La giustizia penale verso la reparative justice

04 Marzo 2022

Con l. n. 134/2021, nota come riforma Cartabia, il legislatore fissa le direttive per la delega con cui si intende introdurre nel nostro sistema, una riforma organica, fissandone la nozione, i principali programmi, i criteri di accesso, le garanzie, le persone legittimate a partecipare, le modalità di svolgimento dei programmi e la valutazione dei suoi esiti nell'interesse della vittima e dell'autore del reato, la cd. giustizia riparativa.
Verso la giustizia riparativa

Non ha bisogno di troppe sottolineature il fatto che la giustizia penale (italiana) sia in perenne evoluzione alla ricerca di vari strumenti sia di diritto sostanziale, sia di diritto processuale per affrontare le complesse questioni sulle quali i meccanismi sono coinvolti, anche perché spesso piuttosto datati per la mancanza di riforme di sistema che ne modifichino nel profondo la struttura e gli strumenti, sicché si finisce per operare non tanto e non solo settorialmente, in uno dei due settori, ma anche in modo occasionale ed episodico.

Questo non significa che seppur in modo frammentato e non sistematico alcune linee di sviluppo e di evoluzione non siano prospettabili, ancorché in termini embrionali.

Interventi della Corte costituzionale, decisioni delle Corti sovranazionali, norme e direttive del Parlamento europeo e del Consiglio dei Ministri nonché del Consiglio d'Europa, inserendosi nel tessuto normativo ne modificano la trama e i collegamenti così da stimolare anche l'azione riformatrice del Governo e del Parlamento.

A volte si tratta di istituti e previsioni che inseriti nei circuiti processuali per reati minori o per situazioni fortemente tecniche e specialistiche evidenziano una notevole forza espansiva, così da essere progressivamente rivisitati anche nei percorsi processuali di maggiore evidenza quantitativa e qualitativa.

Essi stessi, peraltro, evidenziano una “forza” che ne amplia il raggio di operatività.

Si tratta, pertanto, di sviluppi progressisti di adeguamento e di modifica che nella loro progressione, anche in tempi non necessariamente ravvicinati, consente di cogliere il senso della direzione che la materia generale, ma spesso più circoscritta, sta assumendo.

Con l. n. 134/2021, nota come riforma Cartabia, il legislatore all'art. 1, comma 18, lett. a-g, fissa le direttive per la delega con cui si intende introdurre, nel rispetto delle disposizioni della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 e dei principi sanciti a livello internazionale, nel nostro sistema, una riforma organica, fissandone la nozione, i principali programmi, i criteri di accesso, le garanzie, le persone legittimate a partecipare, le modalità di svolgimento dei programmi e la valutazione dei suoi esiti nell'interesse della vittima e dell'autore del reato, la cd. giustizia riparativa.

Si tratta di un istituto molto noto ed operante da tempo in altri Paesi, che ora si cerca di introdurre anche nei nostri percorsi processuali di giustizia penale.

Si tratta di un meccanismo di definizione della vicenda giudiziaria che, a seconda di come sarà delineato, potrà considerarsi come strumento alternativo, complementare o sostitutivo del tradizionale percorso di accertamento della responsabilità penale.

Sulla scorta di risvolti limitati dalla citata direttiva, la giustizia riparativa o giustizia rigenerativa (in inglese restorative justice) è un approccio consistente nel considerare il reato principalmente in termini di danno alle persone. Da ciò consegue l'obbligo, per l'autore del reato, di rimediare alle conseguenze lesive della sua condotta.

A tal fine, si prospetta un coinvolgimento attivo della vittima, dell'agente e della stessa comunità civile nella ricerca di soluzioni atte a far fronte all'insieme di bisogni scaturiti a seguito del reato.

In attesa che la Commissione incaricata di elaborare la disciplina applicativa, che dovrà successivamente essere integrata con le strutture adeguate, le professionalità necessarie e con le risorse (in questo caso invero, già assegnate) per un effettivo decollo delle attività necessarie alla realizzazione delle finalità sottese a questo strumento, si intende qui sviluppare una serie di riflessioni sui percorsi processuali che hanno fatto da incubatrice a queste scelte, al di là dell'approccio culturale e ideologico che vi è sotteso e che riflette una visione della giustizia penale fortemente innovativa.

Accentuazione dei profili soggettivi dell'imputato e della persona offesa

Trattandosi di rapporto destinato ad intersecarsi tra l'autore di un reato e la vittima dello stesso appare opportuno ripercorrere – a grandi linee – il percorso evolutivo che ha caratterizzato il ruolo della persona offesa nel processo penale.

Invero, già gli aspetti terminologici del soggetto passivo del reato, persona offesa, persona danneggiata, parte civile e vittima sottolineano la diversità di prospettiva da cui questa persona viene considerata e inquadrata dalle diverse discipline che proprio da diverse prospettive lo considerano.

Perno del sistema processuale penale è l'art. 185 c.p. ove si prevede che «ogni reato obbliga alle restituzioni ...» e che «ogni reato che abbia causato un danno patrimoniale e non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che a norma di legge civile abbiano a rispondere per il fatto di lui», fermo restando che spetta al pubblico ministero la tutela della pretesa punitiva e della responsabilità.

Inserita nella concezione dell'unità della funzione giurisdizionale (si consideri l'efficacia erga omnes del giudicato penale e la disciplina delle questioni pregiudiziali, solo per fare due esemplificazioni, che peraltro ha subito profonde involuzioni proprio in relazione alla progressiva separazione dei percorsi processuali civili e penali resa necessaria dal rispetto di precise garanzie costituzionali).

La previsione, in termini processuali, si è tradotta nella presenza della persona offesa nel processo penale attraverso la costituzione di parte civile così da inserire nel processo penale la pretesa civilistica.

In questo contesto, il ruolo della persona offesa ben poteva dirsi marginale, ancorché si sia assistito al progressivo tentativo di trasferire la pretesa civilistica in sede civile, anche per effetto della presenza nel nuovo Codice dei riti premiali a contenuto negoziale (abbreviato e patteggiamento), con inevitabili progressivi risvolti problematici, stante la diversità dei presupposti decisori dei due percorsi.

Infatti, ove si esclude la sentenza della Corte costituzionale che ha richiamato l'incostituzionalità dell'art. 422 c.p.p. (ex Corte cost. n. 132/1968) nella parte in cui non sanzionava con la nullità l'omessa citazione a giudizio della persona offesa (previsione ripresa dall'art. 178, comma 1, lett. c, c.p.p.) i poteri della persona offesa erano decisamente marginali. Ove si escluda la possibilità di proporre opposizione al provvedimento di archiviazione, la persona offesa deve rivolgersi al pubblico ministero sia per ottenere un incidente probatorio, sia perché la decisione venga impugnata.

Invero, mentre nel diritto penale i profili soggettivi risultano espressi in termini generali ed assoluti (“chiunque ...” “colui che nei confronti di ...”, “in condizioni di ...”), il processo penale, a differenza del processo minorile e del procedimento di sorveglianza, si incentra sul fatto di reato e non sul suo autore.

Tuttavia, progressivamente, seppur per categorie, classi o gruppi, si sono ampliati – sotto diversi profili – i riferimenti soggettivi nel processo penale attraverso specifiche indicazioni.

In via esemplificativa, da riferimenti più circoscritti e mirati come relativamente a quanto previsto dall'art. 275, comma 4, c.p.p., in tema di misure cautelari; ai rapporti di genitorialità (peraltro visto nella prospettiva della tutela del bambino), alle condizioni di gravidanza, all'età avanzata, ai malati di HIV (sotto la prospettiva di una tutela che supera la sua stessa condizione) e i riferimenti si sono ampliati agli infermi di mente, alle persone tossicodipendenti ed alcooldipendenti, ai soggetti economicamente deboli (che possono avvalersi del patrocinio a spese dello Stato), ai soggetti che non conoscono e non parlano la lingua italiana (che hanno diritto all'interprete), ai soggetti in condizioni fisiche precarie (intese in senso ampio), ai soggetti ristretti e detenuti, agli stranieri e agli immigrati.

Alcune previsioni sfumano verso tutele maggiormente legate alla riservatezza ed alla dignità e più in generale al rispetto della persona. Si pensi alle modalità di esecuzione delle misure cautelari, alle modalità nelle quali si sta in aula (“libero, salvo che...”). Un indice di questo elemento è costituito anche dalle modificazioni nel linguaggio (disabile/handicappato), come da ultimo emerge anche dal d.lgs. n. 188/2021 sulla presunzione, rectius, considerazione di innocenza e non già sulla presunzione di non colpevolezza, superando l'impostazione del codice del 1930, presente spesso anche nella Carta costituzionale (carcerazione preventiva).

Si è così evidenziata la presenza di un concetto seppure più ampio di “fragilità” del soggetto sottoposto a procedimento penale che gode di specifiche tutele a livello costituzionale e sovranazionale come è facile evidenziare dalle posizioni processuali appena richiamate.

A fianco a questa evoluzione si sviluppa un'altra linea di tendenza che assumerà sempre più rilievo proprio nella prospettiva considerata, della cd. giustizia riparativa: muovendo da riferimenti generali alla persona offesa dal reato, si passa a connotazioni più specifiche e mirate attraverso una evoluzione progressiva che avviata dal dato iniziale costituito dalla tutela del minore vittima di reati e in particolare del minore abusato (anche nella prospettiva di evirare la cd. vittimizzazione secondaria, non disgiunta da un efficace accertamento dei fatti e della responsabilità) è sempre più diventato elemento strutturale del sistema processuale. Si materializza, così, in termini precisi, il ruolo della vittima e soprattutto il profilo della sua vulnerabilità.

Alla notissima sentenza Pupino della Corte di Giustizia e dal recepimento della Convenzione di Lanzarote, sulla tutela e sull'ascolto del minore, hanno fatto seguito la Convenzione di Budapest sulla violenza alle donne, la Convenzione di New York sulla disabilità, quella di Varsavia sulla tratta degli esseri umani, quella di Palermo contro la criminalità organizzata transnazionale, solo per citarne alcune.

Si è così sviluppato per tappe successive, sia in relazione ai citati provvedimenti, sia con le leggi e decisioni che ne hanno dato estrinsecazione, sia in relazione al manifestarsi di fenomeni che richiedevano una maggiore incisività e tutela del soggetto leso dal reato, l'esigenza di prevedere sin dalla fase delle indagini una significativa presenza processuale, originariamente non prevista.

In questo contesto sono stati rafforzati alcuni poteri processuali della persona offesa senza peraltro connotarli di adeguati profili sanzionatori come nel caso dell'omesso invio dell'informazione di garanzia. Quando ciò è avvenuto il dato era considerato nella prospettiva della possibilità di costituirsi parte civile. Il riferimento va alle previsioni di cui all'art. 415-bis c.p.p. nonché alla previsione, sanzionata con la nullità – ancorché relativa – della omessa citazione ad udienza preliminare (art. 419, comma 7, c.p.p.).

L'elemento centrale del nuovo orizzonte processuale (con ricadute anche non sempre positive come in relazione al c.d. processo mediatico che vede spesso la vittima protagonista di pretese decisorie (giustizia/vendetta) è racchiusa nell'art. 90 c.p.p. (modificato dal d.lgs. n. 212/2015, attuativo infatti di una direttiva europea) che definisce i diritti e le facoltà della persona offesa che come detto sono stati progressivamente aumentati, con interpolazioni specifiche, completati con la previsione dettagliata di informazioni che l'autorità giudiziaria è tenuta a fornire a supporto dei citati diritti (art. 90-bis c.p.p.). Fra questi si segnalano, in via meramente esemplificativa: l'accesso al registro delle notizie di reato; il diritto a misure di protezione; i diritti in caso di richiesta dell'imputato di messa alla prova o della tenuità del fatto; i diritti difensivi e linguistici; i diritti risarcitori e compensativi; le indicazioni delle strutture assistenziali del territorio.

Si è così determinata una più accentuata attenzione al ruolo della vittima (concetto diverso da persona offesa e da soggetto passivo), superando, sotto il profilo processuale penale, la marcata distinzione tra figura della persona offesa e quella parte civile, titolare, come detto in esordio, del diritto alla riparazione ed al risarcimento.

Questa evoluzione non ha superato la distinzione processuale tra le due dimensioni soggettive.

Il dato ha trovato preciso riscontro nelle recenti sentenze della Corte costituzionale (Corte cost. n. 249/2020 e Corte cost. n. 203/2021) che, sulla scorta di questa impostazione, hanno escluso – in contrasto non casuale con la Corte europea dei diritti dell'uomo (Arnoldi) contro Italia e Petrella contro Italia, portatrice dell'impostazione vittimocentrica – il diritto della persona offesa ad accedere alla legge Pinto, in caso di durata irragionevole delle indagini preliminari. A livello europeo non si concepisce la logica della presenza risarcitoria ma quella della tutela della persona offesa del reato.

Vittime particolarmente vulnerabili: l'evoluzione del ruolo processuale della vittima

Senza alterare allo stato le differenze tra le due figure soggettive – una mero soggetto processuale (come detto dotata solo di poteri sollecitatori all'organo d'accusa), peraltro ora con poteri rafforzati, e l'altra parte processuale – si è materializzata sulla costola della persona offesa la figura della vittima, vulnerabile, anzi particolarmente vulnerabile che è stata ritagliata, sempre su indicazione europea, all'art. 90-quater c.p.p. Si tratta della condizione generale della vittima, desunta, oltre che dall'età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, anche dal tipo di reato, nonché dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. A questi elementi, precisa la norma, si deve ulteriormente considerare se il del fatto è commesso con violenza alla persona, o per odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale o di tratta di esseri umani, esente da pena, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è effettivamente psicologicamente o economicamente dipendente dall'autore del reato.

Dando estrinsecazione a questa previsione, la scelta normativa di tutelare la prova del minore e della persona vittima di una serie specifica di reati connotata dall'elemento della violenza e di pregiudizio esistenziale, già destinata ad essere assunta anticipatamente in incidente probatorio, ha trovato una tutela rafforzata nel caso di un soggetto in condizione di particolare vulnerabilità.

Il dato viene ribadito in punto di richiesta di assunzione nel dibattimento, senza escludere il possibile recupero di quanto reso in precedenza, così da evitare lo stress dell'assunzione della prova nella pubblicità, seppur variamente protetta. Speciali modalità sono così previste per il minore e per l'inferno di mente anche se maggiorenne, in quanto ritenuti non in grado di reggere lo stress dell'esame neurocieto.

Lo sviluppo ulteriore ha visto concentrarsi l'attenzione del legislatore sulla violenza infrafamiliare e specificamente nei confronti della donna, pur nella consapevolezza di orizzonti soggettivi più ampie: anziani, disabili, diversità di orientamenti sessuali, soggetti variamente discriminati.

Si è così costruita una visione specifica di violenza che va intesa in senso ampio come violenza fisica, sessuale, psicologica, economica, sociale, assistita (quella del minore partecipe al degrado familiare).

Le premesse sono state ricondotte nella ricordata normativa multilivello nella quale si collocano le convenzioni internazionali e le garanzie sovranazionali da intendersi connotate da significative ricadute sugli obblighi degli Stati di assicurare il valore della vita e dell'integrità fisica. Il riferimento è agli artt. 2 e 3 Cedu.

Sulla scorta di questi valori intesi nella loro dimensione ampia, soprattutto la Corte europea dei diritti dell'uomo ha costruito e costruisce a largo spettro i diritti delle vittime di violenza in relazione ai quali articola a cascata ulteriori interventi anche in relazione al fine del giusto processo, che, infatti, esso pure ne costituisce estrinsecazione.

Sotto questa prospettiva vengono ridefiniti presupposti e situazioni della condizione precaria della vittima di genere in tutte le loro possibili articolazioni trasfuse, come detto, nella costruzione della condizione di particolare vulnerabilità.

Ne è derivata, di conseguenza, anche alla luce dei fatti evidenziati dalla quotidianità, la predisposizione di misure a tutela della vittima di violenza e correlativamente restrittive nei confronti dell'imputato, nonché, anche sulla scorta di decisioni della Corte Edu, quelle di percorsi processuali impostati sulla necessità di interventi solleciti e di accertamenti tempestivi.

Questo rafforzamento del ruolo della persona offesa e di quella vulnerabile e particolarmente vulnerabile ha innestato non poche implicazioni su vari fronti: da un lato, processo mediatico, rigidità processuale (come è emerso in tema di preclusione dell'abbreviato per i reati punibili con l'ergastolo) e dall'altro la precarietà e deficit per la tutela difensiva.

Scenari

Sul versante più direttamente penale e processuale nel tempo si sono accentuate le ipotesi restitutorie, compensative e risarcitorie con le quali definire i comportamenti illeciti, superando gli angusti spazi dell'originaria impostazione a visione sanzionatoria, spesso incentrata esclusivamente sulla tipologia classica delle pene.

Peraltro, anche con questi limiti, previsioni di ordine generale legate ai comportamenti successivi alla commissione del reato, al post factum, ovvero suscettibili di determinare l'attenuazione della responsabilità vedono il coinvolgimento diretto o indiretto della persona offesa, con ricadute sul regime sanzionatorio.

Ancorché per aree tematiche specifiche e settoriali, si è via via allargata ad ampio spettro la sfera dei comportamenti e degli atteggiamenti soggettivi (anche delle persone giuridiche) e delle attività fattuali pratiche, materiali e operative.

Parallelamente, ma in modo autonomo, il dato ha evidenziato la possibilità di definizioni processuali alternative, complementari e sostitutive della vicenda processuale rispetto al tradizionale percorso punitivo, anche se nella maggior parte dei casi, il titolare degli interessi in composizione è l'autorità pubblica, recuperando meccanismi definitori del processo nei confronti degli imputati minorenni (...) e del procedimento di competenza del giudice di pace, si sono innestati nel rito ordinario alcuni strumenti processuali che per la definizione della vicenda richiedono anche il coinvolgimento della persona offesa.

Il riferimento si indirizza alla messa alla prova del processo minorile (art. 28 d.P.R. n. 448/1988), alle condotte riparatorie del procedimento del giudice di pace (art. 35 d.lgs. n. 274/2000), alla sospensione del processo e messa alla prova nel rito ordinario (artt. 464-bis – 464-nonies c.p.p.).

In questo contesto si inserisce l'annunciata riforma della l. n. 134/2021 che, in primo luogo, muove da una messa a punto dell'identità della vittima, intesa in senso ampio e definito: come il soggetto che ha subito un danno fisico, mentale o emotivo o perdite economiche conseguite direttamente da un reato), allargando anche alla condizione della persona legata da rapporto affettivo alla persona defunta in conseguenza del reato.

Naturalmente queste sottolineature soggettive hanno completato la predisposizione di precise situazioni soggettive di tutela, di iniziative personali e attività difensive mirate, di percorsi processuali differenziati con la predisposizione di strumenti cautelari, preventivi, repressivi e solidaristici a vasto raggio, marcando la presenza di ulteriori procedimenti processuali differenziati, ai qual necessariamente si contrappongono istanze difensive che mettendo il luce alcune patologie e forti carenze e pregiudizi, accompagnati da squilibri di tutela degli indagati e degli imputati ai quali la vicenda processuale, soprattutto per la qualità di certi reati determinano forti pregiudizi sociali, economici, esistenziali, accentuati ed amplificati spesso dalla più volte citata esposizione mediatica della vicenda di cui i protagonisti, soprattutto la vittima, si rendono attori.

In questo contesto, con tutti i limiti che si evidenzieranno, cerca di introdurre la cd. giustizia riparativa, secondo una prospettiva, che mettendo in campo professionalità e strumenti riparativa e conciliativi, cerca di avvicinare e riconciliare difesa e vittima attraverso il dialogo, il colloquio, l'ascolto nella prospettiva di una cicatrizzazione del rapporto interpersonale laceratosi e slabbratosi in ragione dell'episodio criminoso.

Come si è detto di recente, il processo è un fotogramma, ma non è la storia dei fatti.

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