso gli elementi di conoscenza che il presidente trae dal ricorso introduttivo e dalla memoria difensiva prevista dall'art. 706 c.p.c. nonché dal libero interrogatorio dei coniugi, a costruire la base, in fatto e in diritto, per l'emanazione dell'ordinanza che contiene i provvedimenti di carattere interinale.

Per giungere all'udienza in questione il presidente, dopo il deposito del ricorso introduttivo, fissa con decreto la data dell'udienza che deve aver luogo entro il termine (ordinatorio) di 90 giorni, assegna alla parte ricorrente un termine per la notifica al convenuto e assegna a quest'ultimo un termine per il deposito della memoria difensiva, unitamente a eventuali documenti; al ricorso e alla memoria difensiva devono essere allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate (art. 706 comma 3 c.p.c.). La norma menziona solo le ultime dichiarazioni, cioè quelle per le quali è scaduto il più recente termine di presentazione, ma la prassi prevalente (attraverso la formulazione del decreto presidenziale) individua nelle dichiarazioni fiscali del triennio precedente quelle che debbono almeno essere prodotte, con facoltà per la parte che vi abbia interesse di allegare anche quelle relative ad anni d'imposta più risalenti.

I termini per la notifica del ricorso e il deposito della memoria difensiva sono ordinatori, dal momento che la disposizione normativa non li qualifica come perentori. La parte ricorrente può chiedere al presidente di essere rimessa in termine se, ad esempio, ha incontrato difficoltà nell'eseguire una notifica tempestiva a causa del mancato reperimento del destinatario presso la residenza anagrafica: l'istanza, presentata prima della scadenza del termine originario, può essere accolta ma solitamente comporta un differimento dell'udienza presidenziale per garantire il diritto di difesa del coniuge convenuto, al quale deve essere assicurato un lasso di tempo congruo (non predeterminato per legge) per munirsi di difensore e depositare la memoria e i documenti. La notifica effettuata presso il domicilio coniugale a mani del coniuge ricorrente è nulla (Trib. Palermo 30 aprile 1975, in Dir. Fam., 1975, 1087) ma non mancano opinioni nel senso di ritenerla inesistente. In ogni caso, consolidato è l'orientamento che consente l'assegnazione di un nuovo termine per la rinnovazione della notifica non andata a buon fine (Cass. 14 settembre 2004, n. 18448), senza che possano verificarsi effetti estintivi del procedimento (prescindendo, così, dal rilievo che se inesistente la notifica non potrebbe essere rinnovata, come invece sempre consentito ove affetta da nullità).

I coniugi compaiono personalmente, con l'assistenza dei rispettivi difensori; il testo dell'art. 707 c.p.c. antecedente alle modifiche apportate con l'art. 2, comma 3, lett. e-ter), d.l. n. 35/2005, convertito in l. 14 maggio 2005, n. 80, prevedeva che i coniugi comparissero senza assistenza di difensore, ma la Corte Costituzionale (C. cost. n. 151/1971; C. cost. n. 201/1971) aveva chiarito che l'assenza dei difensori fosse limitata alla sola fase del tentativo di conciliazione, mentre ben avrebbero potuto i legali presenziare alla fase successiva, unitamente ai coniugi, per la discussione e l'esame delle questioni oggetto di controversia. Con ordinanza n. 26 del 2012 la Corte Costituzionale, nel dichiarare l'inammissibilità della questione di costituzionalità dell'art. 707 c.p.c. nella formulazione introdotta con d.l. 14 marzo 2005, n. 35, con riferimento agli artt. 3, 24, 29, 30, 31 e 111 Cost., ha ribadito, nel solco tracciato dalle citate pronunce del 1971, le distinte modalità di partecipazione dei coniugi ai due momenti caratterizzanti la fase dell'udienza presidenziale, quanto a dire il primo (senza difensori) volto al solo tentativo di conciliazione e il secondo (con parti e difensori) inteso alla discussione prodromica all'adozione dei provvedimenti presidenziali di natura provvisoria.

Se non si presenta il ricorrente, la domanda non ha effetto (art. 707 comma 2 c.p.c.) e il presidente non potrà che dichiarare l'inefficacia del ricorso introduttivo e il procedimento verrà meno, con successiva sua archiviazione.

Se, invece, è il coniuge convenuto a non presentarsi, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando la rinnovazione della notifica del ricorso e del decreto (art. 707 comma 3 c.p.c.) e, deve intendersi, del provvedimento che tale successiva udienza ha fissato. Non sussiste alcun obbligo in tal senso per il presidente ma gli viene riconosciuto un potere del tutto discrezionale, dal momento che la nuova successiva udienza può essere omessa quando non se ne ravvisi la necessità o l'opportunità (Cass. 10 agosto 2001, n. 11059, conformi Cass. 16 novembre 2005, n. 23070; Cass. 31 marzo 2008, n. 8386; Cass. 14 marzo 2014, n. 6016), sempre – beninteso – che la notificazione abbia avuto buon esito e il contraddittorio possa così ritenersi ritualmente instaurato.

Nel procedimento di divorzio

Del tutto analoga è la scansione procedimentale, indicata nell'art. 4 l. n. 898/1970, per giungere all'udienza innanzi al presidente; unica particolarità è quella della comunicazione, a cura della cancelleria, dell'avvenuto deposito del ricorso all'ufficiale dello stato civile del luogo in cui il matrimonio fu trascritto (o iscritto, nel caso di celebrazione con rito civile) per l'annotazione in calce all'atto. Il comma quinto nella sua ultima parte prevede che il presidente nomini un curatore speciale per il convenuto che sia malato di mente o legalmente incapace, previsione che pur non trovando collocazione nell'omologo art. 706 c.p.c. deve intendersi applicabile per analogia al procedimento di separazione. La nomina avviene con il decreto di fissazione dell'udienza se dall'atto introduttivo già emergono elementi di conoscenza utili per considerare incapace o non pienamente capace il coniuge convenuto ma non vi sono ostacoli a che il presidente vi provveda successivamente, quando nel corso dell'udienza emergano segnali di detta situazione soggettiva; in tal caso, effettuata la nomina, l'udienza dovrà essere differita a data successiva per consentire la comparizione personale del convenuto con l'assistenza del curatore nominato nel suo interesse.

Il comma settimo dell'art. 4 l. div. prevede che i coniugi debbano comparire personalmente salvo gravi e comprovati motivi e con l'assistenza di un difensore: la disposizione è parzialmente difforme da quella dell'art. 707 c.p.c. che non prevede, al contrario, alcun riferimento ai gravi motivi impeditivi della comparizione personale e fa menzione del difensore anziché di un difensore, ma si ritiene che anche nel procedimento di divorzio giudiziale vi sia necessità di un difensore per parte (a differenza che nel divorzio su domanda congiunta, per il quale è ammessa la procura a un unico legale per entrambe le parti, in ragione della unicità della posizione sul piano sostanziale) e che, inoltre, giustificati motivi di impedimento alla comparizione personale possano essere fatti valere anche nell'ambito dell'udienza presidenziale di separazione.

È ammessa la possibilità, quantunque limitata alla sussistenza di ragioni gravi e insuscettibili di essere superate mediante un semplice rinvio dell'udienza ad altra data, che un coniuge compaia per mezzo di un procuratore speciale, dotato di procura (notarile o consolare) che contenga specifica enunciazione dei dati del procedimento ed espressione della volontà del rappresentato quanto alle domande svolte in giudizio e, segnatamente, in ordine alla disponibilità o meno del medesimo alla conciliazione o, come anticipato, alla riconciliazione con l'altro coniuge, come sarebbe meglio dire con riferimento all'udienza presidenziale nell'ambito del procedimento di divorzio. Tendenzialmente esclusa è, invece, la possibilità che ambedue i coniugi compaiano per il tramite di due rispettivi procuratori speciali, se non altro perché è in concreto difficilmente ipotizzabile che gravi ragioni di impedimento colpiscano entrambe le parti.

Gli atti delle parti

Tanto nel procedimento di separazione personale quanto in quello volto alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio si perviene alla celebrazione dell'udienza presidenziale con una dotazione di atti difensivi solo essenziali, quanto a dire il ricorso introduttivo e, quando il convenuto intenda comparire con l'assistenza del difensore, la memoria depositata anteriormente alla data dell'udienza, nel termine assegnato dal presidente. Tali atti sono corredati della documentazione necessaria (per il ricorso, estratto per riassunto dell'atto di matrimonio o, per il divorzio, estratto per copia integrale dell'atto stesso, certificati di residenza e stato di famiglia dei coniugi, per il divorzio copia autentica del titolo sul quale la domanda è fondata, in entrambi i procedimenti copia delle ultime dichiarazioni fiscali presentate, nell'accezione sopra illustrata) e di quella che ciascuna parte reputa utile ai propri fini difensivi. Il presidente è senz'altro autorizzato a disporre un rinvio dell'udienza nel caso in cui la parte non abbia allegato le previste dichiarazioni fiscali, da intendersi elemento documentale di primaria importanza tanto da avere indotto il legislatore a prevederne in via espressa la produzione, ma non può escludersi che, in casi da apprezzarsi in concreto, sia possibile procedere comunque alla celebrazione dell'udienza e a una valutazione, ai fini dell'adozione dei provvedimenti provvisori, anche della condotta processuale omissiva della parte.

Nell'ipotesi in cui il coniuge convenuto proponga, con la memoria tempestivamente depositata, un'eccezione preliminare (es., di carenza di giurisdizione o di incompetenza territoriale) la discussione orale nel corso dell'udienza può essere sufficiente a garantire una adeguata difesa della parte ricorrente alla quale l'eccezione viene opposta, ma altrettanto possibile è per il presidente, su istanza della parte ricorrente medesima, differire ad altra data l'udienza assegnandole un termine per replica sull'eccezione o far luogo al tentativo di conciliazione tra i coniugi personalmente comparsi e direttamente riservarsi, con assegnazione di un termine intermedio per il deposito di una memoria di replica all'eccezione.

Riconosciuta è, tuttavia, l'esigenza che l'udienza presidenziale sia retta dal principio di massima concentrazione delle attività processuali, attesa la sua connotazione propedeutica all'emanazione dei provvedimenti provvisori e urgenti destinati a regolamentare la situazione dei coniugi e, nel suo complesso, della famiglia nel corso del processo.

Modalità di celebrazione dell'udienza

La prassi segnala nei diversi Uffici modalità anche significativamente difformi di svolgimento dell'udienza presidenziale: benché il dato normativo sembri imporre che ciascun coniuge venga sentito separatamente e che poi entrambi accedano per il finale tentativo di conciliazione, non è raro che venga adottata una modalità suggerita come opportuna in ragione della situazione concreta già emergente dagli atti difensivi depositati e che, ad esempio, i coniugi vengano direttamente sentiti insieme e si faccia luogo al loro libero contestuale interrogatorio, con o senza la contestuale presenza dei difensori. Quando il tentativo di conciliazione sia esperito senza il rispetto delle modalità indicate o sia finanche omesso, una corrente di pensiero ritiene che non si produca alcuna nullità purché risulti confermata la volontà dei coniugi di procedere nel giudizio (Cass. 23 luglio 2010, n. 17336), mentre altra tesi propende per il verificarsi di una nullità suscettibile di ripercuotersi su tutti gli atti successivi: si tratterebbe, comunque, di una nullità relativa, destinata a essere sanata se non eccepita nella prima difesa successiva (Cass. 10 agosto 2011, n. 11059).

L'evoluzione normativa ha nel tempo amplificato l'attività demandata al presidente, prevedendo che questi possa, e in alcune ipotesi debba, far luogo a incombenti che possono svilupparsi anche attraverso una pluralità di udienze. L'art. 4 l. div. prevede al comma ottavo che, dopo avere sentito i coniugi e i loro difensori, il presidente proceda all'ascolto del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni o che, anche se di età inferiore, sia dotato di adeguata capacità di discernimento; l'art. 708 c.p.c. non prevede analogo potere / dovere ma la disposizione di rito si intende integrata da quelle contenute negli artt. 315-bis c.c. («Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano»), art. 336-bis c.c. («Il minore che abbia compiuto gli anni dodici o anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano») nonché art. 337-octies c.c.. Se, dunque, per l'ultradodicenne sussiste una presunzione di adeguato discernimento, per il minore di età inferiore occorre che dagli elementi forniti attraverso gli atti difensivi e i documenti già risulti un percorso evolutivo compatibile con il suo ascolto diretto: è impraticabile l'ipotesi di un accertamento preventivo (in concreto possibile solo attraverso una CTU o un'indagine psicodiagnostica demandata a operatori sociali) disposto dal presidente al limitato fine di verificare se il minore di età inferiore ai 12 anni sia o meno in grado di essere introdotto nel processo attraverso la sua audizione.

Essendo di valenza generale e sostanziale, la previsione dell'art. 336-bis c.c. - secondo la quale il giudice non procede all'adempimento dell'ascolto del minore quando questo sia in contrasto con il suo interesse o manifestamente superfluo (di ciò dovendo dare atto con provvedimento motivato) - risulta applicabile anche all'ambito del procedimento di divorzio, così venendosi a limitare e precisare il carattere obbligatorio che potrebbe individuarsi nel disposto normativo di cui all'art. 4, comma 8, l. div..

Gli artt. 4 l. div. E art. 708 c.p.c., che contengono disposizioni di carattere processuale, si pongono in stretta correlazione con gli artt. 337-ter e 337-octies c.c., come novellati dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, atteso che l'art. 337-bis c.c. ne dispone l'applicazione ai procedimenti di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e a tutti i procedimenti nei quali vi sia presenza di figli minori e, del resto, l'art. 6 l. div. richiama integralmente, per quanto riguarda i figli e il loro diritto a essere mantenuti, le disposizioni contenute nel Capo II del Titolo IX, del Libro I, del codice civile in relazione agli obblighi sanciti dagli artt. 315-bis e 316-bis c.c.. Ciò comporta che l'udienza presidenziale, sia nel giudizio di separazione sia in quello c.d. divorzile, veda il presidente innanzitutto impegnato a sentire i coniugi in merito al regime di affidamento del minore e ad adottare i provvedimenti più aderenti all'interesse dello stesso: anche se le parti raggiungono un accordo, il presidente non è esonerato dall'obbligo di valutare la rispondenza di detta intesa all'interesse del minore e può, ove ravvisi contrasto, pronunciarsi, con adeguata motivazione, in senso anche difforme.

Nel caso in cui sussistano elementi di preoccupazione per la tutela del minore e sia necessario approfondire la conoscenza del suo sviluppo psicoevolutivo o la capacità genitoriale dei coniugi, già in sede di udienza presidenziale può essere disposto l'espletamento di una Consulenza Tecnica d'Ufficio, direttamente funzionale alla futura adozione dei più adeguati provvedimenti provvisori che definiscono la fase presidenziale stessa. Parimenti, l'art. 337-ter, ultimo comma, c.c. riconosce (anche al presidente, benché si faccia generico riferimento al giudice) la possibilità di disporre un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto di contestazione per integrare la conoscenza della situazione economica dei genitori in funzione dell'adozione di congrue statuizioni in ordine al mantenimento dei figli. Per quanto riguarda la posizione dei coniugi, l'art. 5 l. div. al comma 9 prevede del tutto analoga possibilità di indagine sui redditi, sul patrimonio personale e sul tenore di vita di ciascuna delle parti, anche per il tramite della polizia tributaria, quando in discussione sia il tema dei rapporti patrimoniali tra le parti e, segnatamente, quello del diritto di un coniuge all'attribuzione di un assegno periodico a titolo personale.

Attraverso le richiamate disposizioni, da integrarsi e fra loro coniugarsi in termini sistematici, risulta dunque attribuito alla fase presidenziale il compimento anche di una cospicua serie di attività di indagine: l'udienza non è oggi più solo destinata all'espletamento del preliminare tentativo di conciliazione ma, una volta che questo sia stato senza positivo esito esperito, il presidente può procedere a ogni accertamento che valuti direttamente funzionale alla emanazione, attraverso ordinanza, dei provvedimenti interinali idonei a garantire adeguata tutela agli interessi di tutti i componenti del nucleo familiare, con prioritario rilievo di quelli dei figli, rispetto ai quali sussistono riconosciuti poteri d'ufficio.

Altra possibilità riservata anche alla fase presidenziale è quella di suggerire ai coniugi, quando ne emergano l'opportunità e le minime condizioni di base, di intraprendere un percorso di mediazione familiare, volto ad agevolarli nel superamento degli spunti più conflittuali della loro relazione e a favorire una più consapevole assunzione del loro ruolo genitoriale. Tale possibilità non è inserita nel codice di rito né direttamente nella legge n. 898/1970, ma si ricava dall'art. 337-octies, comma 2, c.c. che richiama «l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 337-ter c.c.» i quali, come già sottolineato, costituiscono uno dei contenuti essenziali dell'ordinanza presidenziale in presenza di coniugi con prole. Quando i coniugi esprimono il loro consenso alla mediazione, il presidente può – ma meglio sarebbe dire deve – disporre un rinvio dell'udienza per un lasso di tempo congruo in rapporto alla presumibile durata del percorso stragiudiziale.

L'attività del presidente e il verbale

Con l'introduzione, ad opera della l. 8 febbraio 2006, n. 54, nel corpo dell'art. 708 c.p.c. del comma 4, che prevede la possibilità di reclamo innanzi alla corte d'appello dell'ordinanza presidenziale avente ad oggetto i provvedimenti provvisori e urgenti (di cui al terzo comma della medesima citata disposizione), è diventato ancora più importante che il presidente raccolga attraverso la comparizione personale dei coniugi dati informativi e che delle loro dichiarazioni resti traccia nel verbale di udienza; questo dovrà, pertanto, non solo recare indicazione delle generalità dei coniugi comparsi, del deposito del ricorso notificato al convenuto e dell'eventuale deposito, nel termine assegnato, della memoria difensiva ma anche, sebbene con necessaria sommarietà, di quanto ciascun coniuge abbia dichiarato nel corso del suo libero interrogatorio da parte del giudice, atteso che ciò può essere legittimamente utilizzato, a integrazione degli elementi contenuti negli scritti difensivi, per costituire l'impianto motivazionale dell'ordinanza presidenziale.

All'uopo la S.C. ha comunque evidenziato che le dichiarazioni rese dai coniugi in sede di udienza presidenziale non hanno valore probatorio di confessione giudiziale e, pertanto, la loro omessa valutazione non integra il vizio di cui all'art. 112 c.p.c. in quanto elementi di fatto concorrenti alla complessiva valutazione finale da parte del giudice di merito (Cass. 24 febbraio 2017, n. 4860).

Quando nel corso dell'udienza, o in altra successivamente fissata, viene fatto luogo all'ascolto del minore, le dichiarazioni di quest'ultimo debbono essere parimenti riportate nel verbale: anche in questo caso si tratta, tuttavia, di una verbalizzazione riassuntiva benché il più possibile aderente, anche nella forma espositiva, a quanto dal minore dichiarato, per garantire la massima genuinità del risultato dell'incombente al quale si è dato corso. Resta compito del presidente condurre l'audizione con le modalità più adeguate al caso, all'età del minore e al suo stato anche emotivo, ponendo sempre attenzione a che la verbalizzazione consenta di comprendere l'atteggiamento, la disponibilità all'interlocuzione e il complessivo stato personale del minore. Il presidente procede a detto incombente con l'assistenza del cancelliere, di norma in assenza sia delle parti sia dei loro difensori e con modalità che nella gran parte degli uffici giudiziari risultano ormai stabilite attraverso dei protocolli frutto di un'intesa con il Foro locale.

La redazione del verbale dell'udienza presidenziale non registra diversità tra l'ambito del procedimento di separazione e quello di divorzio, dal momento che l'attività svolta dal presidente è ugualmente funzionale alla successiva adozione dei provvedimenti provvisori e urgenti con l'ordinanza che definisce la fase che, ancora oggi, si può qualificare preliminare anche se il procedimento è considerato strutturalmente unico.

Il contenuto dell'ordinanza

L'introduzione della reclamabilità dell'ordinanza presidenziale ha modificato in termini consistenti le modalità di redazione del provvedimento stesso: oggi, anche nel procedimento divorzile che di norma interviene su un assetto legale già determinato perché frutto della precedente separazione (eventualmente già oggetto di una modifica medio tempore intervenuta a mente dell'art. 710 c.p.c.), l'ordinanza consta di una motivazione che, pur sintetica, deve dare conto delle ragioni che hanno concorso a formare il convincimento del giudice e di una parte dispositiva, spesso articolata e dettagliata sui singoli punti oggetto di intervento. Così, nel caso in cui il presidente ritenga di dovere adeguare il regime in atto a nuove circostanze o anche solo di attualizzarlo in ragione del decorso del tempo, deve con precisione predisporre un dispositivo per separati capi (es. affidamento del minore e suo collocamento, regolamentazione delle periodiche frequentazioni con il genitore non affidatario o non prevalente collocatario, assegnazione della casa coniugale, determinazione del quantum degli assegni periodici ecc.).

Solo un'ordinanza così strutturata consentirà, nell'ipotesi di impugnazione innanzi alla corte di appello, al giudice del gravame di conoscere, comprendere e riesaminare le motivazioni che hanno condotto il presidente all'emanazione delle statuizioni provvisorie, così come, ancor prima, permetterà ai difensori di formulare specifiche doglianze e le relative istanze di riforma.

Emessa l'ordinanza, per lo più a seguito di scioglimento di riserva per consentirne la redazione secondo i criteri di completezza indicati, il presidente dispone con decreto per la prosecuzione del giudizio innanzi al designato giudice istruttore, secondo le previsioni contenute nell'art. 709 c.p.c. (per la separazione) e nell'art. 4, comma 10, l. n. 898/1970 e successive modificazioni (per il divorzio).

L'impugnazione dell'ordinanza

Contro l'ordinanza presidenziale è proponibile reclamo alla corte d'appello, nel termine perentorio di 10 giorni dalla notificazione del provvedimento a cura di una parte nei confronti dell'altra; poiché si tratta di impugnazione ai sensi dell'art. 709 c.p.c., ai fini della decorrenza del termine iniziale non è sufficiente la semplice comunicazione dell'ordinanza a cura della cancelleria ma è necessaria la notificazione di cui al comma 2 di tale norma, che individua il dies a quo per la proponibilità del reclamo camerale contro provvedimenti resi nei confronti di più parti nella notificazione ad istanza di parte (Cass. 26 novembre 2003, n. 18047 e Cass. 18 giugno 2005, n. 13166).

La Corte d'appello adita in sede di reclamo avverso l'ordinanza emessa dal presidente del tribunale ai sensi dell'art. 708, comma 3, c.p.c., non deve statuire sulle spese del procedimento, poiché, trattandosi di provvedimento cautelare adottato in pendenza della lite, spetta al tribunale provvedere sulle spese, anche per la fase di reclamo, con la sentenza che conclude il giudizio (Cass. 16 aprile 2021, n.10195; Cass. 30 aprile 2020, n. 8432).

Casistica

Ordinanza presidenziale e regolamento di competenza

L'ordinanza presidenziale non è impugnabile con regolamento di competenza, stante la sua natura non decisoria, ma esclusivamente provvisoria ed interinale; in tali giudizi, spetta al tribunale in composizione collegiale il potere di decidere la causa, ancorché sulla sola competenza; conseguentemente il Presidente non ha il potere di dichiarare già egli, in fase presidenziale, l'incompetenza del Tribunale adito anche ove manifesta (Cass. civ. 3 luglio 2014, n. 15186)

Rapporti tra ordinanza presidenziale e decisione finale

I provvedimenti presidenziali sono sempre integrabili dal Collegio, al momento della decisione, in particolare con statuizioni destinate ad avere efficacia ex tunc, per cui perdono efficacia quando è pronunciata la sentenza definitiva di separazione o divorzio, con l'effetto che il decisum della sentenza prevale su quanto statuito nella fase della udienza presidenziale (Cass. civ. 21 agosto 2013, n. 19309)

Rapporti tra ordinanza presidenziale di divorzio e provvedimenti assunti in sede di modifica delle condizioni della separazione

Una volta emessi in sede di procedimento di divorzio da parte del presidente i provvedimenti provvisori, questi sono efficaci e non possono essere modificati con una decisione assunta in sede di modifica delle condizioni di separazione (ove ci si riferisca alperiodo successivo ai provvedimenti presidenziali di divorzio)(Cass. civ. 22 luglio 2013 n. 17825)

Mancata comparizione e tentativo di conciliazione

Il tentativo di conciliazione da parte del presidente del tribunale, pur essendo necessario per l'indagine sull'irreversibilità della frattura spirituale e materiale tra i coniugi, non costituisce un presupposto indefettibile del procedimento instaurato, spettando al presidente valutare, tenendo conto delle ragioni della mancata comparizione, l'opportunità di un rinvio per l'espletamento di tale incombente (Cass. civ. 17 ottobre 2014, n. 22111; Cass. civ. 14 marzo 2014, n. 6016)

Reclamabilità provvedimenti di modifica del Giudice Istruttore

I provvedimenti adottati dal Giudice Istruttore, ex art. 709, ultimo comma, c.p.c., di modifica o di revoca di quelli presidenziali, non sono reclamabili poiché è garantita l'effettività della tutela delle posizioni soggettive mediante la modificabilità e la revisione, a richiesta di parte, dell'assetto delle condizioni separative e divorzili, anche all'esito di una decisione definitiva, piuttosto che dalla moltiplicazione di momenti di riesame e controllo da parte di altro organo giurisdizionale nello svolgimento del giudizio a cognizione piena (Cass. 10 maggio 2018, n. 11279; Cass. 15 gennaio 2018, n. 766).

Sommario